REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione
Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6620 del
2009, proposto
dai signori Fiore Bossio e Concetta La Malva,
rappresentati e difesi dall'avvocato Gregorio Barba, con domicilio eletto
presso il signor Francesco A. Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114;
contro
la S.p.a. Rete Ferroviaria Italiana (RFI), in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e
difeso dall'avvocato Raimondo Garcea, elettivamente domiciliato presso
Annaisa Garcea in Roma, via Cola di Rienzo, 28;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA -
CATANZARO: SEZIONE I n. 00310/2009, resa tra le parti;
Visti il
ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione
in giudizio della S.p.a. Rete Ferroviaria Italiana (RFI);
Viste le
memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2012 il consigliere di Stato
Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato Barba e l’avvocato
Colagrande per delega dell’avvocato Garcea;
Vista la sentenza parziale
della Sezione n. 5813 del 2011;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue.
FATTO
1. I signori Bossio Fiore e La Malva Concetta con
il ricorso n. 698 del 2006, proposto al Tribunale amministrativo regionale
per la Calabria, hanno chiesto l’annullamento del decreto n. 4 del 21
aprile 2006 della Direzione Compartimentale Infrastruttura di Reggio
Calabria, Ufficio Territoriale per le Espropriazioni, di Rete Ferroviaria
Italiana S.p.a. (di seguito RFI), con cui è stata disposta l’acquisizione
al patrimonio indisponibile degli immobili, comprendenti particelle di
loro proprietà, occorsi per la costruzione nel 2002, in una fascia di
terreno posta tra la spiaggia di Amantea e un tratto della rete
ferroviaria che attraversa la Calabria (tra i km 227+000 e 228+100 della
linea Battipaglia – Reggio Calabria), di una scogliera radente avente lo
scopo di proteggere dalle mareggiate il medesimo tratto ferroviario.
2.
Il TAR, con la sentenza parziale 22 marzo 2007, n. 243, ha accolto il
ricorso ed ha annullato il provvedimento di acquisizione sanante emanato
dalla S.p.a. RFI; con la sentenza definitiva n. 310 del 2009 ha poi
accolto la domanda avanzata dalla S.p.a. RFI ai sensi dell’art. 43, terzo
comma, del d.P.R. n. 327 del 2001 e ha quindi condannato la Società al
risarcimento dei danni in favore dei ricorrenti, da determinarsi a norma
dell’art. 35, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80,
“secondo i criteri e nei termini di cui in motivazione” ed ha escluso “la
restituzione dei beni di cui in motivazione senza limiti di tempo”.
3.
Con l’appello in epigrafe, gli originari ricorrenti hanno chiesto la
riforma della sentenza gravata n. 310 del 2009, con la condanna di RFI
alla restituzione dei terreni occupati di loro proprietà, e ripristino
dello stato dei luoghi, proponendo in via subordinata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 e, in
ulteriore subordine la condanna della società appellata al risarcimento
dei danni secondo il valore effettivo dei beni.
La s.p.a. RFI – che il
4 aprile 2007 aveva notificato riserva d’appello avverso la sentenza
parziale - in data 21 ottobre 2009 ha depositato appello
incidentale.
