1. - A margine di una fattispecie di costituzione di società a partecipazione pubblica maggioritaria (per l’attuazione di sistema informativo) imposta ex lege all’ente pubblico titolare dei compiti di coordinamento e gestione del complessivo progetto, il Consiglio di Stato ha inteso delineare il modello della società mista pubblico-privata a costituire un ideale trait d’union fra principi comunitari e norme dell’ordinamento italiano.
L’art. 113, 5° co. lett. b) del d.lgs. n° 267/2000 dunque risulterebbe in via esclusiva (1) la chiave interpretativa e applicativa nell’ordinamento italiano della nozione di partenariato pubblico-privato di matrice comunitaria alla doppia condizione che il soggetto privato da scegliere con gara per la sua introduzione nella compagine societaria sia un partner industriale e per definizione “precario” (2).
A pervadere il percorso argomentativo del Consiglio di Stato interviene la preoccupazione di ribadire la distanza concettuale del delineato modello di società mista rispetto all’affidamento in house attraverso l’attribuzione a quest’ultima modalità di gestione del carattere di eccezionalità (3), che peraltro, in definitiva, nella prospettiva del Consiglio di Stato permea anche la società mista, una volta riconosciuta nella mera gara la modalità ordinaria di affidamento (4).
Il discrimine fra tali ultimi due modelli sembrerebbe operato dal Consiglio di Stato attraverso l’attribuzione e il riconoscimento alla società mista dell’esercizio di funzioni pubbliche, la cui insistenza rispetto al servizio in concreto operato dalla società impedirebbe il ricorso alla mera esternalizzazione del medesimo (5).
Rimane invece sullo sfondo della trattazione dei giudici di Palazzo Spada l’interrogativo suscitato dalla recente giurisprudenza della Corte di Giustizia in margine alle fattispecie di cooperazione fra amministrazioni aggiudicatrici (6) e quindi sull’ammissibilità e sufficienza dell’individuazione ex lege di un determinato soggetto ai fini dell’affidamento al medesimo di un appalto pubblico.
La ricorrenza dell’esercizio di funzioni pubbliche nell’economia del parere reso non pare infatti consapevolmente assunta dal Consiglio di Stato alla stregua di condizione giustificatrice dell’affidamento diretto alla società mista.
Che la ricostruzione sistematica appena ricordata sia transeunte è constatazione appena ovvia per una materia rispetto alla quale l’incidenza delle istituzioni comunitarie e del dibattito in corso all’interno delle medesime è risolutiva (7), ma non meno colpisce la distanza rispetto agli esiti di quest’ultimo che contraddistingue, al di là delle apparenze, il quadro concettuale infine delineato dal Consiglio di Stato.
2. – Intanto il modello della società mista viene enucleato dall’archetipo dell’affidamento in house, il che se può giustificarsi in prospettiva storica come conseguente all’opera di definizione per successive approssimazioni di quest’ultimo istituto da parte della Corte di Giustizia (8) non pare altrettanto coerente e adeguato rispetto alla nozione di partenariato pubblico-privato che, nell’intenzione del Consiglio di Stato, la società mista è chiamata in definitiva a personificare.
La presenza del partner privato diventa così un elemento meramente iconografico della società mista rispetto alla società in house, in quanto sia l’una che l’altra sono colte alla stregua di diverse espressioni e modalità di attivazione di una medesima esperienza economica. La nozione di partenariato pubblico-privato c.d. istituzionalizzato così circoscritta diventa asfittica e perdendosi il suo effettivo significato, si perde altresì anche il senso del suo valore di alternativa rispetto al modello in house come delineata dalle istituzioni comunitarie.
Ma tale errore prospettico non è solo del Consiglio di Stato, vista l’enfasi con cui è stata accolta la decisione del 19 aprile 2007 della Corte di Giustizia CE (9) nella quale si sottolinea come il requisito del controllo analogo si declini anche attraverso la mancanza di autonomia della società affidataria.
Secondo il Giudice Comunitario, infatti, la società destinataria dell’affidamento diretto, come strumento esecutivo ed interno e servizio tecnico delle amministrazioni partecipanti alla medesima, non può stabilire in un rapporto dialettico effettivo con il committente il costo dei suoi interventi.
