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n. 9-2012 - © copyright |
GINO SCACCIA*
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Il premio di maggioranza nelle
elezioni comunali al vaglio del giudice amministrativo
Sarà necessario l’intervento dell’Adunanza plenaria
del Consiglio di Stato per risolvere il contrasto giurisprudenziale
insorto in ordine alle modalità di computo del premio di maggioranza
nelle elezioni dei consigli comunali dei comuni con popolazione
superiore a 15.000 abitanti. Sul punto, infatti, nei T.a.r. e nello
stesso Consiglio di Stato, si fronteggiano diversi indirizzi
ricostruttivi che stanno generando un’oggettiva incertezza in ordine
alla regolare composizione dei consigli comunali dei predetti
comuni.
Il contrasto giurisprudenziale concerne, segnatamente,
l’interpretazione dell’art. 73, comma 10 del d.lgs. n. 18 agosto
2000 n. 267 (d’ora in poi: t.u.e.l.). Detto comma recita: «Qualora
un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al primo
turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia
già conseguito, ai sensi del comma 8[1], almeno il 60 per cento dei
seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei
voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché
nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato
il 50 per cento dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di
sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al
gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai
sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio,
viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra
lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già
superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I
restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste
collegate ai sensi del comma 8».
Nel caso, assai frequente, in
cui il cosiddetto “premio di maggioranza”, fissato nella misura del
60% dei seggi del consiglio, porti ad assegnare un numero di seggi
non corrispondenti a una cifra intera, si pone il problema se la
cifra decimale residua debba essere arrotondata all’unità superiore
ovvero a quella inferiore.
L’ipotesi è fatta oggetto di espressa
e chiara disciplina per le elezioni dei consigli comunali di comuni
con meno di 15.000 abitanti nonché per le elezioni dei consigli
provinciali.
Quanto alle prime, l’art. 71, comma 8, del t.u.e.l.
stabilisce che «alla lista collegata al candidato alla carica di
sindaco che ha riportato il maggior numero di voti sono attribuiti
due terzi dei seggi assegnati al consiglio, con arrotondamento
all’unità superiore qualora il numero dei consiglieri da assegnare
alla lista contenga una cifra decimale superiore a 50 centesimi».
Quanto alle seconde, il medesimo criterio di arrotondamento è
previsto dall’art. 75, comma 8, t.u.e.l., secondo il quale «qualora
il gruppo o i gruppi di candidati collegati al candidato proclamato
eletto presidente della provincia non abbiano conseguito almeno il
60 per cento dei seggi assegnati al consiglio provinciale, a tale
gruppo o gruppi di candidati viene assegnato il 60 per cento dei
seggi, con arrotondamento all’unità superiore qualora il numero dei
consiglieri da attribuire al gruppo o ai gruppi contenga una cifra
decimale superiore a 50 centesimi».
Per i comuni con
popolazione superiore a 15.000 abitanti non vi è alcuna previsione
espressa nel t.u.e.l. Si prospettano, pertanto, in astratto, tre
opzioni interpretative in ordine al modo di procedere
all’arrotondamento della cifra decimale risultante dall’attribuzione
del premio di maggioranza: a) arrotondamento per eccesso della cifra
decimale, se superiore a 50 centesimi, e per difetto in caso
contrario (in analogia con la richiamata disciplina degli artt. 71 e
75 del t.u.e.l.); b) arrotondamento per eccesso, all’unità
superiore; c) arrotondamento per difetto, all’unità inferiore.
Il
Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 14 maggio 2010, n. 3022 – in
una questione che verteva sull’interpretazione dell’art. 73, comma
10, secondo alinea, del t.u.e.l., nella parte in cui configura quale
fatto impeditivo dell’attribuzione del premio di maggioranza alle
liste collegate al sindaco eletto nel turno di ballottaggio il
superamento del 50% dei voti, nel primo turno di elezioni, da parte
di altra lista o gruppo di liste[2] – ha incidentalmente affermato
che il predetto comma 10 «ha inteso assicurare, per regola generale,
al sindaco eletto almeno[3] il 60% dei seggi del consiglio,
onde garantire un ampio margine di governabilità degli enti locali,
attraverso la precostituzione, in favore del sindaco eletto, di una
larga maggioranza in consiglio comunale, che gli consenta di portare
agevolmente a termine il mandato»[4]. L’uso dell’avverbio “almeno”
lasciava intendere che la soglia del 60% dei seggi era interpretata
dal supremo collegio amministrativo come livello minimo, derogabile
solo verso l’alto per effetto di arrotondamenti per eccesso della
cifra decimale.