4. All’esito dell’udienza del 18 ottobre 2011, in cui la
causa è stata trattenuta per la decisione, il Collegio ha pronunciato la
sentenza parziale n. 5813 del 2011, con la quale:
- a) è stato respinto
in parte l’appello incidentale ed è stato accolto l’appello principale
avverso l’impugnata sentenza definitiva del TAR n. 310 del 2009,
risultando quindi rimossa la statuizione di esclusione della restituzione
dei beni senza limiti di tempo (così come quella conseguente di condanna
della società al risarcimento dei danni), in quanto basata sull’art. 43,
comma 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, nel frattempo dichiarato
incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale n. 293 del
2010;
- b) richiamata poi l’entrata in vigore dell’art. 34, comma 1,
del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio
2011, n. 111, con cui è stato inserito nel testo unico sugli espropri
l’art. 42 bis, si è affermato che, anche nell’attuale contesto
normativo, l’Amministrazione deve far venir meno la propria occupazione sine titulo, adeguare la situazione di fatto a quella di diritto e
restituire i terreni ai suoi titolari, salvo che intenda comunque
acquisirli o con la stipula di un contratto di acquisto avente anche
funzione transattiva, ovvero con la riattivazione del procedimento
espropriativo in sanatoria con le relative garanzie della partecipazione
procedimentale, ovvero con il provvedimento di acquisizione ora
disciplinato dall’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001;
- c)
in questo quadro il Collegio, rilevato che - dalla relazione e dalla
documentazione anche fotografica in precedenza depositate in via
istruttoria da RFI, il 6 luglio 2011 – era risultata la verosimiglianza
della valutazione ivi resa non soltanto sulla particolare difficoltosità
della rimozione delle opere realizzate ma sopratutto sul gravissimo
rischio che potrebbe altrimenti derivarne per la sede ferroviaria e per la
pubblica e privata incolumità, ha ordinato alla società RFI:
- di far
pervenire entro il termine di 90 giorni (decorrente dalla comunicazione, o
dalla notificazione se antecedente, della sentenza parziale di cui qui si
tratta) una relazione recante l’indicazione di quale la determinazione
adottata al fine della definizione del caso in controversia, nell’ambito
degli strumenti elencati allo scopo supra sub 4. b);
- di
provvedere, entro il medesimo termine, alla comunicazione agli appellanti
dell’avvio del procedimento individuato, stabilendo in tale comunicazione
il termine per la conclusione dello stesso e dando conto di tale
comunicazione di avvio nella relazione di cui sopra;
- restando
riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e
sulle spese.
7. In data 1° febbraio 2012 la società RFI, dando seguito
agli adempimenti così disposti, ha depositato in giudizio:
- la nota di
trasmissione in cui si afferma che la Società intende adottare, per la
definizione del caso in controversia, il provvedimento di acquisizione
disciplinato dall’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 e che agli
appellanti e tutti gli altri intestatari catastali è stata inviata il 20
gennaio 2012 una comunicazione di avvio del procedimento (in atti), “che
si concluderà il 20 febbraio 2012”;
- la relazione in allegato, nella
quale si motiva la decisione suddetta e si espone il metodo di calcolo
della indennità, a titolo patrimoniale, non patrimoniale e risarcitorio,
con la indicazione dei relativi importi
8. Le parti hanno
successivamente depositato memorie.
9. All’udienza del 6 marzo 2012 la
causa è stata trattenuta in decisione.
Nel corso dell’udienza il
difensore degli appellanti ha depositato il provvedimento n. 99 del 20
febbraio 2012, nel frattempo emanato dalla società RFI ai sensi
dell’art.42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, con il quale è stata
decretata “l’acquisizione al patrimonio indisponibile degli immobili
occorsi per la costruzione di una scogliera radente in tratti saltuari tra
i Km 227+000 e 228 + 100 della linea ferroviaria Battipaglia – Reggio
Calabria”, con l’indicazione delle ditte proprietarie e la determinazione
dell’indennizzo liquidato a ciascuna.
Le parti hanno insistito nelle
loro precedenti conclusioni.
DIRITTO
1. Gli appellanti, con la memoria depositata il
14 febbraio 2002, hanno dedotto che il presente giudizio, con la domanda
di restituzione dei fondi, dovrebbe essere deciso secondo la normativa
antecedente all’introduzione dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del
2001, ed hanno osservato anche che, come controdedotto a seguito della
citata comunicazione di avvio del procedimento, lo stato dei luoghi
sarebbe mutato in modo tale da aver reso non necessaria la protezione
della scarpata ferroviaria col mantenimento delle opere effettuate sul
terreno di loro proprietà.
In subordine, nell’ipotesi che il Collegio
ritenga ostativo all’accoglimento della domanda di restituzione dei
terreni la sopravvenuta entrata in vigore dell’art. 42-bis del
testo unico sugli espropri, si eccepisce l’illegittimità costituzionale di
tale norma sotto tutti i profili (salvo l’eccesso di delega) sollevati nel
corso del presente giudizio riguardo al precedente art. 43 del medesimo
d.P.R. (già dichiarato incostituzionale dalla sentenza della Corte
Costituzionale n. 293 del 2010).
