CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE - Sentenza 11 gennaio
2005
Pres. Jann, Rel. Juhász |
1. Contratti della P.A. – Appalti di lavori
e forniture – Interpretazione dell’art. 1, n.1, Dir. 89/665/CEE
– Obbligo per gli Stati membri di garantire la possibilità
di mezzi di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni
prese dalle amministrazioni aggiudicatici – Estensibilità
della norma anche alle ipotesi di decisioni adottate al
di fuori di una formale procedura di affidamento di appalto
e prima di un atto di formale messa in concorrenza – Conseguenze
– Impossibilità della subordinazione del ricorso al fatto
che la procedura di affidamento di appalto pubblico in questione
abbia formalmente raggiunto una fase determinata
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2. Servizi pubblici – Affidamento diretto
del servizio – Ipotesi in cui la società sia partecipata
dall’amministrazione aggiudicatrice e da imprese private
– Impossibilità – Obbligo di espletare le procedure di affidamento
di appalti pubblici
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1. L’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio
21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione
delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata
dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE,
che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di servizi, a sua volta modificata dalla direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997,
97/52/CE, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo
degli Stati membri di garantire la possibilità di mezzi
di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle
amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni
adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento
di appalto e prima di un atto di formale messa in concorrenza,
ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato
appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae
e ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata.
Tale possibilità di ricorso è concessa a qualsiasi soggetto
che abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’appalto di
cui trattasi e che sia stato o rischi di essere leso a causa
di una violazione denunciata, a partire dal momento in cui
viene manifestata la volontà dell’amministrazione aggiudicatrice
idonea a produrre effetti giuridici. Pertanto, gli Stati
membri non sono autorizzati a subordinare la possibilità
di ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto
pubblico in questione abbia formalmente raggiunto una fase
determinata.
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2. Nell’ipotesi in cui un’amministrazione
aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo
oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione
ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata
dalla direttiva 97/52, con una società da essa giuridicamente
distinta, nella quale la detta amministrazione detiene una
partecipazione insieme con una o più imprese private, le
procedure di affidamento degli appalti pubblici previste
dalla citata direttiva debbono sempre essere applicate.
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SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
11 gennaio 2005
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«Direttiva 92/50/CEE – Appalti pubblici di
servizi – Affidamento senza pubblica gara d'appalto – Affidamento
dell'appalto ad una società mista pubblico-privata – Tutela
giurisdizionale – Direttiva 89/665/CEE»
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Nel procedimento C-26/03,avente ad oggetto
una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte,
ai sensi dell'art. 234 CE, dall'Oberlandesgericht Naumburg
(Germania) con ordinanza in data 8 gennaio 2003, pervenuta
in cancelleria il 23 gennaio 2003, nella causa tra:
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Stadt Halle,
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RPL Recyclingpark Lochau GmbH,
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e
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Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall
- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna,
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LA CORTE (Prima Sezione)
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composta dal sig. P. Jann, presidente di
sezione, e dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues, E. Juhász (relatore),
M. Ilešic e E. Levits, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl,
cancelliere: sig. R. Grass,
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vista la fase scritta del procedimento,
preso atto delle osservazioni presentate:
– per la Stadt Halle, dalla sig.ra U. Jasper, Rechtsanwältin;
– per la Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und
Energieverwertungsanlage TREA Leuna, dal sig. K. Heuvels,
Rechtsanwalt;
– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e D.
Petrausch, in qualità di agenti;
– per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità
di agente;
– per il governo finlandese, dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità
di agente;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. K.
Wiedner, in qualità di agente,
sentite le conclusioni presentate dall'avvocato generale
all'udienza del 23 settembre 2004,
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ha pronunciato la seguente
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Sentenza
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1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale
riguarda l’interpretazione dell’art. 1, n. 1, della direttiva
del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina
le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
relative all’applicazione delle procedure di ricorso in
materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture
e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva
del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi
(GU L 209, pag. 1), a sua volta modificata dalla direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997,
97/52/CE (GU L 328, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva
89/665»). La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda
altresì l’interpretazione degli artt. 1, punto 2, e 13,
n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE,
che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori
di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi
di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle
telecomunicazioni (GU L 199, pag. 84), come modificata dalla
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio
1998, 98/4/CE (GU L 101, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva
93/38»).
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2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito
di una controversia che oppone la Stadt Halle (Città di
Halle) (Germania) e la società RPL Recyclingpark Lochau
GmbH (in prosieguo: la «RPL Lochau») alla società Arbeitsgemeinschaft
Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA
Leuna (in prosieguo: la «TREA Leuna»), in merito alla regolarità,
rispetto alle norme comunitarie, dell’affidamento senza
pubblica gara di un appalto di servizi relativo al trattamento
dei rifiuti, effettuato dalla Stadt Halle a favore della
RPL Lochau, società questa il cui capitale è detenuto dalla
Stadt Halle, socio di maggioranza, e da una società privata,
titolare di una quota minoritaria.
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Contesto giuridico-normativo
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Normativa comunitaria
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3. Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della
direttiva 92/50, come modificata dalla direttiva 97/52 (in
prosieguo: la «direttiva 92/50»), gli «appalti pubblici
di servizi» sono «contratti a titolo oneroso stipulati in
forma scritta tra un prestatore di servizi ed un’amministrazione
aggiudicatrice». A norma dell’art. 1, lett. b), di tale
direttiva, per «amministrazioni aggiudicatrici» si intendono
«lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico,
le associazioni costituite da detti enti od organismi di
diritto pubblico». Infine, l’art. 1, lett. c), della medesima
direttiva definisce i «prestatori di servizi» come «le persone
fisiche o giuridiche, inclusi gli enti pubblici[,] che forniscono
servizi».
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4. A mente dell’art. 8 della direttiva 92/50,
«[g]li appalti aventi per oggetto servizi elencati nell’allegato
I A vengono aggiudicati conformemente alle disposizioni
dei titoli da III a VI». Tali disposizioni contengono in
sostanza regole in materia di messa in concorrenza e di
pubblicità. L’art. 11, n. 1, della medesima direttiva dispone
che nell’attribuire gli appalti pubblici di servizi «le
amministrazioni applicano le procedure definite nell’articolo
1, lettere d), e) e f), adattate ai fini della presente
direttiva». Le procedure alle quali fa riferimento tale
disposizione sono, rispettivamente, le «procedure aperte»,
le «procedure ristrette» e le «procedure negoziate».
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5. La categoria n. 16 dell’allegato I A della
detta direttiva menziona i servizi consistenti in «[e]liminazione
di scarichi di fogna e di rifiuti; disinfestazione e servizi
analoghi».
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6. L’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva
92/50 prevede che questa si applichi agli appalti pubblici
di servizi il cui valore stimato al netto dell’imposta sul
valore aggiunto «sia pari o superiore a 200 000 ECU».
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7. Dal secondo e dal terzo ‘considerando’
della direttiva 89/665 risulta che la finalità di quest’ultima
è di garantire l’applicazione delle regole comunitarie in
materia di appalti pubblici attraverso mezzi di ricorso
efficaci e rapidi, in particolare in una fase in cui le
violazioni possono ancora essere corrette, tenuto conto
del fatto che l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza
comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie
di trasparenza e di non discriminazione.
