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ANDREA GIORDANO

S.c.i.a. e tutela del terzo al vaglio del nuovo codice del processo amministrativo

 

 


 

 

SOMMARIO: 1. Posizione del problema. 2. D.i.a. e tutela del terzo: le alternative possibili. 3. Lo stato dell’arte dopo l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività. 4. Segue. Tecniche di tutela alla luce del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. 5. Criteri di valutazione e soluzioni preferibili. 6. Segue. Oltre la tutela dichiarativa. 7. Dalla lettera al sistema. Postilla su tutela ‘piena’ e codici ‘incompleti’.


1. Posizione del problema.

E’ di pochi mesi addietro l’ordinanza con cui la IV sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione della tutela del terzo avverso una d.i.a. carente di presupposti[1].
Ben più risalente è il dibattito sottostante, che ha visto contrapposte giurisprudenza e dottrina, e mai ha trovato soluzioni univoche.
La controversa natura della d.i.a.[2], da sempre contesa tra tesi privatistica[3] e pubblicistica[4], e le conseguenti difficoltà ricostruttive della situazione soggettiva del dichiarante e del terzo, hanno dato vigore alla querelle sugli strumenti di tutela azionabili. Né ha certo aiutato il mutamento anagrafico dell’istituto, che, assunto il nome di “denunzia”, è stato, poi, etichettato “dichiarazione”[5], pur mantenendo il nome del primo genetliaco in relazione alla materia edilizia. E, proprio dal Testo Unico dell’Edilizia[6], le fattispecie si sono moltiplicate: alla d.i.a. semplice[7] si è affiancata quella in variante a permesso di costruire[8] e la cosiddetta super-d.i.a[9]. La recente introduzione della d.i.a. ad effetti immediati, avvenuta con la l. n. 69/2009[10] e il successivo d.lgs. n. 59/2010[11], ha ancor più complicato lo stato dell’arte.
Della criticabile equivocità dei termini impiegati, che poco appaiono conseguenza delle cose, e della diversità dei regimi normativi, è figlia una giurisprudenza indecisa, capace di cambiare, anche a distanza di pochi giorni, opinione[12].
Se fare pronostici di sentenze più si addice ai venditori di almanacchi, è pur possibile vagliare, nelle more della decisione ormai prossima, i diversi rimedi a tutela del terzo, verificando se le recenti novelle del diritto sostanziale e del processo possano consentire l’approdo a soluzioni conformi al principio di effettività della tutela.
E’, infatti, innegabile che il recente, ed ennesimo, cambiamento di nome del nostro istituto, che, da denuncia o dichiarazione che era, è divenuto segnalazione certificata di inizio attività[13], oltre all’entrata in vigore, lo scorso 16 settembre, del codice del processo amministrativo[14], impongano una nuova lettura del problema, atta a vagliare la possibile strumentalità dei rimedi giurisdizionali rispetto alla posizione sostanziale del terzo.
Poiché la bontà di una norma dipende dalla sua capacità di dare risposte, il nostro tema costituisce, non solo l’occasione, ma anche il banco di prova, dell’intervenuta codificazione del processo.

2. D.i.a. e tutela del terzo: le alternative possibili.

Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104/2010 e della l. 122/2010, più di uno erano gli strumenti azionabili dal terzo controinteressato[15].
Era, evidentemente, necessario distinguere a seconda di come si configurasse la denuncia-dichiarazione di inizio attività.
Alquanto immediata era la soluzione praticabile ove si fosse condivisa la tesi pubblicistica, che, facendo leva sul lemma ‘denunzia’, sulla formulazione letterale dell’art. 19 c. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241 e sulla possibilità della p.a. di intervenire in autotutela dopo trenta giorni dalla presentazione della d.i.a.[16], qualificava quest’ultima alla stregua di un atto abilitativo implicito[17] o tacito[18].
La presenza di un atto amministrativo da impugnare consentiva al terzo di esperire l’azione tipica di annullamento, nelle forme di cui alla l. 6 dicembre 1971, n. 1034.
Nessun problema sorgeva in ordine al termine di impugnativa, chiaramente coincidente con quello decadenziale di sessanta giorni, né sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, competente ex art. 19 c. 5 l. n. 241/1990[19].
Ben più accidentato appariva il percorso di tutela, ove, in virtù di un’asserita ratio di liberalizzazione, e non solo di semplificazione, sottostante all’art. 19 l. n. 241/1990 e accentuata dalle più recenti novelle[20], si fosse optato per la tesi privatistica[21].
Data l’inammissibilità di un’azione caducatoria avverso un atto soggettivamente e oggettivamente privato, non restava al terzo che stimolare l’esercizio dei poteri di autotutela o sanzionatori dell’amministrazione pubblica.
Era, del resto, impensabile che desse risultati apprezzabili un sollecito all’esercizio del potere, previsto all’articolo 19 c. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, e funzionale ad inibire la prosecuzione dell’attività edilizia e a rimuoverne gli effetti. La natura perentoria del termine di trenta giorni e la conseguente, inevitabile, consumazione del potere inibitorio avrebbero reso ineffettivo il rimedio[22].
Se, poi, la prevista giurisdizione esclusiva non rendeva agevolmente praticabile l’armamentario civilistico di cui agli articoli 872 c. 2 o 1171 e 1172 c.c.[23], l’ammissibilità di un ricorso ex art. 700 c.p.c. doveva essere negata in presenza di rimedi tipizzati.
Astrattamente, avrebbe sciolto il nodo un sollecito all’esercizio dei poteri di revoca ex art. 21- quinquies o di annullamento ex art. 21- nonies l. n. 241/1990, con successivo ed eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto[24]. In sostanza, ove la p.a. non avesse adottato il provvedimento richiesto nei termini di legge, si sarebbe incardinato il rito di cui all’articolo 21- bis l. 6 dicembre 1971, n. 1034[25].
Altrettanto in astratto, si sarebbe potuto optare per un’istanza di stimolo all’esercizio dei poteri di cui agli artt. 27 e ss. d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380[26].
Tuttavia, nel concreto, l’uno o l’altro sollecito, e l’eventuale ricorso avverso il silenzio-inadempimento, oltre a duplicare tempi e costi, poco avrebbero garantito il terzo.
E’, infatti, pacifico che la revoca, pur sollecitata dalla parte diligente, si disponga solo per motivi di pubblico interesse, sopravvenuti al provvedimento originario, o per avvenuto mutamento della situazione di fatto. La preminenza dell’interesse pubblico al mantenimento dell’atto avrebbe potuto giustificare il sacrificio della posizione del terzo[27].
E ancora, il carattere discrezionale dei poteri di revoca o di annullamento avrebbe, nella prospettiva del successivo contenzioso, ulteriormente inficiato la tutela. Il giudice amministrativo si sarebbe, infatti, limitato ad enunciare l’obbligo della p.a. di provvedere, senza nulla dire in ordine al quomodo[28].
Poco convincente risultava altresì la diversa tesi imperniata sullo stimolo, da parte del privato, all’esercizio dei poteri di cui al d.p.r. n. 380/2001. Nonostante questi ultimi siano vincolati, e non meramente discrezionali[29], il loro esercizio presuppone un intervento edilizio già in essere, mentre ben prima può sorgere l’interesse ad agire del terzo[30].
Alle descritte carenze del sistema giudiziale ha provato a rimediare la nota sentenza n. 717/2009 del Consiglio di Stato[31], che ha ammesso, a tutela del controinteressato, un’azione di mero accertamento dell’insussistenza dei presupposti per la libera intrapresa dell’attività edilizia.
Superando i tradizionali limiti all’ammissibilità della citata azione, normalmente negata al di fuori della giurisdizione esclusiva sui diritti soggettivi[32], la giurisprudenza ha, così, modulato il rimedio sulla base della pretesa del controinteressato, nell’ottica del principio di effettività della tutela. Pur in assenza di un atto contro cui ricorrere, al terzo è dato conseguire un accertamento autonomo, previo ricorso ai sensi della legge Tar, notificato all’amministrazione competente e al denunciante quale controinteressato[33]. Come avviene per l’ordinaria azione di annullamento, deve osservarsi il termine decadenziale di sessanta giorni, con decorrenza dall’effettiva conoscenza della d.i.a. da parte del terzo[34].

