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n. 11-2014 - © copyright |
CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE VI -
Sentenza 21 maggio 2013 n. 2722
Pres. Maruotti, Est. De Michele
Saint - Gobain Ppc Italia S.p.A c. Autorità Garante delle Concorrenza
e del Mercato e altri (conferma T.A.R. Lazio - Roma, Sez. I, sent. n.
10180/2011) |
Pubblica amministrazione - Autorità indipendenti - Natura
- Conseguenze – Controversie - Sindacato giurisdizionale - Discrezionalità
amministrativa e discrezionalità tecnica - Cognizione piena del giudice
amministrativo anche in rapporto all'esercizio della discrezionalità
tecnica – Sussiste – Conseguenze - Abuso di posizione dominante -
Apprezzamento dei fatti integranti l’abuso anticoncorrenziale
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A differenza di quanto previsto in rapporto alla c.d.
discrezionalità amministrativa, corrispondente alla scelta della soluzione
ritenuta più opportuna per il soddisfacimento dell'interesse pubblico, in
caso di scelte tecnico discrezionali l'esercizio del potere può richiedere
non solo una valutazione di opportunità, ma anche l'esatta valutazione di
un fatto secondo criteri tecnici o scientifici. Ed in tale contesto il
sindacato di legittimità del giudice si estrinseca nella possibilità di
accertare se l'atto si ponga al di fuori dell'ambito di esattezza o
attendibilità. Tale sindacato del Giudice amministrativo, nel caso di
controversie concernenti provvedimenti delle Autorità Indipendenti (e nel
caso di specie della Autorità garante della Concorrenza e del Mercato)
deve focalizzarsi sui seguenti parametri: a) corretta rappresentazione dei
fatti, in base a valutazione sia degli elementi di prova raccolti
dall’Autorità Garante che delle prove a difesa fornite dalle imprese
interessate; b) coerenza e attendibilità dell’istruttoria espletata,
nonché delle conseguenti iniziative, indirizzate a reprimere le condotte
risultate devianti e ad assicurare il ripristino di corrette regole di
mercato; congruità e ragionevolezza della motivazione in base a parametri
di comune esperienza, con riferimento a tutte le figure sintomatiche di
eccesso di potere; c) sussistenza e corretta applicazione, o meno, di
regole tecniche, la cui verifica richieda apposite conoscenze
specialistiche, ma – in considerazione della peculiare posizione di
indipendenza dell’Autorità Garante – senza alcun potere sostitutivo, ove
non esattamente riscontrabili ma frutto di un apprezzamento complesso (con
la sola eccezione del sindacato sulle sanzioni pecuniarie, sulle quali è
ammesso un sindacato esteso al merito).
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2575 del
2012, proposto dalla società Saint - Gobain Ppc Italia Spa, rappresentata
e difesa dagli avvocati Stefano Grassani, Andrea Torazzi e Nico Moravia,
con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via
Principessa Clotilde, 2;
contro
Autorità Garante delle Concorrenza e del
Mercato, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato e
presso la medesima domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Fassa Spa, rappresentata e difesa dagli
avvocati Patrizia Parenti, Michele Lucchini Guastalla, Bruno Inzitari e
Sandro Trevisanato, con domicilio eletto presso la prima in Roma, via
Federico Cesi, 21;
per la riforma della sentenza del t.a.r. lazio – roma,
sezione i, n. 10180/2011, resa tra le parti, concernente sanzione
amministrativa pecunaria per pratica commerciale scorretta;
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità
Garante delle Concorrenza e del Mercato e di Fassa Spa;
Viste le
memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2013 il Cons. Gabriella De
Michele e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Grassani, Lucchini e
l'avvocato dello Stato Fiorentino;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue:
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FATTO
Con atto di appello n. 2575/12, notificato il
23.3.2012, è stata impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I, n. 10180/11 del 24.12.2011 (che
non risulta notificata), con la quale veniva respinto il ricorso proposto
dalla società Saint Gobain Ppc Italia s.p.a. (già Bpb Italia s.p.a.; di
seguito: Bpb), per l’annullamento dell’atto sanzionatorio n. 21297 (proc.
n. A383), emesso il 30.6.2010 dall’Autorità Garante della concorrenza e
del mercato (AGCM) per abuso di posizione dominante, nel mercato
geografico rilevante della produzione e commercializzazione del
cartongesso, a danno dell’impresa – potenzialmente concorrente – Fassa
s.p.a.. A fini di contrasto e di sanzione per la condotta rilevata, si
imponeva alla citata società Saint Gobain il pagamento di una somma pari
ad €. 2.175.787,00, con ingiunzione di astenersi in futuro dal porre in
essere comportamenti analoghi.
Con la citata sentenza il TAR del Lazio
riteneva sussistente l’impianto sanzionatorio sopra sintetizzato, in primo
luogo sotto il profilo dell’individuazione del mercato geografico
rilevante: data l’alta incidenza dei costi di trasporto sul totale dei
costi di produzione del cartongesso, infatti, il raggio distributivo
massimo del prodotto sarebbe identificabile con una distanza pari a circa
500 chilometri dallo stabilimento, a sua volta da localizzare a poche
decine di chilometri dalla cava; nessuna contraddizione, inoltre, sarebbe
stata ravvisabile al riguardo nella comunicazione di avvio del
procedimento.
Quanto alla posizione di dominanza nel mercato della
Saint Gobain, l’Autorità avrebbe condotto uno studio attento ed analitico,
valutando la struttura del mercato e le quote riferibili ai due
“competitors” Knauf e Lfg, con conclusiva valutazione della quota di Bpb
nel mercato italiano in percentuale compresa fra il 40 e il 50%.
In
tale situazione, le condotte abusive contestate dall’Autorità si sarebbero
concretizzate in una “complessa e articolata strategia escludente, tesa ad
impedire, o quanto meno fortemente ostacolare e dunque ritardare l’entrata
nel mercato del cartongesso di un nuovo, temibile concorrente quale
Fassa”. Tali intenti sarebbero stati perseguiti con manovre sia dirette
che indirette: le prime, concernenti l’acquisto della cava di Calliano e
l’interessamento per l’acquisto – poi concluso da Fassa, ma a prezzi
superiori – di terreni gessiferi siti in Moncalvo; le seconde, tramite
sostegno a soggetti terzi, che proponevano azioni civili per asseriti
diritti di prelazione su altri terreni e ricorsi amministrativi avverso
una variante urbanistica, finalizzata a rendere possibile la realizzazione
dell’impianto produttivo di Fassa s.p.a. nello stesso Comune di Calliano.
