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n. 9-2012 - © copyright

 

GINO SCACCIA*

Il premio di maggioranza nelle elezioni comunali al vaglio del giudice amministrativo

 

 


 

 

Sarà necessario l’intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato per risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto in ordine alle modalità di computo del premio di maggioranza nelle elezioni dei consigli comunali dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Sul punto, infatti, nei T.a.r. e nello stesso Consiglio di Stato, si fronteggiano diversi indirizzi ricostruttivi che stanno generando un’oggettiva incertezza in ordine alla regolare composizione dei consigli comunali dei predetti comuni.
Il contrasto giurisprudenziale concerne, segnatamente, l’interpretazione dell’art. 73, comma 10 del d.lgs. n. 18 agosto 2000 n. 267 (d’ora in poi: t.u.e.l.). Detto comma recita: «Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8[1], almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50 per cento dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8».
Nel caso, assai frequente, in cui il cosiddetto “premio di maggioranza”, fissato nella misura del 60% dei seggi del consiglio, porti ad assegnare un numero di seggi non corrispondenti a una cifra intera, si pone il problema se la cifra decimale residua debba essere arrotondata all’unità superiore ovvero a quella inferiore.
L’ipotesi è fatta oggetto di espressa e chiara disciplina per le elezioni dei consigli comunali di comuni con meno di 15.000 abitanti nonché per le elezioni dei consigli provinciali.
Quanto alle prime, l’art. 71, comma 8, del t.u.e.l. stabilisce che «alla lista collegata al candidato alla carica di sindaco che ha riportato il maggior numero di voti sono attribuiti due terzi dei seggi assegnati al consiglio, con arrotondamento all’unità superiore qualora il numero dei consiglieri da assegnare alla lista contenga una cifra decimale superiore a 50 centesimi».
Quanto alle seconde, il medesimo criterio di arrotondamento è previsto dall’art. 75, comma 8, t.u.e.l., secondo il quale «qualora il gruppo o i gruppi di candidati collegati al candidato proclamato eletto presidente della provincia non abbiano conseguito almeno il 60 per cento dei seggi assegnati al consiglio provinciale, a tale gruppo o gruppi di candidati viene assegnato il 60 per cento dei seggi, con arrotondamento all’unità superiore qualora il numero dei consiglieri da attribuire al gruppo o ai gruppi contenga una cifra decimale superiore a 50 centesimi».
Per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti non vi è alcuna previsione espressa nel t.u.e.l. Si prospettano, pertanto, in astratto, tre opzioni interpretative in ordine al modo di procedere all’arrotondamento della cifra decimale risultante dall’attribuzione del premio di maggioranza: a) arrotondamento per eccesso della cifra decimale, se superiore a 50 centesimi, e per difetto in caso contrario (in analogia con la richiamata disciplina degli artt. 71 e 75 del t.u.e.l.); b) arrotondamento per eccesso, all’unità superiore; c) arrotondamento per difetto, all’unità inferiore.
Il Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 14 maggio 2010, n. 3022 – in una questione che verteva sull’interpretazione dell’art. 73, comma 10, secondo alinea, del t.u.e.l., nella parte in cui configura quale fatto impeditivo dell’attribuzione del premio di maggioranza alle liste collegate al sindaco eletto nel turno di ballottaggio il superamento del 50% dei voti, nel primo turno di elezioni, da parte di altra lista o gruppo di liste[2] – ha incidentalmente affermato che il predetto comma 10 «ha inteso assicurare, per regola generale, al sindaco eletto almeno[3] il 60% dei seggi del consiglio, onde garantire un ampio margine di governabilità degli enti locali, attraverso la precostituzione, in favore del sindaco eletto, di una larga maggioranza in consiglio comunale, che gli consenta di portare agevolmente a termine il mandato»[4]. L’uso dell’avverbio “almeno” lasciava intendere che la soglia del 60% dei seggi era interpretata dal supremo collegio amministrativo come livello minimo, derogabile solo verso l’alto per effetto di arrotondamenti per eccesso della cifra decimale.
