Giust.it

Giurisprudenza
n. 2-1999 - © copyright.

T.A.R. CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I - Ordinanza 18 febbraio 1999 n. 445 - Pres. Coraggio, Est. Donadono - Curatela fallimentare della società R.M.R.C. (Risonanza Magnetica e Radiologia Computerizzata) s.p.a. (Avv. Zuppardi) c. Regione Campania (Avv. Botta) e Direttore generale dell'Azienda Sanitaria Locale di Napoli 1 (n.c.).

Giurisdizione e competenza - Giurisdizione esclusiva - Ex art. 35 del D.L.vo n. 80/1998 - In materia di pagamenti per prestazioni effettuate in favore del Servizio sanitario nazionale - Mancata previsione della possibilità per il giudice amministrativo di disporre i provvedimenti previsti dall'art. 186-ter c.p.c. - Questione di legittimità costituzionale - Va sollevata.

E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - con riferimento all'art. 3, co. 1, all'art. 24, co. 1 e 2, ed all'art. 113, co. 1 e 2, Cost. - dell'art. 35, comma 3°, del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, nella parte in cui non prevede che il giudice amministrativo, nelle controversie di cui al comma 1, può disporre i provvedimenti previsti dall'art. 186-ter del codice di procedura civile (1).

----------------

(1) Ringrazio l'Avv. Raffaele Moschettino per avere inviato per fax il testo della sottoriportata ordinanza della Sez. I del T.A.R. Campania-Napoli con la quale è stata sollevata questione di legittimità costituzionale "dell'art. 35, comma 3°, del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, nella parte in cui non prevede che il giudice amministrativo, nelle controversie di cui al comma 1, può disporre i provvedimenti previsti dall'art. 186-ter del codice di procedura civile".

La controversia da cui origina l'ordinanza riguardava alcuni crediti vantati da una società, poi fallita, nei confronti di una U.S.L. per numerosi esami (risonanze magnetiche) eseguiti dalla società stessa per conto dell'U.S.L.

La individuazione degli strumenti giudiziali attraverso i quali soddisfare le pretese avanzate dai privati nei confronti della P.A. a seguito del trasferimento delle competenze giurisdizionali operato dagli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80/1998 costituisce una delle questioni più nebulose della nuova disciplina, la quale in proposito è del tutto lacunosa ed insoddisfacente. Come già segnalato da chi scrive (v. l'articolo Le riforme a metà, pubblicato in Giust. amm. sic. n. 1/1998 e ripubblicato in questo sito), invero il legislatore delegato si è limitato laconicamente a prevedere (con l'art. 35, 3° comma, del D.L. n. 80) che i nuovi poteri istruttori e decisori nelle nuove materie di giurisdizione esclusiva vanno coordinati con il regolamento di procedura del 1907, "tenendo conto della specificità del processo amministrativo in relazione alle esigenze di celerità e concentrazione del giudizio".

Bene ha fatto quindi il T.A.R. Campania-Napoli, in questa situazione di incertezza, a sollevare questione di legittimità costituzionale, sperando che il vuoto legislativo venga colmato presto da una pronuncia additiva del Giudice delle leggi. E' da augurarsi, tuttavia, che l'ordinanza non costituisca il pretesto per evitare di accordare, nelle more della pronuncia della Corte, almeno una tutela interinale, con l'emissione di ordinanze cautelari che riconoscano una provvisionale per i crediti per i quali non vi sia contestazione. In questo senso sembra che si stiano orientando alcuni T.A.R. (tra cui in particolare il T.A.R. Sicilia), ritenendo da un lato impossibile emettere decreti ingiuntivi e, dall'altro, reputando necessaria la proposizione di un ricorso ordinario, con la richiesta in via cautelare della concessione di una provvisionale (G.V., 10-11 marzo 1999).