Questa conclusione è stata esplicitata dal T.a.r.
Calabria, Catanzaro, sez. II, 28 luglio 2011, n. 1096, in un
giudizio concernente l’annullamento del verbale di proclamazione
degli eletti nel consiglio comunale di Crotone – che annovera 32
seggi – nella parte in cui assegnava alla coalizione vincente 20
seggi (corrispondenti al 62,5%) per effetto di un arrotondamento per
eccesso. Il tribunale calabrese ha, infatti, rilevato che il 60% dei
seggi costituisce la soglia minima garantita dalla legge alla
coalizione del sindaco eletto, concludendo che l’attribuzione di un
numero di seggi inferiore a tale percentuale, a seguito di
arrotondamento per difetto[5] «implicherebbe (...) evidente
violazione del dettato normativo, che fa riferimento in modo
tassativo alla percentuale indicata del 60%».
Un diverso
orientamento ha espresso il T.a.r. Veneto, in una questione relativa
all’assegnazione dei seggi nel consiglio comunale di Chioggia
(composto da 24 membri), ove si era proceduto ad assegnare alla
coalizione vincente 14 seggi (pari al 58,3%), con arrotondamento per
difetto della cifra, (pari a 14,4) risultante dall’applicazione del
premio di maggioranza. Con sentenza 20 novembre 2011, n. 1570 il
giudice amministrativo veneto ha affermato che la questione
dell’arrotondamento in presenza di decimali, in quanto non
specificamente regolata dall’art. 73 del t.u.e.l., deve essere
risolta facendo riferimento, in via analogica, alla disciplina
dettata per l’elezione del consiglio provinciale che, come si è
anticipato, stabilisce che si fa luogo «all’arrotondamento all’unità
superiore qualora il numero dei consiglieri da attribuire al gruppo
o ai gruppi contenga una cifra decimale superiore a 50 centesimi».
Di qui il rigetto del ricorso.
In un caso in cui alle liste
collegate al sindaco vincente nel comune di Ravenna erano stati
assegnati 19 consiglieri (pari al 59,375% dei 32 seggi consiliari),
arrotondando per difetto la cifra corrispondente al 60% dei seggi
(19,2), il T.a.r. Emilia-Romagna – Bologna, Sezione II, è giunto ad
analoga conclusione fondandola sulla asserita vigenza, anche in
materia elettorale di «un principio generale pregiuridico (quello
sull’arrotondamento dei decimali) comune a tutti i settori
dell’ordinamento e non derogabile per implicito». Con la sentenza 16
dicembre 2011, n. 841, il T.a.r. emiliano-romagnolo, movendo dal
rilievo che la previsione del premio di maggioranza apporta una
deroga espressa al principio di rappresentatività delle minoranze e
che nulla il legislatore dispone in ordine alle modalità di
arrotondamento da applicare alle elezioni dei comuni con popolazione
superiore a 15.000 abitanti, ha argomentato nel senso che «il
carattere eccezionale della norma derogatoria ed il principio “ubi
lex voluit dixit, ubi noluit tacuit” comporteranno (…) che in caso
di quoziente decimale l’arrotondamento dovrà effettuarsi secondo i
principi generali» – e cioè per eccesso in caso di decimale
superiore al 50 centesimi, per difetto nel caso contrario – «non
potendosi aggiungere alla deroga espressa (premio di maggioranza) la
deroga tacita (arrotondamento comunque per eccesso) pretesa dal
ricorrente in mancanza di espressa previsione».