3. Lo stato dell’arte dopo l’introduzione della s.c.i.a.

Se, con l’art. 49 c. 4- bis l. 30 luglio 2010, n. 122 e gli articoli 29 ss. d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, il quadro di tutela sia sostanzialmente mutato, o se il tutto si sia, piuttosto, risolto in un mero maquillage normativo, lo si deve dire previa attenta analisi dei richiamati disposti.
In preminente rilievo viene la prima delle norme citate, che ha ribattezzato “s.c.i.a.” l’ormai “fu” dichiarazione-denuncia[35].
La novità principale si coglie a prima lettura dell’articolo 19 della l. n. 241/1990, per cui è dato intraprendere un’attività oggetto di d.i.a. senza necessità di attendere il decorso dei trenta giorni prima previsti[36].
In linea con il d.lgs. n. 59/2010[37], si è notevolmente accentuata la funzione di liberalizzazione dell’istituto[38], così prestandosi, indirettamente, avallo allo schema norma-fatto-effetto[39]: è dalla mera segnalazione del privato, e non dall’esercizio di un potere pubblico, che discende ogni effetto di legge.
A bilanciamento dell’efficacia immediata della s.c.i.a. vi è, tuttavia, l’onere[40] del privato di allegare alla segnalazione, non solo le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e di atto notorio concernenti stati, qualità personali e fatti ex d.p.r. n. 445/2000, oltre alle “attestazioni ed asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero le dichiarazioni di conformità” dell’Agenzia delle imprese, relative all’esistenza dei presupposti di legge cui è subordinata l’attività da intraprendere, ma anche gli elaborati tecnici che consentano le verifiche dell’amministrazione. Sta, insomma, al segnalante espletare un’accurata istruttoria preventiva, garantita, nella veridicità dei risultati, dalla neointrodotta sanzione penale di cui all’ultimo comma dell’art. 19.
Residua, poi, in capo alla p.a., il potere-dovere di verificare, nei sessanta giorni successivi alla presentazione della s.c.i.a., la sussistenza dei requisiti di legge, nonché di inibire, in loro mancanza, l’intervento iniziato, fatta salva la facoltà di “assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi degli articoli 21- quinquies e 21- nonies”.
Molto si dice, insomma, sull’interessato, in tutto agevolato – fuorché nel deterrente penale[41] – dalla nuova normativa, altrettanto tutelato appare l’interesse dell’amministrazione pubblica, ma neanche un cenno si dedica a chi, come il terzo, ha un interesse contrario all’attività avviata.
L’assenza di chiarezza sulla portata applicativa del nuovo istituto, che sì sostituisce la d.i.a., ma non si comprende in che misura e con che limiti, lede la certezza del diritto e, con questa, le possibilità di tutela del terzo[42]. Sapere, infatti, se ci si trova innanzi ad un’attività autorizzata, anziché ad una semplicemente ‘segnalata’, non è di poco conto nella prospettiva del controinteressato, il cui affidamento meriterebbe una considerazione maggiore.
E’, in ogni caso, l’ampia formulazione del primo comma ad indurre a pensare che la s.c.i.a. sostituisca in toto la d.i.a., anche edilizia[43].
Una portata siffatta – che, de jure condendo, andrebbe meglio modulata – pone il terzo avanti al ‘fatto compiuto’ di un intervento in suo danno, di cui potrebbe venire a conoscenza oltre il termine di sessanta giorni e che, comunque, potrebbe pregiudicarlo anche nei casi in cui manchi il pericolo di danni gravi e irreparabili per il patrimonio artistico o ambientale[44].
E, ancora, nulla si dice sulle tecniche di tutela, non potendo certo bastare la facoltà, di cui al comma quinto, di proporre un “ricorso giurisdizionale” al giudice amministrativo “nei termini di legge”, ove insorgano controversie concernenti l’applicazione dello stesso articolo 19[45].
Non basta accentuare la ratio di liberalizzazione, avallando l’efficacia immediata di una s.c.i.a. a portata generale, per risolvere, in termini chiari ed univoci, un problema tanto vessato.
Che, per avere tutela, si debba proporre un ricorso giurisdizionale è poco più di una tautologia. O forse un modo, più o meno elegante, di rimettere a terzi le questioni scomode.

4. Segue. Tecniche di tutela alla luce del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Al silenzio della legge va posto rimedio in via esegetica.
La soluzione deve, necessariamente, individuarsi nel nuovo codice del processo amministrativo[46], introdotto dal d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 ed entrato in vigore il 16 settembre scorso. Il lemma “ricorso” non può che postulare gli articoli 29-31 del nuovo corpo normativo, ove è contenuta una disciplina puntuale delle azioni esperibili nel rito amministrativo.
La tradizionale natura costitutiva del nostro processo ha un suo evidente retaggio nell’articolo 29, che, disciplinando l’azione di annullamento, conferma il carattere generale e necessario che ha sempre avuto nel sistema di tutela[47]. Poiché, infatti, la giurisdizione amministrativa sussiste ove si controverta sull’esercizio o sul mancato esercizio di un potere amministrativo[48], normalmente esplicantesi in atti autoritativi, l’annullamento di questi resta, per lo più, la condicio per quam della tutela[49].
Ben più innovativa è la tutela di condanna, che, un tempo confinata nei limiti angusti dell’articolo 26 c. 3 legge Tar[50], trova, oggi, ampia cittadinanza: né risulta limitata alle sole domande a contenuto pecuniario, né alla sola giurisdizione esclusiva.
L’articolo 30, che ne detta la disciplina, distingue, infatti, tra condanna esperibile in via autonoma, in seno alla giurisdizione esclusiva, e condanna proponibile contestualmente ad altra azione[51], nell’ambito della giurisdizione di legittimità. Trova, poi, puntuale menzione la condanna al risarcimento dei danni discendenti dall’esercizio dell’attività amministrativa[52], inclusi quelli derivanti dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. Se, poi, sia ammissibile l’azione di adempimento, specie del genere in commento, non è cosa di immediata soluzione: tuttavia, la sua espunzione dalla bozza originaria potrebbe indurre alla tesi restrittiva[53].
Stando alla lettera, sembra, invece, meno estesa la portata del mero accertamento, previsto dall’articolo 31 cod. proc. amm., in relazione all’ipotesi della declaratoria di nullità[54]. Rilevano altresì l’articolo 114 c. 4, che prevede la declaratoria di nullità degli atti in violazione o elusione del giudicato, gli articoli 121 e 122, ove è prevista la pronuncia che accerti l’inefficacia del contratto, oltre all’articolo 34 c. 5, sulla cessazione della materia del contendere[55]. La stessa azione avverso il silenzio, di cui al citato articolo 31, ha un contenuto composito, di accertamento dell’obbligo della p.a. di provvedere e di condanna all’adozione del provvedimento ovvero, semplicemente, di condanna a provvedere[56].
Date le azioni astrattamente proponibili, è necessario comprendere quale, tra queste, valga come“ricorso giurisdizionale” a tutela del controinteressato, previa individuazione della natura giuridica del nostro istituto.
L’efficacia immediata della nuova s.c.i.a., che consente al privato di avviare, senza vaglio a monte, l’attività economica o l’intervento edilizio, induce a configurare la ‘segnalazione’ alla stregua di un mero adempimento. Pertanto, la difficoltà di sostenere, a tutt’oggi, la tesi pubblicistica porta ad escludere, dal ventaglio delle azioni esperibili, quella ordinaria di annullamento[57].
In presenza di una s.c.i.a. a natura privatistica, viene, anzitutto, in rilievo la tesi dell’impugnativa del silenzio-rifiuto, i cui caratteri non appaiono mutati alla luce degli articoli 31 e 117 del codice del processo[58].
Era, del resto, già acquisito che potesse proporsi il ricorso “anche senza previa diffida”, “fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza di conclusione del procedimento”. Altrettanto pacifica era la facoltà del giudice di nominare un commissario ad acta[59]. Ancorché non innovativa, è, invece, più rilevante la previsione per cui, mentre al ricorrere di un potere vincolato[60], è consentito il vaglio della fondatezza della pretesa, lo stesso non è dato in presenza di un potere discrezionale. La chiara formulazione della norma dirada ogni dubbio sull’ampiezza, nella subiecta materia, dei poteri del giudice e, così, sulla tutela effettivamente erogabile. Il carattere squisitamente discrezionale dei poteri di autotutela legherebbe le mani del g.a., non consentendogli di garantire appieno gli interessi pretensivi del ricorrente[61].
Se sia, poi, esperibile un’azione di mero accertamento, lo si deve dire alla luce dell’articolo 31. La mancata generalizzazione del rimedio[62], le elaborazioni della processualcivilistica, spesso propensa al confinamento della tutela dichiarativa entro limiti angusti[63], e la necessità di preservare la discrezionalità della p.a.[64], potrebbero suggerire una risposta negativa. Così, il codice avrebbe accolto il principio per cui la tutela è possibile solo se tipica: a ogni rimedio non contemplato sarebbero, a priori, sbarrate le porte.

