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n. 4-2011 - © copyright |
ANDREA GIORDANO
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S.c.i.a. e tutela del terzo al vaglio
del nuovo codice del processo amministrativo
SOMMARIO: 1. Posizione del problema. 2. D.i.a. e tutela del terzo: le alternative possibili. 3. Lo stato dell’arte dopo l’introduzione della segnalazione
certificata di inizio attività. 4. Segue. Tecniche di
tutela alla luce del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. 5. Criteri
di valutazione e soluzioni preferibili. 6. Segue.
Oltre la tutela dichiarativa. 7. Dalla lettera al sistema.
Postilla su tutela ‘piena’ e codici ‘incompleti’.
1.
Posizione del problema.
E’ di pochi mesi addietro
l’ordinanza con cui la IV sezione del Consiglio di Stato ha rimesso
all’Adunanza plenaria la questione della tutela del terzo avverso
una d.i.a. carente di presupposti[1].
Ben più risalente è il
dibattito sottostante, che ha visto contrapposte giurisprudenza e
dottrina, e mai ha trovato soluzioni univoche.
La controversa
natura della d.i.a.[2], da sempre contesa tra tesi privatistica[3] e
pubblicistica[4], e le conseguenti difficoltà ricostruttive della
situazione soggettiva del dichiarante e del terzo, hanno dato vigore
alla querelle sugli strumenti di tutela azionabili. Né ha
certo aiutato il mutamento anagrafico dell’istituto, che, assunto il
nome di “denunzia”, è stato, poi, etichettato “dichiarazione”[5],
pur mantenendo il nome del primo genetliaco in relazione alla
materia edilizia. E, proprio dal Testo Unico dell’Edilizia[6], le
fattispecie si sono moltiplicate: alla d.i.a. semplice[7] si è
affiancata quella in variante a permesso di costruire[8] e la
cosiddetta super-d.i.a[9]. La recente introduzione della d.i.a. ad
effetti immediati, avvenuta con la l. n. 69/2009[10] e il successivo
d.lgs. n. 59/2010[11], ha ancor più complicato lo stato dell’arte.
Della criticabile equivocità dei termini impiegati, che poco
appaiono conseguenza delle cose, e della diversità dei regimi
normativi, è figlia una giurisprudenza indecisa, capace di cambiare,
anche a distanza di pochi giorni, opinione[12].
Se fare
pronostici di sentenze più si addice ai venditori di almanacchi, è
pur possibile vagliare, nelle more della decisione ormai prossima, i
diversi rimedi a tutela del terzo, verificando se le recenti novelle
del diritto sostanziale e del processo possano consentire l’approdo
a soluzioni conformi al principio di effettività della tutela.
E’, infatti, innegabile che il recente, ed ennesimo, cambiamento
di nome del nostro istituto, che, da denuncia o dichiarazione che
era, è divenuto segnalazione certificata di inizio attività[13],
oltre all’entrata in vigore, lo scorso 16 settembre, del codice del
processo amministrativo[14], impongano una nuova lettura del
problema, atta a vagliare la possibile strumentalità dei rimedi
giurisdizionali rispetto alla posizione sostanziale del
terzo.
Poiché la bontà di una norma dipende dalla sua capacità di
dare risposte, il nostro tema costituisce, non solo l’occasione, ma
anche il banco di prova, dell’intervenuta codificazione del
processo.
2. D.i.a. e tutela del terzo: le alternative
possibili.
Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n.
104/2010 e della l. 122/2010, più di uno erano gli strumenti
azionabili dal terzo controinteressato[15].
Era, evidentemente,
necessario distinguere a seconda di come si configurasse la
denuncia-dichiarazione di inizio attività.
Alquanto immediata era
la soluzione praticabile ove si fosse condivisa la tesi
pubblicistica, che, facendo leva sul lemma ‘denunzia’, sulla
formulazione letterale dell’art. 19 c. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241 e
sulla possibilità della p.a. di intervenire in autotutela dopo
trenta giorni dalla presentazione della d.i.a.[16], qualificava
quest’ultima alla stregua di un atto abilitativo implicito[17] o
tacito[18].
La presenza di un atto amministrativo da impugnare
consentiva al terzo di esperire l’azione tipica di annullamento,
nelle forme di cui alla l. 6 dicembre 1971, n. 1034.
Nessun
problema sorgeva in ordine al termine di impugnativa, chiaramente
coincidente con quello decadenziale di sessanta giorni, né sulla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, competente ex art. 19 c. 5 l. n. 241/1990[19].
Ben più accidentato
appariva il percorso di tutela, ove, in virtù di un’asserita ratio di liberalizzazione, e non solo di semplificazione,
sottostante all’art. 19 l. n. 241/1990 e accentuata dalle più
recenti novelle[20], si fosse optato per la tesi
privatistica[21].
Data l’inammissibilità di un’azione caducatoria
avverso un atto soggettivamente e oggettivamente privato, non
restava al terzo che stimolare l’esercizio dei poteri di autotutela
o sanzionatori dell’amministrazione pubblica.
Era, del resto,
impensabile che desse risultati apprezzabili un sollecito
all’esercizio del potere, previsto all’articolo 19 c. 3 della l. 7
agosto 1990, n. 241, e funzionale ad inibire la prosecuzione
dell’attività edilizia e a rimuoverne gli effetti. La natura
perentoria del termine di trenta giorni e la conseguente,
inevitabile, consumazione del potere inibitorio avrebbero reso
ineffettivo il rimedio[22].
Se, poi, la prevista giurisdizione
esclusiva non rendeva agevolmente praticabile l’armamentario
civilistico di cui agli articoli 872 c. 2 o 1171 e 1172 c.c.[23],
l’ammissibilità di un ricorso ex art. 700 c.p.c. doveva
essere negata in presenza di rimedi tipizzati.
Astrattamente,
avrebbe sciolto il nodo un sollecito all’esercizio dei poteri di
revoca ex art. 21- quinquies o di annullamento ex art. 21- nonies l. n. 241/1990, con successivo ed
eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto[24]. In sostanza, ove
la p.a. non avesse adottato il provvedimento richiesto nei termini
di legge, si sarebbe incardinato il rito di cui all’articolo 21- bis l. 6 dicembre 1971, n. 1034[25].
Altrettanto in
astratto, si sarebbe potuto optare per un’istanza di stimolo
all’esercizio dei poteri di cui agli artt. 27 e ss. d.p.r. 6 giugno
2001, n. 380[26].
Tuttavia, nel concreto, l’uno o l’altro
sollecito, e l’eventuale ricorso avverso il silenzio-inadempimento,
oltre a duplicare tempi e costi, poco avrebbero garantito il
terzo.
E’, infatti, pacifico che la revoca, pur sollecitata dalla
parte diligente, si disponga solo per motivi di pubblico interesse,
sopravvenuti al provvedimento originario, o per avvenuto mutamento
della situazione di fatto. La preminenza dell’interesse pubblico al
mantenimento dell’atto avrebbe potuto giustificare il sacrificio
della posizione del terzo[27].
E ancora, il carattere
discrezionale dei poteri di revoca o di annullamento avrebbe, nella
prospettiva del successivo contenzioso, ulteriormente inficiato la
tutela. Il giudice amministrativo si sarebbe, infatti, limitato ad
enunciare l’obbligo della p.a. di provvedere, senza nulla dire in
ordine al quomodo[28].
Poco convincente risultava altresì
la diversa tesi imperniata sullo stimolo, da parte del privato,
all’esercizio dei poteri di cui al d.p.r. n. 380/2001. Nonostante
questi ultimi siano vincolati, e non meramente
discrezionali[29], il loro esercizio presuppone un intervento
edilizio già in essere, mentre ben prima può sorgere l’interesse ad
agire del terzo[30].
Alle descritte carenze del sistema
giudiziale ha provato a rimediare la nota sentenza n. 717/2009 del
Consiglio di Stato[31], che ha ammesso, a tutela del
controinteressato, un’azione di mero accertamento dell’insussistenza
dei presupposti per la libera intrapresa dell’attività edilizia.
Superando i tradizionali limiti all’ammissibilità della citata
azione, normalmente negata al di fuori della giurisdizione esclusiva
sui diritti soggettivi[32], la giurisprudenza ha, così, modulato il
rimedio sulla base della pretesa del controinteressato, nell’ottica
del principio di effettività della tutela. Pur in assenza di un atto
contro cui ricorrere, al terzo è dato conseguire un accertamento
autonomo, previo ricorso ai sensi della legge Tar, notificato
all’amministrazione competente e al denunciante quale
controinteressato[33]. Come avviene per l’ordinaria azione di
annullamento, deve osservarsi il termine decadenziale di sessanta
giorni, con decorrenza dall’effettiva conoscenza della d.i.a. da
parte del terzo[34].
