Giustizia amministrativa

Articoli e note

Maurizio Borgo
(Procuratore dello Stato)

L'accessione invertita, fra "condanne a morte" e ricerche del proprio "giudice naturale".

Con la presente nota, ci si propone di fare un quadro sull'attuale momento della c.d. "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita", che dir si voglia; o, forse, sarebbe meglio dire, sull'attuale "stato di salute" del predetto istituto, di creazione pretoria, stante il fatto che, da alcuno [1] , è stato suonato il "de profundis" dello stesso.

Quale la causa scatenante del menzionato sconvolgimento nella materia?

Non certamente la pronuncia della Corte Costituzionale 30 aprile 1999, n. 148, in ordine alla quale, chi scrive, ha già espresso le proprie considerazioni critiche [2] , bensì le norme, introdotte dagli artt. 34 e 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80.

In un precedente contributo sull'argomento [3] , avevamo ritenuto di potere avanzare, seppure in modo problematico, un'ipotesi, che avevamo definito "affascinante", ovvero il possibile trasferimento, mercé le norme, più sopra menzionate, della giurisdizione sulle controversie, aventi ad oggetto la c.d. "occupazione acquisitiva", dal giudice ordinario a quello amministrativo.

Ad, ormai, più di sei mesi dalla pubblicazione del predetto scritto, riteniamo opportuno ritornare sull'argomento; lo spunto ci viene offerto da una interessante pronuncia giurisprudenziale che, sviluppando gli argomenti, da noi abbozzati alcuni mesi or sono, è pervenuta ad affermare che, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 80/98, la giurisdizione sulle controversie, inerenti la c.d. "accessione invertita", deve considerarsi devoluta al giudice amministrativo.

In chiusura del presente contributo, dedicheremo alcune riflessioni all'opinione (cui abbiamo fatto riferimento, nel titolo, parlando di "condanne a morte"), avanzata da un autore, secondo il quale il D.Lgs. n. 80/98 avrebbe, addirittura, sancito la fine "del travagliato percorso normativo e giurisprudenziale" dell'occupazione acquisitiva.

Ma procediamo con ordine ed iniziamo dall'esame della pronuncia giurisprudenziale (sentenza 6 maggio 1999 del Tribunale Civile di Palermo [4] ) che, nel ritenere ancora "vivo" l'istituto dell'accessione invertita, ha affermato, per riprendere l'immagine utilizzata nel nostro contributo del gennaio di questo anno, che "l'accessione invertita ha, veramente, invertito la sua rotta, per veleggiare verso i lidi del giudice amministrativo".

Occorre dire subito che trattasi di pronuncia connotata da un'ampia e meditata motivazione, la quale dimostra come il giudice palermitano abbia voluto procedere ad un esame rigoroso e ponderato degli argomenti utilizzati per affermare il trasferimento della giurisdizione, in subiecta materia, dal giudice ordinario al giudice amministrativo.

Dopo avere operato un breve, ma completo, excursus delle tappe giurisprudenziali percorse dall'istituto dell'occupazione acquisitiva, a partire dalla fondamentale pronuncia delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 1464/83, senza dimenticare di dedicare un accenno ai, seppure non sistematici, interventi legislativi in argomento, il Tribunale di Palermo affronta il problema della "refluenza" che ha avuto sull'accessione invertita l'emanazione della normativa di cui agli artt. 34 e 35 del D.Lgs. n. 80/98.

Il primo argomento che, ad avviso del giudice palermitano, suffraga la tesi della attribuzione della giurisdizione in materia di "occupazione acquisitiva", al giudice amministrativo, è dato dalla nozione di urbanistica, fornita dal legislatore del 1998.

Nella pronunzia in esame viene, infatti, evidenziato come la superiore definizione assuma connotati più estesi di quelli tradizionalmente riconosciuti all'urbanistica; viene, in altre parole, confermata l'impressione, già espressa da chi scrive, in ordine alla possibilità di ritenere ricompreso nella materia urbanistica, sebbene ai soli fini del riparto di giurisdizione (come precisato dallo stesso legislatore con l'inciso "ai fini del presente decreto", contenuto nella prima parte del secondo comma dell'art. 34), anche l'uso illecito del territorio in cui, in ultima analisi, si risolve la fattispecie dell'occupazione acquisitiva.

Ma vi é di più!

Il Tribunale di Palermo giunge all'affermazione che "l'intera materia dell'espropriazione per pubblica utilità è stata assorbita, per gli aspetti connessi alla tutela giurisdizionale, nell'ambito della nozione di urbanistica devoluta al giudice amministrativo ed espressamente codificata nello stesso art. 34 D.Lgs. n. 80/98".

Una conclusione [5] , quest'ultima, che sarebbe confermata, ad avviso del giudice palermitano, dalla circostanza che il legislatore ha riservato, al giudice ordinario, il solo contenzioso relativo all'indennizzo espropriativo.