Questa conclusione è stata esplicitata dal T.a.r. Calabria, Catanzaro, sez. II, 28 luglio 2011, n. 1096, in un giudizio concernente l’annullamento del verbale di proclamazione degli eletti nel consiglio comunale di Crotone – che annovera 32 seggi – nella parte in cui assegnava alla coalizione vincente 20 seggi (corrispondenti al 62,5%) per effetto di un arrotondamento per eccesso. Il tribunale calabrese ha, infatti, rilevato che il 60% dei seggi costituisce la soglia minima garantita dalla legge alla coalizione del sindaco eletto, concludendo che l’attribuzione di un numero di seggi inferiore a tale percentuale, a seguito di arrotondamento per difetto[5] «implicherebbe (...) evidente violazione del dettato normativo, che fa riferimento in modo tassativo alla percentuale indicata del 60%».
Un diverso orientamento ha espresso il T.a.r. Veneto, in una questione relativa all’assegnazione dei seggi nel consiglio comunale di Chioggia (composto da 24 membri), ove si era proceduto ad assegnare alla coalizione vincente 14 seggi (pari al 58,3%), con arrotondamento per difetto della cifra, (pari a 14,4) risultante dall’applicazione del premio di maggioranza. Con sentenza 20 novembre 2011, n. 1570 il giudice amministrativo veneto ha affermato che la questione dell’arrotondamento in presenza di decimali, in quanto non specificamente regolata dall’art. 73 del t.u.e.l., deve essere risolta facendo riferimento, in via analogica, alla disciplina dettata per l’elezione del consiglio provinciale che, come si è anticipato, stabilisce che si fa luogo «all’arrotondamento all’unità superiore qualora il numero dei consiglieri da attribuire al gruppo o ai gruppi contenga una cifra decimale superiore a 50 centesimi». Di qui il rigetto del ricorso.
In un caso in cui alle liste collegate al sindaco vincente nel comune di Ravenna erano stati assegnati 19 consiglieri (pari al 59,375% dei 32 seggi consiliari), arrotondando per difetto la cifra corrispondente al 60% dei seggi (19,2), il T.a.r. Emilia-Romagna – Bologna, Sezione II, è giunto ad analoga conclusione fondandola sulla asserita vigenza, anche in materia elettorale di «un principio generale pregiuridico (quello sull’arrotondamento dei decimali) comune a tutti i settori dell’ordinamento e non derogabile per implicito». Con la sentenza 16 dicembre 2011, n. 841, il T.a.r. emiliano-romagnolo, movendo dal rilievo che la previsione del premio di maggioranza apporta una deroga espressa al principio di rappresentatività delle minoranze e che nulla il legislatore dispone in ordine alle modalità di arrotondamento da applicare alle elezioni dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, ha argomentato nel senso che «il carattere eccezionale della norma derogatoria ed il principio “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit” comporteranno (…) che in caso di quoziente decimale l’arrotondamento dovrà effettuarsi secondo i principi generali» – e cioè per eccesso in caso di decimale superiore al 50 centesimi, per difetto nel caso contrario – «non potendosi aggiungere alla deroga espressa (premio di maggioranza) la deroga tacita (arrotondamento comunque per eccesso) pretesa dal ricorrente in mancanza di espressa previsione».
In sede di appello della decisione del T.a.r. Calabria poco sopra ricordata, il Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 1° marzo 2012, n. 1197, premesso che l’art. 73, comma 10, del t.u.e.l. «impone (…) che la soglia, da ritenere tassativa, del 60% dei seggi sia raggiunta comunque, anche in sede di ballottaggio», ha statuito che l’eventuale arrotondamento per difetto «non corrisponderebbe né alla “ratio” della norma, né alla volontà del legislatore, rivolta a perseguire il fine fondamentale della migliore governabilità dei medi e grandi comuni». La medesima sezione del Consiglio di Stato ha ribadito questo indirizzo nella sentenza 18 aprile 2012, n. 2260 con cui ha riformato la sentenza del T.a.r. Emilia-Romagna n. 841 del 2011 cui si è fatto in precedenza riferimento.