3. Lo stato dell’arte dopo
l’introduzione della s.c.i.a.
Se, con l’art. 49 c. 4- bis l. 30 luglio 2010, n. 122 e gli articoli 29 ss. d.lgs. 2
luglio 2010, n. 104, il quadro di tutela sia sostanzialmente mutato,
o se il tutto si sia, piuttosto, risolto in un mero maquillage normativo, lo si deve dire previa attenta analisi
dei richiamati disposti.
In preminente rilievo viene la prima
delle norme citate, che ha ribattezzato “s.c.i.a.” l’ormai “fu”
dichiarazione-denuncia[35].
La novità principale si coglie a
prima lettura dell’articolo 19 della l. n. 241/1990, per cui è dato
intraprendere un’attività oggetto di d.i.a. senza necessità di
attendere il decorso dei trenta giorni prima previsti[36].
In
linea con il d.lgs. n. 59/2010[37], si è notevolmente accentuata la
funzione di liberalizzazione dell’istituto[38], così prestandosi,
indirettamente, avallo allo schema norma-fatto-effetto[39]: è dalla
mera segnalazione del privato, e non dall’esercizio di un potere
pubblico, che discende ogni effetto di legge.
A bilanciamento
dell’efficacia immediata della s.c.i.a. vi è, tuttavia, l’onere[40]
del privato di allegare alla segnalazione, non solo le dichiarazioni
sostitutive di certificazioni e di atto notorio concernenti stati,
qualità personali e fatti ex d.p.r. n. 445/2000, oltre alle
“attestazioni ed asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero le
dichiarazioni di conformità” dell’Agenzia delle imprese, relative
all’esistenza dei presupposti di legge cui è subordinata l’attività
da intraprendere, ma anche gli elaborati tecnici che consentano le
verifiche dell’amministrazione. Sta, insomma, al segnalante
espletare un’accurata istruttoria preventiva, garantita, nella
veridicità dei risultati, dalla neointrodotta sanzione penale di cui
all’ultimo comma dell’art. 19.
Residua, poi, in capo alla p.a.,
il potere-dovere di verificare, nei sessanta giorni successivi alla
presentazione della s.c.i.a., la sussistenza dei requisiti di legge,
nonché di inibire, in loro mancanza, l’intervento iniziato, fatta
salva la facoltà di “assumere determinazioni in via di autotutela ai
sensi degli articoli 21- quinquies e 21- nonies”.
Molto si dice, insomma, sull’interessato, in tutto agevolato –
fuorché nel deterrente penale[41] – dalla nuova normativa,
altrettanto tutelato appare l’interesse dell’amministrazione
pubblica, ma neanche un cenno si dedica a chi, come il terzo, ha un
interesse contrario all’attività avviata.
L’assenza di
chiarezza sulla portata applicativa del nuovo istituto, che sì
sostituisce la d.i.a., ma non si comprende in che misura e
con che limiti, lede la certezza del diritto e, con questa,
le possibilità di tutela del terzo[42]. Sapere, infatti, se ci si
trova innanzi ad un’attività autorizzata, anziché ad una
semplicemente ‘segnalata’, non è di poco conto nella prospettiva del
controinteressato, il cui affidamento meriterebbe una considerazione
maggiore.
E’, in ogni caso, l’ampia formulazione del primo comma
ad indurre a pensare che la s.c.i.a. sostituisca in toto la
d.i.a., anche edilizia[43].
Una portata siffatta – che, de
jure condendo, andrebbe meglio modulata – pone il terzo
avanti al ‘fatto compiuto’ di un intervento in suo danno, di cui
potrebbe venire a conoscenza oltre il termine di sessanta giorni e
che, comunque, potrebbe pregiudicarlo anche nei casi in cui manchi
il pericolo di danni gravi e irreparabili per il patrimonio
artistico o ambientale[44].
E, ancora, nulla si dice sulle
tecniche di tutela, non potendo certo bastare la facoltà, di cui al
comma quinto, di proporre un “ricorso giurisdizionale” al
giudice amministrativo “nei termini di legge”, ove insorgano
controversie concernenti l’applicazione dello stesso articolo
19[45].
Non basta accentuare la ratio di
liberalizzazione, avallando l’efficacia immediata di una s.c.i.a. a
portata generale, per risolvere, in termini chiari ed univoci, un
problema tanto vessato.
Che, per avere tutela, si debba proporre
un ricorso giurisdizionale è poco più di una tautologia. O forse un
modo, più o meno elegante, di rimettere a terzi le questioni
scomode.
4. Segue. Tecniche di tutela alla luce
del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.
Al silenzio della
legge va posto rimedio in via esegetica.
La soluzione deve,
necessariamente, individuarsi nel nuovo codice del processo
amministrativo[46], introdotto dal d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 ed
entrato in vigore il 16 settembre scorso. Il lemma “ricorso” non può che postulare gli articoli 29-31 del nuovo corpo normativo,
ove è contenuta una disciplina puntuale delle azioni esperibili nel
rito amministrativo.
La tradizionale natura costitutiva del
nostro processo ha un suo evidente retaggio nell’articolo 29, che,
disciplinando l’azione di annullamento, conferma il carattere
generale e necessario che ha sempre avuto nel sistema di tutela[47].
Poiché, infatti, la giurisdizione amministrativa sussiste ove si
controverta sull’esercizio o sul mancato esercizio di un potere
amministrativo[48], normalmente esplicantesi in atti autoritativi,
l’annullamento di questi resta, per lo più, la condicio per
quam della tutela[49].
Ben più innovativa è la tutela di
condanna, che, un tempo confinata nei limiti angusti dell’articolo
26 c. 3 legge Tar[50], trova, oggi, ampia cittadinanza: né risulta
limitata alle sole domande a contenuto pecuniario, né alla sola
giurisdizione esclusiva.
L’articolo 30, che ne detta la
disciplina, distingue, infatti, tra condanna esperibile in via
autonoma, in seno alla giurisdizione esclusiva, e condanna
proponibile contestualmente ad altra azione[51], nell’ambito della
giurisdizione di legittimità. Trova, poi, puntuale menzione la
condanna al risarcimento dei danni discendenti dall’esercizio
dell’attività amministrativa[52], inclusi quelli derivanti
dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento. Se, poi, sia ammissibile l’azione di adempimento,
specie del genere in commento, non è cosa di immediata soluzione:
tuttavia, la sua espunzione dalla bozza originaria potrebbe indurre
alla tesi restrittiva[53].
Stando alla lettera, sembra, invece,
meno estesa la portata del mero accertamento, previsto dall’articolo
31 cod. proc. amm., in relazione all’ipotesi della declaratoria di
nullità[54]. Rilevano altresì l’articolo 114 c. 4, che prevede la
declaratoria di nullità degli atti in violazione o elusione del
giudicato, gli articoli 121 e 122, ove è prevista la pronuncia che
accerti l’inefficacia del contratto, oltre all’articolo 34 c. 5,
sulla cessazione della materia del contendere[55]. La stessa azione
avverso il silenzio, di cui al citato articolo 31, ha un contenuto
composito, di accertamento dell’obbligo della p.a. di provvedere e
di condanna all’adozione del provvedimento ovvero, semplicemente, di
condanna a provvedere[56].
Date le azioni astrattamente
proponibili, è necessario comprendere quale, tra queste, valga
come“ricorso giurisdizionale” a tutela del controinteressato,
previa individuazione della natura giuridica del nostro istituto.
L’efficacia immediata della nuova s.c.i.a., che consente al
privato di avviare, senza vaglio a monte, l’attività economica o
l’intervento edilizio, induce a configurare la ‘segnalazione’ alla
stregua di un mero adempimento. Pertanto, la difficoltà di
sostenere, a tutt’oggi, la tesi pubblicistica porta ad escludere,
dal ventaglio delle azioni esperibili, quella ordinaria di
annullamento[57].
In presenza di una s.c.i.a. a natura
privatistica, viene, anzitutto, in rilievo la tesi dell’impugnativa
del silenzio-rifiuto, i cui caratteri non appaiono mutati alla luce
degli articoli 31 e 117 del codice del processo[58].
Era, del
resto, già acquisito che potesse proporsi il ricorso “anche senza
previa diffida”, “fintanto che perdura l’inadempimento e,
comunque, non oltre un anno dalla scadenza di conclusione del
procedimento”. Altrettanto pacifica era la facoltà del giudice
di nominare un commissario ad acta[59]. Ancorché non
innovativa, è, invece, più rilevante la previsione per cui, mentre
al ricorrere di un potere vincolato[60], è consentito il vaglio
della fondatezza della pretesa, lo stesso non è dato in presenza di
un potere discrezionale. La chiara formulazione della norma dirada
ogni dubbio sull’ampiezza, nella subiecta materia, dei poteri
del giudice e, così, sulla tutela effettivamente erogabile. Il
carattere squisitamente discrezionale dei poteri di autotutela
legherebbe le mani del g.a., non consentendogli di garantire appieno
gli interessi pretensivi del ricorrente[61].