Ritenere come è stato affermato (10) che il Giudice abbia “relegato sullo sfondo” il concetto di “controllo analogo” per enfatizzare l’elemento costitutivo della mancanza di autonomia operativa e contrattuale, come se avesse operato una distinzione fra i due elementi nel contesto della definizione del modello in house, è conclusione contraddetta appunto dall’attuale configurazione di tale modalità di affidamento ad opera delle istituzioni comunitarie.
Il modello in house trova la sua ragione d’essere quando l’ente locale intende trattenere all’interno l’effettuazione del servizio attuando il medesimo attraverso una società-braccio operativo, che, sulla base di tale premesse, è dunque un terzo solo formalmente ma non economicamente. Un operatore che, per inciso, solo per tale ragione viene sottratto alla procedura concorrenziale (11).
In altre parole, l’elemento che caratterizza l’in house rispetto al partenariato pubblico-privato è la carenza di dialettica fra pubblico e privato che invece marca imprescindibilmente tale ultima esperienza sia sotto il profilo della valutazione e percezione della nozione di profitto (12) che della distribuzione dei rischi e delle responsabilità (13): “i PPP possono essere descritti come una forma di cooperazione a lungo termine disciplinata contrattualmente tra il settore pubblico e quello privato per l’espletamento di compiti pubblici, nel cui contesto le risorse richieste sono poste in gestione congiunta e i rischi legati ai progetti sono suddivisi in modo proporzionato sulla base delle competenze di gestione del rischio dei partner del progetto”, senza che i PPP costituiscano “un primo passo verso la privatizzazione di compiti pubblici”, visto che “i PPP costituiscono un modo possibile per organizzare il compimento dei compiti del settore pubblico e che quest’ultimo anche in futuro deve conservare la facoltà di decidere se eseguire una funzione direttamente oppure tramite una propria impresa o con terzi del settore privato”, come considerato dal Parlamento Europeo (14).
Tale impostazione pervade non solo la riflessione delle istituzioni comunitarie in materia di parternariati pubblico-privati in vista della futura azione legislativa (15) ma anche la parallela evoluzione dell’incidente materia dei servizi di interesse generale anche economico (16).
In tal senso quantomai significativo è l’iter di formazione del nuovo regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia che alla data del 10 maggio 2007 segna l’adozione di posizione del Parlamento definita in seconda lettura rispetto alla posizione già assunta dal Consiglio (17) sul testo. L’art. 5 del provvedimento in gestazione prevede una mera alternatività fra l’adozione della gara (art. 5 par. 1), il modello in house (mediante il cd. “operatore interno”, di cui al par. 2 come definito dall’art. 2 lett. j)) o il partenariato pubblico-privato (art. 5 par. 3), in coerenza del resto con il principio di neutralità affermato dal considerando n° 12 del provvedimento.
Anzi, il Legislatore rimette addirittura l’ammissibilità del ricorso al c.d. “operatore interno” alle scelte operate dal Legislatore interno (18).
Attribuendo quindi al modello dell’in house il crisma dell’eccezionalità, il Consiglio di Stato, che riprende peraltro un’orientamento diffuso della dottrina (19), di fatto smentisce le indicazioni provenienti dalle istituzioni comunitarie (e in primis il principio di neutralità cui le stesse si informano) come le coerenti indicazioni del legislatore nazionale il quale, tramite l’art. 113 del d.lgs. 267/2000 s.m.i. in materia di servizi pubblici locali, non fa che sancire il regime di alternatività fra le tre modalità sopra ricordate di ricorso alla gara, al c.d. operatore interno ovvero alla società mista.
L’impostazione del Consiglio di Stato per inciso non trova una sicura conferma nemmeno nell’attuale versione del disegno di legge S 772 recante delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali nel testo emendato in data 8 febbraio 2007 dopo che appunto sono stati espunti i riferimenti che connotavano di eccezionalità il ricorso al modello in house e alle società miste (20).
Semmai, nel disegno di legge appare poco comprensibile la scelta di comprimere il ricorso alla società mista e quindi al partenariato pubblico-privato subordinandone l’adozione alla ricorrenza di condizioni tipizzate a priori che appaiono prima facie inconferenti con il terreno di coltura del fenomeno (21).