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8. A tal fine, l’art. 1, nn. 1 e 3, della
direttiva 89/665 dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari
per garantire che, per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici disciplinati dalle direttive (…),
le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici
possano essere oggetto di ricorsi efficaci e, in particolare,
quanto più rapidi possibile, secondo le condizioni previste
negli articoli seguenti, in particolare nell’articolo 2,
paragrafo 7, qualora violino il diritto comunitario in materia
di appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono.
(…)
3. Gli Stati membri garantiscono che le procedure di ricorso
siano accessibili, secondo modalità che gli Stati membri
possono determinare, per lo meno a chiunque abbia o abbia
avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato
appalto pubblico (…) e che sia stato o rischi di essere
leso a causa di una violazione denunciata. In particolare
gli Stati membri possono esigere che la persona che desideri
avvalersi di tale procedura abbia preventivamente informato
l’autorità aggiudicatrice della pretesa violazione e della
propria intenzione di presentare un ricorso».
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9 L’art. 2, n. 1, della direttiva 89/665
dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi
ai fini dei ricorsi di cui all’articolo 1 prevedano i poteri
che permettano di:
a) prendere con la massima sollecitudine e con procedura
d’urgenza provvedimenti provvisori intesi a riparare la
violazione o impedire che altri danni siano causati agli
interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere
o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica
di un appalto o l’esecuzione di qualsiasi decisione presa
dalle autorità aggiudicatrici;
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa
la soppressione delle specificazioni tecniche, economiche
o finanziarie discriminatorie figuranti nei documenti di
gara, nei capitolati d’oneri o in ogni altro documento connesso
con la procedura di aggiudicazione dell’appalto in questione;
c) accordare un risarcimento danni alle persone lese dalla
violazione.
(…)»
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10. L’art. 1 della direttiva 93/38 è così
formulato:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
(…)
2) “Imprese pubbliche”: le imprese su cui le autorità pubbliche
possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza
dominante perché ne hanno la proprietà, o hanno in esse
una partecipazione finanziaria, oppure in conseguenza delle
norme che disciplinano le imprese in questione. L’influenza
dominante è presunta quando le autorità pubbliche, direttamente
o indirettamente, riguardo ad un’impresa:
– detengono la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa,
oppure
– controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto
le parti emesse dall’impresa, oppure
– hanno il diritto di nominare più della metà dei membri
del consiglio di amministrazione, del consiglio direttivo
o del consiglio di vigilanza.
3) “Impresa collegata”: (…) qualsiasi impresa sulla quale
l’ente aggiudicatore eserciti, direttamente o indirettamente,
un’influenza dominante ai sensi del paragrafo 2 del presente
articolo (…).
(…)»
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11. L’art. 13 della direttiva 93/38 prevede
quanto segue:
«1. La presente direttiva non si applica agli appalti di
servizi:
a) assegnati da un ente aggiudicatore ad un’impresa collegata;
(…)
sempreché almeno l’80% della cifra d’affari media realizzata
nella Comunità dall’impresa in questione negli ultimi tre
anni in materia di servizi derivi dalla fornitura di detti
servizi alle imprese alle quali è collegata.
(…)»
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Normativa nazionale
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12. Dalla decisione di rinvio risulta che
nell’ordinamento tedesco i ricorsi in materia di appalti
pubblici sono disciplinati dal Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen
(legge contro le restrizioni della concorrenza). In conformità
dell’art. 102 di tale legge, «gli affidamenti di appalti
pubblici» possono costituire l’oggetto di un ricorso. L’offerente
o candidato ha un diritto soggettivo a che vengano rispettate
«le disposizioni che disciplinano le procedure di affidamento
degli appalti», il quale gli consente di azionare nei confronti
dell’amministrazione aggiudicatrice le pretese giuridicamente
riconosciutegli dall’art. 97, n. 7, della legge suddetta
«intese ad ottenere che venga compiuto od omesso un determinato
atto nell’ambito di una procedura di affidamento di appalto
(…)».
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13. La decisione di rinvio precisa che, in
base alle dette disposizioni, secondo un’opinione seguita
da una parte della giurisprudenza e della dottrina in Germania,
la proposizione di un ricorso in materia di affidamento
di appalto è possibile soltanto se il ricorrente mira a
costringere l’amministrazione aggiudicatrice a comportarsi
in un certo modo nell’ambito di una formale procedura di
affidamento in corso di svolgimento, ciò che significa che
la proposizione di un ricorso è impossibile qualora l’amministrazione
aggiudicatrice abbia deciso di non indire una pubblica gara
d’appalto e di non avviare formalmente una procedura di
affidamento. Tuttavia, tale opinione viene contrastata da
un’altra parte della giurisprudenza e della dottrina.
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Causa principale e questioni pregiudiziali
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14. Dalla decisione di rinvio risulta che
la Stadt Halle, con delibera del consiglio comunale in data
12 dicembre 2001, ha affidato alla RPL Lochau l’elaborazione
di un progetto per il trattamento preliminare, il recupero
e lo smaltimento dei propri rifiuti, senza avviare una formale
procedura di affidamento di appalto. Allo stesso tempo,
la Stadt Halle ha deciso, anche in tal caso senza fare appello
alla concorrenza, di avviare negoziati con la RPL Lochau,
al fine di concludere con quest’ultima un contratto relativo
allo smaltimento dei rifiuti urbani residuali a partire
dal 1° giugno 2005. La detta società si sarebbe assunta
gli oneri di investimento relativi alla costruzione dell’impianto
termico di smaltimento e recupero dei rifiuti.+
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15 La RPL Lochau è una società a responsabilità
limitata creata nel 1996. Il suo capitale è detenuto, da
un lato, per una quota del 75,1%, dalla Stadtwerke Halle
GmbH, società il cui socio unico è la Verwaltungsgesellschaft
für Versorgungs- und Verkehrsbetriebe der Stadt Halle mbH,
a sua volta appartenente al 100 % alla Stadt Halle, e, dall’altro,
per una quota del 24,9 %, da una società privata a responsabilità
limitata. Il giudice del rinvio designa la RPL Lochau come
«società mista a prevalente capitale pubblico» e rileva
come la ripartizione del capitale di quest’ultima sia stata
concordata nell’ambito di un contratto di società soltanto
alla fine del 2001, quando è stato previsto l’affidamento
della realizzazione del progetto in questione.
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16. Il giudice del rinvio fa altresì osservare
come l’attività della RPL Lochau abbia ad oggetto la gestione
di impianti di riciclaggio e di smaltimento dei rifiuti.
Secondo il detto giudice, le deliberazioni dell’assemblea
generale dei soci vengono adottate a maggioranza semplice
ovvero con una maggioranza del 75 % dei voti. Attualmente
la direzione commerciale e tecnica di tale società sarebbe
attribuita ad un’impresa terza, mentre alla Stadt Halle
spetterebbe in particolare il potere di procedere alla verifica
dei conti.
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17. Avendo avuto notizia dell’affidamento
dell’appalto al di fuori della procedura prevista dalle
norme comunitarie in materia di appalti pubblici, la TREA
Leuna, anch’essa interessata a fornire i detti servizi,
si è opposta alla decisione della Stadt Halle ed ha presentato
dinanzi alla Sezione camerale per gli appalti pubblici del
Regierungspräsidium Halle un ricorso volto ad obbligare
la detta amministrazione ad indire una pubblica gara d’appalto.