 

 

per l'accertamento

del diritto al pagamento delle prescrizioni effettuate dalla detta società in favore della ex U.S.L. n. 41, oltre interessi e rivalutazione monetaria; in via subordinata, del diritto al pagamento delle somme spettanti a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., a fronte delle suddette prestazioni, oltre interessi e rivalutazione monetaria;

e per la condanna

al pagamento di quanto dovuto;

visto il ricorso con i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione regionale;

visti gli atti tutti di causa;

alla camera di consiglio del 30/9/1998, relatore il cons. Donadono, uditi gli avvocati di cui al verbale di udienza.

FATTO

Con ricorso notificato il 6/8/1998, la curatela fallimentare della società R.M.R.C. (Risonanza Magnetica e Radiologia Computerizzata) s.p.a. deduceva di vantare crediti insoliti, nei confronti della Regione Campania e del Commissario liquidatore preposto alla gestione liquidatoria della soppressa Unità sanitaria locale n. 4 della Campania, per un ammontare complessivo, in linea capitale, ascendente a lit. 171.981.000, a fronte della prestazione, tra il 1993 ed il 1995, di numerosi esami (risonanze magnetiche) per incarico della suddetta U.S.L.

In relazione a quanto precede, la RMRC proponeva le domande in epigrafe, invocando nella circostanza la previa fissazione della camera di consiglio per l'adozione di ogni opportuno provvedimento, ivi compresa l'adozione di ordinanza ai sensi dell'art. 186-bis o dell'art. 186-ter c.p.c.

L'amministrazione regionale, costituitasi in giudizio, nella discussione in camera di consiglio, contestava le domande avverse.

DIRITTO

1. Nell'ambito del ricorso - il cui oggetto rientra tra le controversie in materia di pubblici servizi, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall'art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998 - la ricorrente chiede l'emanazione di una ordinanza per il pagamento delle somme contestate dai contraddittori, ai sensi dell'art. 186-bis c.p.c., ovvero di una ordinanza-ingiunzione, ai sensi del successivo art. 186-ter.

Tale richiesta esula, nella prospettazione di parte, dalla fase cautelare propria del processo amministrativo; e del resto, non emerge uno specifico pericolo derivante dalla mora, posto che la società già versa in stato di insolvenza.

2. Al riguardo va premesso che non si ritiene di poter pervenire in via interpretativa ad ammettere l'applicabilità delle norme invocate dalla ricorrente. Infatti, l'art. 35 del citato d.lgs. n. 80, nel profilare il regime processuale delle controversie trasferite alla competenza del giudice amministrativo, prevede le forme ed i limiti nei cui ambiti va estesa la disciplina del codice processual-civilistico sull'istruzione probatoria, demandando ad opportune modifiche del regio-decreto n. 642 del 1907 gli eventuali adattamenti suggeriti dalla "specificità del processo amministrativo in relazione alle esigenze di celerità e concentrazione del giudizio".

Esso, tuttavia, non contempla la modifica o l'integrazione delle forme e delle modalità in cui esprime l'attività decisoria del giudice amministrativo.

La pretesa avanzata dalla ricorrente andrebbe, dunque, respinta alla stregua del quadro normativo vigente.

3. Nel comparto, però, non risultano manifestamente infondati i dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina processuale, relativamente alla giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, nella parte in cui esclude il ricorso a strumenti di rapido soddisfacimento della pretesa creditoria, nonostante la sussistenza, secondo i presupposti previsti per il rito ordinario innanzi al giudice ordinario, di una elevata probabilità di fondatezza delle ragioni dedotte dal creditore.

Difatti l'ampia potestà discrezionale del legislatore nella conformazione degli istituti processuali e nella predisposizione di strumenti di tutela differenziati (cfr., tra le sentenze con maggiore attinenza ai temi qui in esame, Corte cost., 18/5/1989 n. 251; 5/7/1995 n. 295; 8/3/1996, n. 65) incontra un limite, oltre che ovviamente nella necessità di osservare i principi ed i precetti costituzionali in materia di tutela giurisdizionale, anche nell'esigenza di non adottare soluzioni manifestamente irrazionali (cfr., con particolare riferimento al processo amministrativo, Corte cost., 28/6/1985 n. 190; 23/4/1987 n. 146).