Sulla scorta dell’interpretazione accreditata dal supremo collegio amministrativo, il Ministero dell’Interno, in vista delle elezioni comunali del 6 e 7 maggio 2012, ha trasmesso a tutti i Prefetti della Repubblica una circolare[6], nella quale si è chiarito a tutte lettere che «la percentuale del 60% da assegnare in virtù del premio di maggioranza deve essere determinata sempre attraverso l’arrotondamento per eccesso, anche nei casi in cui il numero dei consiglieri da attribuire alla lista o al gruppo di liste collegate al sindaco vincente contenga una cifra decimale inferiore ai 50 centesimi».
In applicazione della circolare, gli Uffici elettorali dei comuni hanno applicato il premio di maggioranza arrotondando verso l’unità superiore i seggi da assegnare alla lista o al gruppo di liste collegate al sindaco vincente, anche se ciò ha comportato il superamento della percentuale del 60% dei seggi prevista dall’art. 73 del t.u.e.l. quale premio di maggioranza.
E’ giunto a questo punto in decisione l’appello interposto avverso la citata sentenza del T.a.r. Veneto n. 1570 del 2011, con la quale – giova ricordarlo – il collegio aveva considerato applicabile, in base all’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, la disciplina dell’arrotondamento prevista per le elezioni provinciali.
La V sezione del Consiglio di Stato, sentenza 21 maggio 2012, n. 2928 ha ritenuto di non poter applicare in via analogica il criterio di arrotondamento dettato per le elezioni dei consigli provinciali[7], ma ha pure stabilito – in senso polarmente opposto rispetto alle richiamate pronunce della medesima sezione n. 3022 del 2010 e n. 1197 e 2260 del 2012 – che la soglia del 60% segna il «limite massimo del c.d. premio di maggioranza o di governabilità». Un limite «invalicabile», dunque, con la conseguenza che «quand’anche il rapporto percentuale non esprima un numero intero, le cifre decimali non potranno mai far variare in aumento il rapporto percentuale, facendo lievitare il numero dei seggi da assegnare alla coalizione del sindaco vincente».
A fondamento della decisione i giudici di Palazzo Spada hanno posto un’interpretazione logico-sistematica dell’art. 73 del t.u.e.l., in forza della quale il limite del 60% rappresenterebbe «il punto di equilibrio individuato dal legislatore tra i contrapposti valori della governabilità dell’ente locale e della tutela delle minoranze che permea la disciplina del sistema elettorale nei comuni con più di 15.000 abitanti». Un equilibrio che non potrebbe essere alterato mediante l’arrotondamento della cifra decimale all’unità superiore, perché tale arrotondamento, comportando l’attribuzione alla coalizione collegata al sindaco vincente di un ulteriore seggio, pregiudicherebbe in modo ingiustificato il principio rappresentativo, già sacrificato dalla previsione di un correttivo maggioritario alla ripartizione proporzionale dei seggi.
In seguito alle elezioni comunali del 6 e 7 maggio 2012, il meccanismo di arrotondamento in esame è stato nuovamente oggetto di contestazione nei ricorsi proposti avverso gli atti di assegnazione dei seggi consiliari nei comuni di Frosinone e Piacenza, entrambi con popolazione superiore ai 15.000 abitanti.
Nel decidere il ricorso frusinate, il T.a.r. Lazio, Latina, Sez. I, sentenza 26 luglio 2012, n. 604, ha richiamato il precedente del T.a.r. Calabria, n. 1096 del 2011 e le sentenze del Consiglio di Stato, n. 1197 e n. 2260 del 2012 per concludere laconicamente che l’attribuzione dei seggi «a seguito di arrotondamento per difetto, implicherebbe l’attribuzione di una percentuale di seggi inferiore al 60% (…) con evidente violazione del dettato normativo, che fa riferimento in modo tassativo alla percentuale indicata del 60%».
Al contrario, il Tar Emilia-Romagna, Parma, sez. I, sentenza 10 luglio 2012, n. 266, dato atto della esistenza dei ricordati, confliggenti indirizzi giurisprudenziali, ha ritenuto di uniformarsi all’interpretazione logico-sistematica avvalorata dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 2928 del 2012, indicando nella soglia del 60% il limite massimo, non superabile per effetto di arrotondamenti, del premio di maggioranza o di governabilità.