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18. La Stadt Halle si è difesa sostenendo
che, ai sensi delle norme nazionali menzionate ai punti
12 e 13 della presente sentenza, il ricorso era inammissibile,
a motivo del fatto che essa, quale amministrazione aggiudicatrice,
non aveva formalmente avviato una procedura di affidamento
di appalto. Inoltre, la RPL Lochau sarebbe piuttosto un’emanazione
della Stadt Halle, essendo controllata da quest’ultima.
Si tratterebbe dunque di un’«operazione di “in house providing”»,
alla quale non si applicherebbero le norme comunitarie in
materia di appalti pubblici.
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19. L’organo adito ha accolto la domanda
della TREA Leuna, ritenendo che, anche in assenza di procedura
di affidamento, le decisioni dell’amministrazione aggiudicatrice
dovessero poter essere oggetto di un ricorso. Esso ha altresì
giudicato che, nel caso di specie, non poteva parlarsi di
«operazione di “in house providing”», per il fatto che la
partecipazione minoritaria del socio privato superava la
soglia del 10% a partire dalla quale, ai sensi della normativa
tedesca sulle società a responsabilità limitata, si è in
presenza di una minoranza che gode di taluni diritti particolari.
Il detto organo ha inoltre affermato che era lecito attendersi
con ragionevole certezza che le attività svolte dalla RPL
Lochau per la Stadt Halle avrebbero comportato uno sfruttamento
pari soltanto al 61,25% della capacità del previsto impianto
di trattamento dei rifiuti, sicché, per l’utilizzazione
della capacità residua, l’impresa sarebbe stata obbligata
a reperire incarichi sul suo mercato di azione.
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20. L‘Oberlandesgericht Naumburg, a seguito
dell’appello dinanzi ad esso proposto dalla Stadt Halle,
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre
alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) a) Se l’art. 1, n. 1, della direttiva [89/665] imponga
agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci
e quanto più rapidi possibile avverso la decisione dell’autorità
aggiudicatrice di non affidare un appalto pubblico mediante
un procedimento adattato alle disposizioni delle direttive
in materia di affidamento di appalti pubblici.
b) Se l’art. 1, n. 1, della direttiva [89/665] imponga altresì
agli Stati membri di garantire mezzi di ricorso efficaci
e quanto più rapidi possibile avverso le decisioni prese
dalle autorità aggiudicatrici preliminarmente alla formale
indizione di una gara d’appalto, in particolare avverso
la decisione sulle questioni, di carattere preliminare,
se un determinato procedimento di acquisizione di beni o
servizi rientri o meno nell’ambito d’applicazione ratione
personae o ratione materiae delle direttive in materia di
affidamento di appalti pubblici, ovvero se eccezionalmente
resti esclusa l’applicazione della normativa sugli appalti.
c) In caso di risposta affermativa alla questione [1), sub
a),] e di risposta negativa alla questione [1), sub b)]:
se uno Stato membro adempia all’obbligo di garantire mezzi
di ricorso efficaci e quanto più rapidi possibile avverso
la decisione dell’autorità aggiudicatrice di non affidare
un appalto pubblico nell’ambito di un procedimento adattato
alle disposizioni delle direttive in materia di affidamento
di appalti pubblici, nel caso in cui l’accesso alla procedura
di ricorso sia subordinato al raggiungimento di una determinata
fase formale del procedimento di acquisizione di beni o
servizi, quale ad esempio l’avvio di trattative contrattuali
verbali o scritte con un terzo.
2) a) Presupponendo che un’amministrazione aggiudicatrice,
quale un ente territoriale, intenda stipulare con un organismo
formalmente distinto da essa (in prosieguo: l’“organismo
controparte”) un contratto scritto a titolo oneroso relativo
alla fornitura di servizi, il quale rientrerebbe nell’ambito
d’applicazione della direttiva [92/50], e ipotizzando inoltre
che tale contratto eccezionalmente non costituisca un appalto
pubblico di servizi ai sensi dell’art. 1, lett. a), della
detta direttiva qualora l’organismo controparte debba considerarsi
come facente parte della pubblica amministrazione ovvero
come un organismo di gestione economica dell’amministrazione
aggiudicatrice (in prosieguo: l’“affidamento diretto a servizi
od organismi propri non soggetto alla normativa sugli appalti”),
se debba sempre escludersi la possibilità di qualificare
un tale contratto come affidamento diretto a servizi od
organismi propri non soggetto alla normativa sugli appalti,
nel caso in cui un’impresa privata detenga una semplice
partecipazione societaria nel detto organismo controparte.
b) In caso di risposta negativa alla questione [2), sub
a)]:
in presenza di quali condizioni un organismo controparte
in cui vi sia la partecipazione societaria di privati (in
prosieguo: la “società mista a prevalente capitale pubblico”)
debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione
ovvero come organismo di gestione economica dell’amministrazione
aggiudicatrice.
Più precisamente:
– se, per poter qualificare una società mista a prevalente
capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione
aggiudicatrice con riferimento alle modalità e all’intensità
del controllo, sia sufficiente che l’amministrazione aggiudicatrice
eserciti sulla detta società un’“influenza dominante”, ad
esempio ai sensi degli artt. 1, punto 2, e 13, n. 1, della
direttiva 93/38 (…), modificata dall’Atto [relativo alle
condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della
Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti
dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 1994,
C 241, pag. 21, e GU 1995, L 1, pag. 1)], nonché dalla direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio [16 febbraio 1998,]
98/4/CE [, che modifica la direttiva 93/38 (GU L 101, pag.
1)];
– se la possibilità, giuridicamente riconosciuta al socio
privato della società mista a prevalente capitale pubblico,
di influire in qualche modo sull’individuazione degli obiettivi
strategici dell’organismo controparte e/o sulle singole
decisioni relative alla conduzione dell’impresa, impedisca
di considerare tale entità come organismo di gestione economica
dell’amministrazione aggiudicatrice;
– se, per poter qualificare una società mista a prevalente
capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione
aggiudicatrice, sotto il profilo delle modalità e dell’intensità
del controllo, sia sufficiente un ampio potere direttivo
unicamente in ordine alle decisioni relative alla conclusione
del contratto e alla fornitura dei servizi, con riferimento
ad una specifica procedura di acquisizione;
– se, per poter qualificare una società mista a prevalente
capitale pubblico come organismo di gestione economica dell’amministrazione
aggiudicatrice, con riferimento al criterio dello svolgimento
della parte più importante della sua attività in favore
di tale amministrazione, sia sufficiente che almeno l’80%
del fatturato medio realizzato nella Comunità dall’impresa
in questione negli ultimi tre anni nel settore dei servizi
derivi dalla fornitura di detti servizi all’autorità aggiudicatrice
ovvero alle imprese a questa collegate o a questa riconducibili,
ovvero, qualora la società mista pubblico-privata non abbia
ancora maturato un’attività triennale, sia sufficiente che
possa prevedersi il rispetto della citata “regola dell’80%”».
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Sulle questioni pregiudiziali
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21. Al fine di poter fornire una risposta
utile e coerente al giudice del rinvio, occorre suddividere
ed esaminare le questioni sollevate in due gruppi, secondo
il loro contenuto e la loro finalità.
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Quanto alla prima questione, sub a), b)
e c)
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22. Con questa prima serie di questioni il
giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 1, n.