Se sia, poi,
esperibile un’azione di mero accertamento, lo si deve dire alla luce
dell’articolo 31. La mancata generalizzazione del rimedio[62], le
elaborazioni della processualcivilistica, spesso propensa al
confinamento della tutela dichiarativa entro limiti angusti[63], e
la necessità di preservare la discrezionalità della p.a.[64],
potrebbero suggerire una risposta negativa. Così, il codice avrebbe
accolto il principio per cui la tutela è possibile solo se tipica: a ogni rimedio non contemplato sarebbero, a
priori, sbarrate le porte.
5. Criteri di valutazione e
soluzioni preferibili.
Non bastano, però, uno o più
indizi a fare una prova, viepiù in presenza di dati testuali che
elevano l’atipicità a criterio cardine del sistema
processuale.
Ha rilievo assorbente l’articolo 1 del codice del
processo, che, consacrando il principio di effettività[65], lo fa
assurgere a canone ermeneutico dell’intero corpo normativo e, così,
impone una lettura dei disposti con modalità allo stesso
conformi[66]. Non basta la mancata previsione testuale di un
istituto per negarne l’esistenza, né è detto che la lettera della
nuova normativa vada a rimpiazzare quanto già da tempo, in via
pretoria, si riconosceva a tutela del soggetto leso.
Ciò è
confermato, non solo dall’articolo 44 della legge delega n. 69/2009,
che ha fissato, quale criterio direttivo del codice del processo,
quello di rivedere le azioni prevedendo le pronunce idonee a
soddisfare la pretesa del ricorrente[67], ma anche dall’articolo 34
cod. proc. amm., per cui il giudice condanna all’ “adozione delle
misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in
giudizio” e altresì “dispone le misure idonee ad assicurare
l’attuazione del giudicato”. Così, in materia di misure cautelari,
l’articolo 55 cod. proc. amm., sulla scia della legge 21 luglio
2000, n. 205, dà la facoltà di chiedere quelle “più idonee” ad
assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul
ricorso.
Se l’effettività ha, quale metro, la strumentalità del
rimedio rispetto alla posizione sostanziale, ad ogni situazione
soggettiva deve, sempre e comunque, corrispondere lo strumento più idoneo a tutelarla.
In presenza di interessi legittimi in
tutto equiparati ai diritti soggettivi[68], si impone la simmetria
dei rimedi azionabili, pena l’irragionevolezza del regime normativo.
Poiché, in relazione alla s.c.i.a., è ben difficile ammettere
l’azione di annullamento, e poco effettivo risulta il ricorso
avverso il silenzio[69], non può negarsi quel minimo di tutela,
presupposto di ogni altra azione, che è l’accertamento
mero.
‘Accertare e dichiarare’ sono, del resto, un tutt’uno con
il giudicare: non si condanna, né si costituisce, modifica o
estingue senza aver previamente accertato. L’articolo 30, e lo
stesso articolo 29, non starebbero in piedi se non presupponessero
un accertamento autonomo in termini ampi e generali[70].
Neanche rilevano gli argomenti fondati sulla
discrezionalità dell’azione amministrativa: se lo iura novit
curia è connaturale al sistema giudiziario nostrano, e accertare
la carenza dei presupposti di legge non è altro che svolgere la
funzione giudiziaria, non può dirsi che
il mero accertamento
scalfisca il principio di separazione dei poteri[71]. In ogni caso,
deve ammettersi che, anche in presenza di poteri discrezionali, sia
dato al giudice accertare il rapporto controverso e, così, formulare
un principio di diritto che funga da linea guida per
l’amministrazione pubblica[72]. Lo stesso articolo 73 c. 3 cod.
proc. amm., contemplando, sulla falsariga del nuovo art. 101 c. 2
c.p.c., l’obbligo del giudice di indicare le questioni rilevabili
d’ufficio, consentirebbe la discussione sul principio delle parti
coinvolte, nel civile rispetto di funzioni e principi di cui alla
Carta fondamentale[73].
Non serve, pertanto, forzare la lettera
dell’articolo 31 c. 4, interpretando il lessema nullità nel senso di
ampio di illegittimità, per dare manforte a una tutela dichiarativa
che è l’immediato corollario dell’effettività e dei principi del
processo dovuto. Ciò che il Consiglio di Stato ha sancito, nella
storica sentenza n. 717/2009, va ribadito alla luce del codice del
processo. Peraltro, la parificazione degli interessi legittimi ai
diritti soggettivi impone, oltre al ‘via libera’ dei poteri di
accertamento del giudice, l’abbandono del termine decadenziale di
sessanta giorni[74]. Non è, infatti, ammissibile una causa di
decadenza in assenza di un’indicazione normativa espressa, né ha
senso impiegare la stessa in mancanza di un atto contro cui
ricorrere[75].
6. Segue. Oltre la tutela
dichiarativa.
Se il mero accertamento è il ‘minimo’,
innegabile in un sistema processuale coerente, non è detto che
esaurisca il ‘bisogno di tutela’.
Una pronuncia dichiarativa
impone sì un obbligo, in capo all’amministrazione competente, di
conformarsi al dictum, ma, pur potendo incorporare un
principio di diritto, non può incidere sulle determinazioni della
p.a., che resta vincolata sul ‘se’, ma non anche sul ‘come’
provvedere. Il rischio di dover proporre un ulteriore ricorso,
questa volta per ottemperanza, con aggravi di tempi e costi, può
essere attenuato dalla tutela di condanna, che avrebbe l’effetto di
ordinare alla p.a. di svolgere l’attività materiale che meglio
garantisca il terzo[76].
Non mancherebbero, del resto, gli
argomenti favorevoli ad una ricostruzione siffatta.
L’ampia
formulazione dell’articolo 30, genericamente rubricato “azione di
condanna”, e l’altrettanto lata previsione di cui al primo comma,
che sembra accogliere una sorta di condanna atipica[77], potrebbero
concedere al terzo quest’ulteriore, e più effettivo, strumento di
tutela. La chiara riconduzione, operata dall’articolo 133 lett. a,
della d.i.a., e, quindi, della s.c.i.a., all’alveo della
giurisdizione esclusiva – ove, com’è noto, i poteri del giudice e
delle parti sono tanto ampi quanto quelli contemplati nel contiguo
processo civile[78] – darebbe manforte all’ammissibilità del
rimedio. A nulla osta la configurazione, in termini di interesse
legittimo, della posizione del terzo[79]: l’articolo 30 c. 2, nel
primo periodo, parla di “condanna al risarcimento del danno
ingiusto” senza specifiche in merito alla situazione soggettiva del
danneggiato.
Neanche appare dirimente l’avvenuta esclusione
dell’azione di adempimento dal codice del processo: da una lettura
integrale del corpo normativo emergono non poche ipotesi di condanna
ad un facere. Si pensi solo all’articolo 116 c. 4, che, in
materia di accesso agli atti, contempla l’ordine, rivolto
all’amministrazione soccombente, di esibire i documenti[80], o
all’articolo 124, che, in tema di contratti pubblici, prevede la
domanda atta a conseguire l’aggiudicazione[81].
Ammettere
un’azione di condanna ad inibire l’attività del segnalante e a
rimuoverne ogni effetto è cosa realmente conforme all’articolo 1
cod. proc. amm.: la reintegrazione in forma specifica, generalmente
riconosciuta dall’art. 30 c. 2 cod. proc. amm. e, ancor prima,
dall’art. 7 c. 3 legge Tar[82], consente al giudice di sostituirsi
alla p.a., soddisfacendo la pretesa del controinteressato ed
evitandogli una fase esecutiva che potrebbe, altrimenti, rivelarsi
necessaria[83].
Non ha, del resto, senso, che, mentre in via
cautelare si può conseguire ogni misura idonea ad assicurare gli
effetti della decisione[84], nel merito vengano, invece,
circoscritti gli strumenti azionabili. Ciò che si può chiedere in
sede cautelare si deve poter chiedere anche nel merito, data la
simmetria che il principio di strumentalità impone. Appare, poi,
difficile definire coerente un sistema nel quale, pur aprendosi, con
riferimento alla decisione, ad ogni “misura idonea” a soddisfare la
pretesa[85], si scartino le azioni che tale pretesa meglio
soddisferebbero. E’ qui il principio, altrettanto simmetrico, della
‘corrispondenza tra chiesto e pronunciato’ a rendere obbligata una
lettura dell’art. 30 sull’azione in senso conforme all’art. 34 sulla
decisione.