Di tali circostanze – contestate da controparte – sarebbero stati forniti
puntuali riscontri istruttori, anche attraverso documenti, atti a
dimostrare le preoccupazioni insorte nei concorrenti per le iniziative di
Fassa ed i controlli su tali iniziative posti in essere da Saint Gobain.
In esito all’azione di contrasto espletata, poi, sarebbe sensibilmente
aumentata la quotazione dei terreni gessiferi della zona, con conclusiva
interruzione della trattativa avviata da Fassa per uno di tali terreni e
acquisto del medesimo da parte di Saint Gobain, a prezzo maggiorato,
benchè in assenza di reale necessità di disporre del materiale ivi
estratto (essendo quello già posseduto sufficiente per i successivi 40
anni).
Fassa s.p.a., a sua volta, si sarebbe vista costretta
all’acquisto di altri terreni, sempre per importi sovrastimati, e sarebbe
incorsa, peraltro, in iniziative giudiziarie di terzi, assistiti da un
professionista associato allo studio del legale milanese di Saint Gobain,
con conclusiva ritenuta logicità e coerenza della determinazione
dell’Autorità, anche sotto gli ulteriori profili contestati dalla società
ricorrente.
In sede di appello, la medesima società ribadiva le
seguenti argomentazioni difensive, già prospettate nel precedente grado di
giudizio:
I) errata definizione del mercato rilevante, essendo stato
illogicamente posto al centro del mercato il Comune di Calliano, con
erronea individuazione dei relativi confini entro un raggio di 500
chilometri, mentre il 30% delle vendite di cartongesso avverrebbe ad una
distanza superiore; in ogni caso, poi, la definizione del mercato avrebbe
dovuto precedere la valutazione dell’abuso e non viceversa;
II)
modifica della definizione di mercato rilevante in corso d’opera e lesione
del contraddittorio, essendo emerso solo al termine dell’istruttoria il
mercato rilevante prefigurato dall’Autorità, mentre la comunicazione di
avvio del procedimento avrebbe lasciato intendere che detto mercato fosse
quello nazionale, con conseguente violazione del contraddittorio e del
diritto di difesa dell’appellante;
III) errato riconoscimento di
posizione dominante di Bpb; eccesso di potere per carenza di istruttoria e
di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità, contraddittorietà e
ingiustizia manifesta, essendo state attribuite a Bpb quote di mercato
sovrastimate, con ulteriori erronei presupposti riferiti a diverse
circostanze, quali la disponibilità di cave o, l’appartenenza ad un gruppo
multinazionale leader e con individuazione della soglia di dominanza al
50% delle quote di mercato, omettendo di effettuare fondamentali verifiche
istruttorie, che avrebbero rivelato il carattere fuorviante
dell’arbitrario limite, fissato con riferimento al territorio compreso nei
500 km dal Comune di Calliano; limiti più realistici avrebbero invece
consentito di affermare l’assenza di posizione dominante di Bpb (nel
raggio di 750 km., infatti, quest’ultima risulterebbe terza, dopo Knauf e
Lafarge): quanto sopra, con ulteriore illegittimo ricorso a presunzioni,
per ritenere che la posizione di BPB risulterebbe comunque preminente,
anche con quote di mercato inferiori al 50% ;
IV) inesistenza delle
condotte abusive, riferite alla intromissione di Bpb nelle trattative fra
l’ing. Giorgio Rosmino e la società Fassa, per la vendita di una cava di
gesso a Calliano, alla promozione di azioni civili e amministrative contro
Fassa, nonché all’ulteriore intromissione nelle trattative che Fassa aveva
intavolato con l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, circa
l’acquisto di terreni gessiferi in località Moncalvo: quanto ai rapporti
con l’ing. Rosmino, infatti, la mancata conclusione sarebbe dipesa dai
temporeggiamenti di Fassa per oltre due anni, con conclusivo giudizio
arbitrale che disponeva la restituzione dell’anticipo, ma non anche il
pagamento della penale, mentre Bpb avrebbe già da tempo manifestato
l’intenzione di realizzare un terzo stabilimento per la costruzione di
lastre di cartongesso, corrispondendo per questo all’ing. Rosmino un
prezzo tutt’altro che incongruo, come asserito da controparte; altra
documentazione citata dimostrerebbe, inoltre, solo la legittima
preoccupazione per l’ingresso sul mercato di un concorrente, senza che a
tale preoccupazione corrispondesse necessariamente l’intenzione di
danneggiare il nuovo arrivato; i procedimenti civili e amministrativi,
infine, sarebbero dipesi dalla “campagna di acquisti” di terreni da parte
di Fassa, anche con riferimento a terreni che l’ing. Rosmino avrebbe
promesso a Bpb; buona parte della popolazione di Calliano, d’altra parte,
sarebbe insorta “di fronte alla prospettiva di un insediamento produttivo
di dimensioni, impatto visivo ed ambientale enormi”, da parte di Fassa,
con ulteriore contestazione dei rapporti (comunque di minimo rilievo
economico) intercorrenti fra Bpb e alcuni ricorrenti; quanto all’asserita
intromissione di Bpb nelle trattative con l’Istituto Diocesano, poi,
sarebbe vero al contrario il ritiro della società da ogni trattativa, ben
26 mesi prima dell’acquisto da parte di Fassa;
V) insussistenza attuale
della posizione dominante di Bpb, ancora eccesso di potere sotto vari
profili, tenuto conto dell’intervenuta modifica strutturale del mercato e
della riduzione delle quote di mercato di Bpb, ormai scese al 32% nel 2010
e al 28% nel 2011;
VI) errata quantificazione della sanzione; error in
iudicando, violazione o falsa applicazione dell’art. 15 della legge n.
287/1990 e dell’art. 11 della legge n. 689/1981; violazione dell’art. 3
della legge n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di proporzionalità
ed ingiustizia manifesta, in quanto l’entità della sanzione sarebbe
eccessiva rispetto al fatturato di Bpb nel mercato rilevante: fatturato,
peraltro, la cui entità non è stata mai richiesta nel corso
dell’istruttoria ed in rapporto al quale la sanzione comminata
rappresenterebbe una percentuale – incoerente e sproporzionata – del 7%,
senza tenere conto del “ravvedimento operoso” di Bpb e dell’effettiva,
intervenuta apertura di uno stabilimento a Calliano da parte di
Fassa.