Non solo. Non cogliendo la specificità del fenomeno della società in house rispetto al partenariato pubblico-privato, come denunzia il dichiarato ricorso appunto ai parametri dell’in house per delineare il modello della società mista (22), il Consiglio di Stato finisce per attribuire parimenti alla società mista un connotato di eccezionalità ingiustificato ed anzi smentito nella prospettiva comunitaria.
Si vuole sottolineare che la società mista nella misura in cui costituisce espressione di un partenariato pubblico-privato non può evidentemente che essere una società di diritto speciale ma ciò non significa affatto ed ancora che il ricorso alla medesima sia una condizione eccezionale. Si coglie evidente l’attribuzione al momento della motivazione della scelta della modalità di gestione della qualità di condizione fondante la specialità della scelta medesima, mentre invece la motivazione è solo espressione del normale principio di sussidiarietà e trasparenza rispetto alle alternative offerte dal sistema comunitario.
3. – La soluzione offerta dal parere al caso pratico sottoposto all’attenzione del Consiglio di Stato non può che ingenerare ulteriori perplessità sul punto, in quanto il ricorso alla società mista è subordinato al riconoscimento nel caso in esame dei tratti distintivi dell’esercizio di una funzione (pubblica) da parte del socio pubblico.
Ne consegue pertanto che nel modello delineato dal Consiglio di Stato il socio pubblico è gestore e proprio questo elemento (che appunto richiede il ricorso alle abilità del privato per operare al meglio la gestione da parte del socio pubblico) giustifica e connota di specialità il ricorso allo strumento societario.
Ma tale impostazione mina alle fondamenta la contestuale ricostruzione della società mista alla stregua di modello del partenariato pubblico-privato c.d. istituzionalizzato secondo le due condizioni della ricorrenza del partner industriale e della precarietà del medesimo.
Infatti, il partenariato pubblico-privato, come emerge chiaramente a partire dal Libro Verde della Commissione del 30 aprile 2004, non prevede un partner pubblico gestore ma solo controllore (23) cui si deve affiancare un partner “industriale” e non “finanziatore”, come del resto da sempre denunciato dalla dottrina più attenta (24).
Il Consiglio di Stato invece ritiene ammissibile una forma di affidamento diretto da un ente pubblico ad una società nel contesto della quale il medesimo ente gestisce almeno in parte, esercitando la funzione pubblica di cui è titolare.
Non si tratta altro che di una società in house mista, ossia proprio il modello definitivamente rifiutato dalla Corte di Giustizia (ma non dalle istituzioni comunitarie, come si vedrà in prosieguo).
Alla luce di tale osservazione la ricostruzione operata dal Consiglio di Stato non offre soluzione legittima alla questione dell’individuazione dei parametri di ammissibilità della cooperazione fra soggetti ed enti di diritto pubblico che la Corte di Giustizia ha recentemente riproposto (25).
Dirimente in tal senso le riflessioni condotte dal Parlamento Europeo nella risoluzione del 26 ottobre 2006 (26), in materia di cooperazione fra enti locali, ove si ritiene che i casi di cooperazione possano considerarsi irrilevanti in relazione al diritto sugli appalti pubblici solo, fra l’altro, “i diritti di sorveglianza detenuti dagli enti interessati sono identici a quelli che esercitano sui propri servizi”.
Il che è radicalmente escluso nel caso affrontato dal Consiglio di Stato, ove il parere criticato non ha ritenuto di ravvisare una fattispecie riconducibile al modello in house.
Perché pertanto la società mista possa essere legittima non basta che il socio privato sia industriale e “precario” ma anche occorre che il partner pubblico eserciti solamente meri diritti corporativi inerenti la partecipazione sociale.
Mancando, come nel caso di specie, tale condizione non può che concludersi come allo stato l’interpretazione dell’art. 113, 5° co. lett. b) del d.lgs. n° 267/2000 s.m.i. offerta dal Consiglio di Stato sia illegittima, in quanto non costituisce attuazione del partenariato secondo la tipologia della società mista e quindi non elide la cd. questione della “doppia gara”. Anzi, in definitiva il modello costruito pare più attagliarsi ad una peculiare forma di concessione di servizi.
Ne consegue la permanenza della “crisi” della società mista, come del resto già denunciata dalla dottrina (27).
La “salvezza” del caso di specie, semmai, dove possibile, deve essere ricercata su un altro terreno ossia la natura dei servizi affidati dall’ente alla società mista.