Se solo la giurisprudenza potrà, dando lumi sul codice
del processo, aprire o meno alla tutela di condanna, è, in ogni
caso, già libero l’ingresso al mero accertamento, valvola di
sicurezza del sistema di tutela, innegabile anche se non
puntualmente tipizzata.
7. Dalla lettera al sistema.
Postilla su tutela ‘piena’ e codici ‘incompleti’.
L’attesa della decisione dell’Adunanza Plenaria induce
ad ampliare l’orizzonte dell’indagine. Dire che il controinteressato
può sempre proporre un’azione di mero accertamento o, eventualmente,
un’azione di condanna significa, in realtà, andare ben oltre ciò
che, apparentemente, si dice.
Significa, anzitutto, che il rito
amministrativo non è una sorta di monade slegata dal sistema, ma si
fonda, piuttosto, su quei principi generali senza i quali un
processo non può dirsi tale.
La pienezza ed effettività della
tutela, di cui all’articolo 1, insieme ai principi del giusto
processo di cui all’art. 2 cod. proc. amm. e 111 Cost.[86],
rappresentano il punto di intersezione tra processo amministrativo e
giudizio civile e, per l’effetto, garantiscono un ‘prodotto’ di
tutela omogeneo e fungibile.
Non è, del resto, un caso che
l’articolo 39 cod. proc. amm. disponga un rinvio espresso al codice
del rito civile, in quanto espressione di principi generali[87].
Neanche è casuale che mezzi di prova, misure cautelari e specie di
azioni sempre più coincidano e che, con il congegno della traslatio[88], si possa passare dall’uno all’altro giudizio
facendo salvo il più dell’attività processuale espletata.
Perché
la tutela sia effettiva, la natura del giudizio amministrativo deve
eguagliare quella del processo civile, non potendo avere spazio,
nell’ordinamento vigente, un giudizio imperniato sull’atto, né una
cognizione inidonea a penetrare il rapporto. Ad ogni pretesa
conforme a diritto del ricorrente deve corrispondere uno strumento
processuale adeguato. Con il solo limite dell’abuso del processo,
ben arginabile con un vaglio rigoroso dell’interesse a ricorrere,
vanno, in ogni caso, concesse le ‘misure idonee’, e
nell’immediato[89].
Dinanzi al sistema, trascolora la lettera.
Aver riordinato la disciplina della d.i.a., mutandola in s.c.i.a.,
e, soprattutto, aver codificato il processo non basta a rimpiazzare
le coordinate del sistema con nuove, ed eventualmente diverse,
previsioni.
Non può bastare un ‘codice’[90] per cancellare tout court il passato e fornire parametri, rigidi e
assorbenti, per il futuro. La storia insegna che non esistono codici
completi, che l’esaustività è una costruzione velleitaria, in cui
neanche i codificatori hanno mai creduto[91].
E’ di
interpretazione che vive il diritto, e questo è irriducibile ad un
codice[92]: la coerenza del sistema dipende dalla sua capacità di etero ed auto-integrarsi[93], in armonia con il
formante giurisprudenziale ed i principi di diritto europeo.
Se
tutto ciò si negasse, circoscrivendosi i rimedi ai soli casi
espressamente previsti, sostituendo un sistema complesso con 137
articoli e, così, privando il terzo di ogni tutela effettiva, tanto
varrebbe decodificare.
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[1] Si fa riferimento alla recentissima Cons. St.,
sez. IV, 5 gennaio 2011, n. 14, inedita, che così si è espressa, al
par. 7: “l’art. 99 c.p.a. prevede che la Sezione cui è assegnato
il ricorso, se rileva che il punto di diritto – nella specie, rimedi
e tutela del terzo avverso la DIA – sottoposto al suo esame ha dato
luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con
ordinanza emanata su richiesta delle parti o di ufficio può
rimettere il ricorso all’esame dell’adunanza plenaria”.
[2]
Per la cui bibliografia, vastissima, si rinvia ai recenti lavori di
W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo. Il
modello della dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008, L.
Martinez, La dichiarazione di inizio attività: natura e regime
giuridico, Torino, 2008, M. A. Sandulli-M.R. Spasiano-P. Stella
Richter, Il diritto urbanistico in 50 anni di giurisprudenza
della Corte Costituzionale, Napoli, 2007, nonché ai testi infra citati.
[3] Si confrontino Cons. St., sez. IV, 13
maggio 2010, n. 2919, in Foro it., 2010, III, 489; Cons. St.,
sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; Cons. St., sez. VI, 9 febbraio
2009, n. 717, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it;
Cons. St., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948, in Foro amm.
CdS, 2007, 545; Cons. St., sez. V, 19 giugno 2006, n. 3586, in www.giustizia-amministrativa.it e Cons. St., sez. IV, 22
luglio 2005, n. 3916, ivi. Nello stesso senso, per la
dottrina: G. Acquarone, La dichiarazione di inizio attività
(d.i.a.), in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina
generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, 281; Id., La denuncia di inizio attività. Profili teorici, Milano,
2000, 31; A. Romano, I soggetti e le situazioni giuridiche
soggettive del diritto amministrativo, in AA.VV., Diritto
amministrativo, Bologna, 2005, I, 289.
[4] In questo senso,
per la giurisprudenza, Cons. St., sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3263,
in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 13
gennaio 2010, n. 72, in www.giustizia-amministrativa.it;
Cons. St., sez. IV, 25 novembre 2008, n. 5811, in Guida al
dir., 2009, 98; Cons. St., sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3742, in Foro amm. CdS, 2008, 2055; Cons. St., sez. IV, 5 aprile 2007,
n. 1550, in Riv. giur. edililizia, 2007, 1032. Nello stesso
senso, per la dottrina, W. Giulietti, Attività privata e potere
amministrativo, cit., 2; C. Addesso, La dichiarazione di
inizio attività e la tutela del terzo: un rapporto difficile tra
riforme legislative ed incertezze giurisprudenziali, in Foro
amm. Tar, 2008, 65; V. Lopilato - C. Maddau, I silenzi della
pubblica amministrazione, in R. Chieppa - V. Lopilato (a cura
di), Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007, 342.
[5] Sul punto, si veda W. Giulietti, Attività privata e
potere amministrativo, cit., 42. Sulla differenza tra
‘denuncia’, che è atto con cui il privato, rappresentando una
situazione di fatto alla p.a., chiede alla stessa l’adozione di
misure e ‘dichiarazione’, che è atto ai soli fini di notizia, v. E.
Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2010,
410.
[6] D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[7] Cfr. l’art. 22 c.
1 T.U. Edilizia.
[8] V. l’art. 22 c. 2 T.U. cit.
[9]
Introdotta dalla cd. Legge obiettivo, 21 dicembre 2001, n. 443 e
suscettibile di sostituire il permesso di costruire nei casi di cd.
ristrutturazione pesante o di interventi di nuova costruzione e di
ristrutturazione urbanistica. In tema, v. R. De Nictolis-V. Poli, I titoli edilizi nel testo unico e nella Legge Obiettivo,
Milano, 2003, 422.
[10] Si fa riferimento alla L. 18 giugno
2009, n. 69, che – come è noto – all’articolo 9 c. 4 ha previsto che
l’attività possa essere iniziata contestualmente alla presentazione
della denuncia per l’esercizio di impianti produttivi di beni e
servizi di cui alla direttiva 12 dicembre 2006, n. 123/CE.
[11]
Art. 85 d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che ha esteso la possibilità di
intraprendere l’attività contestualmente alla presentazione della
d.i.a. a tutte le attività economiche, di carattere imprenditoriale
o professionale, dirette allo scambio di beni o alla fornitura di
altra prestazione anche a carattere intellettuale, e svolte senza
vincolo di subordinazione. Si veda altresì, per un panorama completo
della novità normative in materia, e con specifico riguardo alla
d.i.a. edilizia, l’articolo 5 della l. 22 maggio 2010, n. 73, che ha
sostituito integralmente l’art. 6 del T.U. Edilizia, ampliando le
ipotesi di intervento realizzabili senza alcun titolo abilitativo.
[12] Si pensi solo che il Consiglio di Stato, mentre con la
sentenza Cons. St., sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919 si è espresso a
favore della natura privatistica della d.i.a., a distanza di soli
undici giorni, con la pronuncia Cons. St., sez. IV, 24 maggio 2010,
n. 3263, ha prestato avallo alla tesi pubblicistica.
[13] Art.
49, c. 4- bis d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con
modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in supplemento n.
174/L alla Gazzetta Ufficiale 30 luglio 2010, n. 176, su cui amplius infra.
[14] D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.