Trattasi di tesi che, sebbene supportata da ampia motivazione, dovrà essere sottoposta ad attenta riflessione, in considerazione del carattere dirompente della stessa; riflessione, cui non si ritiene di potere procedere, in questa sede, stante il fatto che il presente contributo ha ad oggetto esclusivamente l'istituto della c.d. "occupazione appropriativa".

Proseguendo nell'esame della sentenza 6 maggio 1999 del Tribunale di Palermo, occorre evidenziare come, nella stessa, venga sottoposto ad esame uno degli argomenti che, a parere di chi scrive, avrebbe potuto militare contro la tesi del trasferimento della giurisdizione, in materia di "accessione invertita", dal giudice ordinario al giudice amministrativo; ci riferiamo all'espressione "atti di natura.... ablativa", utilizzata dal legislatore, al fine di indicare i casi non ricompresi nella nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ebbene, anche con riferimento al predetto argomento, il Tribunale di Palermo concorda con quanto, da noi, evidenziato nel contributo del gennaio di questo anno ovvero che il termine "ablativa" non può considerarsi riferito all'istituto della occupazione acquisitiva, stante il fatto che quest'ultima, sebbene si risolva, in ultima analisi, nell'ablazione di un bene, presenta una "matrice illecita" che la differenzia nettamente da una formale e rituale espropriazione che, come giustamente ricordato dal giudice palermitano, "l'art. 834 c.c. subordina ad indispensabili profili di legalità".

Superato il dubbio che anche l'accessione invertita potesse essere ricompresa fra i casi che il legislatore del '98 ha voluto eccettuare dalla nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il Tribunale di Palermo perviene alla conclusione che l'occupazione acquisitiva si risolve in un uso, seppure illecito, del territorio, stante il fatto che l'attività manipolativa della P.A., determinando la trasformazione irreversibile dell'area di sedime occupata, produce indiscutibilmente una modifica fisico-giuridica irreversibile del territorio e l'acquisto dell'area in favore della P.A.

Una conclusione, quest'ultima, che ci sentiamo di condividere; non così, per l'affermazione, contenuta nella parte finale della sentenza in commento, secondo la quale "la postulata necessità che il legislatore indicasse espressamente che le controversie relative a tali questioni (ovvero all'istituto della c.d. "occupazione acquisitiva") erano devolute al giudice amministrativo appare smentita vuoi dall'eccezionalità della deroga introdotta dal 3° comma dell'art. 34 rispetto alla previsione generale contenuta nel 1° comma della stessa disposizione, vuoi dalla non riconducibilità dell'istituto al rango di materia".

Con queste parole, il Tribunale di Palermo ha voluto rispondere all'osservazione critica, formulata da chi scrive, in ordine al fatto che la volontà di attribuire, anche le controversie sull'occupazione appropriativa, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo avrebbe richiesto un'espressa previsione, in tal senso, da parte del legislatore.

Ebbene, gli argomenti addotti dal giudice palermitano al fine di dimostrare l'infondatezza delle perplessità, da noi espresse, circa la tecnica legislativa, utilizzata con riferimento al caso di specie, non riescono a farci recedere dalla convinzione che "le norme disciplinanti il riparto di giurisdizione dovrebbero, più delle altre, essere formulate in modo chiaro".

Una convinzione, la cui bontà sembra confermata dalla notizia che il T.A.R. per la Sicilia - Sez. di Palermo avrebbe, di recente, declinato la giurisdizione in ordine ad una controversia, avente ad oggetto un'ipotesi di "occupazione acquisitiva".

Il contrasto, rectius il conflitto, insorto fra giudici della stessa città (conflitto che, molto probabilmente, porterà ad un intervento della Suprema Corte di Cassazione, in sede di regolamento di giurisdizione) avvalora quell'esigenza di chiarezza nella formulazione delle norme sul riparto della giurisdizione che, a parere di chi scrive, costituisce espressione dei principi di civiltà giuridica.

Come promesso in apertura del presente contributo, vogliamo chiudere queste riflessioni con alcune considerazioni, dedicate alla "condanna a morte" dell'istituto dell'accessione invertita, decretata, di recente, da un commentatore del D.Lgs. n. 80/98.

Ci riferiamo alla nota, apparsa sulla rivista giuridica "Foro Amministrativo", 1999, alle pagine 277 e ss., a firma di Armando Pichierri.

L'autore, dopo avere ricordato i precedenti giurisprudenziali e normativi, in materia di "occupazione appropriativa", perviene all'affermazione che "il comma 1 dell'art. 35 del D.Lgs. n. 80/98 ha abrogato dal diritto italiano l'accessione invertita".