1, della direttiva 89/665 debba essere interpretato nel
senso che l’obbligo degli Stati membri di garantire la possibilità
di ricorsi efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle
amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni
adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento
di appalto e prima di un atto di formale messa in concorrenza,
ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato
appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae
o ratione materiae della direttiva 92/50, nonché a partire
da quale momento nell’ambito di un’operazione di acquisizione
di beni o servizi gli Stati membri siano tenuti a consentire
ad un offerente, ad un candidato o ad un interessato l’accesso
ad una procedura di ricorso.
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23. Al riguardo, occorre anzitutto rilevare
che la direttiva 92/50 è stata adottata, a mente del suo
primo e secondo ‘considerando’, nell’ambito delle misure
necessarie per la realizzazione del mercato interno, ossia
di uno spazio senza frontiere interne nel quale è garantita
la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi
e dei capitali. Risulta dal quarto e dal quinto ‘considerando’
della medesima direttiva che, essendo l’obiettivo di quest’ultima
la realizzazione dell’apertura dei mercati degli appalti
pubblici nel settore dei servizi, a condizioni di parità
di trattamento e di trasparenza, essa deve essere applicata
da tutte le amministrazioni aggiudicatrici.
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24. Occorre poi sottolineare che le disposizioni
della direttiva 92/50 indicano chiaramente i presupposti
che rendono obbligatoria l’applicazione delle norme dei
titoli III-VI della medesima da parte di tutte le amministrazioni
aggiudicatrici, laddove le eccezioni all’applicazione di
tali norme vengono tassativamente elencate nella direttiva
stessa.
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25. Di conseguenza, qualora risultino soddisfatti
tali presupposti, ossia, in altri termini, qualora un’operazione
ricada nell’ambito di applicazione ratione personae e ratione
materiae della direttiva 92/50, gli appalti pubblici in
questione debbono essere attribuiti – a norma dell’art.
8 di tale direttiva, letto in combinato disposto con il
successivo art. 11, n. 1 – nel rispetto delle disposizioni
di cui ai titoli III-VI della direttiva stessa, e precisamente
debbono essere affidati previo esperimento di una pubblica
gara e costituire l’oggetto di una pubblicità adeguata.
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26. Tale obbligo vincola le amministrazioni
aggiudicatrici senza che vi siano distinzioni tra gli appalti
pubblici da queste attribuiti per adempiere il loro compito
di soddisfare bisogni di interesse generale e quelli che
non hanno alcun rapporto con tale compito (v., in tal senso,
sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau
Austria e a., Racc. pag. I-73, punto 32).
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27. Al fine di rispondere al giudice di rinvio,
occorre esaminare la nozione di «decisioni prese dalle amministrazioni
aggiudicatrici» di cui all’art. 1, n. 1, della direttiva
89/665. Posto che la detta nozione non viene espressamente
definita in tale direttiva, occorre delimitarne la portata
sulla base del tenore letterale delle pertinenti disposizioni
della direttiva stessa e in rapporto alla finalità di una
tutela giurisdizionale efficace e rapida da questa perseguita.
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28. Il tenore letterale dell’art. 1, n. 1,
della direttiva 89/665 presuppone, visto l’impiego dell’espressione
«per quanto riguarda le procedure», che qualsiasi decisione
di un’amministrazione aggiudicatrice che ricada sotto le
norme comunitarie in materia di appalti pubblici e sia idonea
a violarle sia assoggettata al controllo giurisdizionale
previsto dall’art. 2, n. 1, lett. a) e b), della detta direttiva
(v., in tal senso, sentenze 18 giugno 2002, causa C-92/00,
HI, Racc. pag. I-5553, punto 37, e 23 gennaio 2003, causa
C-57/01, Makedoniko Metro e Michaniki, Racc. pag. I-1091,
punto 68). La detta disposizione si riferisce dunque in
maniera generale alle decisioni di un’amministrazione aggiudicatrice,
senza operare all’interno di queste ultime alcuna distinzione
a seconda del loro contenuto o del momento della loro adozione.
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29. L’art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva
89/665 prevede inoltre la possibilità di annullare le decisioni
illegittime delle amministrazioni aggiudicatrici in rapporto
alle specifiche tecniche e ad altre figuranti non soltanto
nei documenti di gara, ma anche in qualsiasi altro documento
connesso con la procedura di affidamento dell’appalto in
questione. Pertanto, la detta disposizione può ricomprendere
anche documenti recanti decisioni adottate in una fase situata
a monte dell’appello alla concorrenza.
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30. Tale estesa accezione della nozione di
decisione di un’amministrazione aggiudicatrice è confermata
dalla giurisprudenza della Corte. Quest’ultima ha già statuito
che la disposizione di cui all’art. 1, n. 1, della direttiva
89/665 non prevede alcuna limitazione quanto alla natura
e al contenuto delle decisioni da essa contemplate (sentenza
28 ottobre 1999, causa C-81/98, Alcatel Austria e a., Racc.
pag. I-7671, punto 35). Una limitazione siffatta non può
desumersi neppure dal tenore letterale dell’art. 2, n. 1,
lett. b), della detta direttiva (v., in tal senso, sentenza
Alcatel Austria e a., cit., punto 32). Peraltro, un’interpretazione
restrittiva della nozione di decisione impugnabile con un
ricorso sarebbe incompatibile con il disposto dell’art.
2, n. 1, lett. a), della medesima direttiva, che impone
agli Stati membri di prevedere procedure d’urgenza per l’adozione
di provvedimenti provvisori in relazione a qualsiasi decisione
adottata dalle autorità aggiudicatrici (sentenza HI, cit.,
punto 49).
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31. In tale ottica di interpretazione in
senso ampio della nozione di decisione impugnabile con un
ricorso, la Corte ha statuito che la decisione dell’amministrazione
aggiudicatrice, precedente la conclusione del contratto,
con la quale la detta autorità sceglie l’offerente al quale
sarà attribuito l’appalto, deve in ogni caso poter essere
impugnata con un ricorso, indipendentemente dalla possibilità
di ottenere un risarcimento dei danni qualora il contratto
sia stato concluso (sentenza Alcatel Austria e a., cit.,
punto 43).
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32. Riferendosi all’obiettivo della soppressione
degli ostacoli alla libera circolazione dei servizi perseguito
dalla direttiva 92/50, nonché alle finalità, alla formulazione
letterale ed alla ratio sistematica della direttiva 89/665,
la Corte ha del pari statuito che la decisione dell’amministrazione
aggiudicatrice di revocare il bando di gara relativo ad
un appalto pubblico di servizi deve poter costituire oggetto
di ricorso, in conformità dell’art. 1, n. 1, della direttiva
89/665 (v., in tal senso, sentenza HI, cit., punto 55).
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33. A questo proposito, come rilevato dall’avvocato
generale al paragrafo 23 delle sue conclusioni, la decisione
dell’amministrazione aggiudicatrice di non avviare una procedura
di aggiudicazione può considerarsi il simmetrico corrispondente
della decisione della detta autorità di porre fine ad una
tale procedura. Qualora un’amministrazione aggiudicatrice
decida di non avviare una procedura di aggiudicazione per
il fatto che, a suo avviso, l’appalto in questione non ricade
nell’ambito di applicazione delle norme comunitarie pertinenti,
una decisione siffatta costituisce in assoluto la prima
decisione suscettibile di controllo giurisdizionale.