Quest’ultima, costituitasi in giudizio, formulava ampie ed
analitiche controdeduzioni, con dettagliato resoconto delle iniziative di
Bpb per ostacolarne l’ingresso nel mercato del cartongesso ed eccezione
preliminare di inammissibilità dell’appello, in quanto privo di specifiche
censure avverso i capi della sentenza appellata.
Tutte le
argomentazioni, in precedenza sintetizzate, sono state poi ulteriormente
trattate e approfondite dalle parti costituite in giudizio con ampie
memorie difensive e su tali basi, nell’udienza del 12 febbraio 2013, la
causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Le questioni sottoposte all’esame del Collegio
investono un provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato per abuso di posizione dominante e presuppongono
un sintetico richiamo all’ambito di esercizio – ed ai conseguenti limiti –
del sindacato giurisdizionale di legittimità sull’operato delle cosiddette
Autorità indipendenti.
Le Autorità hanno natura amministrative e sono
soggette al principio di legalità ed a quello della riserva di legge per
il relativo funzionamento, quest’ultimo caratterizzato da ampi margini di
discrezionalità tecnica ed assoggettato alla giurisdizione esclusiva del
Giudice Amministrativo, prima ex art. 33 L. n. 287/1990, poi, con
decorrenza 16 settembre 2010, ex art. 133, comma 1, lettera l) del codice
del processo amministrativo (c.p.a.), approvato con d.lgs. n.
104/2010.
Il sindacato giurisdizionale è contenuto sul piano della
legittimità e non anche del merito, tranne che per quanto riguarda le
sanzioni pecuniarie, ex art. 134, comma 1, lettera c) del medesimo
codice.
Circa i limiti dell’ordinario sindacato di legittimità, la
giurisprudenza è concorde nel riconoscere al riguardo quelli riconducibili
ai noti profili sintomatici dell’eccesso di potere, che circoscrivono il
giudizio sugli atti discrezionali (cfr. in tal senso Cass. civ. SS.UU.,
29.4.2005, n. 8882; Cons. St., sez. VI, 21.9.2007, n. 4888, 10.5.2007, n.
2244, e 1.10.2002, n. 5105), in coerenza con le regole tecniche e le
competenze scientifiche, che rientrano nel bagaglio di conoscenze
specialistiche, proprie di ciascuna Autorità.
In ordine
all’apprezzamento – condotto in base a dette competenze ed insindacabile
nel merito – occorre pertanto un’ulteriore riflessione, intesa a
coordinare l’evoluzione giurisprudenziale, in materia di sindacato di
legittimità sugli atti discrezionali, con le peculiari esigenze del
giudizio su provvedimenti delle citate autorità Garanti.
In via
generale, infatti, è ormai pacificamente affermata la cognizione piena del
Giudice Amministrativo anche in rapporto all’esercizio di discrezionalità
tecnica, dovendosi essa esercitare in rapporto a fatti che devono
risultare sussistenti, a seguito delle acquisizioni probatorie emerse nel
corso del procedimento.
In tale ottica – ed in applicazione del
principio di effettività della tutela delle situazioni soggettive
protette, rilevanti a livello comunitario (quale principio imposto anche
dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, promossa dal Consiglio d’Europa nel 1950) – se
è vero che il Giudice non può sostituirsi all’Amministrazione, è anche
vero che il medesimo Giudice non può esimersi anche dal valutare
l’eventuale manifesta erroneità dell’apprezzamento dell’Amministrazione
stessa.
A differenza di quanto previsto in rapporto alla cosiddetta
discrezionalità amministrativa, corrispondente alla scelta della soluzione
ritenuta più opportuna, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico
(adeguatamente bilanciato con ogni altro interesse rilevante), nel caso
concreto, ove debba esercitarsi una discrezionalità tecnica l’esercizio
del potere può richiedere in effetti non solo una scelta di opportunità,
ma anche l’esatta valutazione di un fatto secondo i criteri di
determinate scienze o tecniche.
Il sindacato di legittimità del
giudice, in tale ultima fattispecie, si estrinseca nella possibilità di
accertare se l’atto si ponga al di fuori dell'ambito di esattezza o
attendibilità, non risultando rispettati parametri tecnici di univoca
lettura, ovvero orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata, o
di dottrina dominante in materia (cfr. Cons. St., sez IV, 13 ottobre 2003,
n. 6201).
L’indirizzo sopra sintetizzato si è tradotto nelle formule,
di norma utilizzate dalla giurisprudenza, secondo le quali l’esercizio
della discrezionalità tecnica deve rispondere ai dati concreti, deve
essere logico e non arbitrario.
L’orientamento giurisprudenziale
indicato mira a garantire un giudizio coerente con i principi, di cui
agli articoli 24, 111 e 113 Cost , nonché 6, par.1, CEDU. In tale ottica è
necessario che la pretesa fatta valere in giudizio trovi, “se fondata, la
sua concreta soddisfazione” (Corte costituzionale, sent. n. 63 in data
1° aprile 1982), che il giudice abbia una cognizione estesa a tutte le
questioni di fatto e di diritto (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo,
Albert et Le Compte c. Belgio, par. 29, 10 febbraio 1983) e che il
controllo giurisdizionale su un atto amministrativo non sia limitato alla
compatibilità di esso con la norma attributiva del potere (Corte europea
dei diritti dell’uomo, Obermeier c. Austria, par 70, 28 giugno
1990).
Per i provvedimenti delle Autorità Garanti, tuttavia,
l’evoluzione della giurisprudenza in materia di sindacato sugli atti
discrezionali non può non incontrare una delimitazione almeno in parte
diversa, tenuto conto della specifica competenza, della posizione di
indipendenza e dei poteri esclusivi, spettanti alle medesime: non è
consentito per il giudice l’esercizio di un potere sostitutivo, salvo come
già ricordato per le sanzioni pecuniarie, sulle quali è consentito dalla
legge un controllo più penetrante; come osservato dalla giurisprudenza,
infatti, il giudizio dell’Autorità trova come parametri di riferimento non
regole scientifiche non opinabili, ma valutazioni, anche di natura
prognostica, a carattere economico, sociologico, o comunque non
ripercorribile in base a dati univoci (cfr., per il principio, Cons. St.,
sez. VI, nn. 2199/2002, 5156/2002, 926/2004, 6152/2005; Cons. St., sez.