In sede di
appello della decisione del T.a.r. Calabria poco sopra ricordata, il
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 1° marzo 2012, n. 1197,
premesso che l’art. 73, comma 10, del t.u.e.l. «impone (…) che la
soglia, da ritenere tassativa, del 60% dei seggi sia raggiunta
comunque, anche in sede di ballottaggio», ha statuito che
l’eventuale arrotondamento per difetto «non corrisponderebbe né alla
“ratio” della norma, né alla volontà del legislatore, rivolta
a perseguire il fine fondamentale della migliore governabilità dei
medi e grandi comuni». La medesima sezione del Consiglio di Stato ha
ribadito questo indirizzo nella sentenza 18 aprile 2012, n. 2260 con
cui ha riformato la sentenza del T.a.r. Emilia-Romagna n. 841 del
2011 cui si è fatto in precedenza riferimento.
Sulla scorta
dell’interpretazione accreditata dal supremo collegio
amministrativo, il Ministero dell’Interno, in vista delle elezioni
comunali del 6 e 7 maggio 2012, ha trasmesso a tutti i Prefetti
della Repubblica una circolare[6], nella quale si è chiarito a tutte
lettere che «la percentuale del 60% da assegnare in virtù del premio
di maggioranza deve essere determinata sempre attraverso
l’arrotondamento per eccesso, anche nei casi in cui il numero dei
consiglieri da attribuire alla lista o al gruppo di liste collegate
al sindaco vincente contenga una cifra decimale inferiore ai 50
centesimi».
In applicazione della circolare, gli Uffici
elettorali dei comuni hanno applicato il premio di maggioranza
arrotondando verso l’unità superiore i seggi da assegnare alla lista
o al gruppo di liste collegate al sindaco vincente, anche se ciò ha
comportato il superamento della percentuale del 60% dei seggi
prevista dall’art. 73 del t.u.e.l. quale premio di maggioranza.
E’ giunto a questo punto in decisione l’appello interposto
avverso la citata sentenza del T.a.r. Veneto n. 1570 del 2011, con
la quale – giova ricordarlo – il collegio aveva considerato
applicabile, in base all’art. 12 delle disposizioni preliminari al
codice civile, la disciplina dell’arrotondamento prevista per le
elezioni provinciali.
La V sezione del Consiglio di Stato,
sentenza 21 maggio 2012, n. 2928 ha ritenuto di non poter applicare
in via analogica il criterio di arrotondamento dettato per le
elezioni dei consigli provinciali[7], ma ha pure stabilito – in
senso polarmente opposto rispetto alle richiamate pronunce della
medesima sezione n. 3022 del 2010 e n. 1197 e 2260 del 2012 – che la
soglia del 60% segna il «limite massimo del c.d. premio di
maggioranza o di governabilità». Un limite «invalicabile», dunque,
con la conseguenza che «quand’anche il rapporto percentuale non
esprima un numero intero, le cifre decimali non potranno mai far
variare in aumento il rapporto percentuale, facendo lievitare il
numero dei seggi da assegnare alla coalizione del sindaco
vincente».
A fondamento della decisione i giudici di Palazzo
Spada hanno posto un’interpretazione logico-sistematica dell’art. 73
del t.u.e.l., in forza della quale il limite del 60%
rappresenterebbe «il punto di equilibrio individuato dal legislatore
tra i contrapposti valori della governabilità dell’ente locale e
della tutela delle minoranze che permea la disciplina del sistema
elettorale nei comuni con più di 15.000 abitanti». Un equilibrio che
non potrebbe essere alterato mediante l’arrotondamento della cifra
decimale all’unità superiore, perché tale arrotondamento,
comportando l’attribuzione alla coalizione collegata al sindaco
vincente di un ulteriore seggio, pregiudicherebbe in modo
ingiustificato il principio rappresentativo, già sacrificato dalla
previsione di un correttivo maggioritario alla ripartizione
proporzionale dei seggi.
In seguito alle elezioni comunali del 6
e 7 maggio 2012, il meccanismo di arrotondamento in esame è stato
nuovamente oggetto di contestazione nei ricorsi proposti avverso gli
atti di assegnazione dei seggi consiliari nei comuni di Frosinone e
Piacenza, entrambi con popolazione superiore ai 15.000 abitanti.