5. Criteri di valutazione e soluzioni preferibili.

Non bastano, però, uno o più indizi a fare una prova, viepiù in presenza di dati testuali che elevano l’atipicità a criterio cardine del sistema processuale.
Ha rilievo assorbente l’articolo 1 del codice del processo, che, consacrando il principio di effettività[65], lo fa assurgere a canone ermeneutico dell’intero corpo normativo e, così, impone una lettura dei disposti con modalità allo stesso conformi[66]. Non basta la mancata previsione testuale di un istituto per negarne l’esistenza, né è detto che la lettera della nuova normativa vada a rimpiazzare quanto già da tempo, in via pretoria, si riconosceva a tutela del soggetto leso.
Ciò è confermato, non solo dall’articolo 44 della legge delega n. 69/2009, che ha fissato, quale criterio direttivo del codice del processo, quello di rivedere le azioni prevedendo le pronunce idonee a soddisfare la pretesa del ricorrente[67], ma anche dall’articolo 34 cod. proc. amm., per cui il giudice condanna all’ “adozione delle misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio” e altresì “dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato”. Così, in materia di misure cautelari, l’articolo 55 cod. proc. amm., sulla scia della legge 21 luglio 2000, n. 205, dà la facoltà di chiedere quelle “più idonee” ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso.
Se l’effettività ha, quale metro, la strumentalità del rimedio rispetto alla posizione sostanziale, ad ogni situazione soggettiva deve, sempre e comunque, corrispondere lo strumento più idoneo a tutelarla.
In presenza di interessi legittimi in tutto equiparati ai diritti soggettivi[68], si impone la simmetria dei rimedi azionabili, pena l’irragionevolezza del regime normativo.
Poiché, in relazione alla s.c.i.a., è ben difficile ammettere l’azione di annullamento, e poco effettivo risulta il ricorso avverso il silenzio[69], non può negarsi quel minimo di tutela, presupposto di ogni altra azione, che è l’accertamento mero.
‘Accertare e dichiarare’ sono, del resto, un tutt’uno con il giudicare: non si condanna, né si costituisce, modifica o estingue senza aver previamente accertato. L’articolo 30, e lo stesso articolo 29, non starebbero in piedi se non presupponessero un accertamento autonomo in termini ampi e generali[70].
Neanche rilevano gli argomenti fondati sulla discrezionalità dell’azione amministrativa: se lo iura novit curia è connaturale al sistema giudiziario nostrano, e accertare la carenza dei presupposti di legge non è altro che svolgere la funzione giudiziaria, non può dirsi che
il mero accertamento scalfisca il principio di separazione dei poteri[71]. In ogni caso, deve ammettersi che, anche in presenza di poteri discrezionali, sia dato al giudice accertare il rapporto controverso e, così, formulare un principio di diritto che funga da linea guida per l’amministrazione pubblica[72]. Lo stesso articolo 73 c. 3 cod. proc. amm., contemplando, sulla falsariga del nuovo art. 101 c. 2 c.p.c., l’obbligo del giudice di indicare le questioni rilevabili d’ufficio, consentirebbe la discussione sul principio delle parti coinvolte, nel civile rispetto di funzioni e principi di cui alla Carta fondamentale[73].
Non serve, pertanto, forzare la lettera dell’articolo 31 c. 4, interpretando il lessema nullità nel senso di ampio di illegittimità, per dare manforte a una tutela dichiarativa che è l’immediato corollario dell’effettività e dei principi del processo dovuto. Ciò che il Consiglio di Stato ha sancito, nella storica sentenza n. 717/2009, va ribadito alla luce del codice del processo. Peraltro, la parificazione degli interessi legittimi ai diritti soggettivi impone, oltre al ‘via libera’ dei poteri di accertamento del giudice, l’abbandono del termine decadenziale di sessanta giorni[74]. Non è, infatti, ammissibile una causa di decadenza in assenza di un’indicazione normativa espressa, né ha senso impiegare la stessa in mancanza di un atto contro cui ricorrere[75].

6. Segue. Oltre la tutela dichiarativa.

Se il mero accertamento è il ‘minimo’, innegabile in un sistema processuale coerente, non è detto che esaurisca il ‘bisogno di tutela’.
Una pronuncia dichiarativa impone sì un obbligo, in capo all’amministrazione competente, di conformarsi al dictum, ma, pur potendo incorporare un principio di diritto, non può incidere sulle determinazioni della p.a., che resta vincolata sul ‘se’, ma non anche sul ‘come’ provvedere. Il rischio di dover proporre un ulteriore ricorso, questa volta per ottemperanza, con aggravi di tempi e costi, può essere attenuato dalla tutela di condanna, che avrebbe l’effetto di ordinare alla p.a. di svolgere l’attività materiale che meglio garantisca il terzo[76].
Non mancherebbero, del resto, gli argomenti favorevoli ad una ricostruzione siffatta.
L’ampia formulazione dell’articolo 30, genericamente rubricato “azione di condanna”, e l’altrettanto lata previsione di cui al primo comma, che sembra accogliere una sorta di condanna atipica[77], potrebbero concedere al terzo quest’ulteriore, e più effettivo, strumento di tutela. La chiara riconduzione, operata dall’articolo 133 lett. a, della d.i.a., e, quindi, della s.c.i.a., all’alveo della giurisdizione esclusiva – ove, com’è noto, i poteri del giudice e delle parti sono tanto ampi quanto quelli contemplati nel contiguo processo civile[78] – darebbe manforte all’ammissibilità del rimedio. A nulla osta la configurazione, in termini di interesse legittimo, della posizione del terzo[79]: l’articolo 30 c. 2, nel primo periodo, parla di “condanna al risarcimento del danno ingiusto” senza specifiche in merito alla situazione soggettiva del danneggiato.
Neanche appare dirimente l’avvenuta esclusione dell’azione di adempimento dal codice del processo: da una lettura integrale del corpo normativo emergono non poche ipotesi di condanna ad un facere. Si pensi solo all’articolo 116 c. 4, che, in materia di accesso agli atti, contempla l’ordine, rivolto all’amministrazione soccombente, di esibire i documenti[80], o all’articolo 124, che, in tema di contratti pubblici, prevede la domanda atta a conseguire l’aggiudicazione[81].
Ammettere un’azione di condanna ad inibire l’attività del segnalante e a rimuoverne ogni effetto è cosa realmente conforme all’articolo 1 cod. proc. amm.: la reintegrazione in forma specifica, generalmente riconosciuta dall’art. 30 c. 2 cod. proc. amm. e, ancor prima, dall’art. 7 c. 3 legge Tar[82], consente al giudice di sostituirsi alla p.a., soddisfacendo la pretesa del controinteressato ed evitandogli una fase esecutiva che potrebbe, altrimenti, rivelarsi necessaria[83].
Non ha, del resto, senso, che, mentre in via cautelare si può conseguire ogni misura idonea ad assicurare gli effetti della decisione[84], nel merito vengano, invece, circoscritti gli strumenti azionabili. Ciò che si può chiedere in sede cautelare si deve poter chiedere anche nel merito, data la simmetria che il principio di strumentalità impone. Appare, poi, difficile definire coerente un sistema nel quale, pur aprendosi, con riferimento alla decisione, ad ogni “misura idonea” a soddisfare la pretesa[85], si scartino le azioni che tale pretesa meglio soddisferebbero. E’ qui il principio, altrettanto simmetrico, della ‘corrispondenza tra chiesto e pronunciato’ a rendere obbligata una lettura dell’art. 30 sull’azione in senso conforme all’art. 34 sulla decisione.
Se solo la giurisprudenza potrà, dando lumi sul codice del processo, aprire o meno alla tutela di condanna, è, in ogni caso, già libero l’ingresso al mero accertamento, valvola di sicurezza del sistema di tutela, innegabile anche se non puntualmente tipizzata.