In tal senso, la prospettiva di fondo del Consiglio sembra fondata sull’adesione alla tesi dell’economicità radicale, che larga fortuna conosce presso la magistratura amministrativa, e che conduce alla prospettazione della necessità di affidamento mediante mera gara.
Si tratta di una tesi che il dibattito in corso in merito alla definizione dei servizi di interesse generale anche economico in seno alle istituzioni comunitarie dimostra essere in uno stato di progressiva e sempre più approfondita discussione nell’ottica di un bilanciamento dell’azione di apertura alla concorrenza dei servizi dilatata dall’entrata in vigore della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (28) cui corrisponde una esigenza contraria di sottrazione alla medesima di ambiti di scelta ed esercizio pubblicistico (29).
In tale contesto, occorre ricordare che i servizi di interesse economico generale, in quanto prestati dietro corrispettivo economico, rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva sui servizi nel mercato interno e quindi appaiono di per sé difficilmente sottraibili alle regole del mercato.
Ma si tratta ovviamente di una prospettiva de iure condendo che non può essere compito del Consiglio di Stato coltivare.
A tal proposito. sia consentito di nuovo segnalare l’emanando regolamento in materia di servizi di trasporto ove proprio per la tipologia del servizio le istituzioni comunitarie hanno previsto anche la possibilità di affidamento diretto alle società miste espressione di partenariati istituzionalizzati (30), sconvolgendo quindi equilibri che sembravano consolidati e dimostrando che gli stessi non sono che espressione di situazioni contingenti e sempre in evoluzione come è il magma della situazione economica rispetto al quale le istituzioni comunitarie intervengono.
__________________________________
1) Cfr. parere Consiglio di Stato
ad. II 18 aprile 2007 n° 456, pag. 14 in
questa rivista n° 5-2007: “tale previsione
può essere assunta a paradigma del modello”.
2) Cfr. parere Consiglio
di Stato n° 456/2007 cit., pag. 23: “In
altri termini, laddove vi siano giustificate ragioni
per non ricorrere ad un affidamento esterno integrale,
appare legittimo configurare, quantomeno, un modello
organizzativo in cui ricorrano due garanzie: 1)
che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara
per l’affidamento del servizio pubblico e
gara per la scelta del socio, in cui quest’ultimo
si configuri come un <>,
che concorre materialmente allo svolgimento del
servizio pubblico o di fasi dello stesso; 2) che
si preveda un rinnovo della procedura di selezione
<> (in tal senso, soccorre già
una lettura del comma 5, lett. b) dell’art.
113 t.u.e.l. in stretta connessione con il successivo
comma 12), evitando così che il socio divenga
<> della società mista,
possibilmente prevedendo che sin dagli atti di gara
per la selezione del socio privato siano chiarite
le modalità per l’uscita del socio
stesso (con liquidazione della sua posizione), per
il caso in cui all’esito della della successiva
gara egli non risulti più aggiudicatario”.
3) Cfr. parere
Consiglio di Stato n° 456/2007 cit., pag.
9: “Questa Sezione condivide pienamente
(….) le affermazioni secondo le quali la
figura dell’in house providing si configura
come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno
interpretati restrittivamente poiché costituiscono
una deroga alle regole generali del diritto comunitario”.
4) Cfr. parere
Consiglio di Stato n° 456/2007 cit., pag.
22: “Peraltro si ricorda che il suddetto
modello non è ordinario nel nostro sistema
e che – salvi i non frequenti casi (come quello
di specie) in cui il legislatore lo impone senza
alternative – l’amministrazione deve
comunque motivare in modo adeguato perché
si avvale di una società mista invece di
rivolgersi integralmente al mercato”.
5) Così il Consiglio di Stato si esprime con riferimento al caso di specie che è occasione del parere: “Dalla descrizione dell’assetto della specifica disciplina del caso di specie si evince non tanto un <> a ricorrere al modello in esame (…) ma piuttosto quasi una necessità, in considerazione della stretta connessione del SIAN con l’esercizio di funzioni pubbliche (…). Tale connessione (…) non sembra consentire un integrale affidamento all’esterno del Sistema Informativo Agricolo Nazionale, pur rinvenendosi, per converso, l’esigenza di una peculiare professionalità e specializzazione tecnologica nella gestione del sistema medesimo che richiede, a condizioni ben definite, la <> di un soggetto privato, altamente qualificato, che predisponga e mantenga l’infrastruttura tecnica necessaria a consentire lo svolgimento di quelle funzioni sul Servizio Informativo”.