Nel decidere il ricorso frusinate, il T.a.r. Lazio, Latina, Sez.
I, sentenza 26 luglio 2012, n. 604, ha richiamato il precedente del
T.a.r. Calabria, n. 1096 del 2011 e le sentenze del Consiglio di
Stato, n. 1197 e n. 2260 del 2012 per concludere laconicamente che
l’attribuzione dei seggi «a seguito di arrotondamento per difetto,
implicherebbe l’attribuzione di una percentuale di seggi inferiore
al 60% (…) con evidente violazione del dettato normativo, che fa
riferimento in modo tassativo alla percentuale indicata del 60%».
Al contrario, il Tar Emilia-Romagna, Parma, sez. I, sentenza 10
luglio 2012, n. 266, dato atto della esistenza dei ricordati,
confliggenti indirizzi giurisprudenziali, ha ritenuto di uniformarsi
all’interpretazione logico-sistematica avvalorata dalla pronuncia
del Consiglio di Stato n. 2928 del 2012, indicando nella soglia del
60% il limite massimo, non superabile per effetto di arrotondamenti,
del premio di maggioranza o di governabilità.
2. Così
ricostruiti nei loro tratti essenziali, gli orientamenti delineatisi
nella giurisprudenza amministrativa sulla questione
dell’arrotondamento delle cifre decimali in sede di assegnazione del
premio di maggioranza nelle elezioni dei comuni con popolazione
superiore a 15.000 abitanti sono riducibili a tre.
Il primo,
riferibile alle sentenze del Consiglio di Stato n. 1197 e n. 2260
del 2012, nonché alle sentenze del Tar Calabria n. 1096 del 2011 e
del Tar Lazio, Latina n. 604 del 2012, ricava implicitamente
dall’esigenza di assicurare sempre alla coalizione vincente una
cifra non inferiore al 60% dei seggi il criterio dell’arrotondamento
per eccesso.
Il secondo, espresso nelle decisioni del T.a.r.
Veneto n. 1570 del 2011 e del T.a.r. Emilia-Romagna n. 841 del 2011,
rinviene una lacuna nell’art. 73 del t.u.e.l. e la colma in un caso
applicando in via analogica la disciplina dettata per le elezioni
provinciali e per i piccoli comuni (T.a.r. Veneto), che prevede
l’arrotondamento secondo la misura del decimale, se superiore o
inferiore a 0,5; nell’altro considerando la predetta regola di
arrotondamento come principio generale dell’ordinamento, applicabile
in via suppletiva anche alla materia elettorale (T.a.r.
Emilia-Romagna).
Il terzo, squadernato nella sentenza del
Consiglio di Stato n. 2928 del 2012, vede nella soglia del 60% non
la quota minima di seggi da riservare alla coalizione vincente, ma
la misura massima della prevalenza accordata, nel bilanciamento
operato dal legislatore, alle esigenze della governabilità rispetto
al principio della rappresentatività del voto espresso nell’elezione
dei consiglieri comunali, e ne ricava che l’arrotondamento debba
essere effettuato per difetto.
Sembra da rigettare la tesi che la
regola dell’arrotondamento per eccesso della cifra decimale
superiore ai 50 centesimi – che pure corrisponde a un criterio di
comune esperienza del quale sarebbe arduo negare la ragionevolezza –
esprima addirittura un principio «pregiuridico», operante in materia
elettorale in assenza di contraria indicazione legislativa. Il fatto
che gli artt. 71 e 75 del t.u.e.l. abbiano accolto espressamente
questo criterio è semmai sicuro indizio del contrario; che esso,
cioè, può trovare applicazione solo in quanto sia espressamente
previsto.