7. Dalla lettera al sistema. Postilla su tutela ‘piena’ e codici ‘incompleti’.

L’attesa della decisione dell’Adunanza Plenaria induce ad ampliare l’orizzonte dell’indagine. Dire che il controinteressato può sempre proporre un’azione di mero accertamento o, eventualmente, un’azione di condanna significa, in realtà, andare ben oltre ciò che, apparentemente, si dice.
Significa, anzitutto, che il rito amministrativo non è una sorta di monade slegata dal sistema, ma si fonda, piuttosto, su quei principi generali senza i quali un processo non può dirsi tale.
La pienezza ed effettività della tutela, di cui all’articolo 1, insieme ai principi del giusto processo di cui all’art. 2 cod. proc. amm. e 111 Cost.[86], rappresentano il punto di intersezione tra processo amministrativo e giudizio civile e, per l’effetto, garantiscono un ‘prodotto’ di tutela omogeneo e fungibile.
Non è, del resto, un caso che l’articolo 39 cod. proc. amm. disponga un rinvio espresso al codice del rito civile, in quanto espressione di principi generali[87]. Neanche è casuale che mezzi di prova, misure cautelari e specie di azioni sempre più coincidano e che, con il congegno della traslatio[88], si possa passare dall’uno all’altro giudizio facendo salvo il più dell’attività processuale espletata.
Perché la tutela sia effettiva, la natura del giudizio amministrativo deve eguagliare quella del processo civile, non potendo avere spazio, nell’ordinamento vigente, un giudizio imperniato sull’atto, né una cognizione inidonea a penetrare il rapporto. Ad ogni pretesa conforme a diritto del ricorrente deve corrispondere uno strumento processuale adeguato. Con il solo limite dell’abuso del processo, ben arginabile con un vaglio rigoroso dell’interesse a ricorrere, vanno, in ogni caso, concesse le ‘misure idonee’, e nell’immediato[89].
Dinanzi al sistema, trascolora la lettera. Aver riordinato la disciplina della d.i.a., mutandola in s.c.i.a., e, soprattutto, aver codificato il processo non basta a rimpiazzare le coordinate del sistema con nuove, ed eventualmente diverse, previsioni.
Non può bastare un ‘codice’[90] per cancellare tout court il passato e fornire parametri, rigidi e assorbenti, per il futuro. La storia insegna che non esistono codici completi, che l’esaustività è una costruzione velleitaria, in cui neanche i codificatori hanno mai creduto[91].
E’ di interpretazione che vive il diritto, e questo è irriducibile ad un codice[92]: la coerenza del sistema dipende dalla sua capacità di etero ed auto-integrarsi[93], in armonia con il formante giurisprudenziale ed i principi di diritto europeo.
Se tutto ciò si negasse, circoscrivendosi i rimedi ai soli casi espressamente previsti, sostituendo un sistema complesso con 137 articoli e, così, privando il terzo di ogni tutela effettiva, tanto varrebbe decodificare.

 