6) Corte
di Giustizia CE I, 18 gennaio 2007 C – 220/05,
in questa Rivista n° 1 – 2007 per la quale
“un’amministrazione aggiudicatrice
non è dispensata dal fare ricorso alle procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori
previsti dalla direttiva per il fatto che, in conformità
al diritto nazionale, tale convenzione può
essere conclusa soltanto con determinate persone
giuridiche, che abbiano esse stesse lo status di
amministrazione aggiudicatrice e che saranno tenute,
a loro volta, ad applicare le dette procedure per
aggiudicare eventuali appalti susseguenti”,
secondo un principio espresso con riferimento ad
un caso ove con legge si era inteso retroattivamente
legittimare l’affidamento di appalto a società
mista senza che il socio privato fosse stato scelto
con gara. Ma la riflessione sull’incidenza
della disciplina della concorrenza rispetto alle
fattispecie di cooperazione fra amministrazioni
aggiudicatrici si coglie già in
Corte di Giustizia CE 13 gennaio 2005 C-84/03.
7) Significativi in tal senso la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni sui partenariati pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni 15 novembre 2005 Com 82005) 569 def.; la Risoluzione del parlamento europeo sui partenariati pubblico-privati e il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni 26 ottobre 2006 (2006/2043/(INI)) rispetto alle perplessità emerse sul merito dell’azione legislativa e sugli strumenti da adottare nella Relazione sul libro bianco della Commissione sui servizi di interesse generale del Parlamento Europeo in data 14 settembre 2006 n. A6-0275/2006, vista la prossimità dei due ambiti di intervento.
8) Ben presente al Consiglio di Stato che richiama
più volte la nota sentenza della Corte
di Giustizia 11 gennaio 2005 C-26/03 la quale
ha sancito definitivamente l’estraneità
del modello in house rispetto alla struttura
della società mista.
9) Corte di Giustizia II 19 aprile 2007 C-295/05, in questo sito n° 5 – 2007.
10) R. Mangani, La mancanza di autonomia decisionale giustifica l’in house, in Edilizia e territorio n° 19/2007, pag. 6 e ss.
11) Si tratta di una affermazione regolarmente ripetuta nel contesto delle riflessioni condotte dalle istituzioni comunitarie in margine alla riflessione in materia di partenariati pubblico-privati a partire dal noto “Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni” in data 30 aprile 2004 Com (2004) 327 def.: cfr. Libro Verde cit. par. 63.
12) Sinteticamente, si può osservare che per il privato il progetto viene valutato in termini di convenienza economica mentre dal pubblico promana una percezione in termini di soddisfazione dell’interesse pubblico connesso al progetto medesimo.
13) La dottrina aziendalistica ha da tempo sottolineato che i partenariati pubblico – privati si modulano sulla base della diversa combinazione di quattro attività e dei connessi rischi e responsabilità: il finanziamento (Finance), la progettazione (Design), la costruzione (Build) e la gestione (Operate). Di qui le diverse manifestazioni dell’istituto conosciute nella prassi fra cui il DBFO, il BOT, il DBF, il DBO.
14) Risoluzione
del Parlamento Europeo sui partenariati pubblico-privati
e il diritto comunitario degli appalti pubblici
e delle concessioni 26 ottobre 2006 cit.
15) Cfr. oltre al documento del Parlamento citato alla nota precedente, la comunicazione della Commissione 15 novembre 2005 Com 82005) 569 def. cit.
16) Significativa da ultimo la
Risoluzione del Parlamento Europeo sul Libro Bianco
della Commissione sui servizi di interesse generale
(2006/2101 (INI)) del 27 settembre 2006. Cfr.
anche Libro Bianco sui servizi di interesse generale
12 maggio 2004 Com (2004) 374 def., Relazione sulla
consultazione pubblica in merito al Libro Verde
sui servizi di interesse generale Sec (2004) 326;
Libro verde sui servizi di interesse generale 21
maggio 2003 Com (2003) 270; Relazione al Consiglio
Europeo di Laeken del 17 ottobre 2001 Com (2001)
598; Comunicazione della Commissione sui servizi
di interesse generale in Europa del 19 gennaio 2001
Com (2001) 17/04; Comunicazione della Commissione
sui servizi di interesse generale in Europa del
20 settembre 2000 Com (2000) 580 def.