III, 25.3.2013, n. 1645).
Premesso quanto sopra in ordine ai
parametri di riferimento per il presente giudizio, il Collegio deve
ripercorrere le ragioni del provvedimento sanzionatorio impugnato in primo
grado, alla luce delle ragioni esposte nella sentenza, nonché delle
argomentazioni difensive ribadite in sede di appello, o rappresentate in
tale sede dalle controparti.
A quest’ultimo riguardo deve essere
respinta, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità dell’appello,
sollevata da controparte per assenza di censure sulla sentenza
gravata.
Infatti, l’atto di appello non si è limitato a a riproporre le
censure di primo grado, ma contiene anche diffuse e specifiche doglianze
avverso l’articolataratio decidendi della sentenza appellata.
E’
del tutto ovvio che, in una fattispecie tanto complessa, per avvalorare le
doglianze rivolte contro la sentenza, l’appellante abbia più volte
richiamato il ricorso di primo grado e il suo analitico contenuto,
prospettante una ricostruzione dei fatti del tutti diversa da quella posta
a base dell’atto sanzionatorio.
Nel merito, va ricordato come
l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato abbia individuato in
determinate attività, poste in essere dalla società Saint Gobain Ppc
Italia s.p.a. (già Bpb Italia s.p.a.) un abuso di posizione dominante,
contrario all’art. 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea
(Tfue), attraverso una “complessa e articolata strategia globale, volta ad
impedire l’ingresso nel mercato del cartongesso dell’impresa
potenzialmente concorrente Fassa s.p.a.”. A tale riguardo, la medesima
Autorità imponeva alla citata società Saint Gobain di astenersi in futuro
dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto
dell’infrazione accertata ed applicava una sanzione amministrativa
pecuniaria, pari ad €. 2.165.787,00 (euro
duemilionicentosessantacinquemilasettecentottantasette/00).
La
legittimità del lungo ed articolato provvedimento, col quale la medesima
Autorità è pervenuta alle conclusioni sopra riportate, deve, nei termini
già in precedenza esposti, essere rapportata ai seguenti parametri:
a)
corretta rappresentazione dei fatti, in base a valutazione sia degli
elementi di prova raccolti dall’Autorità Garante che delle prove a difesa
fornite dalle imprese interessate (Cass. civ. SS.UU., 29.4.2005, n.
8882);
b) coerenza e attendibilità dell’istruttoria espletata, nonché
delle conseguenti iniziative, indirizzate a reprimere le condotte
risultate devianti e ad assicurare il ripristino di corrette regole di
mercato; congruità e ragionevolezza della motivazione in base a parametri
di comune esperienza, con riferimento a tutte le figure sintomatiche di
eccesso di potere (Cons. St., sez. VI, 23.4.2002, n. 2199);
c)
sussistenza e corretta applicazione, o meno, di regole tecniche, la cui
verifica richieda apposite conoscenze specialistiche, ma – in
considerazione della già ricordata, peculiare posizione di indipendenza
dell’Autorità Garante – senza alcun potere sostitutivo, ove non
esattamente riscontrabili ma frutto di un apprezzamento complesso (con la
sola eccezione del sindacato sulle sanzioni pecuniarie, sulle quali è
ammesso un sindacato esteso al merito).
La disamina condotta in base ai
suddetti criteri, ovvero sotto il profilo della corretta acquisizione e
della coerente elaborazione dei dati conoscitivi, posti a base del
provvedimento impugnato, appare sufficiente per confermare, ad avviso del
Collegio, le conclusioni della sentenza appellata, circa la fondatezza dei
rilievi dell’Autorità Garante e delle misure conseguenti, risultando il
provvedimento sanzionatorio contestato riferibile ad un comportamento
articolato, volto in effetti ad eludere le regole concorrenziali del
mercato.
Infondati risultano, nell’ottica sopra indicata, i primi due
motivi di gravame, concernenti l’individuazione ed i tempi di definizione,
nel corso dell’istruttoria espletata, del “mercato geografico rilevante”
(m.g.r.), da intendere come zona circoscritta entro cui – dato un prodotto
o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili – le imprese che
forniscono quel prodotto si pongano in rapporto di concorrenza fra
loro.
Tale individuazione – sindacabile solo per vizi logici, difetto
di istruttoria e di motivazione, ovvero per errore manifesto di
valutazione – ha valore non assoluto, ma relativo, in quanto presenta in
ogni caso margini di opinabilità, pur potendosi in linea di massima
ritenere che, in materia di abuso di posizione dominante, l’ambito del
mercato rilevante debba essere definito in via preliminare, mentre in
materia di intese l’ambito stesso rileva in un momento successivo dal
punto di vista logico, per circoscrivere il grado di offensività della
condotta (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 25.3.2009, n. 1794,
29.9.2009, n. 5864, 1.3.2012, n. 1192).
Nella situazione in esame, il
mercato rilevante è stato individuato in una macro-area, comprendente gran
parte dell’Italia centro-settentrionale, il sud est della Francia, parte
della Svizzera e l’estremo occidentale dell’Austria. Le ragioni di tale
individuazione sono state puntualmente enunciate dall’Autorità, per un
materiale – di largo impiego nell’edilizia e dai costi contenuti – come
quello costituito dai pannelli di cartongesso, per i quali appare
ragionevole ritenere che l’incidenza dei costi di trasporto, per una
distanza superiore a 500 chilometri dallo stabilimento di produzione,
renda non proficua la distribuzione.
In tale ottica – contrariamente a
quanto asserito dall’appellante – doveva ritenersi logica e adeguatamente
motivata la definizione del mercato rilevante con riferimento al Comune di
Calliano, in Piemonte, dovendosi valutare gli effetti di una segnalata
condotta distorsiva della concorrenza, imperniata sull’osteggiata
acquisizione di terreni gessiferi nel territorio dello Comune stesso.
Quanto sopra, come già detto, in un mercato condizionato dall’ubicazione
degli stabilimenti produttivi, per il quale appare tutt’altro che
illogica, ai fini dell’accertamento della condotta segnalata, la
delimitazione del mercato rilevante in rapporto alla specifica zona, su
cui si sarebbe incentrato l’abuso di posizione dominante.