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[1] Si fa riferimento alla recentissima Cons. St., sez. IV, 5 gennaio 2011, n. 14, inedita, che così si è espressa, al par. 7: “l’art. 99 c.p.a. prevede che la Sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto – nella specie, rimedi e tutela del terzo avverso la DIA – sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o di ufficio può rimettere il ricorso all’esame dell’adunanza plenaria”.
[2] Per la cui bibliografia, vastissima, si rinvia ai recenti lavori di W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo. Il modello della dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008, L. Martinez, La dichiarazione di inizio attività: natura e regime giuridico, Torino, 2008, M. A. Sandulli-M.R. Spasiano-P. Stella Richter, Il diritto urbanistico in 50 anni di giurisprudenza della Corte Costituzionale, Napoli, 2007, nonché ai testi infra citati.
[3] Si confrontino Cons. St., sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919, in Foro it., 2010, III, 489; Cons. St., sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948, in Foro amm. CdS, 2007, 545; Cons. St., sez. V, 19 giugno 2006, n. 3586, in www.giustizia-amministrativa.it e Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916, ivi. Nello stesso senso, per la dottrina: G. Acquarone, La dichiarazione di inizio attività (d.i.a.), in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, 281; Id., La denuncia di inizio attività. Profili teorici, Milano, 2000, 31; A. Romano, I soggetti e le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 2005, I, 289.
[4] In questo senso, per la giurisprudenza, Cons. St., sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3263, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 72, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 25 novembre 2008, n. 5811, in Guida al dir., 2009, 98; Cons. St., sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3742, in Foro amm. CdS, 2008, 2055; Cons. St., sez. IV, 5 aprile 2007, n. 1550, in Riv. giur. edililizia, 2007, 1032. Nello stesso senso, per la dottrina, W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo, cit., 2; C. Addesso, La dichiarazione di inizio attività e la tutela del terzo: un rapporto difficile tra riforme legislative ed incertezze giurisprudenziali, in Foro amm. Tar, 2008, 65; V. Lopilato - C. Maddau, I silenzi della pubblica amministrazione, in R. Chieppa - V. Lopilato (a cura di), Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007, 342.
[5] Sul punto, si veda W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo, cit., 42. Sulla differenza tra ‘denuncia’, che è atto con cui il privato, rappresentando una situazione di fatto alla p.a., chiede alla stessa l’adozione di misure e ‘dichiarazione’, che è atto ai soli fini di notizia, v. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2010, 410.
[6] D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[7] Cfr. l’art. 22 c. 1 T.U. Edilizia.
[8] V. l’art. 22 c. 2 T.U. cit.
[9] Introdotta dalla cd. Legge obiettivo, 21 dicembre 2001, n. 443 e suscettibile di sostituire il permesso di costruire nei casi di cd. ristrutturazione pesante o di interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica. In tema, v. R. De Nictolis-V. Poli, I titoli edilizi nel testo unico e nella Legge Obiettivo, Milano, 2003, 422.
[10] Si fa riferimento alla L. 18 giugno 2009, n. 69, che – come è noto – all’articolo 9 c. 4 ha previsto che l’attività possa essere iniziata contestualmente alla presentazione della denuncia per l’esercizio di impianti produttivi di beni e servizi di cui alla direttiva 12 dicembre 2006, n. 123/CE.
[11] Art. 85 d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che ha esteso la possibilità di intraprendere l’attività contestualmente alla presentazione della d.i.a. a tutte le attività economiche, di carattere imprenditoriale o professionale, dirette allo scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione anche a carattere intellettuale, e svolte senza vincolo di subordinazione. Si veda altresì, per un panorama completo della novità normative in materia, e con specifico riguardo alla d.i.a. edilizia, l’articolo 5 della l. 22 maggio 2010, n. 73, che ha sostituito integralmente l’art. 6 del T.U. Edilizia, ampliando le ipotesi di intervento realizzabili senza alcun titolo abilitativo.
[12] Si pensi solo che il Consiglio di Stato, mentre con la sentenza Cons. St., sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919 si è espresso a favore della natura privatistica della d.i.a., a distanza di soli undici giorni, con la pronuncia Cons. St., sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3263, ha prestato avallo alla tesi pubblicistica.
[13] Art. 49, c. 4- bis d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in supplemento n. 174/L alla Gazzetta Ufficiale 30 luglio 2010, n. 176, su cui amplius infra.
[14] D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.
[15] Sul tema della tutela del terzo avverso la d.i.a., si vedano F. G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2009, 181; W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo. Il modello della dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008, 221; L. Martinez, La dichiarazione di inizio attività: natura e regime giuridico, Torino, 2008, 115; A. Travi, La DIA e la tutela del terzo: fra pronunce del g.a. e riforme legislative del 2005, in Urb. e app., 2005, 1332; M. A. Sandulli, Competizione, competitività, braccia legate e certezza del diritto, in www.giustamm.it, 2005; Id., Denuncia di inizio attività, in Riv. giur. edilizia, 2004, 121; Id., Effettività e semplificazione nel governo del territorio: spunti problematici, in Dir. amm., 2003, 518; M. Macchia, La denuncia di inizio attività e la tutela del terzo, in Giorn. dir. amm., 1993, 55.
[16] Per tale argomentazione, v. Cons. St., 5 aprile 2007, n. 1550, in Dir. proc. amm., 2008. Con specifico riguardo alla d.i.a. edilizia, che è tuttora definita “denuncia”, rileva, in merito, l’articolo 38 c. 2- bis D.P.R. n. 380/2001, che prevede la possibilità dell’accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo ed equipara detta ipotesi ai casi di “permesso annullato”; altrettanto significativo appare l’art. 39 c. 5-bis che conferire alla Regione il potere di disporre l’annullamento straordinario della d.i.a.
[17] Così, ad esempio, Cons. St., sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3263, in www.giustizia-amministrativa.it e, per la giurisprudenza di merito, Tar Liguria, Genova, sez. I, 24 gennaio 2008, n. 76, in Foro amm. T.A.R., 2008, 1, 63.
[18] In questo senso, v. Tar Piemonte, Torino, sez. I, 19 aprile 2006, n. 1885, in Riv. giur. edilizia, 2006, I, 354.
[19] Secondo la modifica operata dalla l. 14 maggio 2005, n. 80.
[20] Basti pensare al cambiamento del nomen juris di cui si è parlato (da denuncia a dichiarazione).
[21] Si confrontino, sulla ratio di liberalizzazione sottesa al nostro istituto, E. Boscolo, I diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art. 19 della l. n. 241/1990 e altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001; F. Liguori, Attività liberalizzate e compiti della amministrazione, Napoli, 2000; L. Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo. Autorizzazione ricognitiva, denuncia sostitutiva e modi di produzione degli effetti, Padova, 1996.
[22] In argomento, A. Travi, Silenzio assenso, denuncia di inizio attività e tutela dei controinteressati, in Dir. proc. amm., 2002, 23. Si veda anche l’opinione contraria di G. Falcon, La regolazione delle attività private e l’art. 19, l. 241 del 1990, in Dir. pubbl., 1997, 411, per cui la rituale proposizione del ricorso giurisdizionale determinerebbe l’inopponibilità della scadenza del termine per l’esercizio del potere inibitorio.
[23] Oltre al fatto che ammettere i soli rimedi in questione avrebbe l’effetto di escludere, in modo alquanto arbitrario, i controinteressati da ogni rapporto con la p.a. e, comunque, presupporrebbe la discutibile configurazione della situazione soggettiva del terzo in termini di diritto soggettivo (così, tuttavia, L. Ferrara, Diritti soggettivi ed accertamento amministrativo, cit., 143). Le nostre perplessità non vantano, tuttavia, condivisione unanime nella dottrina (cfr., sul tema, W. Giulietti, Nuove norme in tema di dichiarazione di inizio attività, ovvero la continuità di un istituto in trasformazione, in Giur. merito, 2006, 211, nonché E. Boscolo, I diritti soggettivi a regime amministrativo, cit., 246 e, più in generale, A. De Roberto, Silenzio assenso e legittimazione “ex lege” nella legge Nicolazzi, in Dir. soc., 1983, 163).
[24] Si rinvia, in merito, a W. Giulietti, Attività, cit., 205; C. Lamberti, L’impugnazione della DIA, in L’impugnabilità degli atti amministrativi, in Atti del Convegno, Certosa di Pontignano - Siena, 13-14 giugno 2008, e in www.giustamm.it, 14; G. Vesperini, La denuncia di inizio attività e il silenzio assenso, in G.d.a., 2007, 83. Per una diversa impostazione, si veda M. A. Sandulli, Denuncia di inizio attività, in Riv. giur. edilizia, 2004, 134, la quale avalla la soluzione del ricorso diretto contro il comportamento inerte della p.a.