Neppure è possibile fare ricorso, per analogia, alla
disciplina dettata per le elezioni dei consigli provinciali e dei
piccoli comuni. Da un lato, infatti, gli art. 71 e 75 del
t.u.e.l. – come si è anticipato – hanno natura eccezionale e sono
pertanto norme di stretta interpretazione; dall’altro, il criterio
di arrotondamento in discorso è richiamato dallo stesso art. 73 del
t.u.e.l. – cioè dalla norma che disciplina le elezioni
amministrative nei comuni di medie dimensioni – ma è riferito al
numero minimo e massimo dei candidati che devono essere compresi
nelle liste elettorali, non invece al riparto dei seggi consiliari
tra le liste che ne hanno titolo. Ciò inequivocamente chiarisce che
la regola non trova applicazione fuori della tassativa ipotesi per
la quale è stata prevista.
Del resto, se «non sono comparabili,
al fine dell'attribuzione del premio di maggioranza, le due
situazioni […] dell'elezione del sindaco al primo turno (in cui c'è
il voto anche per una lista; c'è la possibilità del voto disgiunto e
c'è la competizione di più liste e più candidati) e […]
dell'elezione del sindaco al turno di ballottaggio (in cui il voto è
unico; non si votano le liste collegate e sono parimenti possibili
nuovi collegamenti; i candidati sono solo due)»[8], ancor meno
raffrontabili e quindi suscettibili di essere omogeneamente
disciplinate sono le elezioni provinciali e quelle comunali, per la
diversità dei sistemi e delle formule elettorali previste per il
rinnovo dei rispettivi consigli.
Anche la lettura proposta
nell’ultima[9] pronuncia sul punto del Consiglio di Stato, la
ricordata sentenza n. 2928 del 2012 non convince. Questa decisione,
infatti, fa prevalere una suggestiva interpretazione
logico-sistematica sulla chiara lettera della disposizione.
L’esigenza di garantire la rappresentatività del voto espresso
nell’elezione dei consiglieri comunali dei comuni medi e grandi, che
il legislatore ha bilanciato non irragionevolmente[10] con il
principio maggioritario allorché ha previsto il premio di
governabilità fissandolo nella misura del 60%, non può essere
valorizzata a tal punto da sospingere l’interpretazione
logico-sistematica dell’art. 73, comma 10, del t.u.e.l. oltre il
perimetro rigidamente segnato dalla littera legis. E’
inibito, infatti, all’interprete ricorrere all’interpretazione
logica quando attraverso questa «si tenda a modificare la volontà di
legge chiaramente espressa»[11]. E l’unica volontà
incontrovertibilmente espressa nell’art. 73 del t.u.e.l. è nel senso
che alle liste collegate al sindaco eletto debba essere riservato il
60% dei seggi consiliari. Ritenere, come ha fatto il Consiglio di
Stato, che l’arrotondamento delle cifre decimali debba sempre essere
compiuto per difetto porta invece, inevitabilmente, ad assegnare
alla coalizione di maggioranza un numero di seggi inferiore al 60%,
con l’effetto di spostare la linea del bilanciamento compiuto dal
legislatore fra principio maggioritario e principio rappresentativo.
Suscita infine perplessità un’interpretazione che colma il
difetto di una specifica regola sull’arrotondamento applicando quale
norma “di chiusura” della disciplina delle elezioni comunali il
principio rappresentativo, quando la Corte costituzionale[12] e lo
stesso Consiglio di Stato[13] hanno riconosciuto nel principio
maggioritario «la regola generale […] individuata dal legislatore
quale criterio ispiratore della disciplina delle elezioni comunali,
rispetto all’opposto e recessivo principio di garantire la
rappresentatività del voto espresso nell’elezione dei consiglieri
comunali».
In ultima analisi, la tesi più convincentemente
argomentabile è quella che configura la soglia del 60% come livello
minimo e dunque autorizza sempre l’arrotondamento della cifra
decimale all’unità superiore. Solo questo indirizzo, infatti,
corrisponde fedelmente alla formulazione letterale dell’art. 73,
comma 10, del t.u.e.l.