Altrettanto
corrette appaiono le considerazioni dell’Autorità, in rapporto alle
controdeduzioni della società Saint Gobain-Bpb, essendo solo quest’ultima
in grado di effettuare la propria distribuzione entro un raggio maggiore,
ma per il posizionamento ottimale dei propri impianti rispetto ai
concorrenti, con particolare riguardo all’impianto di Termoli (essendo
quest’ultimo “valida base logistica per i trasporti via mare del prodotto
finito”). Anche un parziale ampliamento dell’area geografica interessata,
per la commercializzazione del prodotto industriale di cui trattasi, era
ritenuto comunque insufficiente per mutare le conclusioni da trarre, in
ordine a condotte ostative per l’inserimento in tale mercato di un
potenziale concorrente, per iniziativa di altro produttore in posizione di
dominanza nel mercato stesso.
Il Collegio rileva inoltre (con questo
ravvisando anche l’infondatezza del secondo motivo di gravame) che
nell’atto di avvio dell’istruttoria notificato alle parti, con facoltà per
queste ultime di chiedere un’audizione, si rappresentava una fattispecie
di abuso di posizione dominante, posto in essere dall’attuale appellante
per ostacolare l’accesso di Fassa “al mercato italiano del cartongesso”,
mentre come “mercato di riferimento” si indicava genericamente, ma solo
nella prima parte dell’atto, quello relativo all’attività di produzione
del materiale di cui trattasi; nella seconda parte tuttavia – pur
facendosi riferimento ad un mercato di dimensione nazionale, per gli
stabilimenti già esistenti in Abruzzo, Molise, Emilia Romagna e Toscana
(coprendosi da tali Regioni, con un raggio distributivo di 500 / 600
chilometri, pressoché tutto il territorio italiano) – si specificava anche
come rilevasse “nel caso di specie….la localizzazione geografica, in cui
si inseriscono le condotte supposte abusive”, di modo che sotto tale
profilo detto mercato rilevante poteva anche “essere riferito ad una parte
sostanziale del territorio nazionale, in particolare l’area del
nord-Italia ed una parte dei confinanti territori d’Oltralpe”.
In tale
situazione non può dirsi né che la definizione del mercato non abbia
preceduto la valutazione dell’abuso, né (come sostenuto appunto nel
secondo motivo di gravame) che il mercato rilevante sarebbe emerso solo al
termine dell’istruttoria, con conseguente “violazione del contraddittorio
e del diritto di difesa della società appellante”, in quanto quest’ultima
non avrebbe realmente saputo da quali accuse difendersi (mentre le
circostanze essenziali, oggetto di contestazione, erano pure
sinteticamente esposte nel prosieguo del medesimo atto di avvio
dell’istruttoria).
Posto, dunque, che l’area di riferimento può dirsi
legittimamente individuata, è necessario stabilire se, nell’ambito della
stessa, l’appellante si trovasse in posizione di dominanza (posizione
contestata nel terzo motivo di gravame).
Anche sotto tale profilo, il
Collegio non ravvisa ragioni di discordanza rispetto al provvedimento
dell’Autorità, tenuto conto delle cave appartenenti al gruppo, delle
quantità di prodotto commercializzato e dell’incidenza delle vendite, con
assegnazione a Bpb di quote comprese fra il 40 e il 50%, rispetto ad un
mercato in cui si ponevano come principali competitori le società Knauf e
Lfg. Nel provvedimento impugnato si definisce con esattezza la nozione di
“posizione dominante”, intesa, anche in ambito comunitario, come
“combinazione di diversi elementi”, fra cui la detenzione di una quota di
mercato elevata per un periodo sufficientemente prolungato, in rapporto
alla struttura del mercato ed alle caratteristiche specifiche
dell’operatore.
Detta posizione veniva ritenuta individuabile, nel caso
di specie, per quote di mercato superiori al 40%, con successiva,
analitica valutazione delle peculiarità del settore interessato,
caratterizzato da “forti barriere all’entrata”, soprattutto per la scarsa
presenza in natura del materiale gessoso necessario, fondamentale per
impiantare la produzione, con netta prevalenza in tale ambito di Bpb, le
cui vendite effettive si sarebbero attestate su “valori prossimi o
superiori al 45%”, con un potenziale “abbondantemente superiore al 55%”;
l’importanza e la preminenza dei prodotti di cartongesso di Bpb e del
gruppo Saint Gobain, con la relativa rete commerciale e distributiva,
sarebbe stata inoltre riconducibile anche alla maggiore diffusione e
notorietà dei relativi marchi.
Secondo l’appellante, la predetta
valutazione dovrebbe ritenersi erronea, in quanto rigidamente ancorata
alla determinazione del mercato rilevante nel raggio di 500 chilometri dal
Comune di Calliano, mentre con un raggio superiore le percentuali da
assegnare ai singoli operatori muterebbero totalmente.
Quest’ultimo
dato è stato smentito dal contestato provvedimento dell’Autorità,
attraverso una analitica confutazione delle osservazioni formulate dalla
società interessata, e sulla base di una adeguata istruttoria.
La
società appellante rappresenta infatti, in primo luogo, come l’omessa
considerazione delle vendite di impianti, collocati appena al di fuori
dell’area circoscritta dall’Autorità (come Carpentras di Lafarge, a 521
Km. da Calliano o Lauffen di Knauf, a 513 km, o Corfinio in Abruzzo di
Lfg) – a fronte della ricomprensione, nel raggio considerato,
dell’impianto di Chambery di Bpb – abbia alterato le conclusioni raggiunte
dall’Autorità, circa la reale incidenza delle singole imprese produttrici
nel mercato di riferimento. Tali osservazioni tuttavia, come numerose
altre, sono state sottoposte agli organi verificatori della medesima
Autorità e risultano oggetto di contrapposte valutazioni (come quella
riferita alla parallela esclusione, dall’ambito del mercato rilevante,
dell’impianto Bpb di Termoli, in grado di riequilibrare la situazione per
ambiti territoriali più allargati, ferma restando comunque, anche
estendendo ancora l’area considerata, la maggiore potenzialità produttiva
di Bpb, che continuerebbe ad attestarsi oltre il 40%).