Ebbene, non si ritiene di poter escludere che la mancanza nel processo amministrativo dei rimedi in questione si ponga in conflitto con il principio di uguaglianza e con il connesso canone di ragionevolezza (art. 3 Cost.), con la tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), con la giustiziabilità garantita per le situazioni giuridiche soggettive vantate nei confronti della pubblica amministrazione (art. 113 Cost.).

4. Va, anzitutto, rilevato che questi provvedimenti rivestono una importanza non secondaria.

Corrisponde, infatti, ad un dato di comune esperienza che la prevedibile durata del giudizio necessario per la realizzazione della pretesa creditoria non è priva di influenza sul valore attualizzato dello stesso credito, fino al punto che non sono infrequenti i casi in cui il titolare e addirittura dissuaso o scoraggiato, specie per i crediti di più modesto ammontare o per le fasce di creditori più vulnerabili, dall'intrapresa di lunghe, defatiganti e dispendiose iniziative giudiziarie.

La possibilità di conseguire con prontezza un esito satisfattivo - sia pure parziale e non definitivo (a mano che il processo non si estingua) - assume, dunque, una significativa rilevanza ai fini della effettività della tutela giurisdizionale, che può dirsi vulnerata non solo quando il tempo necessario per la decisione determina addirittura l'impossibilità di realizzare gli effetti della decisione definitiva, ma anche quando la durata del giudizio non è giustificata e corrispondente alle particolarità del caso.

Peraltro, i provvedimenti in esame, influendo sui "tempi" di soddisfacimento della pretesa creditoria, hanno un impatto sostanziale sulla qualità stessa della tutela, poiché fanno gravare l'onere dell'impulso e dell'attesa della decisione conclusiva del giudizio non più sulla parte che vanta il diritto, ma sulla parte che resiste alla pretesa; in tal guisa il disagio derivante dalle more processuali non ricade, in maniera sistematica ed invariabile, sul solo creditore, ma piuttosto viene addossato, per effetto di una decisione del giudice, su quello dei due antagonisti che, di volta in volta, in base al grado di certezza delle rispettive ragioni, risulta meno meritevole di tutela.

E' pur vero che le ordinanze ex artt. 186-bis e 186-ter c.p.c. hanno avuto, nella pratica giudiziaria, un'applicazione marginale che ha forse disatteso le aspettative riposte nella novella del 1990. Tuttavia va considerato che, nel sistema processuale civile, le ordinanze interinali si affiancano ad altri strumenti - di utilizzo più agevole e frequente - che hanno scopo e caratteristiche non dissimili.

In particolare va segnalato il procedimento monitorio, che assolve assai efficacemente all'esigenza di offrire al creditore un celere mezzo di accertamento giudiziario del diritto vantato, senza appesantire, più del necessario, i carichi di lavoro degli uffici giudiziari.

Al riguardo non è forse superfluo sottolineare che, proprio nel settore che interessa la causa qui in esame, si era diffuso, prima del trasferimento della materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, un ampio ricorso ai decreti ingiuntivi.

Senonchè, è stato ritenuto che il procedimento monitorio presenti caratteri del tutto peculiari e sostanzialmente estranei alle modalità organizzative funzionali della giustizia amministrativa. Ciò ha già comportato la reiezione, da parte del Presidente di questo stesso Tribunale amministrativo, di domande proposte per la concessione in materia del decreto ingiuntivo da parte del giudice amministrativo.

Non è invece estranea agli schemi operativi del processo amministrativo la tendenziale aspirazione ad adattare le proprie forme, caratterizzate da una certa elasticità e flessibilità, al perseguimento, pur nella limitatezza delle strutture e delle risorse disponibili, delle esigenze di celerità e di concentrazione del giudizio.

Già nella legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali è delineato, nell'art. 27 della legge n. 1034 del 1971, un procedimento camerale riservato a determinare questioni di pronta ed agevole soluzione.

Un'ulteriore ipotesi di rito camerale accelerato è stato introdotto con l'art. 25 della legge n. 241 del 1980, in materia di tutela del diritto di accesso ai documenti amministrativi.

