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n. 10-2011 - © copyright

 

ALBERTO ROCCELLA

Verso il nuovo sistema di governo delle Università: un problema di diritto transitorio


La riforma del sistema di governo delle Università avviata dalla l. 30 dicembre 2010, n. 240, appare destinata a realizzarsi nel corso del prossimo anno accademico 2011-2012 mediante i nuovi statuti[1] i quali dovranno attenersi ai princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla legge[2], già oggetto di un’ampia e persuasiva analisi[3].
Il termine per l’adozione dei nuovi statuti, fissato dalla legge in sei mesi dalla data della sua entrata in vigore, è scaduto il 29 luglio 2011[4], ma non tutte le Università lo hanno rispettato. La legge prevede l’intervento sostitutivo del Ministro dell’istruzione, dell’Università e della ricerca (Miur) nei confronti delle Università inadempienti: il Ministro costituisce, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, una commissione composta da tre membri, compreso il presidente, in possesso di adeguata professionalità, con il compito di predisporre le necessarie modifiche statutarie. Ma l’intervento sostitutivo è previsto solo dopo l’inutile decorso dell’ulteriore termine di tre mesi assegnato dal Ministro alle Università inadempienti perché adottino il nuovo statuto[5]. Questo ulteriore termine, ove la sua decorrenza risulti fissata, come appare logico, in continuità col termine di sei mesi scaduto, scadrà il 29 ottobre 2011: entro tale data, ormai prossima, è possibile che molte fra le Università inadempienti adottino il nuovo statuto.
I nuovi statuti così adottati entreranno in vigore presumibilmente nella primavera del 2012, dopo il controllo da parte del Ministero[6], la loro emanazione da parte del Rettore e la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale[7].
La messa in opera del nuovo sistema di governo delle Università seguirà senza dilazioni. La legge ha stabilito, infatti, che i competenti organi universitari avviino le procedure per la costituzione dei nuovi organi statutari entro trenta giorni dalla data di pubblicazione dei nuovi statuti nella Gazzetta Ufficiale[8].
La legge ha regolato anche il passaggio dal vecchio al nuovo sistema di governo delle Università con una disciplina transitoria, immediatamente applicabile, posta dall’art. 2, comma 9, che comprende sei distinti periodi[9].
Il primo periodo del comma 9 stabilisce che gli organi collegiali delle Università (Consiglio di amministrazione e Senato accademico) decadono al momento della costituzione di quelli previsti dal nuovo statuto. La disposizione, per vero, riguarda solo il periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore dei nuovi statuti, non la fase precedente. Essa integra la disposizione appena ricordata, posta al comma precedente (ove avrebbe trovato più opportuna collocazione), secondo cui i competenti organi universitari avviano le procedure per la costituzione dei nuovi organi statutari entro trenta giorni dalla data di pubblicazione dei nuovi statuti nella Gazzetta Ufficiale: i nuovi organi collegiali statutari non solo devono essere costituiti senza indugio, ma entrano subito in funzione, cosicché gli organi collegiali preesistenti decadono al momento della costituzione di quelli nuovi, senza attendere la scadenza del periodo di durata in carica stabilita dagli statuti precedenti. I nuovi statuti devono, dunque, essere attuati immediatamente; non si deve ritardare l’entrata in funzione dei nuovi organi collegiali al solo fine di completare il periodo ordinario di durata in carica degli organi esistenti, i quali decadranno, in connessione con la costituzione degli organi collegiali previsti dai nuovi statuti, anche anticipatamente rispetto alla loro scadenza naturale.
