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CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE V - Sentenza 23 gennaio 2012 n. 273
Pres. Trovato – Est. Lotti
Regione Abruzzo (Avv. Stato) c/ N. A. Sisti (Avv.ti N. A. Sisti e L. Bruno) e G. G. (Avv.ti F. G. Scoca e R. Colagrande)


1. Amministrazione pubblica – Ufficio – Nomina – Durata carica – Decorrenza – Dies a quo – Atto di nomina – Conseguenza – Insediamento – Irrilevanza

 

2. Amministrazione pubblica – Ufficio – Titolare uscente – Regime prorogatio – Applicabilità – Necessità – Ragione

 

 

1. Il dies a quo per la decorrenza del periodo di durata di una carica è determinato dall'atto di nomina ovvero da quello di elezione, indipendentemente dalla data in cui le funzioni siano effettivamente assunte. Infatti, soltanto quando la legge delimita temporalmente la preposizione ad un ufficio proprio in ragione delle funzioni che vi sono connesse, operando così un implicito raccordo tra nomina e svolgimento dell'incarico la durata di quest'ultimo deve essere calcolata a decorrere dall'immissione del nominato nelle funzioni dell'incarico stesso. Nella specie è stata confermata la sentenza con la quale il Tar Abruzzo aveva ritenuto tacitamente rinnovato il mandato di difensore civico della Regione, atteso che la nomina di altro professionista era intervenuta quando il mandato precedente era ormai scaduto e dunque rinnovato automaticamente ai sensi dell’art. 10, co. 3, L.R. n. 126/1995, atteso che il dies a quem per una nuova nomina non poteva calcolarsi con riferimento alla data di insediamento del precedente professionista.

 

2. Il regime della prorogatio, secondo il quale prima dell’insediamento del nuovo titolare sono prorogate le funzioni dell’uscente, ha la finalità di assicurare nelle more dell’insediamento del nuovo titolare l'espletamento di una funzione che non può avere soluzioni di continuità, così confermando che tra la nomina e l’insediamento intercorre, come è naturale, un certo lasso di tempo in cui la funzione non può essere interrotta, senza però deporre nel senso che il termine di durata della carica decorra da quest’ultima data.

 

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta)



ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 2740 del 2011, proposto da:

 

Regione Abruzzo, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro



Nicola Antonio Sisti, rappresentato e difeso dagli avv. Nicola Antonio Sisti e Luca Bruno, con domicilio eletto presso l’avv. Piergiorgio Berardi in Roma, via Prati Fiscali, 258;

nei confronti di



Giuliano Grossi, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Gaetano Scoca e Roberto Colagrande, con domicilio eletto presso l’avv. Franco Gaetano Scoca in Roma, via Giovanni Paisiello 55;

per la riforma



della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - L'AQUILA: SEZIONE I n. 00088/2011, resa tra le parti, concernente NOMINA DIFENSORE CIVICO DELLA REGIONE ABRUZZO.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Nicola Antonio Sisti e di Giuliano Grossi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2011 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Borgo dell'Avvocatura Generale dello Stato, Sisti e Colagrande;