Con l'art. 6 della legge n. 146 del 1990 è stato esteso, innanzi al giudice amministrativo, il modello procedurale del rito giuslavoristico per la trattazione delle controversie in tema di repressione della condotta antisindacale, mutando appieno la struttura plausibile delle analoghe cause trattate in sede pretorile.

Da ultimo (ma non per ultimo) l'art. 19 del decreto-legge n. 67 del 1997, per le cause relative alla realizzazione di opere pubbliche, ha introdotto la possibilità, in occasione dell'esame domanda di sospensione, di definire immediatamente il giudizio nel merito con motivazione in forma abbreviata. Ed è sintomatico che il legislatore, con il progetto di riforma della giustizia amministrativa attualmente in discussione, sembra orientato ad estendere e generalizzare gli strumenti per una rapida soluzione dei processi amministrativi.

Rispetto alle linee di tendenza del processo amministrativo, si rileva incoerente che l'art. 35, co. 3, del d.lgs. n. 80, pur enunciando esplicitamente le suddette esigenze di "celerità e concentrazione" del giudizio, segni un oggettivo arretramento rispetto a questi obiettivi che la stessa norma impugnata valorizza ed enfatizza e - quel che più conta ai nostri fini - rispetto alle possibilità di difesa che fino al trasferimento della giurisdizione erano a disposizione della parte.

E se è pure vero che l'attribuzione della materia al giudice amministrativo è significativa di un diverso approccio giurisdizionale concentrato prevalentemente sulla verifica del corretto esercizio della funzione, non va neanche dimenticato che le vicende del rapporto obbligatorio hanno anche in questa ottica una rilevanza non marginale perché sono insieme effetto e sintomo di una anomalia nella gestione: cosicchè una più pronta possibilità di intervento da parte del giudice si manifesta anche come un efficace strumento di controllo sull'esercizio della funzione.

Tutto ciò lascia ipotizzare insieme la violazione dei principi che presiedono al diritto di difesa (art. 24 Cost.) e del principio di eguaglianza (art. 3), non apparendo giustificato il diverso trattamento di situazioni che storicamente si presentano identiche.

5. Sotto altro profilo va rilevato che le ordinanze ex artt. 186-bis e 186-ter hanno, come principale finalità, quella di anticipare i tempi di soddisfacimenti della pretesa creditoria. Contemporaneamente esse perseguono, implicitamente, un ulteriore obiettivo sul piano dell'amministrazione della giustizia, nella misura in cui tali strumenti tendono a deflazionare il contenzioso, per tutte quelle controversie che, in concreto, non palesano la necessità di una cognizione piena e che, almeno potenzialmente, possono esaurirsi, con il soddisfacimento dell'avente diritto, mediante un provvedimento di tipo sommario, potenzialmente idoneo ad acquistare efficacia di sentenza, nel caso di estinzione del processo.

Infatti, a seguito dell'emanazione di un'ordinanza della specie, il ricorrente che fosse rimasto parzialmente insoddisfatto, ovvero l'amministrazione soccombente che intendesse contestare, in tutto o in parte, il provvedimento, avrebbero l'onere di dare impulso all'ulteriore corso del giudizio, nelle forme e nei termini previsti dall'art. 23 della legge n. 1034 del 1971, a pena di perenzione, ai sensi del successivo art. 25.

L'importanza dell'aspetto in esame è di tutta evidenza nell'ambito di un processo che - non si può negare - ha tempi patologicamente lunghi e comunque inadeguati ad un sollecito soddisfacimento di una pretesa creditoria, tenuto anche conto dell'attuale assetto delle strutture e delle risorse disponibili della giustizia amministrativa, cosicchè la mancanza di tali strumenti diventa un grave ostacolo all'efficacia del sistema processuale.

Invero la Corte ha più volte ribadito che il principio di buon andamento dell'amministrazione riguarda, nel settore della giustizia, unicamente le leggi che regolano l'ordinamento degli uffici giudiziari e non è riferibile alle norme che disciplinano il corso del processo e l'esercizio della funzione giurisdizionale (cfr., in particolare, Corte cost. 11/12/1997 n. 385).