Il secondo periodo dell’art. 2, comma 9, riguarda genericamente gli organi universitari, quindi tutti gli organi e non solo gli organi collegiali, come invece il primo periodo. Esso stabilisce che gli organi il cui mandato scade entro il termine di cui al comma 1 (il termine di sei mesi per l’adozione dei nuovi statuti) restano in carica fino alla costituzione degli stessi ai sensi del nuovo statuto. La disposizione è formulata in modo linguisticamente scorretto, ma è facilmente correggibile in via interpretativa: si deve intendere che i titolari degli organi in scadenza entro i sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge restano in carica fino alla costituzione (non degli stessi, bensì) dei nuovi organi ai sensi del nuovo statuto. Questa disposizione costituisce una deroga alle vigenti disposizioni statutarie sulla durata in carica degli organi: la legge ha voluto assicurare continuità di gestione alle Università, evitando che nel periodo della formazione dei nuovi statuti gli organi in scadenza vengano rinnovati, sulla base degli statuti antecedenti alla riforma, per un periodo breve visto che dovranno comunque essere rinnovati subito dopo l’entrata in vigore dei nuovi statuti.
I quattro periodi successivi (terzo, quarto, quinto e sesto) dell’art. 2, comma 9, riguardano specificamente i Rettori. Essi stabiliscono che: a) il mandato dei Rettori in carica al momento dell’adozione dello statuto è prorogato fino al termine dell’anno accademico successivo (terzo periodo); b) sono comunque fatte salve le scadenze dei mandati in corso previste alla data dell’elezione dei Rettori eletti, o in carica, se successive al predetto anno accademico (quarto periodo); c) il mandato dei Rettori i quali, alla data di entrata in vigore della legge, sono stati eletti ovvero stanno espletando il primo mandato è prorogato di due anni e non è rinnovabile (quinto periodo); d) tale proroga assorbe quella di cui al terzo periodo dello stesso comma (sesto periodo).
La proroga del mandato disposta dal terzo periodo è distinta e ulteriore rispetto alla permanenza in carica disposta dal precedente secondo periodo non solo perché riguarda esclusivamente i Rettori (e non anche gli altri organi accademici), ma anche perché decorre solo dal momento dell’adozione del nuovo statuto e cessa al termine dell’anno accademico successivo. La disposizione ha inteso così assicurare continuità di gestione anche nella prima fase di attuazione del nuovo statuto, confermando in carica i Rettori che hanno presieduto la Commissione statutaria e il Senato accademico i quali hanno rispettivamente predisposto e adottato lo statuto[10].
In generale queste disposizioni sulla disciplina transitoria del mandato dei Rettori sono state commentate osservando che esse confermano, oltre alla possibile azione di lobbying svolta dai Rettori in sede di formazione della legge, la considerazione normativa del Rettore quale “traghettatore” dell’Ateneo dal vecchio al nuovo sistema di governo[11].
In effetti una spiegazione delle proroghe del mandato dei Rettori disposte dal terzo, quarto, quinto e sesto periodo dell’art. 2, comma 9, può essere trovata nel compromesso tra l’obiettivo di dare sollecita attuazione al nuovo regime statutario e l’aspettativa dei Rettori in carica a essere rieletti (se rieleggibili) secondo il vecchio regime, mentre il nuovo regime di governo delle Università non consente loro il rinnovo del mandato. La legge, infatti, ha inserito tra i princìpi e i criteri direttivi per i nuovi statuti la durata della carica di Rettore per un unico mandato di sei anni, non rinnovabile[12]; essa, inoltre, ha stabilito che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni sui limiti del mandato del Rettore (ma anche dei componenti il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione), sono considerati anche i periodi già espletati nell’Ateneo alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti[13]. Tutti i Rettori dovranno quindi essere rinnovati, senza possibilità di conferma per quelli già in carica antecedentemente. Le disposizioni sulla proroga dei Rettori in carica possono aver favorito il loro consenso politico su una legge che li penalizza poiché non consente loro il rinnovo della carica.
In tema di proroga del mandato dei Rettori si presenta, tuttavia, un problema che non sembra essere stato finora sollevato: si tratta di valutare se la proroga possa operare anche nel caso in cui il professore che rivesta la carica di Rettore venga collocato a riposo e finisca quindi il suo rapporto di servizio con l’Università.