[15] Sul tema della tutela del terzo avverso la d.i.a., si
vedano F. G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa,
Torino, 2009, 181; W. Giulietti, Attività privata e potere
amministrativo. Il modello della dichiarazione di inizio
attività, Torino, 2008, 221; L. Martinez, La dichiarazione di
inizio attività: natura e regime giuridico, Torino, 2008, 115;
A. Travi, La DIA e la tutela del terzo: fra pronunce del g.a. e
riforme legislative del 2005, in Urb. e app., 2005, 1332;
M. A. Sandulli, Competizione, competitività, braccia legate e
certezza del diritto, in www.giustamm.it, 2005; Id., Denuncia di inizio attività, in Riv. giur. edilizia,
2004, 121; Id., Effettività e semplificazione nel governo del
territorio: spunti problematici, in Dir. amm., 2003, 518;
M. Macchia, La denuncia di inizio attività e la tutela del
terzo, in Giorn. dir. amm., 1993, 55.
[16] Per tale
argomentazione, v. Cons. St., 5 aprile 2007, n. 1550, in Dir.
proc. amm., 2008. Con specifico riguardo alla d.i.a. edilizia,
che è tuttora definita “denuncia”, rileva, in merito, l’articolo 38
c. 2- bis D.P.R. n. 380/2001, che prevede la possibilità
dell’accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione
del titolo ed equipara detta ipotesi ai casi di “permesso
annullato”; altrettanto significativo appare l’art. 39 c.
5-bis che conferire alla Regione il potere di disporre
l’annullamento straordinario della d.i.a.
[17] Così, ad
esempio, Cons. St., sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3263, in www.giustizia-amministrativa.it e, per la giurisprudenza di
merito, Tar Liguria, Genova, sez. I, 24 gennaio 2008, n. 76, in Foro amm. T.A.R., 2008, 1, 63.
[18] In questo senso, v.
Tar Piemonte, Torino, sez. I, 19 aprile 2006, n. 1885, in Riv.
giur. edilizia, 2006, I, 354.
[19] Secondo la modifica
operata dalla l. 14 maggio 2005, n. 80.
[20] Basti pensare al
cambiamento del nomen juris di cui si è parlato (da denuncia
a dichiarazione).
[21] Si confrontino, sulla ratio di
liberalizzazione sottesa al nostro istituto, E. Boscolo, I
diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art. 19 della l. n.
241/1990 e altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001; F.
Liguori, Attività liberalizzate e compiti della
amministrazione, Napoli, 2000; L. Ferrara, Diritti soggettivi
ad accertamento amministrativo. Autorizzazione ricognitiva, denuncia
sostitutiva e modi di produzione degli effetti, Padova, 1996.
[22] In argomento, A. Travi, Silenzio assenso, denuncia di
inizio attività e tutela dei controinteressati, in Dir. proc.
amm., 2002, 23. Si veda anche l’opinione contraria di G. Falcon, La regolazione delle attività private e l’art. 19, l. 241 del
1990, in Dir. pubbl., 1997, 411, per cui la rituale
proposizione del ricorso giurisdizionale determinerebbe
l’inopponibilità della scadenza del termine per l’esercizio del
potere inibitorio.
[23] Oltre al fatto che ammettere i soli
rimedi in questione avrebbe l’effetto di escludere, in modo alquanto
arbitrario, i controinteressati da ogni rapporto con la p.a. e,
comunque, presupporrebbe la discutibile configurazione della
situazione soggettiva del terzo in termini di diritto soggettivo
(così, tuttavia, L. Ferrara, Diritti soggettivi ed accertamento
amministrativo, cit., 143). Le nostre perplessità non vantano,
tuttavia, condivisione unanime nella dottrina (cfr., sul tema, W.
Giulietti, Nuove norme in tema di dichiarazione di inizio
attività, ovvero la continuità di un istituto in trasformazione,
in Giur. merito, 2006, 211, nonché E. Boscolo, I diritti
soggettivi a regime amministrativo, cit., 246 e, più in
generale, A. De Roberto, Silenzio assenso e legittimazione
“ex lege” nella legge Nicolazzi, in Dir. soc.,
1983, 163).
[24] Si rinvia, in merito, a W. Giulietti, Attività, cit., 205; C. Lamberti, L’impugnazione della
DIA, in L’impugnabilità degli atti amministrativi, in Atti del Convegno, Certosa di Pontignano - Siena, 13-14 giugno
2008, e in www.giustamm.it, 14; G. Vesperini, La
denuncia di inizio attività e il silenzio assenso, in G.d.a., 2007, 83. Per una diversa impostazione, si veda M. A.
Sandulli, Denuncia di inizio attività, in Riv. giur.
edilizia, 2004, 134, la quale avalla la soluzione del ricorso
diretto contro il comportamento inerte della p.a.
[25] Si
vedano, ora, gli articoli 31 e 117 codice del processo
amministrativo, su cui infra.
[26] In merito, cfr. F.
Caringella - M. Protto, Il nuovo processo amministrativo dopo la
legge 21 luglio 2000 n. 205, Milano, 2001 e, per la
giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916, in Foro amm. CdS, 2005, 2141 e Tar Lombardia, sez. II, 15
novembre 2007, n. 6361, in www.giustizia-amministrativa.it.
[27] In questo senso, G. Corso, L’attività
amministrativa, Torino, 1999, 185. Si vedano altresì F.
Benvenuti, voce Autotutela, in Enc. dir., 1959, e, più
di recente, A. Travi, Giurisprudenza amministrativi e principio
di legalità, in Dir. pubbl., 1995, 120 e G. Lucignana, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, Padova,
2004.
[28] In argomento, si rinvia a F. G. Scoca, Il silenzio
della pubblica amministrazione alla luce del nuovo trattamento
processuale, in Dir. proc. amm., 2002, 264, che pur
rileva che, ove la declaratoria del dovere di provvedere non
contenesse indicazioni sul ‘come’, “il giudizio sarebbe monco, il
giudice non potrebbe svolgere appieno la sua funzione, la sentenza
sarebbe quasi priva di contenuto utile (…) e il commissario
successivamente nominato non avrebbe “paletti” entro i quali
muoversi in sostituzione dell’amministrazione inerte”. Cfr.
anche S. Murgia, Crisi del processo amministrativo e azione di
accertamento, in Dir. proc. amm., 1996, 288, nonché Cons.
St., sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5271, in www.giustizia-amministrativa.it. In senso ancora più netto,
v. Tar Puglia, sez. I, 3 luglio 2008, n. 1612, in Urb. e
app., 2008, 1445 e Cons. St., sez. IV, 10 novembre 2003, n.
7136, in Foro amm. CdS, 2003, 3291.
[29] Va, tuttavia,
segnalato che, anche dopo l’entrata in vigore della l. n. 80/2005 –
e in linea con la nota Cons. St., Ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1,
in www.giustizia-amministrativa.it –, si è, da più parti,
continuato a ritenere che il giudice amministrativo, adito con un
ricorso avverso il silenzio-inadempimento della p.a., non avrebbe
potuto, neanche in materia di poteri vincolati, individuare il
contenuto del provvedimento amministrativo (Cons. St., sez. V, 4
febbraio 2004, n. 376, in Foro amm. CdS, 2004, 852 e Cons.
St., sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453, ivi, 2116). In
questo senso, N. Saitta, Sistema di giustizia amministrativa,
Milano, 2009, 512, ma, contra, sulla base del più recente
testo dell’articolo 2 l. 241/1990 (per lo più ripreso dal codice del
processo amministrativo, su cui v. infra), M. Clarich, Tipicità delle azioni e azione di adempimento nel processo
amministrativo, in Dir. proc. amm., 2005, 572, nonché M.
A. Sandulli, Denuncia di inizio attività, cit., 134.
[30]
Inoltre, non per tutti i casi di abuso edilizio è prevista
l’adozione di misure ripristinatorie dello stato originario: per
molte violazioni la p.a. deve, infatti, limitarsi ad infliggere una
sanzione pecuniaria, difficilmente idonea a soddisfare la pretesa
del terzo. Si vedano, sul punto, le riflessioni di A. Travi, La
d.i.a. e la tutela del terzo: tra pronunce del g.a. e riforme
legislative del 2005, in Urb. e app., 2005, 1332.
Diversamente, A. Graziano, La Dia nelle prime pronunce sulla l.
80/2005. Natura giuridica dell’istituto e tutela giurisdizionale del
controinteressato, ivi, 2006, 1102, per il quale potrebbe
sussistere anche il solo interesse morale del terzo a che l’abuso
venga represso.
[31] Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2009, n.
717, in Dir. proc. amm., 2009, IV, 1260, con nota di S.