3. Al riguardo il Collegio ritiene
che dalla sopravvenuta emanazione da parte della società RFI del
provvedimento n. 99 del 20 febbraio 2012, ai sensi dell’art. 42 bis del
d.P.R. n. 327 del 2001 (applicabile al caso in esame come risulta dal
comma 8 del medesimo articolo), consegue per il presente giudizio quanto
di seguito specificato.
3.1. La domanda di restituzione dei beni
riproposta dagli appellanti è divenuta improcedibile per sopravvenuto
difetto di interesse.
A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 42
bis del testo unico sugli espropri (dopo che la Corte Costituzionale ha
dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 43 per eccesso di delega), la
società R.F.I. si è attenuta alle statuizioni della sentenza parziale di
questa Sezione n. 5813 del 2011, che ha disposto che dovesse aver luogo in
tempi brevi l’adeguamento della situazione di fatto a quella di
diritto.
La società R.F.I., con il provvedimento n. 99 del 2012
indicato nelle premesse, ha disposto l’acquisizione al proprio patrimonio
dell’area sulla quale è stata realizzata la scogliera protettiva del
tratto ferroviario.
Ciò comporta che:
- la domanda di restituzione
dell’area non può essere accolta ed è divenuta improcedibile, in quanto
sulla base di un provvedimento autoritativo sopravvenuto – consentito
dallo ius superveniens - la società R.F.I. ha acquisito il diritto
di proprietà dell’area di cui già aveva il possesso;
- ogni
contestazione avverso questo nuovo provvedimento (e, in particolare, ogni
deduzione contenuta nella memoria depositata il 14 febbraio 2012) può
essere fatta valere nel caso di sua impugnazione in sede di
cognizione.
3.2. Quando alla domanda risarcitoria, altresì riproposta
nel secondo grado, essa non può essere accolta in ragione della avvenuta
emanazione del provvedimento di acquisizione, ai sensi dell’art. 42
bis.
Sotto tale profilo, è ben vero che col ricorso di primo grado è
stata proposta una domanda sicuramente rientrante nell’ambito della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (prevista dall’art. 53
del testo unico sugli espropri, poi trasfuso nell’art. 133 del Codice del
processo amministrativo).
Tuttavia, nel corso del secondo grado del
giudizio, l’emanazione del provvedimento di acquisizione, ai sensi
dell’art. 42 bis, ha comportato – con effetti ex tunc – il
mutamento del titolo della pretesa che possono avanzare gli
interessati.
Infatti, l’art. 42 bis ha previsto che, a seguito del
provvedimento di acquisizione (consentito dal comma 8 anche per i fatti
anteriori alla sua entrata in vigore), spetta un indennizzo per la perdita
del diritto di proprietà.
Il legislatore ha in tal modo previsto un
mutamento del titolo della pretesa, che di per sé risulta dunque
sottoposta alla cognizione del giudice civile, ai sensi dell’art. 133,
comma 1, lettera f), del Codice del processo amministrativo, per il quale
non sussiste la giurisdizione esclusiva quando si tratti della
determinazione e della corresponsione “delle indennità in conseguenza
dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa” (nel cui
novero rientra senz’altro quello emesso ai sensi dell’art. 42
bis).
Nella specie, nel corso del secondo grado del giudizio non si è
verificato un mutamento della normativa sulla giurisdizione (mutamento che
sarebbe stato di per sé irrilevante, in applicazione del principio della perpetuatio iurisdictionis), ma va constatato un mutamento
(disposto dalla legge) della causa petendi della pretesa,
riferibile non più ad un fatto illecito del soggetto occupante, ma alla
corresponsione dell’indennizzo a fronte del provvedimento che – adeguando
la situazione di fatto a quella di diritto – ha qualificato il possessore
come titolare del diritto di proprietà.
La domanda deve essere perciò
dichiarata improcedibile.