Per approfondire questo problema è opportuno esaminare la disciplina a regime antecedente alla legge di riforma e quella ordinaria posta dalla legge stessa.
Nel regime ordinario antecedente alla riforma del 2010 la possibilità della copertura della carica di Rettore da parte di un professore a riposo era espressamente ammessa. L’art. 14, quinto comma, della l. 18 marzo 1958, n. 311, stabiliva, infatti, che “I professori collocati fuori ruolo, ai sensi del presente articolo, possono essere eletti o rieletti all’ufficio di rettore o di preside, dal quale cessano all'atto del collocamento a riposo, se si tratta della carica di preside; mentre, per l’ufficio di rettore, il professore che lo ricopre, nell’atto che è collocato a riposo nei limiti di età può continuare in tale ufficio fino alla scadenza del triennio per il quale era stato eletto”. Lo status di professore in servizio (ancorché fuori ruolo) era necessario per l’assunzione delle cariche accademiche di Preside e di Rettore e il collocamento a riposo comportava la cessazione dalla carica di Preside; ai Rettori però (e solo ai Rettori, non invece ai Presidi di Facoltà) si consentiva di completare il mandato triennale anche oltre il collocamento a riposo, in deroga al principio generale secondo cui il Rettore deve essere un professore ordinario appartenente alla rispettiva Università[14].
La l. 240/2010 ha ora affidato agli statuti la determinazione delle modalità di elezione del Rettore tra i professori ordinari in servizio presso le Università italiane[15] e ha stabilito altresì che l’elettorato passivo per le cariche accademiche è riservato ai docenti che assicurano un numero di anni di servizio almeno pari alla durata del mandato prima della data di collocamento a riposo[16]. L’età pensionabile dei professori di prima fascia è fissata a settant’anni[17]; pertanto a seguito dell’entrata in vigore dei nuovi statuti i docenti di età superiore ai sessantaquattro anni risultano ineleggibili alla carica di Rettore.
L’art. 14, quinto comma, della l. 18 marzo 1958, n. 311, aveva già perso rilevanza, per la parte relativa alla condizione di professore fuori ruolo, a seguito della graduale ma ormai completa (dopo la fine dell’anno accademico 2009-2010) soppressione del regime di fuori ruolo prima del collocamento in quiescenza[18]. La disposizione, inoltre, non poteva riguardare i nuovi Rettori che saranno eletti a seguito dei nuovi statuti: per costoro il problema non si pone, dato che la possibilità di completare l’unico mandato di sei anni entro il collocamento a riposo costituisce condizione di eleggibilità alla carica. La disposizione medesima, tuttavia, sarebbe potuta rimanere ancora applicabile, ove richiamata dagli statuti delle singole Università o con essi compatibile, nella parte in cui consentiva ai Rettori di completare il loro mandato anche oltre il collocamento a riposo.
La l. 240/2010, tuttavia, ha disposto l’abrogazione dell’art. 14, quinto comma, della l. 311/1958, e anzi ha avuto cura di precisare che l’abrogazione decorre dalla data di entrata in vigore della stessa legge[19]. L’abrogazione, dunque, ha effetto proprio ed esclusivamente per i Rettori eletti in base agli statuti antecedenti alla riforma, ai quali non si è voluto consentire di completare il mandato elettivo oltre il collocamento a riposo, come invece sarebbe stato possibile in base alla disposizione abrogata.
L’abrogazione dell’art. 14, quinto comma, della l. 311/1958 costituisce un serio argomento per escludere che le proroghe disposte dall’art. 2, comma 9, della l. 240/2010 possano operare anche nei confronti di chi rivesta la carica di un Rettore ma venga collocato a riposo come professore. Una tale interpretazione condurrebbe a considerare la legge come rinnegante: le disposizioni sulla proroga consentirebbero la possibilità di permanenza nella carica oltre il collocamento a riposo, possibilità che è invece venuta meno con l’abrogazione dell’art. 14, quinto comma, della l. 311/1958. L’abrogazione di tale disposizione risulterebbe inutile, e anzi contraddetta da una tale interpretazione.