2. Così ricostruiti nei loro tratti essenziali, gli orientamenti delineatisi nella giurisprudenza amministrativa sulla questione dell’arrotondamento delle cifre decimali in sede di assegnazione del premio di maggioranza nelle elezioni dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti sono riducibili a tre.
Il primo, riferibile alle sentenze del Consiglio di Stato n. 1197 e n. 2260 del 2012, nonché alle sentenze del Tar Calabria n. 1096 del 2011 e del Tar Lazio, Latina n. 604 del 2012, ricava implicitamente dall’esigenza di assicurare sempre alla coalizione vincente una cifra non inferiore al 60% dei seggi il criterio dell’arrotondamento per eccesso.
Il secondo, espresso nelle decisioni del T.a.r. Veneto n. 1570 del 2011 e del T.a.r. Emilia-Romagna n. 841 del 2011, rinviene una lacuna nell’art. 73 del t.u.e.l. e la colma in un caso applicando in via analogica la disciplina dettata per le elezioni provinciali e per i piccoli comuni (T.a.r. Veneto), che prevede l’arrotondamento secondo la misura del decimale, se superiore o inferiore a 0,5; nell’altro considerando la predetta regola di arrotondamento come principio generale dell’ordinamento, applicabile in via suppletiva anche alla materia elettorale (T.a.r. Emilia-Romagna).
Il terzo, squadernato nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2928 del 2012, vede nella soglia del 60% non la quota minima di seggi da riservare alla coalizione vincente, ma la misura massima della prevalenza accordata, nel bilanciamento operato dal legislatore, alle esigenze della governabilità rispetto al principio della rappresentatività del voto espresso nell’elezione dei consiglieri comunali, e ne ricava che l’arrotondamento debba essere effettuato per difetto.
Sembra da rigettare la tesi che la regola dell’arrotondamento per eccesso della cifra decimale superiore ai 50 centesimi – che pure corrisponde a un criterio di comune esperienza del quale sarebbe arduo negare la ragionevolezza – esprima addirittura un principio «pregiuridico», operante in materia elettorale in assenza di contraria indicazione legislativa. Il fatto che gli artt. 71 e 75 del t.u.e.l. abbiano accolto espressamente questo criterio è semmai sicuro indizio del contrario; che esso, cioè, può trovare applicazione solo in quanto sia espressamente previsto.
Neppure è possibile fare ricorso, per analogia, alla disciplina dettata per le elezioni dei consigli provinciali e dei piccoli comuni. Da un lato, infatti, gli art. 71 e 75 del t.u.e.l. – come si è anticipato – hanno natura eccezionale e sono pertanto norme di stretta interpretazione; dall’altro, il criterio di arrotondamento in discorso è richiamato dallo stesso art. 73 del t.u.e.l. – cioè dalla norma che disciplina le elezioni amministrative nei comuni di medie dimensioni – ma è riferito al numero minimo e massimo dei candidati che devono essere compresi nelle liste elettorali, non invece al riparto dei seggi consiliari tra le liste che ne hanno titolo. Ciò inequivocamente chiarisce che la regola non trova applicazione fuori della tassativa ipotesi per la quale è stata prevista.
Del resto, se «non sono comparabili, al fine dell'attribuzione del premio di maggioranza, le due situazioni […] dell'elezione del sindaco al primo turno (in cui c'è il voto anche per una lista; c'è la possibilità del voto disgiunto e c'è la competizione di più liste e più candidati) e […] dell'elezione del sindaco al turno di ballottaggio (in cui il voto è unico; non si votano le liste collegate e sono parimenti possibili nuovi collegamenti; i candidati sono solo due)»[8], ancor meno raffrontabili e quindi suscettibili di essere omogeneamente disciplinate sono le elezioni provinciali e quelle comunali, per la diversità dei sistemi e delle formule elettorali previste per il rinnovo dei rispettivi consigli.
Anche la lettura proposta nell’ultima[9] pronuncia sul punto del Consiglio di Stato, la ricordata sentenza n. 2928 del 2012 non convince. Questa decisione, infatti, fa prevalere una suggestiva interpretazione logico-sistematica sulla chiara lettera della disposizione.
L’esigenza di garantire la rappresentatività del voto espresso nell’elezione dei consiglieri comunali dei comuni medi e grandi, che il legislatore ha bilanciato non irragionevolmente[10] con il principio maggioritario allorché ha previsto il premio di governabilità fissandolo nella misura del 60%, non può essere valorizzata a tal punto da sospingere l’interpretazione logico-sistematica dell’art. 73, comma 10, del t.u.e.l. oltre il perimetro rigidamente segnato dalla littera legis. E’ inibito, infatti, all’interprete ricorrere all’interpretazione logica quando attraverso questa «si tenda a modificare la volontà di legge chiaramente espressa»[11]. E l’unica volontà incontrovertibilmente espressa nell’art. 73 del t.u.e.l. è nel senso che alle liste collegate al sindaco eletto debba essere riservato il 60% dei seggi consiliari. Ritenere, come ha fatto il Consiglio di Stato, che l’arrotondamento delle cifre decimali debba sempre essere compiuto per difetto porta invece, inevitabilmente, ad assegnare alla coalizione di maggioranza un numero di seggi inferiore al 60%, con l’effetto di spostare la linea del bilanciamento compiuto dal legislatore fra principio maggioritario e principio rappresentativo.