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34. Alla luce di tale giurisprudenza, nonché
degli obiettivi, della ratio sistematica e della formulazione
letterale della direttiva 89/665, ed al fine di preservare
l’effetto utile di quest’ultima, occorre concludere che
costituisce una decisione impugnabile con un ricorso, ai
sensi dell’art. 1, n. 1, della detta direttiva, qualsiasi
atto di un’amministrazione aggiudicatrice, adottato in relazione
ad un appalto pubblico di servizi rientrante nell’ambito
di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50 ed
idoneo a produrre effetti giuridici, indipendentemente dal
fatto che esso sia stato adottato al di fuori di una formale
procedura di affidamento di appalto oppure nell’ambito di
una procedura siffatta.
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35. Non sono impugnabili con un ricorso i
comportamenti che costituiscano un semplice studio preliminare
di mercato o che abbiano carattere meramente preparatorio
e si inseriscano nella fase di riflessione interna dell’amministrazione
aggiudicatrice in vista dell’affidamento di un appalto pubblico.
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36. Sulla scorta di tali considerazioni,
occorre disattendere la tesi sostenuta dalla Stadt Halle,
secondo cui la direttiva 89/665 non imporrebbe alcuna tutela
giurisdizionale al di fuori di una formale procedura di
affidamento di appalto e la decisione dell’amministrazione
aggiudicatrice di non avviare una tale procedura non potrebbe
essere impugnata con un ricorso, come del resto neppure
la decisione sulla questione se un appalto pubblico rientri
nell’ambito di applicazione delle pertinenti norme comunitarie.
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37. Tale tesi avrebbe infatti come risultato
di rendere facoltativa, a discrezione di ciascuna amministrazione
aggiudicatrice, l’applicazione delle pertinenti norme comunitarie,
quando invece tale applicazione è vincolata ove sussistano
i presupposti da esse previsti. Una facoltà di questo tipo
potrebbe portare alla più grave violazione della normativa
comunitaria sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione
aggiudicatrice. Essa diminuirebbe sensibilmente la tutela
giurisdizionale efficace e rapida voluta dalla direttiva
89/665 e pregiudicherebbe gli obiettivi perseguiti dalla
direttiva 92/50, vale a dire quelli della libera circolazione
dei servizi e di una concorrenza aperta e non falsata in
tale settore in tutti gli Stati membri.
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38. Quanto al momento a partire dal quale
è possibile proporre un ricorso, occorre rilevare come esso
non sia formalmente previsto dalla direttiva 89/665. Tuttavia,
tenuto conto dell’obiettivo perseguito da tale direttiva
di una tutela giurisdizionale efficace e rapida, da ottenersi
segnatamente attraverso provvedimenti provvisori, bisogna
concludere che l’art. 1, n. 1, della direttiva stessa non
autorizza gli Stati membri a subordinare la possibilità
di ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto
pubblico di cui trattasi abbia formalmente raggiunto una
fase determinata.
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39. Sulla scorta della considerazione secondo
cui, in conformità del secondo ‘considerando’ della detta
direttiva, il rispetto delle norme comunitarie deve essere
garantito in particolare in una fase in cui le violazioni
possono ancora essere corrette, occorre concludere che può
essere impugnata con un ricorso la manifestazione della
volontà dell’amministrazione aggiudicatrice in ordine ad
un determinato appalto, la quale giunga in qualsiasi modo
a conoscenza dei soggetti interessati, qualora essa abbia
superato la fase indicata al punto 35 della presente sentenza
e sia idonea a produrre effetti giuridici. L’avvio di concrete
trattative contrattuali con un interessato costituisce una
manifestazione di volontà di questo tipo. Al riguardo va
evidenziato l’obbligo di trasparenza che incombe all’amministrazione
aggiudicatrice al fine di consentire di accertare il rispetto
delle norme comunitarie (sentenza HI, cit., punto 45).
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40. Quanto ai soggetti ai quali è consentito
proporre ricorso, è sufficiente constatare come, ai sensi
dell’art. 1, n. 3, della direttiva 89/665, gli Stati membri
debbano garantire l’accesso alle procedure di ricorso per
lo meno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere
l’affidamento di un determinato appalto pubblico e che sia
stato o rischi di essere leso a causa di una violazione
denunciata (v., in tal senso, sentenza 24 giugno 2004, causa
C-212/02, Commissione/Austria, non pubblicata nella Raccolta,
punto 24). Pertanto, la formale qualità di offerente o candidato
non è necessaria.
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41. Sulla scorta delle considerazioni che
precedono, occorre risolvere la prima questione, sub a),
b) e c), dichiarando che l’art. 1, n. 1, della direttiva
89/665 deve essere interpretato nel senso che l’obbligo
degli Stati membri di garantire la possibilità di mezzi
di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle
amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni
adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento
di appalto e prima di un atto di formale messa in concorrenza,
ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato
appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae
e ratione materiae della direttiva 92/50. Tale possibilità
di ricorso è concessa a qualsiasi soggetto che abbia o abbia
avuto interesse a ottenere l’appalto di cui trattasi e che
sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione
denunciata, a partire dal momento in cui viene manifestata
la volontà dell’amministrazione aggiudicatrice idonea a
produrre effetti giuridici. Pertanto, gli Stati membri non
sono autorizzati a subordinare la possibilità di ricorso
al fatto che la procedura di affidamento di appalto pubblico
in questione abbia formalmente raggiunto una fase determinata.
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Quanto alla seconda questione, sub a) e
b)
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42. Con questa seconda serie di questioni,
che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio
chiede in sostanza se, qualora un’amministrazione aggiudicatrice
intenda concludere con una società di diritto privato da
essa giuridicamente distinta, nella quale detiene una partecipazione
maggioritaria e sulla quale esercita un certo controllo,
un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti
nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva
92/50, la detta amministrazione sia sempre tenuta ad applicare
le procedure ad evidenza pubblica previste da tale direttiva
per il semplice fatto che un’impresa privata detiene una
partecipazione, anche minoritaria, nel capitale della detta
società controparte. In caso di soluzione negativa di tale
questione, il giudice del rinvio chiede sulla base di quali
criteri debba ritenersi che l’amministrazione aggiudicatrice
non sia assoggettata ad un obbligo siffatto.
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43. Tale questione fa riferimento alla situazione
particolare di una società cosiddetta «mista pubblico-privata»,
costituita e funzionante in base alle norme privatistiche,
alla luce dell’obbligo incombente all’amministrazione aggiudicatrice
di applicare le norme comunitarie in materia di appalti
pubblici qualora sussistano i presupposti da esse contemplati.
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44. Al riguardo, va ricordato in primo luogo
l’obiettivo principale delle norme comunitarie in materia
di appalti pubblici, quale evidenziato nell’ambito della
risposta alla prima questione, vale a dire la libera circolazione
dei servizi e l’apertura ad una concorrenza non falsata
in tutti gli Stati membri. Ciò implica l’obbligo di qualsiasi
amministrazione aggiudicatrice di applicare le norme comunitarie
pertinenti qualora sussistano i presupposti da queste contemplati.
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45. L’obbligo di applicare in tal caso le
norme comunitarie risulta confermato dal fatto che, all’art.
