Giustizia Amministrativa - on line
 
Articoli e Note
n. 3-2011 - © copyright

 

GIOVANNI TULUMELLO

Brevi riflessioni su alcuni aspetti della disciplina della tutela cautelare nel codice del processo amministrativo*

 

 


 

 

1. Se la chiave di lettura del codice del processo amministrativo è quella della avvenuta positivizzazione e della sistematizzazione degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali, il settore della tutela cautelare è quello in cui questo dato è maggiormente evidente.
In tutte le discipline processualistiche, l’attenzione si è da anni concentrata sulla fase cautelare: per cause che travalicano le ragioni di tutela d’urgenza tradizionalmente attribuite a questo rimedio, e per lo più connesse all’allungamento dei tempi medi di definizione dei giudizi di merito.
Tanto che il regime dell’interim relief rappresenta oggi una parte significativa di quel nucleo di diritto processuale amministrativo comune ai paesi dell’Unione europea, che ha finito per svuotare di reale contenuto il principio della autonomia processuale degli Stati membri, ormai ricondotto – almeno per questa parte - al profilo dell’adattamento del diritto interno a quello europeo.[1]
Nello specifico, poi, la dottrina italiana aveva ben chiarito che la rilevanza centrale della cautela trova precise ragioni teoriche nella funzione stessa del processo amministrativo.
Feliciano Benvenuti osservava in proposito, più di venti anni fa, come non solo dall’analisi della struttura del processo amministrativo, ma anche dall’esame della “stessa utilizzazione che ne è fatta in sede pratica”, emergerebbe il rilievo secondo cui questo tipo di processo tende “fondamentalmente ad assicurare la certezza della posizione dell’amministrazione nei confronti del cittadino o, se si vuole (ma sotto questo profilo il tema rimane lo stesso), la posizione del cittadino nei confronti dell’incombente amministrazione”[2].
Questa osservazione aveva condotto a rivedere criticamente la stessa vicenda del possibile abuso della tutela cautelare, consistente nella richiesta di una misura – anticipatoria - di cautela anche al di fuori di un possibile effetto pregiudizievole derivante dall’esecuzione del provvedimento impugnato (tale da pregiudicare irrimediabilmente gli effetti della successiva decisione sul merito).
Non si tratterebbe, in quest’ottica, di un uso distorto di strumenti processuali, ma piuttosto, per i contorni che ha assunto, di una vicenda che contribuisce a disegnare la complessiva funzione del processo amministrativo: “D’altra parte che questo processo tenda fondamentalmente ad assicurare la certezza, lo si vede dalla stessa utilizzazione che ne è fatta in sede pratica. Nell’esperienza attuale la lotta si svolge ormai abitualmente in sede di incidente di sospensione o per bloccare il giudizio di merito e sapere subito quale atteggiamento prendere nella realtà sostanziale o per scambiare la rinuncia alla istanza di sospensione con la fissazione di una ravvicinata udienza di merito. In entrambi i casi, la sospensiva è divenuto il momento risolutore (….)”.[3]
Il codice suggella ora questa ricostruzione: laddove, in più punti (art. 55, comma 10; art. 119, comma 3; art. 120, comma 6), precisa che la fissazione sollecita del merito del ricorso è essa stessa la misura di cautela più idonea a tutelare in via d’urgenza l’interesse del ricorrente, e a rendere tale tutela compatibile con quella degli altri interessi coinvolti (a questa logica non è estranea neppure la previsione di cui all’art. 71, comma 5, che prevede la riduzione del termine per la comunicazione del decreto di fissazione di udienza in caso di rinuncia alla domanda cautelare).
Il che, mi pare dia ragione (postuma) a Benvenuti, quando – ricostruendo correttamente il rapporto causa-effetto - osservava che la deviazione funzionale non è nel ricorso eccessivo alla tutela cautelare, ma nella insufficiente immediatezza della definizione del giudizio, che ha innescato nella prassi un meccanismo di compensazione necessario per consentire al processo la possibilità di assolvere alla sua funzione, nonostante il rilevato scostamento temporale.
Oggi che il codice riconosce e positivizza questo meccanismo, con conseguente incremento del numero dei ricorsi fissati al merito per la via cautelare, il vero problema, in un sistema già in sofferenza di risorse come quello della giustizia amministrativa, è però quello della effettività della funzione del processo amministrativo in tutti quei casi in cui la domanda cautelare non venga proposta, o non venga accolta, giacché in tali fattispecie la già notevole dilatazione dei tempi di definizione del giudizio risentirà anche dell’effetto moltiplicatore derivante dalle conseguenze applicative delle disposizioni da ultimo richiamate.