Ma, anche dal punto di vista strettamente testuale, i possibili dubbi sull’interpretazione delle disposizioni sul regime transitorio poste dall’art. 2, comma 9, della l. 240/2010 si prestano a essere sciolti senza incertezze. Il secondo periodo considera “gli organi il cui mandato scade entro il termine di cui al comma 1”, stabilendo che essi restano in carica, e quindi si riferisce esclusivamente al periodo di durata in carica degli organi, non invece ai requisiti soggettivi per la titolarità delle cariche in scadenza. Il terzo periodo è ancor più chiaro, poiché stabilisce che “il mandato dei rettori (…) è prorogato (…)”: la disposizione si riferisce soltanto alla durata della carica, di cui dispone la proroga, non ai requisiti soggettivi per la titolarità della carica stessa; e anche i periodi successivi si riferiscono alla proroga del mandato dei Rettori.
Le disposizioni esaminate, dunque, non pongono alcuna deroga ai requisiti soggettivi per la titolarità della carica di Rettore, in particolare al requisito di professore di prima fascia in servizio, inderogabilmente richiesto dalla legislazione statale vigente ma richiamato anche da vari statuti di Università che considerano il caso di perdita sopravvenuta dei requisiti per l’assunzione della carica e dispongono il rinnovo della carica nonché la sostituzione temporanea del Rettore che abbia perso i necessari requisiti soggettivi, per solito mediante affidamento delle sue funzioni al prorettore vicario.
A regime, il rapporto d’ufficio del Rettore risulta inscindibilmente connesso col rapporto di servizio, quale professore dell’Università, anche sulla base di altra disposizione della l. 240/2010. L’eleggibilità a Rettore è stata estesa ai professori ordinari in servizio genericamente presso le Università italiane; ma l’elezione di un professore appartenente ad altro Ateneo (un Rettore straniero, si potrebbe dire scherzosamente) comporta automaticamente il suo trasferimento nell’Università ove l’eletto rivestirà la carica di Rettore[20], in deroga alle procedure ordinarie per la chiamata dei professori, le quali impongono un procedimento pubblico indetto sulla base di una programmazione triennale comprendente il fabbisogno di personale, nonché la valutazione delle pubblicazioni scientifiche, del curriculum e dell’attività didattica dei candidati alla chiamata[21]. Questa disciplina induce a ritenere che la rottura, anche solo per il periodo transitorio, della inscindibile connessione del rapporto d’ufficio del Rettore col rapporto di servizio quale professore richiedesse una disposizione espressa che invece manca.
In definitiva appare preferibile ritenere, per convergenti ragioni sistematiche e testuali, che la l. 240/2010 abbia operato un bilanciamento tra interessi contrapposti solo per quanto concerne la durata del mandato dei Rettori. L’interesse alla continuità della gestione universitaria nel periodo transitorio della formazione dei nuovi statuti e in quello immediatamente successivo alla loro entrata in vigore è stato considerato prevalente sulle disposizioni statutarie relative alla durata del mandato di Rettore.
La legge, invece, non ha apportato alcuna deroga ai requisiti soggettivi previsti per il Rettore, a regime, dalla legge e dagli statuti, rispettando pienamente la natura delle Università statali di comunità di professori in servizio (non di pensionati) e di studenti, natura ribadita dalla stessa legge[22]. In conclusione si deve ritenere che il collocamento a riposo quale professore escluda la possibilità di applicare ai Rettori le speciali disposizioni sul regime transitorio poste dall’art. 2, comma 9, della l. 240/2010 e renda necessaria la loro sostituzione nelle forme previste dagli statuti vigenti, non ancora rinnovati.