1, lett. c), della direttiva 92/50, la nozione di prestatore
di servizi, ossia di offerente ai fini dell’applicazione
di tale direttiva, include anche «gli enti pubblici che
forniscono servizi» (vd. sent. 7.12.2000, causa C -94/99,
ARGE, racc. pag. I , 11037,punto 38)
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46. Qualsiasi deroga all’applicazione di
tale obbligo va dunque interpretata restrittivamente. Pronunciandosi
sulla scelta di una procedura negoziata senza previa pubblicazione
di un bando di appalto, la Corte ha così statuito che l’art.
11, n. 3, della direttiva 92/50, che contempla questo tipo
di procedura, deve – in quanto disposizione derogatoria
alle norme intese a garantire l’effettività dei diritti
conferiti dal Trattato CE nel settore degli appalti pubblici
di servizi – essere interpretato restrittivamente, e che
l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze
eccezionali che giustificano la deroga grava su colui che
intenda avvalersene (sentenza 10 aprile 2003, cause riunite
C-20/01 e C-28/01, Commissione/Germania, Racc. pag. I-3609,
punto 58).
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47. Nell’ottica di un’apertura degli appalti
pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile,
quale voluta dalle norme comunitarie, la Corte ha statuito,
in riferimento alla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993,
93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1), che tale
direttiva è applicabile qualora un’amministrazione aggiudicatrice
intenda concludere, con un entità giuridicamente distinta,
un contratto a titolo oneroso, indipendentemente dal fatto
che tale entità sia a sua volta un’amministrazione aggiudicatrice
o meno (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal,
Racc. pag. I-8121, punti 50 e 51). È opportuno constatare
che la controparte contrattuale in quel caso era un consorzio
costituito da più amministrazioni aggiudicatrici, al quale
partecipava anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione.
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48. Un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione
aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti
di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri
strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza
essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti
ai propri servizi. In tal caso, non si può parlare di contratto
a titolo oneroso concluso con un entità giuridicamente distinta
dall’amministrazione aggiudicatrice. Non sussistono dunque
i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia
di appalti pubblici.
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49. In conformità della giurisprudenza della
Corte, non è escluso che possano esistere altre circostanze
nelle quali l’appello alla concorrenza non è obbligatorio
ancorché la controparte contrattuale sia un’entità giuridicamente
distinta dall’amministrazione aggiudicatrice. Ciò si verifica
nel caso in cui l’autorità pubblica, che sia un’amministrazione
aggiudicatrice, eserciti sull’entità distinta in questione
un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri
servizi e tale entità realizzi la parte più importante della
propria attività con l’autorità o le autorità pubbliche
che la controllano (v., in tal senso, sentenza Teckal, cit.,
punto 50). Occorre ricordare che, nel caso sopra menzionato,
l’entità distinta era interamente detenuta da autorità pubbliche.
Per contro, la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa
privata al capitale di una società alla quale partecipi
anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude
in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla
detta società un controllo analogo a quello che essa esercita
sui propri servizi.
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50. Al riguardo, occorre anzitutto rilevare
che il rapporto tra un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione
aggiudicatrice, ed i suoi servizi sottostà a considerazioni
e ad esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di
interesse pubblico. Per contro, qualunque investimento di
capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni
proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di
natura differente.
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51. In secondo luogo, l’attribuzione di un
appalto pubblico ad una società mista pubblico-privata senza
far appello alla concorrenza pregiudicherebbe l’obiettivo
di una concorrenza libera e non falsata ed il principio
della parità di trattamento degli interessati contemplato
dalla direttive 92/50, in particolare nella misura in cui
una procedura siffatta offrirebbe ad un’impresa privata
presente nel capitale della detta società un vantaggio rispetto
ai suoi concorrenti.
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52. Pertanto, occorre risolvere la seconda
questione, sub a) e b), dichiarando che, nell’ipotesi in
cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere
un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti
nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva
92/50 con una società da essa giuridicamente distinta, nella
quale la detta amministrazione detiene una partecipazione
insieme con una o più imprese private, le procedure di affidamento
degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva debbono
sempre essere applicate.
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53. In considerazione di tale risposta, non
occorre risolvere le altre questioni sollevate dal giudice
nazionale.
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Sulle spese
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54. Nei confronti delle parti nella causa
principale il presente procedimento costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi
statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare
osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti,
non possono dar luogo a rifusione.
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Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione)
dichiara:
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1) L’art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio
21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione
delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata
dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE,
che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di servizi, a sua volta modificata dalla direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997,
97/52/CE, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo
degli Stati membri di garantire la possibilità di mezzi
di ricorso efficaci e rapidi contro le decisioni prese dalle
amministrazioni aggiudicatrici si estende anche alle decisioni
adottate al di fuori di una formale procedura di affidamento
di appalto e prima di un atto di formale messa in concorrenza,
ed in particolare alla decisione sulla questione se un determinato
appalto rientri nell’ambito di applicazione ratione personae
e ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata.
Tale possibilità di ricorso è concessa a qualsiasi soggetto
che abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’appalto di
cui trattasi e che sia stato o rischi di essere leso a causa
di una violazione denunciata, a partire dal momento in cui
viene manifestata la volontà dell’amministrazione aggiudicatrice
idonea a produrre effetti giuridici. Pertanto, gli Stati
membri non sono autorizzati a subordinare la possibilità
di ricorso al fatto che la procedura di affidamento di appalto
pubblico in questione abbia formalmente raggiunto una fase
determinata.
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2) Nell’ipotesi in cui un’amministrazione
aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo
oneroso relativo a servizi rientranti nell’ambito di applicazione
ratione materiae della direttiva 92/50, come modificata
dalla direttiva 97/52, con una società da essa giuridicamente
distinta, nella quale la detta amministrazione detiene una
partecipazione insieme con una o più imprese private, le
procedure di affidamento degli appalti pubblici previste
dalla citata direttiva debbono sempre essere applicate.
ANGELO CLARIZIA
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Il privato inquina:
gli affidamenti in house solo a società a totale
partecipazione pubblica
Il
profilo più interessante della sentenza
riguarda senz’altro i limiti dell’affidamento
diretto a società a partecipazione pubblica.
In effetti l’obbligo degli Stati membri
di consentire la proposizione di ricorsi
anche avverso le decisioni adottate al di
fuori di una procedura di appalto, soprattutto
se relativi alla operatività della direttiva
ratione personae o ratione materiae
è senz’altro scontato nella tradizione processualistica
italiana: anzi la mera emersione della questione
evidenzia le differenze di tutela in Italia
sia per ambito sia per spessore anche qualitativo
rispetto agli altri stati della Comunità
pure per quanto riguarda i riflessi sull’opinione
pubblica in termini di effettività della
prestazione giurisdizionale.
La novità della sentenza riguarda invece
la fissazione di precisi confini della portata
operativa dell’in house providing:
“nell’ipotesi in cui un’amministrazione
aggiudicatrice intenda concludere un contratto
a titolo oneroso relativo a servizi rientranti
nell’ambito di applicazione ratione materiae
della direttiva 92/50 con una società da
essa giuridicamente distinta, nella quale
la detta amministrazione detiene una partecipazione
insieme con una o più imprese private, le
procedure di affidamento degli appalti pubblici
previste dalla citata direttiva debbono
sempre essere applicate”.