Tali conclusioni
sono state contestate anche in questa sede dall’appellante, che sottolinea
il carattere approssimativo e presuntivo dei dati di vendita assunti
dall’Autorità, senza tuttavia fornire inoppugnabili contestazioni circa la
veridicità dei fatti segnalati in un provvedimento, le cui finalità non
imponevano rigidi e verificabili parametri quantitativi.
Pur senza
entrare nello specifico di ogni singola argomentazione difensiva, infatti,
va ribadito come l’Autorità abbia valutato le difficoltà di inserimento
della società Fassa – per effetto di comportamenti ostruzionistici, di
seguito esaminati – tracciando un’ideale linea di demarcazione del mercato
di riferimento (soggetto a contrazione proporzionale al costo dei
trasporti), a partire dalla località in cui la medesima Fassa aveva
incentrato il proprio progetto minerario ed industriale, con ulteriore
individuazione della posizione di dominanza di Bpb, in tale ambito, sulla
base di molteplici fattori: non solo in rapporto al volume – sia pure
approssimativo – delle vendite, ma anche al numero ed alla ubicazione
degli stabilimenti posseduti, alle dimensioni del complesso industriale di
riferimento ed alla notorietà del marchio.
Tale apprezzamento risulta
convincente, o quanto meno non inficiato da travisamento dei fatti o
illogicità, mentre le diffuse argomentazioni difensive dell’appellante
individuano solo diverse prospettive di valutazione dei medesimi fatti, in
una dimensione di maggiore ampiezza del mercato di riferimento e di minore
incidenza percentuale sul medesimo di Bpb-Saint Gobain. In base alle
considerazioni già in precedenza svolte, tuttavia, dette argomentazioni
(riferite ad apprezzamenti discrezionali complessi, cui è inevitabilmente
connesso un certo margine di opinabilità) non evidenziano profili di
eccesso di potere riferibili al provvedimento del contestato provvedimento
dell’Autorità, ma tendono a valutazioni che inevitabilmente
sconfinerebbero nel merito insindacabile delle scelte. Nella fattispecie,
il Collegio ritiene che l’Autorità abbia rappresentato in modo attendibile
la posizione di dominanza di Bpb, intesa come posizione di potere e di
forza economica sul mercato per la combinazione di diversi fattori,
nessuno dei quali, separatamente considerato, può considerarsi
determinante (ivi compresa la percentuale di vendite superiore al 40%),
essendo state ritenute essenziali per la unitaria valutazione di cui
trattasi anche altre circostanze, quali l’importanza del gruppo
industriale di riferimento e la collocazione strategica degli impianti
produttivi nell’area, in cui l’abuso è stato segnalato.
Anche il terzo
motivo di gravame, pertanto, deve ad avviso del Collegio essere
respinto.
Ugualmente infondata deve ritenersi la quinta censura – qui
esaminata anticipatamente per ragioni di consequenzialità – non potendo
avere rilievo, per fatti svoltisi antecedentemente a luglio 2010 e per
tale periodo sanzionati, dopo una lunga istruttoria, modifiche strutturali
del mercato successivamente intervenute (essendo tali modifiche, con ogni
evidenza, inidonee ad incidere sulla valutazione di condotte antecedenti
al 2010). La diffida a non reiterare tali condotte per il futuro
costituiva, poi, parte necessaria del provvedimento sanzionatorio, ma non
implicava certo che – in caso di eventuali, nuove segnalazioni di abuso –
anche la posizione di dominanza della società in questione non dovesse
essere oggetto di una valutazione aggiornata, con conseguente inconferenza
delle argomentazioni difensive, riferite alla notifica della diffida in
una fase di diminuita incidenza di Bpb sul mercato.
Deve quindi essere
affrontata, con riferimento al quarto motivo di gravame, la problematica
sostanziale di sussistenza, o meno, delle condotte abusive oggetto di
sanzione.
Come già riferito nella parte in fatto della presente
decisione, tali condotte si sarebbero concretizzate in interventi di varia
natura, indirizzati ad impedire, o quanto meno ad ostacolare, l’entrata di
un nuovo concorrente nel mercato del cartongesso.
Data la peculiare
natura di detto mercato, il concorrente di cui trattasi (Fassa s.p.a.) –
già attiva nella produzione di calce, intonaci e materiali premiscelati
per l’edilizia – cercava in primo luogo di acquisire una cava di gesso e
alcuni terreni adiacenti, per collocarvi uno stabilimento produttivo. Per
la realizzazione del progetto la società individuava una cava ed altre
aree limitrofe nel Comune di Calliano, in provincia di Asti, con
prospettive di elevata produzione a costi molto competitivi rispetto a
quelli correnti, grazie ad altre infrastrutture già possedute. In tale
situazione, il 5.12.2002 veniva stipulato un contratto preliminare per
l’acquisto di una cava di proprietà della società La Pietra, rappresentata
dal signor Giorgio Rosmino, ed iniziavano verifiche geologiche, in attesa
dell’acquisto definitivo. Di tali verifiche sarebbe stata costantemente
informata – come emerso nel corso dell’istruttoria – la società Bpb, che
nel dicembre 2005 acquistava la medesima cava ed i terreni adiacenti.
Ugualmente emergevano successivi contatti tra Bpb e i proprietari di altri
terreni, in via di acquisto da parte di Fassa, per i quali Bpb risulta
avere offerto prezzi maggiorati, facendo lievitare i costi
nell’area.
Secondo testimonianze raccolte, Bpb attivava altresì diverse
forme di controllo e di iniziative, volte ad impedire l’acquisto di
terreni adatti all’estrazione del gesso da parte di Fassa. Ulteriori
iniziative venivano poi riscontrate a seguito della stipula, da parte di
quest’ultima, di una convenzione col Comune di Calliano, con riferimento
all’attuazione di un piano particolareggiato, che avrebbe dovuto
consentire la realizzazione di un insediamento produttivo: a tale riguardo
intervenivano numerose procedure contenziose, per il cui avvio erano
segnalati interventi determinanti della stessa Bpb, che – nel frattempo –
continuava ad acquistare a prezzi maggiorati i terreni, che potevano
risultare idonei alla realizzazione del progetto industriale della società
concorrente.
Nel provvedimento dell’Autorità e nelle memorie difensive
di Fassa s.p.a. vengono riportate esplicite testimonianze in ordine a
quanto sopra, anche con peculiare riferimento alle intenzioni –
apertamente manifestate da Bpb – di impedire l’ingresso di un nuovo
concorrente nel mercato del cartongesso, come identificabile in rapporto
al luogo di produzione prescelto.