Valaguzza, confermata dalla più recente Cons. St., sez. VI, 15
aprile 2010, n. 2139, in www.giustizia-amministrativa.it. In
realtà, la menzionata pronuncia riprende un orientamento già accolto
da TAR Liguria, sez. I, 22 gennaio 2003, n. 113, in Urb.
app., 2003, 591, su cui si veda A. Berra, Quale luce sulla
tutela del terzo in ordine alla DIA?, in Riv. giur.
edilizia, 2003, 575 e M. A. Sandulli, Effettività e
semplificazione nel governo del territorio: spunti problematici,
cit., 526. Per un orientamento analogo, cfr. altresì TAR Abruzzo, 23
gennaio 2003, n. 197, in Riv. giur. edilizia, 2003, I, 544.
[32] Cons. St., sez. V, 6 ottobre 1999, n. 1343 e Id., sez. VI,
20 ottobre 1998, n. 1399, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it, che negano l’ammissibilità
del mero accertamento in presenza di atti autoritativi.
[33] Si
veda, in particolare, Cons. St., 2139/2010, cit., par. 5.
[34]
Cfr., tuttavia, la diversa tesi di A. Formica, Dia e accertamento
nel processo amministrativo, in Urb. e app., 2009, 584,
per il quale sarebbe più opportuno subordinare l’esercizio della
tutela di accertamento mero al termine previsto per l’impugnativa
del silenzio-rifiuto.
[35] V. la citata legge 30 luglio 2010, n.
122, in supplemento n. 174/L alla Gazzetta Ufficiale 30 luglio 2010,
n. 176, che ha così riformato l’art. 19 c. 1 l. n. 241/1990,
cit.:“ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato (…) è
sostituito da una segnalazione dell’interessato (…)”. In merito,
si veda anche La Scia sostituisce la Dia anche per l’attività
edilizia, in CNN Notizie, 29 settembre 2010, con la nota
del 16 settembre 2010 del Ministro per la Semplificazione Normativa,
su cui amplius infra. Per alcune riflessioni a prima
lettura, C. Lamberti, Nell’edilizia vige ancora la DIA?, in Urbanistica e Appalti, n. 11/2010, nonché F. Lisena, Dalla
DIA alla SCIA: storia di una metamorfosi, in www.giustamm.it e P. Amovilli, Le “complicazioni” in
materia di semplificazione amministrativa, ivi.
[36]
Cfr. il nuovo art. 19 c. 2 l. n. 241/1990, cit., per
cui:“l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata
dalla data della presentazione della segnalazione
all’amministrazione competente”.
[37] Art. 85 d.lgs. 26
marzo 2010, n. 59. Sui principi ispiratori del decreto delegato,
cfr. F. Bestagno - L. Radicati di Brozolo (a cura di), Il mercato
unico dei servizi, Milano, 2007.
[38] Sull’effetto
liberalizzante della previgente d.i.a., v. già Tar Liguria, sent. n.
113/2003, cit., e Tar Campania, 6 dicembre 2001, n. 5272, in Urb.
App., 3/2002, 331, con nota di A. Albè.
[39] Sullo schema
‘norma-fatto-effetto’, ci sia consentito rinviare, anche per la
bibliografia, ad A. Giordano, Giurisdizione tributaria e atti
impugnabili: la Cassazione ridisegna i confini, in Giur.
it., 2009, 2057 e Id.,
Natura del giudizio tributario e
poteri del giudice, in Temi romana, 2009, 24.
[40]
Sull’ammissibilità della situazione soggettiva dell’onere nel
diritto amministrativo, si veda, da ultimo, E. Boscolo, I diritti
soggettivi a regime amministrativo, cit., 196.
[41] Si veda
l’articolo 19 c. 6, per cui “ove il fatto non costituisca più
grave reato, chiunque nelle dichiarazioni, attestazioni o
asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività,
dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o
presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a
tre anni”. La pena è, pertanto, più gravosa rispetto a quella
prevista dall’articolo 21 l. n. 241/1990, che rinvia all’art. 483
c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), e
deve considerarsi, nella parte qua, tacitamente abrogato.
[42] Sul nesso tra certezza ed effettività della tutela, cfr. R.
Caponi, In tema di autonomia e certezza nella disciplina del
processo civile, in Foro it., 2006, I, 136 e A. Giordano, La Cassazione riscrive l’art. 645 c. 2 c.p.c. Termini di
costituzione nell’opposizione a decreto ingiuntivo, regole del gioco
e processo dovuto, a partire da Cass. n. 19246/2010, in Temi
romana, 2010.
[43] E’, in merito, rilevante la nota del 16
settembre 2010 del Ministro per la Semplificazione Normativa, cit.,
ove si è ritenuta applicabile la disciplina della Scia alla materia
edilizia, mantenendo l’identico campo applicativo della Dia. Devono,
quindi, ritenersi esclusi dalla portata della nuova normativa tutti
gli interventi soggetti ad altri titoli abilitativi, quali, ad
esempio, il permesso a costruire, connotato da una disciplina
propria e puntuale. Altrettanto esclusi sono, pertanto, anche i
lavori sottoposti a Super-Dia, che è – come si è detto – la Dia
alternativa al permesso a costruire.
[44] Si veda il nuovo art.
19 c. 4, che prevede che “decorso il termine per l’adozione dei
provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3,
all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del
pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante conformazione
dell’attività dei privati alla normativa vigente”.
[45]
Così, la seconda parte del c. 5: “ogni controversia relativa
all’applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso
giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di
legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù
delle norme sul silenzio assenso previste dall’articolo 20”.
Tale disposto, non solo conferma l’orientamento prevalente,
favorevole alla giurisdizione esclusiva del g.a. (così, anche l’art.
133 del codice del processo amministrativo), ma reca altresì una
formula tanto generale da consentire l’esperimento dell’azione più
conforme al principio di effettività (cfr., infra, per
un’analisi maggiormente dettagliata).
[46] Su cui si vedano,
oltre a G. Pellegrino (a cura di), Verso il codice del processo
amministrativo, Roma, 2010 e agli altri testi infra citati, R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo,
in Le nuove leggi amministrative, Milano, 2010, F.
Caringella-M. Protto, Codice del nuovo processo
amministrativo, Roma, 2010, M. Clarich, Un corpus normativo dai contenuti innovativi che contribuisce alla certezza
del diritto, in Guida al dir., n. 32/2010, 10, Id., Le
azioni nel processo amministrativo tra reticenze del codice e
aperture a nuove tutele, in Giorn. dir. amm., 2010, 1121,
AA.VV., Il codice del processo amministrativo, in Foro
it., 2010, V, 210, D. Dalfino, Il codice del processo
amministrativo: disposizioni di rinvio e principi generali, ivi, 2010, V. A. Pajno, Il codice del processo amministrativo
tra “cambio di paradigma” e paura della tutela, in Giorn.
dir. amm., 2010, 885, A. Travi, Lezioni di giustizia
amministrativa, Torino, 2010, 45, Id., Il codice del processo
amministrativo. Presentazione, in Foro it., 2010, V, 205,
Id., Osservazioni generali sullo schema di decreto legislativo
con un ‘codice’ del processo amministrativo, in www.giustamm.it, M. A. Sandulli, Anche il processo
amministrativo ha finalmente un codice, in www.federalismi.it e in Foro amm. - Tar, 2010, M.
Nunziata, Il codice del processo amministrativo (prime
riflessioni applicative). Resoconto del convegno svoltosi presso
l’Avvocatura Generale dello Stato il 2 dicembre 2010, in www.giustamm.it.
[47] In argomento, cfr. A. Travi, Lezioni, cit., 199 e M. Clarich, Azione di annullamento,
in A. Quaranta- V. Lopilato (a cura di), Commentario al Codice
del Processo Amministrativo, ora in www.giustizia-amministrativa.it.
[48] Così, l’articolo 7
cod. proc. amm., che, evidentemente, riprende C. Cost., 6 luglio
2004, n. 204, 2.3.3, in Dir. proc. amm., 2004, 799, con note
di V. Cerulli Irelli e R. Villata ed in Foro it., 2004, I,
2594, con note di S. Benini, A. Travi, F. Fracchia, nonché C. Cost.,
11 maggio 2006, n. 191, in Giur. it., 2006, 1729.
[49] Si
richiamano le note ricostruzioni di A. Proto Pisani, Appunti
sulla tutela cd. costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli
effetti sostanziali), in Riv. dir. proc., 1991, 65 e di
E. Ferrari, La decisione giurisdizionale amministrativa: sentenza
di accertamento o sentenza costitutiva?, in Dir. proc.
amm., 1988, 563. Quanto si espone è confermato dall’articolo 34
cod. proc. amm., che, modulando il contenuto della pronuncia sulla
domanda attorea, prevede che, con la sola sentenza di annullamento,
possano elidersi, in tutto o in parte, gli effetti costitutivi del
provvedimento impugnato.