E’ utile ricordare, al riguardo, che
l’articolo in parola, mentre dispone che alla lista o al gruppo di
liste collegate al sindaco eletto «viene assegnato il 60 per cento
dei seggi», prevede che vengano assegnati alle altre liste «i restanti seggi». Alle opposizioni non è attribuito, dunque,
un numero di seggi pari al 40% – e cioè complementare al 60%
spettante alla coalizione del sindaco eletto – ma il numero di seggi
residuante dall’applicazione del premio di maggioranza. Da ciò pare
possibile desumere che la soglia del 60% viene individuata come
livello minimo tassativamente garantito, non derogabile in
pejus, con l’effetto che aggiustamenti dettati dai necessari
“arrotondamenti” dei decimali possono incidere soltanto
sull’ammontare dei seggi «restanti», non certo sulla misura del
premio di maggioranza, che non deve essere inferiore al 60% dei
seggi.
Questa soluzione interpretativa trova sostegno nella
constatazione che, allorquando la legge ha inteso indicare il numero
massimo di seggi attribuiti a titolo di premio di maggioranza, ha
correlativamente fissato un numero minimo garantito di seggi per le
minoranze. E’ questo il caso dell’art. 2, comma 5, della legge della
Regione Sicilia 15 settembre 1997, n. 35[14], che disciplina le
“Modalità di elezione del Sindaco e del Consiglio comunale nei
comuni con popolazione sino a 10.000 abitanti”. Esso recita: «Alla
lista collegata al candidato sindaco eletto è attribuito il 60 per
cento dei seggi assegnati al comune. All’altra lista che ha
riportato il maggior numero di voti viene attribuito il 40 per cento
dei seggi. Qualora altra lista non collegata al sindaco eletto abbia
ottenuto il 50% più uno dei voti validi, alla stessa è attribuito il
60% dei seggi. In tal caso alla lista collegata al sindaco è
attribuito il 40% dei seggi». Come ha chiarito il T.a.r. Sicilia,
Palermo, sentenza 11 ottobre 2007, n. 2206, «la legge fissa in via
astratta e predeterminata che la composizione del consiglio è
ripartita attraverso due percentuali complementari non valicabili:
il 60% dei seggi (per la maggioranza) più il restante 40% (per la
minoranza)», di modo che, «quali che siano i risultati
elettorali, la suddivisione dei seggi avviene nei limiti massimi e
minimi stabiliti dalla legge».
Per l’elezione dei sindaci e dei
consigli comunali dei comuni con popolazione superiore a 10.000
abitanti, l’art. 4, sesto comma, della citata legge elettorale
siciliana pone, invece, una disciplina del tutto simile a quella che
ci occupa. Detto comma prevede, infatti, che alle liste collegate al
sindaco eletto che non abbiano già conseguito «almeno il 60 per
cento dei seggi del consiglio viene assegnato, comunque, il 60 per
cento dei seggi, sempreché nessun’altra lista o gruppo di liste
collegate abbia già superato il 50 per cento dei voti validi»; e
prosegue disponendo che «I restanti seggi vengono assegnati
alle altre liste o gruppi di liste collegate». Nessuna sorpresa che
il T.a.r. siciliano, nella sentenza sopra rammentata, dal confronto
fra le due disposizioni abbia desunto che al premio di governabilità
non è posto «alcun limite percentuale massimo prestabilito».
Una
conclusione che è auspicabile possa essere condivisa dal Consiglio
di Stato quando sarà chiamato a pronunciarsi in sede di appello
sulla sentenze del Tar Lazio n. 604 del 2012 e del Tar
Emilia-Romagna n. 266 del 2012. Oltre a dirimere un grave dissidio
giurisprudenziale, l’accoglimento di questa posizione – del resto
pianamente derivante dalla littera legis – consentirebbe di
evitare la riassegnazione dei seggi in tutti i consigli comunali
formatisi a seguito delle elezioni del maggio 2012, ove, in ossequio
alla sopra rammentata circolare del Ministero dell’Interno n.
8/2012, il premio di maggioranza è stato applicato arrotondando
sempre la cifra decimale verso l’unità superiore.
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* Ordinario di Istituzioni di diritto
pubblico nell’Università di Teramo.