[25] Si vedano, ora, gli articoli 31 e 117 codice del processo amministrativo, su cui infra.
[26] In merito, cfr. F. Caringella - M. Protto, Il nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000 n. 205, Milano, 2001 e, per la giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916, in Foro amm. CdS, 2005, 2141 e Tar Lombardia, sez. II, 15 novembre 2007, n. 6361, in www.giustizia-amministrativa.it.
[27] In questo senso, G. Corso, L’attività amministrativa, Torino, 1999, 185. Si vedano altresì F. Benvenuti, voce Autotutela, in Enc. dir., 1959, e, più di recente, A. Travi, Giurisprudenza amministrativi e principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, 120 e G. Lucignana, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, Padova, 2004.
[28] In argomento, si rinvia a F. G. Scoca, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del nuovo trattamento processuale, in Dir. proc. amm., 2002, 264, che pur rileva che, ove la declaratoria del dovere di provvedere non contenesse indicazioni sul ‘come’, “il giudizio sarebbe monco, il giudice non potrebbe svolgere appieno la sua funzione, la sentenza sarebbe quasi priva di contenuto utile (…) e il commissario successivamente nominato non avrebbe “paletti” entro i quali muoversi in sostituzione dell’amministrazione inerte”. Cfr. anche S. Murgia, Crisi del processo amministrativo e azione di accertamento, in Dir. proc. amm., 1996, 288, nonché Cons. St., sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5271, in www.giustizia-amministrativa.it. In senso ancora più netto, v. Tar Puglia, sez. I, 3 luglio 2008, n. 1612, in Urb. e app., 2008, 1445 e Cons. St., sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7136, in Foro amm. CdS, 2003, 3291.
[29] Va, tuttavia, segnalato che, anche dopo l’entrata in vigore della l. n. 80/2005 – e in linea con la nota Cons. St., Ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1, in www.giustizia-amministrativa.it –, si è, da più parti, continuato a ritenere che il giudice amministrativo, adito con un ricorso avverso il silenzio-inadempimento della p.a., non avrebbe potuto, neanche in materia di poteri vincolati, individuare il contenuto del provvedimento amministrativo (Cons. St., sez. V, 4 febbraio 2004, n. 376, in Foro amm. CdS, 2004, 852 e Cons. St., sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453, ivi, 2116). In questo senso, N. Saitta, Sistema di giustizia amministrativa, Milano, 2009, 512, ma, contra, sulla base del più recente testo dell’articolo 2 l. 241/1990 (per lo più ripreso dal codice del processo amministrativo, su cui v. infra), M. Clarich, Tipicità delle azioni e azione di adempimento nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2005, 572, nonché M. A. Sandulli, Denuncia di inizio attività, cit., 134.
[30] Inoltre, non per tutti i casi di abuso edilizio è prevista l’adozione di misure ripristinatorie dello stato originario: per molte violazioni la p.a. deve, infatti, limitarsi ad infliggere una sanzione pecuniaria, difficilmente idonea a soddisfare la pretesa del terzo. Si vedano, sul punto, le riflessioni di A. Travi, La d.i.a. e la tutela del terzo: tra pronunce del g.a. e riforme legislative del 2005, in Urb. e app., 2005, 1332. Diversamente, A. Graziano, La Dia nelle prime pronunce sulla l. 80/2005. Natura giuridica dell’istituto e tutela giurisdizionale del controinteressato, ivi, 2006, 1102, per il quale potrebbe sussistere anche il solo interesse morale del terzo a che l’abuso venga represso.
[31] Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717, in Dir. proc. amm., 2009, IV, 1260, con nota di S. Valaguzza, confermata dalla più recente Cons. St., sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139, in www.giustizia-amministrativa.it. In realtà, la menzionata pronuncia riprende un orientamento già accolto da TAR Liguria, sez. I, 22 gennaio 2003, n. 113, in Urb. app., 2003, 591, su cui si veda A. Berra, Quale luce sulla tutela del terzo in ordine alla DIA?, in Riv. giur. edilizia, 2003, 575 e M. A. Sandulli, Effettività e semplificazione nel governo del territorio: spunti problematici, cit., 526. Per un orientamento analogo, cfr. altresì TAR Abruzzo, 23 gennaio 2003, n. 197, in Riv. giur. edilizia, 2003, I, 544.
[32] Cons. St., sez. V, 6 ottobre 1999, n. 1343 e Id., sez. VI, 20 ottobre 1998, n. 1399, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it, che negano l’ammissibilità del mero accertamento in presenza di atti autoritativi.
[33] Si veda, in particolare, Cons. St., 2139/2010, cit., par. 5.
[34] Cfr., tuttavia, la diversa tesi di A. Formica, Dia e accertamento nel processo amministrativo, in Urb. e app., 2009, 584, per il quale sarebbe più opportuno subordinare l’esercizio della tutela di accertamento mero al termine previsto per l’impugnativa del silenzio-rifiuto.
[35] V. la citata legge 30 luglio 2010, n. 122, in supplemento n. 174/L alla Gazzetta Ufficiale 30 luglio 2010, n. 176, che ha così riformato l’art. 19 c. 1 l. n. 241/1990, cit.:“ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato (…) è sostituito da una segnalazione dell’interessato (…)”. In merito, si veda anche La Scia sostituisce la Dia anche per l’attività edilizia, in CNN Notizie, 29 settembre 2010, con la nota del 16 settembre 2010 del Ministro per la Semplificazione Normativa, su cui amplius infra. Per alcune riflessioni a prima lettura, C. Lamberti, Nell’edilizia vige ancora la DIA?, in Urbanistica e Appalti, n. 11/2010, nonché F. Lisena, Dalla DIA alla SCIA: storia di una metamorfosi, in www.giustamm.it e P. Amovilli, Le “complicazioni” in materia di semplificazione amministrativa, ivi.
[36] Cfr. il nuovo art. 19 c. 2 l. n. 241/1990, cit., per cui:“l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente”.
[37] Art. 85 d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59. Sui principi ispiratori del decreto delegato, cfr. F. Bestagno - L. Radicati di Brozolo (a cura di), Il mercato unico dei servizi, Milano, 2007.
[38] Sull’effetto liberalizzante della previgente d.i.a., v. già Tar Liguria, sent. n. 113/2003, cit., e Tar Campania, 6 dicembre 2001, n. 5272, in Urb. App., 3/2002, 331, con nota di A. Albè.
[39] Sullo schema ‘norma-fatto-effetto’, ci sia consentito rinviare, anche per la bibliografia, ad A. Giordano, Giurisdizione tributaria e atti impugnabili: la Cassazione ridisegna i confini, in Giur. it., 2009, 2057 e Id.,
Natura del giudizio tributario e poteri del giudice, in Temi romana, 2009, 24.
[40] Sull’ammissibilità della situazione soggettiva dell’onere nel diritto amministrativo, si veda, da ultimo, E. Boscolo, I diritti soggettivi a regime amministrativo, cit., 196.
[41] Si veda l’articolo 19 c. 6, per cui “ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque nelle dichiarazioni, attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni”. La pena è, pertanto, più gravosa rispetto a quella prevista dall’articolo 21 l. n. 241/1990, che rinvia all’art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), e deve considerarsi, nella parte qua, tacitamente abrogato.
[42] Sul nesso tra certezza ed effettività della tutela, cfr. R. Caponi, In tema di autonomia e certezza nella disciplina del processo civile, in Foro it., 2006, I, 136 e A. Giordano, La Cassazione riscrive l’art. 645 c. 2 c.p.c. Termini di costituzione nell’opposizione a decreto ingiuntivo, regole del gioco e processo dovuto, a partire da Cass. n. 19246/2010, in Temi romana, 2010.
[43] E’, in merito, rilevante la nota del 16 settembre 2010 del Ministro per la Semplificazione Normativa, cit., ove si è ritenuta applicabile la disciplina della Scia alla materia edilizia, mantenendo l’identico campo applicativo della Dia. Devono, quindi, ritenersi esclusi dalla portata della nuova normativa tutti gli interventi soggetti ad altri titoli abilitativi, quali, ad esempio, il permesso a costruire, connotato da una disciplina propria e puntuale. Altrettanto esclusi sono, pertanto, anche i lavori sottoposti a Super-Dia, che è – come si è detto – la Dia alternativa al permesso a costruire.
[44] Si veda il nuovo art. 19 c. 4, che prevede che “decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente”.
[45] Così, la seconda parte del c. 5: “ogni controversia relativa all’applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall’articolo 20”. Tale disposto, non solo conferma l’orientamento prevalente, favorevole alla giurisdizione esclusiva del g.a. (così, anche l’art. 133 del codice del processo amministrativo), ma reca altresì una formula tanto generale da consentire l’esperimento dell’azione più conforme al principio di effettività (cfr., infra, per un’analisi maggiormente dettagliata).