3.3. Salve le valutazioni del giudice
eventualmente adìto in sede di impugnazione del provvedimento di
acquisizione, la Sezione deve occuparsi delle questioni di
costituzionalità formulate dagli appellanti principali, poiché – nel caso
di loro proposizione e conseguente accoglimento – verrebbe meno la
normativa risultata decisiva in questa sede per il mancato accoglimento
delle loro domande.
Al riguardo, ritiene la Sezione che,
successivamente alla sentenza del 12 gennaio 2006 della Sez. III della
CEDU, resa sul ricorso n. 14793/02 (e citata nella sentenza della Corte
Costituzionale n. 293 del 2010), che aveva incidentalmente formulato
critiche all’art. 43 del testo unico in occasione di una condanna
riguardante una occupazione sine titulo, la Corte di Strasburgo non
si è pronunciata più in senso critico, nei confronti dell’istituto
originariamente disciplinato dal medesimo art. 43, oggetto della
dichiarazione di incostituzionalità per eccesso di delega e reintrodotto
nell’ordinamento nazionale (con significative modifiche) dall’art. 42 bis
sopra richiamato.
Da un lato, già in sede europea, ad un più
approfondito esame, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa –
nella sessione del 13-14 febbraio 2007 – si è occupato delle ‘violazioni
sistematiche derivanti dalla espropriazione indiretta’ in Italia,
distinguendo:
- la ultraventennale prassi nazionale (affermatasi nella
giurisprudenza ordinaria, sulla configurabilità di un titolo di acquisto
della proprietà in assenza di uno specifico procedimento previsto dalla
legge), considerata in contrasto con il protocollo 1 aggiuntivo della
Cedu;
- le disposizioni contenute nell’art. 43 del testo unico sugli
espropri, cui andava riconosciuto il chiaro significato desumibile dai
suoi lavori preparatori (cioè dalla relazione della Commissione speciale
fatta propria dalla Adunanza Generale del Consiglio di Stato) e dalla
decisione della Adunanza Plenaria n. 2 del 2005.
Il medesimo Comitato
dei Ministri ha manifestato il proprio ‘welcoming’ per le disposizioni
contenute nell’art. 43, col compiacimento in sede europea per
l’elaborazione di un istituto che (come ha già rilevato questo Consiglio)
ha consentito una ‘legale via d’uscita’, nei casi in cui fosse
riscontrabile un’opera pubblica in assenza del valido ed efficace decreto
di esproprio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentt. n. 5830 del 2007; n. 1552
del 2008).
Per di più, il provvedimento ora disciplinato dall’art. 42
bis (che pure consente la ‘legale via d’uscita’ con l’esercizio di un
potere basato sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione degli
interessi in conflitto) comporta la spettanza – al soggetto che perde il
diritto di proprietà – di un importo a titolo di indennizzo, nella misura
superiore del 10% rispetto a quanto avrebbe avuto diritto ad ottenere a
titolo di risarcimento del danno (sia sulla base della prassi nazionale
rivelatasi in contrasto con la Cedu, sia nel caso di applicazione
dell’art. 43, poi dichiarato incostituzionale per eccesso di
delega).
Per tali ragioni, ritiene la Sezione che, per quanto rileva
nel giudizio, le dedotte questioni di costituzionalità vadano dichiarate
manifestamente infondate, poiché l’art. 42 bis risulta conforme alle
disposizioni della Cedu e alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo
che ha più volte condannato la Repubblica Italiana proprio perché i
giudici nazionali avevano riscontrato la perdita della proprietà in
assenza di un provvedimento motivato, previsto da una specifica previsione
di legge.
4. Per le ragioni che precedono, salve le statuizioni già
rese nella sentenza parziale, l’appello in epigrafe deve essere dichiarato
improcedibile nelle parti recanti la domanda di restituzione dell’area e
la domanda di risarcimento del danno.
La particolare articolazione dei
profili di diritto e in fatto concernenti la vicenda giustifica la
compensazione tra le parti delle spese del presente grado del
giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta) dichiara l’appello in epigrafe, n. 6620 del 2009,
improcedibile.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente
sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in
Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2012, con l'intervento
dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Maurizio Meschino,
Consigliere, Estensore
Claudio Contessa, Consigliere
Roberta
Vigotti, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/03/2012