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[1] L’art. 2 della l. 240/2010 ha adoperato indifferentemente varie espressioni: “le Università (...) provvedono (…) a modificare i propri statuti” (comma 1, alinea); “le Università (…) modificano (…) i propri statuti” (comma 2, alinea); “lo statuto contenente le modifiche statutarie (…)” (comma 5, primo e quarto periodo); “le modifiche statutarie (…)” (comma 6); “lo statuto (…)” (comma 7); “i nuovi statuti (…)” (commi 8 e 10); “il nuovo statuto (…)” (comma 9). Queste espressioni devono considerarsi tutte equivalenti: considerato che le modifiche statutarie imposte dalla legge sono molto rilevanti, per brevità si può parlare di nuovi statuti.
[2] L. 240/2010, art. 2, comma 1.
[3] V., in particolare, F. Merloni, La nuova governance, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, 353 ss.
[4] La l. 240/210 è stata pubblicata nel supplemento ordinario n. 11 alla Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14 gennaio 2011 ed è entrata in vigore, secondo la regola ordinaria (art. 73, terzo comma, Cost.), il 29 gennaio 2011. Il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge per l’adozione dei nuovi statuti è fissato dall’alinea dell’art. 2, comma 1.
[5] L. 240/2010, art. 2, comma 6.
[6] Per il controllo da parte del Miur l’art. 2, comma 7, l. 240/2010 prevede il termine di centoventi giorni dalla ricezione dello statuto.
[7] L’art. 2, comma 7, l. 240/2010 rinvia per il controllo sugli statuti all’art. 6 della l. 9 maggio 1989, n. 168. Questo rinvio deve intendersi in senso ampio, e quindi non strettamente limitato al controllo del Ministero, ma a tutte le fasi del procedimento di formazione dello statuto non specificamente e diversamente disciplinate dalla stessa l. 240/2010, quindi anche all’emanazione e alla pubblicazione dello statuto (art. 6, commi 9, 10 e 11, l. 240/2010).
[8] L. 240/2010, art. 2, comma 8.
[9] Sull’art. 2, comma 9, l. 240/2010 v. F. Merloni, La nuova governance, cit., 358.
[10] L. 240/2010, art. 2, comma 5.
[11] V. F. Merloni, La nuova governance, cit., 358.
[12] L. 240/2010, art. 2, comma 1, lett. d).
[13] L. 240/2010, art. 2, comma 10.
[14] V. l’art. 7 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore approvato col r.d. 31 agosto 1933, n. 1592.
[15] L. 240/2010, art. 2, comma 1, lett. c).
[16] L. 240/2010, art. 2, comma 11. La disposizione è formulata in modo pedestre, ma almeno non si presta a equivoci o dubbi interpretativi.
[17] L. 4 novembre 2005, n. 230, art. 1, comma 17. Da ultimo l’art. 25 della l. 240/2010 ha stabilito che l’art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (sul mantenimento in servizio biennale oltre l’età pensionabile) non si applica a professori e ricercatori universitari. I provvedimenti adottati dalle università ai sensi della predetta norma decadono alla data di entrata in vigore della legge, ad eccezione di quelli che abbiano già iniziato a produrre i loro effetti.
[18] La soppressione del regime di fuori ruolo prima del collocamento a riposo è stata disposta dall’art. 1, comma 17, l. 4 novembre 2005, n. 230 per i professori nominati secondo le disposizioni della stessa legge ed è stata generalizzata dall’art. 2, comma 434, della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008).
[19] L. 240/2010, art. 29, comma 11, alinea e lett. a).
[20] L. 240/2010, art. 2, comma 1, lett. c).
[21] L. 240/2010, art. 18.
[22] Per la precisione la l. 240/2010, prevedendo il codice etico della comunità universitaria (art. 2, comma 4), considera tale comunità formata dal personale docente e ricercatore, dal personale tecnico-amministrativo e dagli studenti dell’Ateneo.

 

(pubblicato il 10.10.2011)

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