FATTO



Il Tribunale Regionale per l’Abruzzo, L’Aquila, con la sentenza 25.2.2011, n. 88 ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato, in qualità di precedente difensore civico della Regione Abruzzo, nominato con atto del 5 ottobre 2004, per l'annullamento della deliberazione n. 19/2005 del 6 ottobre 2009 con la quale il Consiglio Regionale dell’Abruzzo ha nominato difensore civico l'avv. Grossi Giuliano.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando che l’art. 10, comma 3, L.R. 21 ottobre 1995, n. 126, recante istituzione del Difensore Civico, prevede che “Il difensore civico dura in carica 5 anni e si intende tacitamente riconfermato una sola volta, ove il Consiglio regionale non provvede nei termini di cui al comma 5”.
Il successivo comma 5 comma, primo periodo, a sua volta dispone che “Almeno venti giorni prima della scadenza del mandato del Difensore Civico, salva l’applicazione dell’ipotesi di cui al comma 3, il Presidente del Consiglio regionale convoca il Consiglio per provvedere alla nuova nomina”.
Secondo il TAR, la convocazione sarebbe avvenuta dopo la scadenza del termine appena indicato, determinandosi così la riconferma tacita del titolare della carica.
Infatti, il mandato era scaduto il 5 ottobre 2009, essendo stato egli nominato con deliberazione C. R. n. 145/5 del 5 ottobre 2004; per evitare la conferma automatica il Consiglio regionale avrebbe dovuto provvedere alla nuova nomina non oltre il 15 settembre 2009.
La deliberazione del 6 ottobre 2009 sarebbe così intervenuta allorché il mandato si era già tacitamente riconfermato. Né si perverrebbe ad una diversa conclusione interpretando il testo normativo nel senso di riferire il necessario rispetto del termine di 20 giorni non alla deliberazione di nomina bensì alla data di convocazione del consiglio con tale punto all’ordine del giorno. Il vizio, infatti, sussisterebbe ugualmente, visto che la predetta convocazione del Consiglio regionale per procedere alla nomina è stata effettuata solo in data 17 settembre 2009, e quindi oltre il termine ultimo del 15 settembre.
Secondo il TAR, le differenza tra nomina ed insediamento non hanno la forza di scalfire l’ineliminabile dato che scaturisce dalla norma regionale in esame, che fissa la durata della carica del difensore civico in cinque anni ed impone che la convocazione del Consiglio per la nomina del nuovo titolare debba avvenire un certo periodo “prima della scadenza del mandato”.
Depone nel senso prospettato dal ricorrente in primo grado, secondo il TAR, innanzitutto un elemento letterale, desumibile dalla formulazione della norma, che si riferisce alla scadenza del “mandato”, a cui è assegnato una durata predeterminata.
Se è alla durata del mandato che occorre riferirsi, il suo decorso necessariamente coincide, in assenza di una diversa indicazione, con l’atto che ne segna l’inizio, vale a dire con quello di nomina.
E non depone in favore della rilevanza dell’insediamento che la L.R. 126/95 non lo contempli affatto, se non in relazione al termine concesso per far cessare cause di ineleggibilità o di incompatibilità (art. 9), da cui non è dato desumere alcunché in relazione alla diversa questione della durata della carica.
Vi è invece il fatto, ancora per il TAR, che l’art. 10, che reca la disciplina sulla nomina e durata in carica, al 5° comma si occupa della “scadenza del mandato” dopo aver dettato norme relative alla nomina da parte del Consiglio regionale, senza contemplare momenti successivi da cui la stessa dovrebbe decorrere, con ciò tacitamente evidenziando che il momento preso in considerazione è unicamente quello della nomina, ovvero quello del conferimento del mandato. D’altra parte non emerge in alcun modo dal testo che il legislatore regionale abbia inteso farsi carico dell’esigenza di assicurare la effettiva durata quinquennale dell’incarico e di dare quindi rilievo alla data di insediamento piuttosto che a quella di nomina.
Nessun dubbio, conclude il TAR, che il termine in questione sia perentorio e produca l’automatico rinnovarsi del titolare della carica, come emerge chiaramente dal 3° comma dell’art. 10, tenuto anche conto che l’originaria formulazione è stata specificamente modificata in tal senso dall’art. 32 L. R. 30 aprile 2009, n. 6, ove le parole “può essere riconfermato una sola volta” sono sostituite con le parole “si intende tacitamente riconfermato una sola volta, ove il Consiglio regionale non provvede nei termini di cui al comma 5”.
Secondo la Regione appellante, la sentenza merita riforma in relazione all’interpretazione della norma regionale, che deve riferire la durata della carica alla data dell’insediamento e non alla durata della nomina.
Si costituiva l’appellato, ricorrente in primo grado, chiedendo il rigetto dell’appello.
L’avv. Grossi si costituiva in appello, proponendo appello incidentale, ripetendo, nella sostanza le censure d’appello proposte dalla Regione appellante.
Questa Sezione, con ordinanza cautelare n. 2265 del 2011, sospendeva l’esecutività della sentenza impugnata.
All’udienza pubblica del 21 ottobre 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO



In termini generali, deve sottolinearsi che in dottrina è stato autorevolmente sostenuto che di regola, il dies a quo per la decorrenza del periodo di durata è determinato dall'atto di nomina ovvero da quello di elezione, indipendentemente dalla data in cui le funzioni siano effettivamente assunte.
E tale interpretazione risulta confermata, argomentando a contrario, anche dal Consiglio di Stato (cfr. sentenza 30 novembre 1992, n. 989), che ha ritenuto che soltanto quando la legge delimita temporalmente la preposizione ad un ufficio proprio in ragione delle funzioni che vi sono connesse, operando così un implicito raccordo tra nomina e svolgimento dell'incarico (previsione che non si riscontra, invero, nell'ipotesi in discorso), la durata di quest'ultimo deve essere calcolata a decorrere dall'immissione del nominato nelle funzioni dell'incarico stesso (che, nel caso di organi collegiali, andrebbe identificata nell'adunanza di insediamento, momento di realizzazione della fattispecie costitutiva).
Ancora, si osserva che il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati (cfr. stampato C. 5729-A-Relazione), nel rendere parere in ordine al D.L. 26 gennaio 1999, n. 8, recante "Disposizioni transitorie urgenti per la funzionalità di enti pubblici", ha financo rilevato che persino lo stabilire normativamente, a regime, il criterio di decorrenza dell'incarico a partire dalla data di effettivo insediamento, potrebbe ritenersi "contrastare con i principi generali dell'ordinamento, in quanto sembrerebbe attribuire alla discrezionalità dei nominati la facoltà di influire (ritardando la data di prima convocazione degli organi) sulla determinazione della scadenza finale dei rispettivi mandati".
Nel caso di specie, la durata della carica del difensore civico in cinque anni impone che la convocazione del Consiglio per la nomina del nuovo titolare debba avvenire un certo periodo “prima della scadenza del mandato”.
Che tra la nomina e l’insediamento intercorra normalmente un certo periodo di tempo e che taluni effetti della nomina dipendano necessariamente dall’insediamento sono circostanze che in nulla influiscono sulla decorrenza del termine relativo alla durata della carica.
Il regime della prorogatio in particolare, secondo il quale, prima dell’insediamento del nuovo titolare, sono prorogate le funzioni dell’uscente, ha la finalità di assicurare nelle more dell’insediamento del nuovo titolare l'espletamento di una funzione che non può avere soluzioni di continuità, e quindi conferma che tra la nomina e l’insediamento intercorre, come è naturale, un certo lasso di tempo in cui la funzione non può essere interrotta, ma in alcun modo depone nel senso che il termine di durata della carica decorra da quest’ultima data.
Si tratta, in altri termini, di due questioni diverse e dal fatto che l’insediamento sia rilevante a certi fini non significa che lo sia rispetto ad ogni altro fine.
Oltre agli argomenti sistematici e dottrinali di carattere generale, sopra riportati, vi è l’insuperabile dato letterale, già osservato dal TAR: in base alla formulazione della norma ci si riferisce alla scadenza del “mandato”, a cui è assegnato una durata predeterminata.
Se è alla durata del mandato che occorre riferirsi, il suo decorso necessariamente coincide, in assenza di una diversa indicazione, con l’atto che ne segna l’inizio, vale a dire con quello di nomina, altrimenti la durata potrebbe essere variabile, a seconda del momento incerto di insediamento del Difensore civico.
Peraltro, l’insediamento, nel sistema della L.R. 126/95, è rilevante e determina effetti giuridici soltanto in relazione al termine concesso per far cessare cause di ineleggibilità o di incompatibilità (art. 9 L.R.).
Infine, osserva il Collegio, l’art. 10 cit., che reca la disciplina sulla nomina e durata in carica, al comma 5 si occupa della “scadenza del mandato” dopo aver dettato norme relative alla nomina da parte del Consiglio regionale, senza contemplare momenti successivi da cui la stessa dovrebbe decorrere, con ciò tacitamente evidenziando che il momento preso in considerazione è unicamente quello della nomina, ovvero quello del conferimento del mandato.
Pertanto, l’ineludibile dato normativo è ancorato alla fissazione di una durata quinquennale legata a termini certi, scanditi da atti di portata istituzionale, quale la nomina consiliare, piuttosto che ad eventi diversi, di incerta portata, perché in alcun modo disciplinati, e di valenza esclusivamente interna.
Con l’effetto pratico, non secondario, che, riferendo la durata del mandato dalla deliberazione di nomina, l’organo consiliare è in grado di rendersi immediatamente conto in che epoca cadrà la fine naturale del mandato, senza alcuna necessità di legare i tempi delle sue determinazioni ad atti ulteriori, di carattere amministrativo interno, privi di disciplina legislativa, come gli atti di insediamento.
Il che implica, quale che fosse l’adempimento da portare a compimento prima dei 20 giorni dalla scadenza del mandato, che allorché esso è intervenuto il termine in questione era comunque decorso, visto che entro il 15 settembre non erano state effettuate né la nomina né la convocazione, come ben evidenziato nella sentenza impugnata.
Nessun dubbio, poi, che il termine in questione sia perentorio e produca l’automatico rinnovarsi del titolare della carica, come emerge chiaramente dal 3° comma dell’art. 10: al comma 5 dell’art. 10 della L.R. n. 126/1995, prima delle parole “il Presidente del Consiglio” sono state, infatti, inserite le parole “salva l’applicazione dell’ipotesi di cui al comma 3”, con cui è stata apertamente introdotta l’ipotesi prima non prevista della riconferma tacita.
Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, ciò determina l’improcedibilità dell’appello incidentale per difetto d’interesse.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Eugenio Mele, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Antonio Bianchi, Consigliere

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/01/2012





 

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