Suscita infine perplessità un’interpretazione che colma il difetto di una specifica regola sull’arrotondamento applicando quale norma “di chiusura” della disciplina delle elezioni comunali il principio rappresentativo, quando la Corte costituzionale[12] e lo stesso Consiglio di Stato[13] hanno riconosciuto nel principio maggioritario «la regola generale […] individuata dal legislatore quale criterio ispiratore della disciplina delle elezioni comunali, rispetto all’opposto e recessivo principio di garantire la rappresentatività del voto espresso nell’elezione dei consiglieri comunali».
In ultima analisi, la tesi più convincentemente argomentabile è quella che configura la soglia del 60% come livello minimo e dunque autorizza sempre l’arrotondamento della cifra decimale all’unità superiore. Solo questo indirizzo, infatti, corrisponde fedelmente alla formulazione letterale dell’art. 73, comma 10, del t.u.e.l.
E’ utile ricordare, al riguardo, che l’articolo in parola, mentre dispone che alla lista o al gruppo di liste collegate al sindaco eletto «viene assegnato il 60 per cento dei seggi», prevede che vengano assegnati alle altre liste «i restanti seggi». Alle opposizioni non è attribuito, dunque, un numero di seggi pari al 40% – e cioè complementare al 60% spettante alla coalizione del sindaco eletto – ma il numero di seggi residuante dall’applicazione del premio di maggioranza. Da ciò pare possibile desumere che la soglia del 60% viene individuata come livello minimo tassativamente garantito, non derogabile in pejus, con l’effetto che aggiustamenti dettati dai necessari “arrotondamenti” dei decimali possono incidere soltanto sull’ammontare dei seggi «restanti», non certo sulla misura del premio di maggioranza, che non deve essere inferiore al 60% dei seggi.
Questa soluzione interpretativa trova sostegno nella constatazione che, allorquando la legge ha inteso indicare il numero massimo di seggi attribuiti a titolo di premio di maggioranza, ha correlativamente fissato un numero minimo garantito di seggi per le minoranze. E’ questo il caso dell’art. 2, comma 5, della legge della Regione Sicilia 15 settembre 1997, n. 35[14], che disciplina le “Modalità di elezione del Sindaco e del Consiglio comunale nei comuni con popolazione sino a 10.000 abitanti”. Esso recita: «Alla lista collegata al candidato sindaco eletto è attribuito il 60 per cento dei seggi assegnati al comune. All’altra lista che ha riportato il maggior numero di voti viene attribuito il 40 per cento dei seggi. Qualora altra lista non collegata al sindaco eletto abbia ottenuto il 50% più uno dei voti validi, alla stessa è attribuito il 60% dei seggi. In tal caso alla lista collegata al sindaco è attribuito il 40% dei seggi». Come ha chiarito il T.a.r. Sicilia, Palermo, sentenza 11 ottobre 2007, n. 2206, «la legge fissa in via astratta e predeterminata che la composizione del consiglio è ripartita attraverso due percentuali complementari non valicabili: il 60% dei seggi (per la maggioranza) più il restante 40% (per la minoranza)», di modo che, «quali che siano i risultati elettorali, la suddivisione dei seggi avviene nei limiti massimi e minimi stabiliti dalla legge».
Per l’elezione dei sindaci e dei consigli comunali dei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, l’art. 4, sesto comma, della citata legge elettorale siciliana pone, invece, una disciplina del tutto simile a quella che ci occupa. Detto comma prevede, infatti, che alle liste collegate al sindaco eletto che non abbiano già conseguito «almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio viene assegnato, comunque, il 60 per cento dei seggi, sempreché nessun’altra lista o gruppo di liste collegate abbia già superato il 50 per cento dei voti validi»; e prosegue disponendo che «I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate». Nessuna sorpresa che il T.a.r. siciliano, nella sentenza sopra rammentata, dal confronto fra le due disposizioni abbia desunto che al premio di governabilità non è posto «alcun limite percentuale massimo prestabilito».
Una conclusione che è auspicabile possa essere condivisa dal Consiglio di Stato quando sarà chiamato a pronunciarsi in sede di appello sulla sentenze del Tar Lazio n. 604 del 2012 e del Tar Emilia-Romagna n. 266 del 2012. Oltre a dirimere un grave dissidio giurisprudenziale, l’accoglimento di questa posizione – del resto pianamente derivante dalla littera legis – consentirebbe di evitare la riassegnazione dei seggi in tutti i consigli comunali formatisi a seguito delle elezioni del maggio 2012, ove, in ossequio alla sopra rammentata circolare del Ministero dell’Interno n. 8/2012, il premio di maggioranza è stato applicato arrotondando sempre la cifra decimale verso l’unità superiore.