[46] Su cui si vedano, oltre a G. Pellegrino (a cura di), Verso il codice del processo amministrativo, Roma, 2010 e agli altri testi infra citati, R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo, in Le nuove leggi amministrative, Milano, 2010, F. Caringella-M. Protto, Codice del nuovo processo amministrativo, Roma, 2010, M. Clarich, Un corpus normativo dai contenuti innovativi che contribuisce alla certezza del diritto, in Guida al dir., n. 32/2010, 10, Id., Le azioni nel processo amministrativo tra reticenze del codice e aperture a nuove tutele, in Giorn. dir. amm., 2010, 1121, AA.VV., Il codice del processo amministrativo, in Foro it., 2010, V, 210, D. Dalfino, Il codice del processo amministrativo: disposizioni di rinvio e principi generali, ivi, 2010, V. A. Pajno, Il codice del processo amministrativo tra “cambio di paradigma” e paura della tutela, in Giorn. dir. amm., 2010, 885, A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2010, 45, Id., Il codice del processo amministrativo. Presentazione, in Foro it., 2010, V, 205, Id., Osservazioni generali sullo schema di decreto legislativo con un ‘codice’ del processo amministrativo, in www.giustamm.it, M. A. Sandulli, Anche il processo amministrativo ha finalmente un codice, in www.federalismi.it e in Foro amm. - Tar, 2010, M. Nunziata, Il codice del processo amministrativo (prime riflessioni applicative). Resoconto del convegno svoltosi presso l’Avvocatura Generale dello Stato il 2 dicembre 2010, in www.giustamm.it.
[47] In argomento, cfr. A. Travi, Lezioni, cit., 199 e M. Clarich, Azione di annullamento, in A. Quaranta- V. Lopilato (a cura di), Commentario al Codice del Processo Amministrativo, ora in www.giustizia-amministrativa.it.
[48] Così, l’articolo 7 cod. proc. amm., che, evidentemente, riprende C. Cost., 6 luglio 2004, n. 204, 2.3.3, in Dir. proc. amm., 2004, 799, con note di V. Cerulli Irelli e R. Villata ed in Foro it., 2004, I, 2594, con note di S. Benini, A. Travi, F. Fracchia, nonché C. Cost., 11 maggio 2006, n. 191, in Giur. it., 2006, 1729.
[49] Si richiamano le note ricostruzioni di A. Proto Pisani, Appunti sulla tutela cd. costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), in Riv. dir. proc., 1991, 65 e di E. Ferrari, La decisione giurisdizionale amministrativa: sentenza di accertamento o sentenza costitutiva?, in Dir. proc. amm., 1988, 563. Quanto si espone è confermato dall’articolo 34 cod. proc. amm., che, modulando il contenuto della pronuncia sulla domanda attorea, prevede che, con la sola sentenza di annullamento, possano elidersi, in tutto o in parte, gli effetti costitutivi del provvedimento impugnato.
[50] Che – come è noto – poteva essere esperita solo nei confronti della p.a., unicamente nell’ambito della giurisdizione esclusiva e al fine di conseguire il pagamento di somme di denaro dovute dall’amministrazione. Si vedano, sul tema, G. Miele, Brevi note sull’ammissibilità di decisioni di condanna da parte del giudice amministrativo, in Jus, XIV, 1963, 336 e ancora A. Proto Pisani, Appunti sulla tutela cd. costitutiva, cit., 65.
[51] Sulle azioni cd. miste, costitutive e di condanna, cfr. F. G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, cit., 190 e, con riferimento al codice del processo, M. Clarich, Le azioni nel processo amministrativo, cit., passim.
[52] Inoltre, nonostante l’abolizione della cd. pregiudiziale amministrativa, l’articolo 31 c. 3, assai discutibilmente, prevede un termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato, ovvero dalla conoscenza del provvedimento. In argomento, v. R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo, cit., 190. Condivisibili appaiono i rilievi di P. Chirulli, voce Pregiudizialità amministrativa, in Dig. disc. pubbl., Aggiornamento, IV, Torino, 2010, 441, che sottolinea il rischio di una “reintroduzione surrettizia della regola della pregiudizialità”. Sull’autonomia dell’azione risarcitoria, cfr. la recentissima Cons. St., ad plen., 23 marzo 2011, n. 3, in www.giustizia-amministrativa.it, su cui M. A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni, in www.federalismi.it, 2011.
[53] Si vedano, in merito, le perplessità di R. Caponi, La riforma del processo amministrativo: primi appunti per una riflessione, in Foro it., 2010, 271. In senso favorevole alla proponibilità dell’azione di adempimento, cfr. R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo, cit., 172, M. A. Sandulli, Anche il processo amministrativo ha finalmente un codice, cit., LXVII, nonché A. Travi, Lezioni, cit., 205, per il quale, nelle materie di giurisdizione esclusiva, potrebbe aversi la condanna all’adempimento di qualsiasi obbligazione. Per un confronto con il processo amministrativo tedesco, sul punto, S. Detterbeck, Allgemeines Verwaltungsrecht. Mit Verwaltungsprozessrecht, München, 2007, 516.
[54] In argomento, per le riflessioni ancora attuali, si rinvia a M. R. Spasiano, in N. Paolantonio-A. Police-A. Zito (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione, Torino, 2005, 574 e A. Police, in F. G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, cit., 179.
[55] Cfr., in merito, R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo, cit., 238, nonché C. E. Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2010, 92 e A. Travi, Lezioni, cit., 204.
[56] Evidentemente, a seconda che si tratti di poteri vincolati o discrezionali. In questo senso, F. Caringella-M. Protto, Codice del nuovo processo amministrativo, cit., 384.
[57] Ove, invece, valorizzando il rinvio, operato dall’articolo 19 c. 3, agli artt . 21- quinquies e 21- nonies, si volesse ancora avallare la qualifica della s.c.i.a. come atto abilitativo implicito o tacito, dovrebbe ammettersi l’azione ex articolo 29 cod. proc. amm., nel termine decadenziale di sessanta giorni dalla conoscenza, da parte del terzo, dell’attività avviata.
[58] Si confronti, in merito, M. Clarich, Le azioni nel processo amministrativo, cit., passim e già, prima della vigenza del codice, Id., Tipicità delle azioni e azione di adempimento, cit., 572.
[59] Così, l’articolo 117 c. 3 cod. proc. amm.
[60] O quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione. V., in merito, l’art. 31 c. 3 cod. proc. amm.
[61] Diversamente si dovrebbe dire in relazione ai poteri sanzionatori, che hanno, invece, natura vincolata. Valgono, tuttavia, anche qui, le considerazioni già esposte in relazione al sistema anteriore al codice del processo, alle quali si rinvia.
[62] E’ questa l’impostazione di A. M. Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, s.d. (ma 1962), 38 e 143, che ritiene che i giudizi di accertamento possano essere ammessi “nei casi tassativamente indicati dalla legge”. Per la giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. V, 20 marzo 2006, n. 1440, in Foro amm. C.d.S., 2006, 874. Per simili rilievi, con riferimento all’azione di adempimento, F. Merusi, Verso un’azione di adempimento?, in Scritti in onore di Giovanni Miele, Milano, 1979, 337.
[63] Si veda, in merito, S. Satta, Premesse generali della dottrina dell’esecuzione forzata, in Teoria e pratica del processo, 1940, 11, che afferma che “ogni sentenza di accertamento postula come suo indefettibile presupposto il disconoscimento positivo e concreto di un diritto da parte di persona giuridicamente obbligata ad un contrario comportamento”. Cfr. anche gli importanti studi di L. Lanfranchi, Contributo allo studio dell’azione di mero accertamento, Milano, 1969 ed E. Ricci, voce Accertamento giudiziale, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, 1987, 20, che ritiene che l’accertamento possa riguardare i soli diritti soggettivi.
[64] Cfr., in merito, P. Stella Richter, L’aspettativa di provvedimento, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, 3. Sul concetto di discrezionalità, v. F. G. Scoca, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1061.
[65] Così l’articolo 1 del codice del processo amministrativo: “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”. Sul tema, si rinvia a M. A. Sandulli (a cura di), Nuovo processo amministrativo, in L’amministrativista, 2010, 5 e a M. Clarich, Le azioni nel processo amministrativo, cit., 1121.
[66] Cfr., in questo senso, Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30254, in Corr. giur., 5/2009, 653, con note di A. di Majo ed E. Picozza, che in questi termini si è espressa: “la tutela giurisdizionale si dimensiona su quella sostanziale e non viceversa”.
[67] Si veda l’articolo 44 c. 2 lett. b): “disciplinare le azioni e le funzioni del giudice: (…) 4) prevedendo le pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa”. In argomento, cfr. R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo, cit., 6 e A. Pajno, Il codice del processo amministrativo tra “cambio di paradigma” e paura della tutela, cit., 886.
[68] Si vedano, in questo senso, L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 2003, 175; M. Occhiena, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2003, 20; C. Varrone, Stato sociale e giurisdizione sui “diritti” del giudice amministrativo, Napoli, 2001; G. Oppo, Novità e interrogativi in tema di tutela degli interessi legittimi, in Riv. dir. civ., 2000, 391.
[69] Che, come si è detto, in presenza di poteri discrezionali della p.a., sortirebbe il solo effetto di obbligare la stessa ad avviare il procedimento di riesame. Resta, poi, il dato per cui il potere di autotutela è subordinato ai limiti di cui agli artt. 21- quinquies e nonies l. n. 241/1990, mentre diversamente deve dirsi per il potere del giudice di accertare, su cui infra. Appare, in merito, rilevante, Cons. St., sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550, cit.