Tale principio, formulato in termini assoluti
(“debbono sempre essere applicate”), si
fonda sull’affermazione che “la partecipazione,
anche minoritaria, di un’impresa privata
al capitale di una società, alla quale partecipi
anche l’amministrazione aggiudicatrice in
questione, esclude in ogni caso che tale
amministrazione possa esercitare sulla detta
società un controllo analogo a quello che
essa esercita sui propri servizi”.
In via di prima approssimazione potrebbe
destare meraviglia una pronuncia così massimalista,
considerata la prospettiva sempre sostanzialistica
della Corte.
In effetti la giurisprudenza comunitaria
ammette l’affidamento in house, qualora
si riscontri tra l’Amministrazione aggiudicatrice
ed il soggetto affidatario un rapporto di
controllo analogo a quello esercitato dalla
prima nei confronti dei propri servizi:
escludere quindi sempre e comunque la sussistenza
di detto presupposto, solo in ragione della
partecipazione anche minoritaria di un’impresa
privata, sembra contrastare con un’eventuale
regolamentazione interna e/o esterna (per
es. di gruppo), che garantisca pur sempre
un controllo così penetrante, soprattutto
quando la partecipazione del privato non
consente il ricorso a strumenti di più ampia
tutela societaria.
Anzi la motivazione della Corte sembra incentrata
su profili prevalentemente sociologici correlati
alla apodittica individuazione degli interessi
delle imprese.
Secondo la Corte infatti “il rapporto
tra un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione
aggiudicatrice, ed i suoi servizi sottostà
a considerazioni e ad esigenze proprie del
perseguimento di obiettivi di interesse
pubblico. Per contro, qualunque investimento
di capitale privato in un’impresa obbedisce
a considerazioni proprie degli interessi
privati e persegue obiettivi di natura differente”.
Si sottolinea così una ricostruzione solo
funzionalistica della volontà delle parti
del tutto estranea al rilievo del rapporto
in house.
All’uopo non può non sottolinearsi la evanescenza
e ambiguità della prospettazione degli obiettivi
di interesse pubblico, nell’ambito delle
dinamiche sociali ed economiche, ma ancor
più risulta sorprendente se si fa riferimento
alle finalità dei privati, la cui imprescrutabilità,
anche in termini di variegata articolazione,
può senz’altro determinare, per obiettivi
del tutto diversi da quelli oggetto dell’iniziativa
da attuare, una posizione di assoluta passività
nei confronti del socio pubblico, sì da
giustificare il controllo analogo a quelle
esercitato sui propri servizi.
Se però si legge il punto 51 della sentenza
emerge la ratio del giudice comunitario
incentrata sulla preoccupazione che “l’attribuzione
di un appalto pubblico ad una società mista
pubblico-privata senza far appello alla
concorrenza pregiudicherebbe l’obiettivo
di una concorrenza libera e non falsata
ed il principio della parità di trattamento
degli interessi in particolare nella misura
in cui una procedura siffatta offrirebbe
ad un’impresa privata presente nel capitale
della detta società un vantaggio rispetto
ai suoi concorrenti”.
In tal modo la Corte sottolinea la necessità
di evitare posizioni di vantaggio acquisite
in relazione a forme di partenariato pubblico-privato,
ponendo in risalto l’obbligo della gara
per individuare l’esecutore di un appalto,
anche quando il socio privato sia stato
prescelto a seguito di una procedura ad
evidenza pubblica (come usiamo esprimerci
in Italia), restando ferma la imprescindibile
esigenza di offrire al mercato la massima
trasparenza in ordine all’oggetto dei contratti
(non potendosi confondere tra procedure
di appalto e quelle per scegliere il socio).
La valenza assoluta ed ipotetica del vantaggio
attribuito al privato (che in realtà potrebbe
non sussistere) è giustificata dal rilievo
dell’effetto utile della direttiva e dei
principi coinvolti.
In tale prospettiva trova spazio la remora
della Corte, compulsata dai giudici nazionali
(che hanno operato numerosi rinvii), in
ordine alla consapevolezza di dover circoscrivere
lo spazio degli affidamenti in house,
istituto di creazione giurisprudenziale
fondato su basi teorico-giuridiche quantomai
nebulose, ma di immediato successo presso
gli operatori in ragione dei facili margini
realizzativi concessi.
La sentenza ha quindi voluto porre un freno
all’esplosione del fenomeno, escludendo
in modo totale l’operatività dell’in
house in favore di soggetti affidatari
partecipati (anche in via assolutamente
minoritaria) da un privato sulla scorta
di una presunta incompatibilità assoluta
tra interessi pubblici e privati, che da
un lato contraddice la filosofia del partenariato
pubblico-privato (ancorché incentrata in
termini di convergenza di interessi) e che,
dall’altro, a dispetto dei passati orientamenti,
valorizza il ruolo “del pubblico”.
La Corte ha quindi ammesso gli affidamenti
in house solo per i soggetti a totale
partecipazione pubblica, perché evidentemente
ha ritenuto che in tal caso non si pongono
problemi di incisione della concorrenza.
Anche tale assunto merita comunque un approfondimento
sotto vari profili.
Innanzitutto la sentenza non sembra considerare
il rilievo delle amministrazioni aggiudicatrici
di natura privata, per le quali pur sempre
opera l’affidamento in house.
In tal senso appare vanificato il presupposto
fondamentale della stretta dipendenza che
caratterizza l’affidamento in house
e che rende irrilevante la natura del soggetto
anche nella tradizionale prospettiva comunitaria
della inconferenza del rilievo soggettivo
(pubblico o privato) rispetto alla posizione
della stazione appaltante sul mercato.
D’altronde sarebbe assurdo ritenere che,
applicando il parametro utilizzato della
sentenza, dovrebbe escludersi anche l’ammissibilità
degli affidamenti in house da parte
di amministrazioni aggiudicatici private.
Anzi sotto tale profilo si sottolinea l’autonoma
considerazione che va assumendo l’interesse
pubblico rispetto alla preminenza in passato
dei valori della concorrenza e del mercato;
considerazione che sembra rendere contraddittorio
l’iter argomentativo della Corte,
poiché da un lato il Giudice tenta di eliminare
apodittiche posizioni di vantaggio dei privati,
mentre dall’altro sembra ridurre la configurazione
di amministrazione aggiudicatrice solo a
quella riconducibile ad “autorità pubbliche”.
In secondo luogo la mancanza di apertura
al mercato comunque deve essere considerata
con estrema cautela, non assumendo alcun
rilievo la stretta dipendenza di un soggetto
rispetto ad un’amministrazione, ma restando
determinante la preclusione all’accesso
di molteplici soggetti a parità di condizione:
di conseguenza l’affidamento diretto ancorché
in ambito pubblicistico può comunque porre
problemi di effettività della concorrenza.
GIOVANNA PISTORIO
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Trasparenza
e non discriminazione in materia di
appalti pubblici
Nel
caso di specie la domanda
di pronuncia pregiudiziale
sottoposta alla Corte, ai
sensi dell’art. 234 TCE,
riguarda l’interpretazione
dell’art. 1, n. 1 della
Direttiva del Consiglio
89/665/CEE, che coordina
le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative
relative all’applicazione
delle procedure di ricorso
in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di
forniture e lavori (come
modificata dalla Direttiva
92/50/CEE, a sua volta modificata
dalla Direttiva 97/52/CEE)
e l’interpretazione degli
artt. 1, punto 2 e 13, n.