A tale conclusione, l'autore giunge sulla base del seguente iter argomentativo: il comma 1 dell'art. 35 del D.Lgs. n. 80/98 prevede che il giudice amministrativo, nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva dagli artt. 33 e 34, "dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto"; l'espressione "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica" deve essere interpretata nel senso che, al privato, che si sia visto occupato e successivamente irreversibilmente trasformato il suolo di sua proprietà, è consentito di chiedere al giudice di essere reintegrato nel possesso del terreno, previo abbattimento dell'opera pubblica realizzata; che, a tale diritto, il privato può rinunziare, chiedendo il risarcimento in forma equivalente ovvero la permuta del fondo, ormai irreversibilmente trasformato, a cagione della realizzazione dell'opera pubblica, con altro fondo; che, pertanto, nelle ipotesi, da ultimo indicate, l'effetto traslativo del diritto di proprietà del suolo dal cittadino alla P.A. si verificherà non in forza dell'istituto, di creazione pretoria, dell'accessione invertita, ormai espunto dall'ordinamento, bensì in virtù di una scelta, operata dal proprietario dell'area.

Le argomentazioni, sopra sinteticamente riportate, non appaiono convincenti.

In primo luogo, va rammentato che il risarcimento del danno, attraverso la reintegrazione in forma specifica, può essere disposto, a norma dell'art. 2058 c.c., solo ove ciò sia possibile ed a condizione che il giudice non lo ritenga eccesivamente oneroso per il debitore; condizione, che non sembra ricorrere nell'ipotesi della c.d. "accessione invertita", laddove l'acquisto dell'area del privato, in capo alla P.A., avviene mercé la realizzazione di un'opera dichiarata di pubblica utilità, il cui abbattimento sarebbe, particolarmente, "oneroso" per la collettività (si pensi al denaro pubblico impiegato per la realizzazione dell'opera).

Deve, inoltre, evidenziarsi come non appaia sostenibile la considerazione, svolta dall'autore della nota, che "così come l'amministrazione ha il potere di abbattere la costruzione abusiva del privato, allo stesso modo l privato cittadino può.... richiedere che venga reintegrato nel possesso del bene di cui ha conservato il diritto di proprietà, data l'occupazione illegittima da parte della P.A.".

Trattasi di un'equiparazione che non sta in piedi; non può, infatti, paragonarsi la posizione del privato, che abbia realizzato abusivamente una costruzione, con quella della P.A. che abbia realizzato, sebbene in difformità dalle procedure espropriative, legalmente disciplinate, un'opera dichiarata di pubblica utilità.

Proprio l'esistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità dell'opera ha consentito alla giurisprudenza di affermare, mercé l'istituto dell'accessione invertita, l'acquisto della proprietà dell'area del privato, in capo alla P.A.

Solo in mancanza della predetta dichiarazione, ovvero in presenza di un'opera non assistita dal crisma della "pubblica utilità", il privato potrò richiedere la reintegrazione nel possesso del bene, previa demolizione dell'opera (cfr., sul punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione). Una demolizione, la cui possibilità si spiega proprio col fatto che quell'opera deve considerarsi alla stregua di "un'opera abusiva", al pari di quella realizzabile da qualsivoglia privato cittadino.

In presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, invece, il privato che abbia visto il proprio terreno occupato e, poi, irreversibilmente trasformato, a seguito della realizzazione dell'opera pubblica, potrà ottenere esclusivamente il risarcimento in forma equivalente, nella misura del valore venale, ove si tratti di area a vocazione agricola e nella misura di cui al comma 7 dell'art. 5-bis della L. n. 359/92, ove si tratti di area a vocazione edificabile.

Nel concludere questo contributo, con il quale si è tentato di fare il punto sul momento attuale dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, possiamo affermare, con una battuta, che il "monstrum giuridico" dell'accessione invertita è ancora vivo e si aggira, nel nostro ordinamento, alla ricerca del proprio "giudice naturale".

Maurizio Borgo

NOTE:

[1] Ci riferiamo alla nota, apparsa sulla rivista "Foro Amministrativo", 1999, pagg. 277 e ss., a firma di Armando Pichierri.

[2] Vedi l'articolo "Un'attesa andata un po' delusa. Prime riflessioni sulla sentenza 30 aprile 1999, n. 148 della Corte Costituzionale", apparso sulla rivista giuridica on line "Giustizia Amministrativa".

[4] La sentenza può leggersi sulla rivista giuridica on line "Giustizia Amministrativa" (clicca qui per consultarla).

[5] Nello stesso senso, si esprime il Pretore di Molfetta nell'ordinanza del 18 maggio 1999 (pubblicata sulla rivista giuridica on line "Giustizia Amministrativa"), il quale ricorda come la tesi in parola sia stata sostenuta, in dottrina, da Giulia Avanzini, "La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo" in Commentario a cura di Aldo Travi.