 

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* Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Teramo.
[1] Il quale dispone, per quanto qui interessa, «Salvo quanto disposto dal comma 10, per l’assegnazione del numero dei consiglieri a ciascuna lista o a ciascun gruppo di liste collegate, nel turno di elezione del sindaco, con i rispettivi candidati alla carica di sindaco si divide la cifra elettorale di ciascuna lista o gruppo di liste collegate successivamente per 1, 2, 3, 4,... sino a concorrenza del numero dei consiglieri da eleggere e quindi si scelgono, fra i quozienti così ottenuti, i più alti, in numero eguale a quello dei consiglieri da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente».
[2] Segnatamente, il Consiglio di Stato era chiamato a decidere se la percentuale del 50% dei voti conseguita nel primo turno dalle liste antagoniste a quella del Sindaco eletto al ballottaggio – che opera come condizione impeditiva dell’attribuzione del premio di maggioranza - dovesse essere calcolato sui voti validi complessivamente conseguiti nel primo turno dalle liste concorrenti all’elezione, o invece sui voti validi conseguiti nel primo turno dai candidati alla carica di sindaco, comprensivi dei voti “disgiunti”, ossia espressi a favore dei candidati sindaci, ma non delle liste ad essi collegate.
[3] Enfasi nostra.
[4] Identica affermazione è stata ribadita dalla stessa sezione del Consiglio di Stato nella sentenza 28 febbraio 2011, n. 1269.
[5] Nella specie l’arrotondamento per difetto avrebbe portato ad attribuire alle liste collegate al sindaco eletto una percentuale di seggi pari al 59,375%.
[6] Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, Direzione centrale dei servizi elettorali, circolare n. 8/2012.
[7] Si legge nella sentenza citata: «non v'è spazio per l'interpretazione analogica per mancanza di presupposti (...) mancanza dell'eadem ratio sottesa agli articoli 73 e 75 del TUEL; natura eccezionale dell'art. 75 e, quindi, di stretta interpretazione"
[8] Così Corte cost., sentenza n. 107 del 1996.
[9] In verità la sentenza del Consiglio di Stato n. 2928 del 2012, non può a pieno titolo dirsi l’ultima pronuncia del Consiglio di Stato. Le motivazioni della sentenza, in effetti, sono state depositate lo scorso 21 maggio 2012, e ciò potrebbe far supporre che si tratti dell’ultima occasione in cui il consiglio ha avuto modo di prendere posizione sul tema che ci occupa. Occorre però considerare che la sentenza è stata trattata in udienza e decisa, lo scorso 24 febbraio, mentre la contraria sentenza n. 2201 di aprile è stata decisa il 20 marzo e, dunque, in un momento successivo. Sebbene, dunque, sul piano formale, la sentenza n. 2928 rappresenti l'ultima decisione del Consiglio di Stato, è altresì incontrovertibile che sul piano sostanziale la sentenza cui occorre fare riferimento come “ultimo pronunciamento” è quella depositata lo scorso aprile.
[10] V. ancora Corte cost., sent. n. 107 del 1996.
[11] Cass. 17 novembre 1993, n. 11359. Sul primato dell’interpretazione letterale rispetto agli altri criteri ermeneutici, che «riflette(ndo) l’ordine con cui i diversi criteri interpretativi sono disciplinati dall’art. 12 delle preleggi, secondo una gerarchia di valori non alterabile», di modo che «l’indagine per la corretta interpretazione di una disposizione legislativa deve essere condotta in via primaria sul significato lessicale che, se chiaro ed univoco, non consente l’utilizzazione di altre vie di ricerca», v. ex plurimis Cass. Sez. Un., 5 luglio 1982, n. 4000.
[12] Corte cost., sent. n. 107 del 1996.
[13] Consiglio di Stato, Sez. V, 14 maggio 2010, n. 3022.
[14] Nuove norme per la elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale.

 

(pubblicato il 13.9.2012)

 

 

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