[70] In questo senso, con riferimento al sistema di tutela previgente, cfr. G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto, Milano, 1980, passim, e G. Abbamonte, Sentenze di accertamento ed oggetto del giudizio amministrativo di legittimità e di ottemperanza, in Scritti in onore di M. S. Giannini, Milano, 1989, passim, nonché E. Ferrari, La decisione giurisdizionale amministrativa: sentenza di accertamento o sentenza costitutiva?, in Dir. proc. amm., 1988, 575.
[71] Non condividiamo, sul punto, il par. 7.9.5, sent. Cons. St., n. 717/2009, cit., ove viene consentito il mero accertamento purché non venga impiegato quale forma di tutela preventiva dell’interesse legittimo del terzo – cosa, quest’ultima, che “comporterebbe una inammissibile sostituzione all’Amministrazione nella titolarità e nella gestione del potere”. Nel senso della pronuncia, G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto, cit., 109.
[72] Appare, in merito, illuminante un confronto con l’ordinamento tedesco, ove è consentito al giudice ordinare alla p.a. di provvedere nell’osservanza del criterio giuridico statuito (v., in merito, il paragrafo 113 della VwGO). Si confrontino M. Schröder, Bescheidungsantrag und Bescheidungsurteil, in H.-U. Erichsen, W. Hoppe, A. Von Mutius, System der wervaltungsgerichtlichen Rechtsschutzes. Festchrift für Christian-Friederich Menger, Koln-Berlin-Bonn-München, 1985, 487.
[73] Si rinvia, sul tema, a G. Costantino, Questioni processuali tra poteri del giudice e facoltà delle parti, in Riv. dir. proc., 2010, nonché ad E. Fabiani, Contraddittorio e questioni rilevabili d’ufficio, in Foro it., 2009, IV, 265 e ad A. Giordano, La sentenza della “terza via” e le “vie” d’uscita. Delle sanzioni e dei rimedi avverso una “terza soluzione” del giudice civile, in Giur. it., 2009, 911.
[74] Non possono, in merito, condividersi i par. 7.11 e segg. di Cons. St., n. 717/2009, cit., né i diversi rilievi di A. Formica, Dia e accertamento nel processo amministrativo, cit., 584, il quale è favorevole al termine decadenziale più lungo previsto in materia di ricorso avverso il silenzio. Appare, invero, dubbia l’applicazione analogica di una norma speciale, e peraltro comunque restrittiva, ad un caso in cui è difficile ravvisare un’identica ratio. In mancanza di un atto impugnabile e nel silenzio del legislatore, si deve applicare il termine generale della prescrizione ordinaria.
[75] Per dubbi analoghi, in relazione all’accertamento della nullità, oggi sottoposto al termine di centottanta giorni, v. R. Caponi, Azione di nullità (profili di teoria generale), in Riv. dir. civ., 2008, 77 e, con riferimento al processo amministrativo, B. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, Padova, 2001, 83.
[76] Così, del resto, già Tar Liguria, 22 gennaio 2003, n. 113, cit., che argomentava sulla base dell’esistenza, se non di un atto, di un comportamento della p.a., impugnabile avanti al g.a. ex art. 34 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e, in dottrina, W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo, cit., 239, per cui la condanna della p.a. ad un facere poteva discendere dall’art. 7 c. 3 legge Tar, su cui infra.
[77] In questo senso, si vedano F. Caringella-M. Protto, Codice del nuovo processo amministrativo, cit., 373, nonché M. Clarich, Le azioni nel processo amministrativo, cit., 1121 e R. Gisondi, La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it.
[78] Si veda, in merito, A. Police, Il ricorso di giurisdizione piena davanti al giudice amministrativo. Contributo alla teoria dell’azione nella giurisdizione esclusiva, Padova, 2001, vol. II, nonché P. Sandulli, La tutela dei diritti dalla giurisdizione esclusiva alla giurisdizione per materia, Milano, 2004.
[79] E’ questa, come si è detto, la tesi prevalente. Non mancano, tuttavia, le tesi favorevoli alla ricostruzione della posizione del terzo in termini di vero e proprio diritto soggettivo (L. Ferrara, Diritti soggettivi ed accertamento amministrativo, cit., 143).
[80] In argomento, cfr. già F. Vetrò, in N. Paolantonio-A. Police-A. Zito (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione, Torino, 2005, 766.
[81] Si veda anche l’articolo 4 del d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, che disciplinando l’azione collettiva contro la p.a., menziona il potere del giudice di ordinare a quest’ultima di porre rimedio alla violazione accertata.
[82] Per cui, com’è noto,“il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”. Sulla reintegrazione in forma specifica come strumento funzionale a tutelare l’interesse legittimo della parte, si veda A. Police, Il ricorso di giurisdizione piena, cit., 333, nonché A. Zito, Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa. Riflessioni sulla tutela dell’interesse legittimo, Napoli, 2003, 126 e D. Vaiano, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, Milano, 2002, 295.
[83] Così, in particolare, C. Volpe, La reintegrazione in forma specifica, in www.giustizia-amministrativa.it, 2003. Si veda, per un esempio interessante di sostituzione del giudice alla p.a., la possibilità del g.a. di annullare l’aggiudicazione di un contratto pubblico e, contestualmente di aggiudicarlo al ricorrente, Cons. St., sez. V, 18 agosto 2010, n. 5823, in www.giustizia-amministrativa.it. Sul tema,si rinvia a F. G. Scoca, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto, in Giustizia amministrativa, 1/2007, 31, nonché, più di recente, ad A. Carullo, La sorte del contratto dopo l’annullamento dell’aggiudicazione: poteri del giudice e domanda di parte, in www.giustamm.it, n. 10/2010, 27. Sull’applicazione, alla nostra fattispecie, della tutela di condanna, in combinato con l’azione impugnatoria avverso l’intervenuto ‘silenzio-diniego’, cfr. il recentissimo lavoro di G. Greco, La Scia e la tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza plenaria, ma perché dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si può prendere in considerazione anche il silenzio diniego?, in Giustizia amministrativa, n. 3/2011.
[84] Cosa che, peraltro, induce a concedere al controinteressato la facoltà di agire anche in via cautelare, eventualmente anche ante causam. Similmente, del resto, anche la già citata TAR Liguria, 22 Gennaio 2003, n. 113, cit.
[85] Si veda l’articolo 34 lett. c), su cui supra.
[86] Deve ritenersi che il mancato richiamo, da parte dell’articolo 2, del principio di terzietà ed imparzialità possa ritenersi ‘sanato’ dal valore assorbente dell’articolo 111 Costituzione.
[87] Si veda, in argomento, D. Dalfino, Il codice del processo amministrativo: disposizioni di rinvio e principi generali, in Foro it., 2010, V e R. Caponi, La riforma del processo amministrativo: primi appunti per una riflessione, cit., ove l’A. critica la malformulata locuzione “si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”. Per il sistema previgente, v. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 1998, 190 e M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 2002, 270. Con riferimento al contiguo processo tributario, cfr. l’art. 1 c. 2 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che dispone un ampio rinvio al codice di procedura civile (A. Chizzini, I rapporti tra codice di procedura civile e processo tributario, in AA.VV., Il processo tributario. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da F. Tesauro, 1998, 3).
[88] Su cui si veda l’articolo 11 cod. proc. amm., che ricalca l’articolo 59 della legge n. 69/2009. Sul tema, si veda, da ultimo, C. Consolo, Traslatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, con esame anche dell’incidenza scoordinata del nuovo “codice della giustizia amministrativa”, in Corr. giur., 2010, 758.
[89] Sul tema, si veda, da ultimo, con riferimento al cd. vincolo di giustizia sportiva, M. R. Spasiano, in F. G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, cit., 511, nonché P. Sandulli, I limiti della “giurisdizione sportiva”, in Foro amm. Tar, 2008, 2088.
[90] Che è, peraltro, più vicino al modello della consolidazione che a quello della codificazione. Sui detti concetti, fondamentali nella storia del pensiero giuridico, cfr. M. Viora, Consolidazioni e codificazioni, Bologna (s.d.) e Torino 1967.
[91] In merito, si rinvia, per un’ampia trattazione del tema, a M. Ascheri (a cura di), Lezioni di storia delle codificazioni e delle costituzioni, Torino, 2008 e già Id., Costituzioni e codici moderni, Torino, 2007.
[92] Si veda, uno per tutti, P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, 1995, 163 e Id., Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, 1998, 9. Sulla crisi del concetto di codice, si veda anche l’opera di N. Irti, L’età della decodificazione, Milano, 1989 e Id., Il salvagente della forma, Roma-Bari, 2007.
[93] Sul concetto di eterointegrazione e di autointegrazione, non può non rinviarsi a G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. I. Assolutismo e scienza del diritto, Bologna, 1976, 20. Cfr. anche il più recente lavoro di sintesi di U. Petronio, La lotta per la codificazione, Torino, 2002, 7.

 

(pubblicato il 12.4.2011)

 

 

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