Tuttavia non sembra si possa negare che il difetto del "buon andamento" assume anche nel nostro campo un indiretto rilievo per i suoi riflessi sull'effettività della tutela ex art. 113 Cost.

Va rammentato a questo proposito che l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (resa esecutiva con la legge 4/8/1955 n. 848) contempla il diritto delle persone ad ottenere una decisione giurisdizionale "entro un termine ragionevole". La valutazione della durata ragionevole di un processo equo non può certo prescindere dalla complessità della causa; il che implica che una controversia di agevole soluzione deve avere strumenti decisionali solleciti e tempestivi, quando la evidenza del buon diritto del ricorrente rende ingiustificati, e quindi ingiusti, i tempi dell'ordinario corso della giustizia (cfr. Corte eur. dir. uomo, 24/5/1991; 15/11/1996).

Al riguardo è stato, invero, chiarito che le norme internazionali pattizie, ancorchè generali, ivi comprese quelle contenuto nella Convenzione sui diritti dell'uomo, non rientrano nell'ambito del meccanismo di adeguamento automatico dell'ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, sancito dall'art. 10 Cost., il quale fa piuttosto riferimento alle norme internazionali di carattere consuetudinario. Il citato art. 6 della Convenzione, pertanto, pur avendo forza vincolante nel diritto interno, per effetto della ratifica autorizzata con una legge ordinaria, non assume valore prevalente sulle disposizioni di pari rango primario e non può essere assunto come parametro costituzionale di riferimento (cfr. Corte cost., 30/7/1997 n. 288).

Nondimeno, tale disposizione - nella misura in cui comporta, per gli stati contraenti, l'impegno ad organizzare il sistema processuale secondo regole che consentano di rispettare il suddetto principio di celerità - contribuisce ad evidenziare l'irrazionalità di un intervento normativo che realizza, da questo punto di vista, un oggettivo arretramento della tutela giurisdizionale.

6. Per quanto riguardo la rilevanza delle suddette questioni, nella specie, non emergono i presupposti per l'emanazione dell'ordinanza ex art. 186-bis c.p.c. in quanto, delle due parti intimate in giudizio, la Regione Campania, nella discussione in camera di consiglio, ha mostrato di voler contestare la sussistenza del credito, mentre l'organo liquidatore della soppressa U.S.L. è rimasto contumace.

Per questa parte, dunque la prospettata questione di legittimità costituzionale, ancorchè non manifestamente infondata, si palesa irrilevante.

Relativamente, invece alla istanza di ingiunzione ex art. 186-ter c.p.c. è da riconoscere che la ricorrente ha fornito prove scritte sul credito vantato ed elementi atti a far presumere l'adempimento delle proprie prestazioni,s econdo i presupposti indicati nell'art. 633, co. 1, n. 1) e co. 2 e nell'art. 634 c.p.c.

Pertanto, relativamente alla richiesta di emanazione dell'ordinanza ingiuntiva, la questione di legittimità costituzionale risulta rilevante, in quanto la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 35, co. 3, del decreto legislativo n. 80 del 1998, nella parte in cui non prevede che il giudice amministrativo possa disporre provvedimenti sommari anticipatori di condanna, consentirebbe l'accoglimento dell'istanza.

7. Tutto ciò considerato, va disposta la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per la decisione sulla questione pregiudiziale di legittimità costituzionale, mandando la segreteria per gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione prima, dichiara rilevante per la decisione e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - con riferimento all'art. 3, co. 1, all'art. 24, co. 1 e 2, ed all'art. 113, co. 1 e 2, Cost. - dell'art. 35, co. 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, nella parte in cui non prevede che il giudice amministrativo, nelle controversie di cui al comma 1, può disporre i provvedimenti previsti dall'art. 186-ter del codice di procedura civile.

Ordina alla segreteria del T.A.R. di notificare la presente ordinanza a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati; dispone la immediata trasmissione degli atti, a cura della medesima segreteria, alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.

Così deciso in Napoli, addì 30 settembre 1998, 28 gennaio e 11 febbraio 1999, in camera di consiglio.

Depositata in segreteria il 18 febbraio 1999.

Copertina