[1] Il quale dispone, per
quanto qui interessa, «Salvo quanto disposto dal comma 10, per
l’assegnazione del numero dei consiglieri a ciascuna lista o a
ciascun gruppo di liste collegate, nel turno di elezione del
sindaco, con i rispettivi candidati alla carica di sindaco si divide
la cifra elettorale di ciascuna lista o gruppo di liste collegate
successivamente per 1, 2, 3, 4,... sino a concorrenza del numero dei
consiglieri da eleggere e quindi si scelgono, fra i quozienti così
ottenuti, i più alti, in numero eguale a quello dei consiglieri da
eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente».
[2]
Segnatamente, il Consiglio di Stato era chiamato a decidere se la
percentuale del 50% dei voti conseguita nel primo turno dalle liste
antagoniste a quella del Sindaco eletto al ballottaggio – che opera
come condizione impeditiva dell’attribuzione del premio di
maggioranza - dovesse essere calcolato sui voti validi
complessivamente conseguiti nel primo turno dalle liste concorrenti
all’elezione, o invece sui voti validi conseguiti nel primo turno
dai candidati alla carica di sindaco, comprensivi dei voti
“disgiunti”, ossia espressi a favore dei candidati sindaci, ma non
delle liste ad essi collegate.
[3] Enfasi nostra.
[4]
Identica affermazione è stata ribadita dalla stessa sezione del
Consiglio di Stato nella sentenza 28 febbraio 2011, n. 1269.
[5]
Nella specie l’arrotondamento per difetto avrebbe portato ad
attribuire alle liste collegate al sindaco eletto una percentuale di
seggi pari al 59,375%.
[6] Ministero dell’Interno, Dipartimento
per gli affari interni e territoriali, Direzione centrale dei
servizi elettorali, circolare n. 8/2012.
[7] Si legge nella
sentenza citata: «non v'è spazio per l'interpretazione analogica
per mancanza di presupposti (...) mancanza dell'eadem ratio sottesa
agli articoli 73 e 75 del TUEL; natura eccezionale dell'art. 75 e,
quindi, di stretta interpretazione"
[8] Così Corte cost.,
sentenza n. 107 del 1996.
[9] In verità la sentenza del
Consiglio di Stato n. 2928 del 2012, non può a pieno titolo dirsi
l’ultima pronuncia del Consiglio di Stato. Le motivazioni della
sentenza, in effetti, sono state depositate lo scorso 21 maggio
2012, e ciò potrebbe far supporre che si tratti dell’ultima
occasione in cui il consiglio ha avuto modo di prendere posizione
sul tema che ci occupa. Occorre però considerare che la sentenza è
stata trattata in udienza e decisa, lo scorso 24 febbraio, mentre la
contraria sentenza n. 2201 di aprile è stata decisa il 20 marzo e,
dunque, in un momento successivo. Sebbene, dunque, sul piano
formale, la sentenza n. 2928 rappresenti l'ultima decisione del
Consiglio di Stato, è altresì incontrovertibile che sul piano
sostanziale la sentenza cui occorre fare riferimento come “ultimo
pronunciamento” è quella depositata lo scorso aprile.
[10] V.
ancora Corte cost., sent. n. 107 del 1996.
[11] Cass. 17
novembre 1993, n. 11359. Sul primato dell’interpretazione letterale
rispetto agli altri criteri ermeneutici, che «riflette(ndo)
l’ordine con cui i diversi criteri interpretativi sono disciplinati
dall’art. 12 delle preleggi, secondo una gerarchia di valori non
alterabile», di modo che «l’indagine per la corretta
interpretazione di una disposizione legislativa deve essere condotta
in via primaria sul significato lessicale che, se chiaro ed univoco,
non consente l’utilizzazione di altre vie di ricerca», v. ex
plurimis Cass. Sez. Un., 5 luglio 1982, n. 4000.
[12]
Corte cost., sent. n. 107 del 1996.
[13] Consiglio di Stato,
Sez. V, 14 maggio 2010, n. 3022.
[14] Nuove norme per la
elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del
consiglio comunale e del consiglio provinciale.
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(pubblicato il
13.9.2012)
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