In tale contesto rientrerebbero anche
numerose iniziative giudiziarie, volte a contestare gli acquisti di
terreni, comunque effettuati da Fassa, nonché gli strumenti urbanistici
adottati dal Comune per consentirne l’attività. Comproverebbe tale
circostanza il carattere pretestuoso di alcune di tali iniziative, poste
in essere anche da soggetti privi dell’idoneità, dell’interesse o delle
disponibilità finanziarie per il perseguimento degli obiettivi enunciati;
analoghi interventi in sede giudiziaria non interessavano, invece, gli
acquisti di Bpb. Quanto sopra evidenzierebbe, ad avviso della società
attualmente controinteressata, una “spregiudicata regia esterna, capace di
pilotare gli atti di semplici agricoltori ben oltre le capacità di
iniziativa” dei medesimi.
L’esistenza di intenti ostruzionistici da
parte di Bpb veniva ulteriormente comprovata dall’intromissione di
quest’ultima nelle trattative per l’acquisto di terreni di proprietà
dell’Istituto Diocesano per il sostentamento del clero, nel Comune di
Casale Monferrato, con giacimenti di gesso nel sottosuolo contigui ad
altri già coltivati da Fassa, con successivo acquisto di tali terreni, da
parte di quest’ultima, a prezzo sensibilmente maggiorato.
In ordine ai
fatti appena sintetizzati, ampi e dettagliati risultano gli accertamenti
condotti dall’Autorità, che ha ripercorso l’intera vicenda ed ha anche
ricostruito i rapporti di tipo lavorativo o patrimoniale, intercorrenti
fra i propositori di alcuni ricorsi giurisdizionali e Bpb.. L’Autorità ha
poi analiticamente valutato le controdeduzioni di quest’ultima, in buona
parte riproposte in appello, ritenendole non adeguate per escludere una
“complessa strategia globale….articolata lungo uno spettro continuo di
azioni diverse”, con “obiettivo escludente nei confronti di Fassa”, il cui
ingresso nel mercato del cartongesso sarebbe stato ritardato di “almeno
tre anni”, con aumento dei costi di accesso e incertezza sulla possibilità
di acquisire adeguate riserve di materiale, mentre Bpb avrebbe acquisito
riserve in misura “sproporzionata, rispetto ai canoni fisiologici di
approvvigionamento strategico della materia prima”. Non sarebbero mancati
riscontri, peraltro, dell’”intenso monitoraggio condotto da Bpb nei
confronti di Fassa, anche con mezzi poco ortodossi”. In tale ampio e
documentato contesto probatorio, il Collegio non ravvisa quel travisamento
dei fatti, che nell’appello viene ricondotto ad una molteplicità di
circostanze: gli indugi della stessa società Fassa nel concludere
l’operazione di acquisto della cava, già oggetto di preliminare di vendita
(successivamente ritenuto risolto in via arbitrale senza pagamento di
penale da parte del venditore, ing. Rosmino, mai ascoltato dall’Autorità),
la crescita del mercato che avrebbe indotto Bpb ad ampliare le proprie
capacità produttive, la preoccupazione della stessa per l’ingresso di
concorrenti non necessariamente tradotta in interventi ostativi, la
riconducibilità delle azioni giudiziarie avviate nei confronti di Fassa e
del Comune di Calliano agli interessi dei singoli proponenti, oltre che
all’impatto “visivo ed ambientale” dell’insediamento produttivo progettato
da Fassa.
In base a quanto sopra sintetizzato, tuttavia, appare
evidente come l’appellante rappresenti circostanze, da cui emerge non
reale travisamento, ma diverso apprezzamento dei fatti esaminati
dall’Autorità. Tali fatti, oggettivamente sussistenti, trovano dunque
nella difesa di Bpb diversa spiegazione, ma non integrale confutazione,
come tasselli di un mosaico, in cui qualche elemento può assumere diversa
connotazione o venire a mancare, senza che tuttavia venga meno il disegno
complessivo, che nell’ampia e convincente disamina dell’Autorità assume i
connotati di abuso di posizione dominante. E’ sufficiente infatti, a tal
fine, che l’Autorità Garante tracci un quadro indiziario coerente ed
univoco, in presenza del quale può ritenersi sussistente una vera e
propria inversione dell’onere della prova, circa l’avvenuta, o meno,
alterazione della concorrenza (cfr. per i diversi profili indicati, fra le
tante, Corte di Giustizia, 8.7.1999, cause 49/92 Anic, C-235/92P
Montecatini e C-1999/92P Huls; Cons. St., sez. VI, nn. 926/04, 548/06,
4017/06, 4362/02).
Nella situazione in esame, gli elementi indiziari
appaiono, in effetti, numerosi e convergenti, ovvero tali da suffragare
l’attendibilità delle motivate valutazioni dell’Autorità, senza trovare
adeguata confutazione nelle argomentazioni difensive dell’appellante,
tenuto conto delle circostanze oggettive che emergono dagli atti (come
suffragate dalla documentazione interna e riservata di Bpb e dalle
testimonianze raccolte), nonché in presenza di anche successivi riscontri,
come quello riferito al modesto sfruttamento della cava La Pietra, in
precedenza sottratta all’acquisto di Fassa.
Anche il quarto motivo di
gravame appare, pertanto, non condivisibile, nei già richiamati limiti,
entro cui può ammettersi il sindacato giurisdizionale di legittimità sulle
valutazioni discrezionali complesse, oggetto di specifica competenza
dell’Antitrust.
Resta da valutare la congruità della quantificazione
della sanzione pecuniaria di €. 2.165.787, contestata nel sesto ordine di
censure per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari
profili.
Detta sanzione risulta applicata per violazione dell’art. 102
del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue) – come recepito
dalla legge 10.10.1990, n. 287 (norme per la tutela della concorrenza e
del mercato) – con riferimento ad una condotta idonea ad arrecare
pregiudizio al commercio tra Stati membri, in quanto limitativa della
concorrenza.
In caso di gravità di tale condotta, l’art. 15, comma 1,
della citata legge n. 287 del 1990 prevede una sanzione amministrativa
pecuniaria, di entità contenuta entro il limite massimo del 10% del
fatturato realizzato nell’ultimo esercizio, chiuso anteriormente alla
notificazione della diffida.