[50] Che – come è noto – poteva essere
esperita solo nei confronti della p.a., unicamente nell’ambito della
giurisdizione esclusiva e al fine di conseguire il pagamento di
somme di denaro dovute dall’amministrazione. Si vedano, sul tema, G.
Miele, Brevi note sull’ammissibilità di decisioni di condanna da
parte del giudice amministrativo, in Jus, XIV, 1963, 336
e ancora A. Proto Pisani, Appunti sulla tutela cd.
costitutiva, cit., 65.
[51] Sulle azioni cd. miste,
costitutive e di condanna, cfr. F. G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, cit., 190 e, con riferimento al codice
del processo, M. Clarich, Le azioni nel processo
amministrativo, cit., passim.
[52] Inoltre,
nonostante l’abolizione della cd. pregiudiziale amministrativa,
l’articolo 31 c. 3, assai discutibilmente, prevede un termine di
decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto
si è verificato, ovvero dalla conoscenza del provvedimento. In
argomento, v. R. Chieppa, Il codice del processo
amministrativo, cit., 190. Condivisibili appaiono i rilievi di
P. Chirulli, voce Pregiudizialità amministrativa, in Dig.
disc. pubbl., Aggiornamento, IV, Torino, 2010, 441, che
sottolinea il rischio di una “reintroduzione surrettizia della
regola della pregiudizialità”. Sull’autonomia dell’azione
risarcitoria, cfr. la recentissima Cons. St., ad plen., 23 marzo
2011, n. 3, in www.giustizia-amministrativa.it, su cui M. A.
Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche
amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove
questioni, in www.federalismi.it, 2011.
[53] Si
vedano, in merito, le perplessità di R. Caponi, La riforma del
processo amministrativo: primi appunti per una riflessione, in Foro it., 2010, 271. In senso favorevole alla proponibilità
dell’azione di adempimento, cfr. R. Chieppa, Il codice del
processo amministrativo, cit., 172, M. A. Sandulli, Anche il
processo amministrativo ha finalmente un codice, cit., LXVII,
nonché A. Travi, Lezioni, cit., 205, per il quale, nelle
materie di giurisdizione esclusiva, potrebbe aversi la condanna
all’adempimento di qualsiasi obbligazione. Per un confronto con il
processo amministrativo tedesco, sul punto, S. Detterbeck, Allgemeines Verwaltungsrecht. Mit Verwaltungsprozessrecht,
München, 2007, 516.
[54] In argomento, per le riflessioni ancora
attuali, si rinvia a M. R. Spasiano, in N. Paolantonio-A. Police-A.
Zito (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua
azione, Torino, 2005, 574 e A. Police, in F. G. Scoca (a cura
di), Giustizia amministrativa, cit., 179.
[55] Cfr., in
merito, R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo,
cit., 238, nonché C. E. Gallo, Manuale di giustizia
amministrativa, Torino, 2010, 92 e A. Travi, Lezioni,
cit., 204.
[56] Evidentemente, a seconda che si tratti di poteri
vincolati o discrezionali. In questo senso, F. Caringella-M.
Protto, Codice del nuovo processo amministrativo, cit., 384.
[57] Ove, invece, valorizzando il rinvio, operato dall’articolo
19 c. 3, agli artt . 21- quinquies e 21- nonies, si
volesse ancora avallare la qualifica della s.c.i.a. come atto
abilitativo implicito o tacito, dovrebbe ammettersi l’azione ex articolo 29 cod. proc. amm., nel termine decadenziale di
sessanta giorni dalla conoscenza, da parte del terzo, dell’attività
avviata.
[58] Si confronti, in merito, M. Clarich, Le azioni
nel processo amministrativo, cit., passim e già, prima
della vigenza del codice, Id., Tipicità delle azioni e azione di
adempimento, cit., 572.
[59] Così, l’articolo 117 c. 3 cod.
proc. amm.
[60] O quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari
adempimenti istruttori che debbano essere compiuti
dall’amministrazione. V., in merito, l’art. 31 c. 3 cod. proc. amm.
[61] Diversamente si dovrebbe dire in relazione ai poteri
sanzionatori, che hanno, invece, natura vincolata. Valgono,
tuttavia, anche qui, le considerazioni già esposte in relazione al
sistema anteriore al codice del processo, alle quali si rinvia.
[62] E’ questa l’impostazione di A. M. Sandulli, Il giudizio
davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli,
s.d. (ma 1962), 38 e 143, che ritiene che i giudizi di accertamento
possano essere ammessi “nei casi tassativamente indicati dalla
legge”. Per la giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. V, 20 marzo
2006, n. 1440, in Foro amm. C.d.S., 2006, 874. Per simili
rilievi, con riferimento all’azione di adempimento, F. Merusi, Verso un’azione di adempimento?, in Scritti in onore di
Giovanni Miele, Milano, 1979, 337.
[63] Si veda, in merito,
S. Satta, Premesse generali della dottrina dell’esecuzione
forzata, in Teoria e pratica del processo, 1940, 11, che
afferma che “ogni sentenza di accertamento postula come suo
indefettibile presupposto il disconoscimento positivo e concreto di
un diritto da parte di persona giuridicamente obbligata ad un
contrario comportamento”. Cfr. anche gli importanti studi di L.
Lanfranchi, Contributo allo studio dell’azione di mero
accertamento, Milano, 1969 ed E. Ricci, voce Accertamento
giudiziale, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV,
1987, 20, che ritiene che l’accertamento possa riguardare i soli
diritti soggettivi.
[64] Cfr., in merito, P. Stella Richter, L’aspettativa di provvedimento, in Riv. trim. dir.
pubbl., 1981, 3. Sul concetto di discrezionalità, v. F. G.
Scoca, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella
dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000,
1061.
[65] Così l’articolo 1 del codice del processo
amministrativo: “la giurisdizione amministrativa assicura una
tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e
del diritto europeo”. Sul tema, si rinvia a M. A. Sandulli (a
cura di), Nuovo processo amministrativo, in L’amministrativista, 2010, 5 e a M. Clarich, Le azioni nel
processo amministrativo, cit., 1121.
[66] Cfr., in questo
senso, Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30254, in Corr.
giur., 5/2009, 653, con note di A. di Majo ed E. Picozza, che in
questi termini si è espressa: “la tutela giurisdizionale si
dimensiona su quella sostanziale e non viceversa”.
[67] Si
veda l’articolo 44 c. 2 lett. b): “disciplinare le azioni e le
funzioni del giudice: (…) 4) prevedendo le pronunce dichiarative,
costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte
vittoriosa”. In argomento, cfr. R. Chieppa, Il codice del
processo amministrativo, cit., 6 e A. Pajno, Il codice del
processo amministrativo tra “cambio di paradigma” e paura della
tutela, cit., 886.
[68] Si vedano, in questo senso, L.
Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di
esecuzione. La dissoluzione del concetto di interesse
legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 2003, 175; M. Occhiena, Situazioni giuridiche
soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2003, 20; C.
Varrone, Stato sociale e giurisdizione sui “diritti” del giudice
amministrativo, Napoli, 2001; G. Oppo, Novità e interrogativi
in tema di tutela degli interessi legittimi, in Riv. dir.
civ., 2000, 391.
[69] Che, come si è detto, in presenza di
poteri discrezionali della p.a., sortirebbe il solo effetto di
obbligare la stessa ad avviare il procedimento di riesame. Resta,
poi, il dato per cui il potere di autotutela è subordinato ai limiti
di cui agli artt. 21- quinquies e nonies l. n.
241/1990, mentre diversamente deve dirsi per il potere del giudice
di accertare, su cui infra. Appare, in merito, rilevante,
Cons. St., sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550, cit.
[70] In questo
senso, con riferimento al sistema di tutela previgente, cfr. G.
Greco, L’accertamento autonomo del rapporto, Milano, 1980, passim, e G. Abbamonte, Sentenze di accertamento ed
oggetto del giudizio amministrativo di legittimità e di
ottemperanza, in Scritti in onore di M. S. Giannini,
Milano, 1989, passim, nonché E. Ferrari, La decisione
giurisdizionale amministrativa: sentenza di accertamento o sentenza
costitutiva?, in Dir. proc. amm., 1988, 575.
[71] Non
condividiamo, sul punto, il par. 7.9.5, sent. Cons. St., n.
717/2009, cit., ove viene consentito il mero accertamento purché non
venga impiegato quale forma di tutela preventiva dell’interesse
legittimo del terzo – cosa, quest’ultima, che “comporterebbe una
inammissibile sostituzione all’Amministrazione nella titolarità e
nella gestione del potere”. Nel senso della pronuncia, G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto, cit., 109.
[72]
Appare, in merito, illuminante un confronto con l’ordinamento
tedesco, ove è consentito al giudice ordinare alla p.a. di
provvedere nell’osservanza del criterio giuridico statuito (v., in
merito, il paragrafo 113 della VwGO). Si confrontino M.