1, della Direttiva del Consiglio
93/38/CE relativa alle procedure
di appalto degli enti erogatori
di acqua e di energia, degli
enti che forniscono servizi
di trasporto nonché degli
enti che operano nel settore
delle telecomunicazioni
(come modificata dalla Direttiva
98/4/CE).
La necessità di ricorrere
alla CGCE scaturisce dall’esigenza
di risolvere la controversia
che oppone la Stadt Halle
e la società RPL Lochau
alla società TREA Leuna,
in merito all’ammissibilità,
rispetto alle norme comunitarie,
dell’affidamento senza pubblica
gara di un appalto di servizi
relativo al trattamento
dei rifiuti, effettuato
dalla Stadt Halle a favore
della RPL Lochau, società
il cui capitale è detenuto
dalla Stadt Halle, socio
di maggioranza, e da una
società privata, titolare
di una quota minoritaria.Premesso
che la prioritaria finalità
della normativa sopra richiamata
è rappresentata dall’esigenza
di predisporre misure necessarie
per la realizzazione del
mercato interno, ossia di
uno spazio senza frontiere
nel quale garantire libera
circolazione delle merci,
delle persone, dei servizi
e dei capitali, e rilevato
che l’obiettivo della medesima
consiste nella realizzazione
dell’apertura dei mercati
degli appalti pubblici nel
settore dei servizi, a condizioni
di parità di trattamento
e di trasparenza, risulta
doveroso garantire l’applicazione
delle regole contenute nelle
suesposte direttive comunitarie,
in materia di appalti pubblici,
attraverso mezzi di ricorso
efficaci e rapidi[1].Pertanto,
la CGCE, al fine di fornire
una risposta coerente alle
questioni sollevate dal
giudice del rinvio, rileva
l’ambito oggettivo e soggettivo
dell’obbligo degli Stati
membri di garantire la possibilità
di ricorsi efficaci e rapidi
contro le decisioni prese
dalle amministrazioni aggiudicatici,
di cui all’art. 1, n. 1
della Direttiva 89/665.
Tale obbligo si estende
anche alle decisioni adottate
al di fuori di una formale
procedura di affidamento
di appalto e prima di un
atto di formale messa in
concorrenza, ed in particolare
alla decisione sulla questione
se un determinato appalto
rientri nell’ambito di applicazione
ratione personae o ratione
materiae della direttiva
92/50, come modificata.
Di conseguenza, qualora
ricorrano i presupposti
indicati dalla direttiva
di cui sopra, gli appalti
pubblici in questione devono
essere affidati previo esperimento
di una pubblica gara, devono
costituire l’oggetto di
una pubblicità adeguata
e qualsiasi decisione adottata
dall’amministrazione aggiudicatrice,
in relazione all’appalto
pubblico di servizi, idonea
a produrre effetti giuridici,
costituisce una decisione
impugnabile con un ricorso
ai sensi dell’art. 1, n.1
della direttiva 89/665[2].
Alla luce della giurisprudenza,
nonché degli obiettivi e
della ratio, sottesa alla
disciplina comunitaria,
è consentito proporre ricorso
– a partire dal momento
in cui viene manifestata
la volontà dell’amministrazione
aggiudicatrice idonea a
produrre effetti giuridici
– a chiunque abbia, o abbia
avuto, interesse a ottenere
l’affidamento di un determinato
appalto pubblico e sia stato,
o rischi di essere, leso
a causa di una violazione
denunciata[3]. Infine, nell’ottica
di un’apertura degli appalti
pubblici alla concorrenza
nella misura più ampia possibile
– secondo quanto richiesto
dalla normativa comunitaria
– qualora un’amministrazione
aggiudicatrice intenda concludere
un contratto a titolo oneroso
relativo a servizi rientranti
nell’ambito di applicazione
ratione materiae della direttiva
92/50 con una società da
essa giuridicamente distinta,
nella quale detta amministrazione
detiene una partecipazione
insieme con una o più imprese
private, le procedure di
affidamento degli appalti
pubblici, previste dalla
sopra citata direttiva comunitaria,
devono essere sempre applicate[4].
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[1]
Sulla disciplina comunitaria
e nazionale in materia di
appalti pubblici, si vedano
A. Barone, Appalti comunitari
e competenza dei giudici
nazionali, in Foro it.,
1997, 361 e ss.; M.E. Schinaia,
Gli strumenti di controllo
e di tutela esistenti in
Italia con riferimento alla
fase dell’aggiudicazione
degli appalti. Relazione
al convegno indetto dall’Istituto
Grandi Infrastrutture sul
tema: I mezzi di ricorso
nelle procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici”,
Roma, 29 novembre 1990,
in Cons. Stato, 1991, 1173
e ss. [2] Sulla necessità
che qualsiasi decisione
di un’amministrazione aggiudicatrice,
che ricada sotto le norme
comunitarie in materia di
appalti pubblici e sia idonea
a violarle, possa essere
assoggettata al controllo
giurisdizionale, prescindendo
da ogni distinzione relativa
al contenuto o al momento
dell’adozione della stessa,
si vedano, ex plurimis,
CGCE, sentt. 18 giugno 2002,
causa C-92/00, HI (§37)
e 23 gennaio 2003, causa
C-57/01, Makedoniko Metro
e Michaniki (§68). In dottrina,
si vedano, E. Schiano, Procedure
di ricorso in materia di
appalti pubblici: legittimazione
a ricorrere e interesse
all’aggiudicazione dell’appalto,
in Dir. pubbl. comp. ed
europeo, 2004, 894 e ss.;
P. Diman, Motivi di illegittimità
sollevati d’ufficio e diritto
al risarcimento del ricorrente
nelle procedure di ricorso
in materia di aggiudicazione
di appalti pubblici, ivi,
2003, 2013 e ss.; M. Salerno,
La parola agli “esclusi”:
la Corte difende il diritto
al ricorso contro le decisioni
delle amministrazioni appaltanti,
ibidem, 2025-2028; P. Caputi
Jambrenghi, Austria (in)felix
e giurisdizione di annullamento
nel diritto comunitario
degli appalti, ivi, 2000,
233 e ss.; G. Toggenburg-M.
Hofstotter, Chi di ricorso
lacunoso ferisce, di sentenza
lacunosa perisce, ibidem,
237 e ss. [3] Sulla delimitazione
soggettiva dell’operatività
della direttiva comunitaria
89/665, si veda CGCE sent.
24 giugno 2004, causa C-212/02,
Commissione/Austria (§24).
[4] Sugli aspetti più problematici
della direttiva 92/50/CEE,
si vedano A. Ghepardi, La
disciplina degli appalti
di servizi, con particolare
riguardo agli appalti compresi
nell’allegato 1B della direttiva
CEE 92/50, in App. urban.
edilizia, 1997, 905 e ss.;
G. Greco, Gli appalti pubblici
di servizi. Relazione al
convegno sul tema: “La Direttiva
92/50/CEE in materia di
appalti pubblici di servizi”,
Brescia, 27-28 otttobre
1995, in Riv. it. dir. pubbl.
comunitario, 1995, 1285
e ss.; L. Righi, Prime note
sul decreto di attuazione
della direttiva 92/50/CEE
in materia di appalti pubblici
di servizi, ibidem, 875
e ss. |
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