Nel caso di specie, la stessa società
appellante – pur contestando le stime effettuate dall’Autorità – non
sembra ritenere che la sanzione in concreto applicata superi il 7%, del
fatturato di riferimento della società. Tale percentuale è definita,
infatti, “di ammontare del tutto incoerente e sproporzionato”, ma non per
superamento del “tetto” del 10%, normativamente imposto, quanto per la
peculiarità di una situazione, che viene definita come vero e proprio
“caso pilota”, per una comminatoria di sanzione meramente simbolica,
tenuto conto anche del “ravvedimento operoso”, che l’Autorità non avrebbe
adeguatamente valutato.
Le argomentazioni sopra sintetizzate non sono
condivise dal Collegio.
Anche per l’applicazione della misura
sanzionatoria di tipo pecuniario e per la relativa quantificazione,
infatti, il provvedimento impugnato risulta ampiamente motivato e
coerente, risultando approfondita sia la nozione di gravità della condotta
(intesa come strategia globale escludente della concorrenza, da sottoporre
a valutazione unitaria), sia la relativa durata (circa cinque anni e
mezzo). E’ stato, quindi, correttamente rilevato come il complesso di
attività poste in essere da Bpb avesse posto “ingenti barriere”
all’entrata di nuovi operatori, con “significativo nocumento alle
possibilità di scelta ed al benessere dei consumatori, derivante dalla
riduzione della concorrenza effettiva e potenziale nel mercato”. La
gravità della condotta è stata, pertanto, commisurata non solo al
riconosciuto danno economico di Fassa (entrata nel mercato con notevole
ritardo e a costi maggiori), ma anche all’effetto di deterrenza delle
condotte escludenti rilevate per la concorrenza potenziale (“in ragione
dell’effetto di monito” su futuri operatori diversi da Fassa), nonché
all’indotta contrazione di dinamiche innovative nel mercato di riferimento
(in quanto una ridotta competitività fra le imprese concorrenti si
traduce, inevitabilmente, in minore incentivazione ad investire, per
accrescere l’efficienza di ciascun operatore).
Alle condivisibili
argomentazioni sopra ricordate si aggiunge un puntuale apprezzamento –
come circostanza idonea a ridurre l’entità della misura sanzionatoria –
delle iniziative intraprese da Bpb per attenuare le conseguenze
dell’infrazione: iniziative concretizzate nella vendita a Fassa di alcuni
terreni gessiferi e nella rinuncia a diverse azioni giudiziarie,
intraprese da terzi in via civile o amministrativa.
In tale contesto,
il Collegio non ritiene superato il sussistente principio di
proporzionalità della sanzione, espressamente richiamato dal regolamento
4064/89CEE ed affermato dalla Corte di giustizia, secondo cui “i
provvedimenti che incidono sulle situazioni soggettive degli interessati”
debbono essere “proporzionati ed adeguati alla situazione cui intendono
porre rimedio, in modo da non imporre misure eccedenti”. Quanto sopra sia
in rapporto alle disponibilità economiche dell’appellante – quale gruppo
di notevoli dimensioni operante a livello internazionale (ferma restando
la commisurazione della sanzione stessa alla quota di fatturato, relativo
alla parte italiana del mgr) – sia in rapporto alla pluralità ed alla
gravità dei comportamenti sanzionati, implicanti anche uso strumentale
della Giustizia per finalità diverse da quelle formalmente enunciate (di
natura civilistica, o di difesa dell’ambiente). A quest’ultimo riguardo,
constatata la cessazione di alcune delle controversie in questione per il
“ravvedimento operoso” di Bpb (sia pure con espressa precisazione di
estraneità delle iniziative da intraprendere, rispetto a qualsiasi forma
di acquiescenza alle ipotesi accusatorie); resta il fatto, tuttavia, che
dette ipotesi risultavano sorrette da consistenti supporti probatori,
circa la sussistenza di rapporti sia dei propositori di azioni, in via
civile o amministrativa, contro le iniziative di Fassa, sia dei relativi –
spesso identici – difensori con l’attuale appellante e con i relativi
avvocati. Non meno grave, d’altra parte, doveva ritenersi l’alterazione
dei valori di mercato dei terreni, contesi a Fassa da Bpb senza reali
interessi commerciali – e quindi con fondata presunzione di finalità
ostruzionistiche – in capo a quest’ultima, con le conseguenze, anche a
danno anche dei consumatori, esaurientemente illustrate dall’Autorità. Non
trova riscontro, in tale contesto, il richiamo della difesa
dell’appellante a situazioni, in cui la medesima Autorità avrebbe ritenuto
sufficiente l’applicazione di una sanzione simbolica di mille euro: non
sono infatti in alcun modo rappresentati i profili di possibile
assimilazione della fattispecie in esame a quelle, inevitabilmente in
fatto diverse, in cui detta misura simbolica è stata ritenuta sufficiente,
né d’altra parte appaiono seriamente prospettabili profili di
contraddittorietà, in rapporto a valutazioni complesse e articolate come
quelle dell’Antitrust, nelle diverse possibili situazioni sottoposte alla
relativa disamina. Dall’esaustiva e articolata istruttoria, di cui si
fornisce riscontro nel provvedimento impugnato, d’altra parte, non
emergono ad avviso del Collegio incertezze, circa la sussistenza
dell’abuso sanzionato.
Quanto alle contestazioni riferite alla condanna
alle spese in primo grado, il Collegio richiama il principio per il quale
va motivata la compensazione di tali spese – e non la condanna –in caso di
soccombenza in giudizio, nei confronti delle controparti costituite,
mentre l’entità della condanna stessa rientra nell’ampia discrezionalità
dell’organo giudicante.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il
Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto.
Le spese
giudiziali del secondo grado, da porre a carico della società appellante,
vengono liquidate nella misura di €. 10.000,00 (euro diecimila/00), di cui
3.000,00 (tremila/00) a favore dell’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato e 7.000,00 (settemila/00) a favore della società Fassa
s.p.a.).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello
specificato in epigrafe n. 2575 del 2012; condanna la società Saint Gobain
PPC Italia s.p.a. al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di €.
3.000,00 (euro tremila/00) a favore dell’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato ed €. 7.000,00 (euro settemila/00) a favore
della società Fassa s.p.a .
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella
camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2013 con l'intervento dei
magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis,
Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Maurizio Meschino,
Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/05/2013
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