17) Risoluzione del Parlamento Europeo del 10 maggio 2007 relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione del regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti (CEE) del Consiglio n° 1191(69 e n. 1107/70. Di particolare interesse anche il provvedimento relativo alla posizione comune assunta dal Consiglio in data 11 dicembre 2006 C6-0042/2007 e la successiva Comunicazione della Commissione al Parlamento del 12 dicembre 2006 Com (2006) 805 def.
18) “A meno che non sia vietato dalla legislazione nazionale”: così l’incipit dell’art. 5 par. 2 dell’emanando nuovo regolamento in materia servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia, cit.
19) Cfr. per una critica lucida, Perfetti, Miti e realtà nella disciplina dei servizi pubblici locali, in Diritto Amministrativo 2006 fasc. 2., pag. 387 e ss.
20) Semmai l’attuale disegno di legge segna per quanto concerne il modello in house il ritorno alla prospettiva già adombrata dalla Corte di Giustizia CE 22 maggio 2003 C-18/01, ove il ricorso al modello in house si correla ed è giustificato dalle condizioni del territorio in cui incide l’attività dell’ente di erogazione del servizio. Si pone così una condizione peculiare dell’ordinamento italiano e non percepibile nei documenti comunitari.
21) Si allude al fatto che la lett. c) dell’art. 2, 1° co. del disegno di legge S 772 prevede mediante il richiamo ai “medesimi casi indicati alla lettera b)” il ricorso alla società mista nei casi in cui non si consente un “efficace ed utile ricorso al mercato”, il che non appare coerente con le scelte fondanti il ricorso al PPP. In una prospettiva critica cfr. anche G. Guzzo, Società Miste: assemblea di Strasburgo e legislazione nazionale, in Lexitalia n. 3 – 2007 che in particolare stigmatizza la predeterminazione da parte del legislatore delle condizioni di ricorso al modello.
22) Pervero si tratta di una sovrapposizione concettuale rinvenibile anche nella dottrina: cfr. M.P. Chiti, Luci ombre e vaghezze nella disciplina del partenariato pubblico-privato” in Atti del Convegno “Il Partenariato Pubblico-Privato ed il diritto degli appalti e delle concessioni (Firenze, 28 gennaio 2005).
23) In questa prospettiva, C. Tessarolo, Il
partenariato pubblico-privato. La scelta del partner
privato in www.dirittodeiservizipubblici.it
24) Cfr. Angelo Clarizia, Tendenze
e prospettive in tema di esternalizzazione,
in questa Rivista.
25) Cfr. Corte di Giustizia CE I, 18
gennaio 2007 C – 220/05, cit.; Id. II,
13 gennaio 2005 C-84/03 cit.
26) Risoluzione del Parlamento Europeo sui partenariati
pubblico-privati e il diritto comunitario degli
appalti pubblici e delle concessioni cit.
27) Si indicano senza alcuna pretesa di completezza fra i numerosi rilevanti contributi della dottrina in materia: F.G. Scoca, Il punto sulle c.d. società pubbliche in Dir. Econ. 2005, pag. 258 e ss., Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in www.giustizia-amministrativa.it;
28) Cfr. direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno il cui ambito di applicazione rispetto ai servizi di interesse generale anche economico è significativamente delineato dal considerando n° 17.
29) Risoluzione del Parlamento Europeo sul Libro Bianco della Commissione sui servizi di interesse generale del 27 settembre 2006 cit. ove il Parlamento sottolinea che “l’esternalizzazione dei servizi pubblici che non è della stessa natura dei contratti pubblici dovrebbe essere oggetto di un chiarimento giuridico; chiede alla Commissione di di precisare le regole per l’attribuzione di tali servizi esternalizzati distinguendole chiaramente da quelle per i contratti pubblici”.
30) Cfr. l’art. 5§2 a della bozza di regolamento relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti (CEE) del Consiglio n° 1191/69 e n. 1107/70 nella versione di cui alla risoluzione del Parlamento del 10 maggio 2007 e la precedente Comunicazione della Commissione al Parlamento del 12 dicembre 2006 cit. sulla posizione del Consiglio cit. pagg. 5-6).
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