Schröder, Bescheidungsantrag und Bescheidungsurteil, in H.-U.
Erichsen, W. Hoppe, A. Von Mutius, System der
wervaltungsgerichtlichen Rechtsschutzes. Festchrift für
Christian-Friederich Menger, Koln-Berlin-Bonn-München, 1985,
487.
[73] Si rinvia, sul tema, a G. Costantino, Questioni
processuali tra poteri del giudice e facoltà delle parti, in Riv. dir. proc., 2010, nonché ad E. Fabiani, Contraddittorio e questioni rilevabili d’ufficio, in Foro
it., 2009, IV, 265 e ad A. Giordano, La sentenza della “terza
via” e le “vie” d’uscita. Delle sanzioni e dei rimedi avverso una
“terza soluzione” del giudice civile, in Giur. it., 2009,
911.
[74] Non possono, in merito, condividersi i par. 7.11 e
segg. di Cons. St., n. 717/2009, cit., né i diversi rilievi di A.
Formica, Dia e accertamento nel processo amministrativo,
cit., 584, il quale è favorevole al termine decadenziale più lungo
previsto in materia di ricorso avverso il silenzio. Appare, invero,
dubbia l’applicazione analogica di una norma speciale, e peraltro
comunque restrittiva, ad un caso in cui è difficile ravvisare
un’identica ratio. In mancanza di un atto impugnabile e nel
silenzio del legislatore, si deve applicare il termine generale
della prescrizione ordinaria.
[75] Per dubbi analoghi, in
relazione all’accertamento della nullità, oggi sottoposto al termine
di centottanta giorni, v. R. Caponi, Azione di nullità (profili
di teoria generale), in Riv. dir. civ., 2008, 77 e, con
riferimento al processo amministrativo, B. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, Padova, 2001, 83.
[76] Così,
del resto, già Tar Liguria, 22 gennaio 2003, n. 113, cit., che
argomentava sulla base dell’esistenza, se non di un atto, di un
comportamento della p.a., impugnabile avanti al g.a. ex art.
34 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e, in dottrina, W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo, cit., 239, per cui
la condanna della p.a. ad un facere poteva discendere
dall’art. 7 c. 3 legge Tar, su cui infra.
[77] In questo
senso, si vedano F. Caringella-M. Protto, Codice del nuovo
processo amministrativo, cit., 373, nonché M. Clarich, Le
azioni nel processo amministrativo, cit., 1121 e R. Gisondi, La disciplina delle azioni di condanna nel nuovo codice del
processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it.
[78] Si veda, in merito,
A. Police, Il ricorso di giurisdizione piena davanti al giudice
amministrativo. Contributo alla teoria dell’azione nella
giurisdizione esclusiva, Padova, 2001, vol. II, nonché P.
Sandulli, La tutela dei diritti dalla giurisdizione esclusiva
alla giurisdizione per materia, Milano, 2004.
[79] E’
questa, come si è detto, la tesi prevalente. Non mancano, tuttavia,
le tesi favorevoli alla ricostruzione della posizione del terzo in
termini di vero e proprio diritto soggettivo (L. Ferrara, Diritti
soggettivi ed accertamento amministrativo, cit., 143).
[80]
In argomento, cfr. già F. Vetrò, in N. Paolantonio-A. Police-A. Zito
(a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione,
Torino, 2005, 766.
[81] Si veda anche l’articolo 4 del d.lgs. 20
dicembre 2009, n. 198, che disciplinando l’azione collettiva contro
la p.a., menziona il potere del giudice di ordinare a quest’ultima
di porre rimedio alla violazione accertata.
[82] Per cui, com’è
noto,“il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della
sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative
all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la
reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali
consequenziali”. Sulla reintegrazione in forma specifica come
strumento funzionale a tutelare l’interesse legittimo della parte,
si veda A. Police, Il ricorso di giurisdizione piena, cit.,
333, nonché A. Zito, Il danno da illegittimo esercizio della
funzione amministrativa. Riflessioni sulla tutela dell’interesse
legittimo, Napoli, 2003, 126 e D. Vaiano, Pretesa di
provvedimento e processo amministrativo, Milano, 2002, 295.
[83] Così, in particolare, C. Volpe, La reintegrazione in
forma specifica, in www.giustizia-amministrativa.it,
2003. Si veda, per un esempio interessante di sostituzione del
giudice alla p.a., la possibilità del g.a. di annullare
l’aggiudicazione di un contratto pubblico e, contestualmente di
aggiudicarlo al ricorrente, Cons. St., sez. V, 18 agosto 2010, n.
5823, in www.giustizia-amministrativa.it. Sul tema,si rinvia
a F. G. Scoca, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del
contratto, in Giustizia amministrativa, 1/2007, 31,
nonché, più di recente, ad A. Carullo, La sorte del contratto
dopo l’annullamento dell’aggiudicazione: poteri del giudice e
domanda di parte, in www.giustamm.it, n. 10/2010, 27. Sull’applicazione, alla nostra fattispecie, della tutela di
condanna, in combinato con l’azione impugnatoria avverso
l’intervenuto ‘silenzio-diniego’, cfr. il recentissimo lavoro di G.
Greco, La Scia e la tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza
plenaria, ma perché dopo il silenzio assenso e il silenzio
inadempimento, non si può prendere in considerazione anche il
silenzio diniego?, in Giustizia amministrativa, n.
3/2011.
[84] Cosa che, peraltro, induce a concedere al
controinteressato la facoltà di agire anche in via cautelare,
eventualmente anche ante causam. Similmente, del resto, anche
la già citata TAR Liguria, 22 Gennaio 2003, n. 113, cit.
[85] Si
veda l’articolo 34 lett. c), su cui supra.
[86] Deve
ritenersi che il mancato richiamo, da parte dell’articolo 2, del
principio di terzietà ed imparzialità possa ritenersi ‘sanato’ dal
valore assorbente dell’articolo 111 Costituzione.
[87] Si veda,
in argomento, D. Dalfino, Il codice del processo amministrativo:
disposizioni di rinvio e principi generali, in Foro
it., 2010, V e R. Caponi, La riforma del processo
amministrativo: primi appunti per una riflessione, cit., ove
l’A. critica la malformulata locuzione “si applicano le
disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o
espressione di principi generali”. Per il sistema previgente, v.
A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 1998,
190 e M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 2002, 270.
Con riferimento al contiguo processo tributario, cfr. l’art. 1 c. 2
d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che dispone un ampio rinvio al
codice di procedura civile (A. Chizzini, I rapporti tra codice di
procedura civile e processo tributario, in AA.VV., Il
processo tributario. Giurisprudenza sistematica di diritto
tributario, diretta da F. Tesauro, 1998, 3).
[88] Su cui si
veda l’articolo 11 cod. proc. amm., che ricalca l’articolo 59 della
legge n. 69/2009. Sul tema, si veda, da ultimo, C. Consolo,
Traslatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, con
esame anche dell’incidenza scoordinata del nuovo “codice della
giustizia amministrativa”, in Corr. giur., 2010, 758.
[89] Sul tema, si veda, da ultimo, con riferimento al cd.
vincolo di giustizia sportiva, M. R. Spasiano, in F. G. Scoca (a
cura di), Giustizia amministrativa, cit., 511, nonché P.
Sandulli, I limiti della “giurisdizione sportiva”, in Foro
amm. Tar, 2008, 2088.
[90] Che è, peraltro, più vicino al
modello della consolidazione che a quello della codificazione. Sui
detti concetti, fondamentali nella storia del pensiero giuridico,
cfr. M. Viora, Consolidazioni e codificazioni, Bologna (s.d.)
e Torino 1967.
[91] In merito, si rinvia, per un’ampia
trattazione del tema, a M. Ascheri (a cura di), Lezioni di storia
delle codificazioni e delle costituzioni, Torino, 2008 e già
Id., Costituzioni e codici moderni, Torino, 2007.
[92] Si
veda, uno per tutti, P. Grossi, L’ordine giuridico medievale,
Roma-Bari, 1995, 163 e Id., Assolutismo giuridico e diritto
privato, Milano, 1998, 9. Sulla crisi del concetto di codice, si
veda anche l’opera di N. Irti, L’età della decodificazione,
Milano, 1989 e Id., Il salvagente della forma, Roma-Bari,
2007.
[93] Sul concetto di eterointegrazione e di
autointegrazione, non può non rinviarsi a G. Tarello, Storia
della cultura giuridica moderna. I. Assolutismo e scienza del
diritto, Bologna, 1976, 20. Cfr. anche il più recente lavoro di
sintesi di U. Petronio, La lotta per la codificazione,
Torino, 2002, 7.
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(pubblicato il
12.4.2011)
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