2. Se la funzione del processo amministrativo è quella di produrre certezza circa l’assetto di interessi, e se la connessa funzione della fase cautelare è quella di produrre certezza sollecita, l’esito, vale a dire la definizione di tale assetto, risente strutturalmente della complessità – già sul piano sostanziale - del rapporto giuridico amministrativo.
Presupposto per l’accoglimento dell’azione cautelare è l’allegazione, da parte del ricorrente, di un pregiudizio irreparabile derivante dalla esecuzione del provvedimento impugnato (art. 55, primo comma): ma sulla definizione dell’attributo della irreparabilità gioca un ruolo rilevante la caratteristica del processo amministrativo come momento di tutela dell’interesse privato in una con la disposizione dell’interesse pubblico.
In proposito già Guido Zanobini sosteneva che “l’eventualità del danno si debba considerare non solo nei riguardi dell’interesse del ricorrente, ma anche in quelli dell’interesse pubblico dell’amministrazione”.[4]
E’ proprio questo il punto: un modello evoluto di pubblica amministrazione, proprio di una fase ormai avanzata (anche per effetto della disciplina recata dal Trattato sull’Unione europea) dello Stato sociale, in sede di verifica giurisdizionale richiede la consapevolezza della mutata fisionomia degli interessi in gioco, e della conseguente esigenza di un efficace tutela e contemperamento degli stessi.
In dottrina si è posta in evidenza la necessità di riconsiderare in chiave problematica la stessa nozione di interesse pubblico,[5] e quella di interesse pubblico primario.[6]
Tutto ciò si riversa nel giudizio cautelare, dove è l’esatta individuazione e definizione degli interessi coinvolti dalla vicenda provvedimentale, e dal connesso profilo della sua esecuzione, a costituire la precondizione logica dell’assetto impresso al rapporto in via interinale.[7]
Non a caso il codice distingue fra la “allegazione” del pregiudizio da parte del suo ricorrente, e la sua “valutazione” da parte del giudice (art. art. 55, comma 9): il presupposto per la concessione della misura di cautela sembra essere dunque non la mera ricognizione del pregiudizio, siccome allegato, ma – anche quando questo venga riconosciuto comunque sussistente - la sua valutazione ponderata, in relazione alla disciplina legale degl’interessi complessivamente coinvolti (il che refluisce non solo e non tanto sull’an della scelta, ma piuttosto sul quomodo, vale a dire sulla individuazione della misura più idonea a stabilire una assetto interinale degli interessi consapevole della complessità della fattispecie, e delle peculiari caratteristiche delle situazioni giuridiche soggettive oggetto della stessa, considerate nel loro reciproco intreccio).

3. La positivizzazione della prassi della fissazione sollecita del merito richiama, per altro verso, il problema della strumentalità della tutela cautelare rispetto alla decisione che definisce il giudizio.
Anche in questo caso è centrale il rilievo del fatto che la tutela dell’interesse legittimo e la conformazione dell’interesse pubblico transitano nel processo dalla cautela al merito: sicché – fermo restando l’impatto della decisione cautelare su tale assetto – la disciplina delle due fasi finisce inevitabilmente coll’interagire.
L’intuizione di Mario Nigro, secondo cui “la dilatazione della funzione del giudizio di sospensione” altro non era che una manifestazione del “superamento del tipo chiuso di giudizio di impugnazione”,[8] trova oggi conferma nella circostanza che il codice, oltre alla positivizzazione della atipicità delle forme di tutela cautelare (art. 55, primo comma), già anticipata dalla legge n. 205 del 2000, assegna simmetricamente al giudice – nei limiti della domanda - un analogo potere di individuazione, in sede di decisione sul merito, delle “misure idonee” ad assicurare l’attuazione della decisione stessa, e dunque a garantire l’effettività dell’assetto di interessi stabilito [art. 34, comma 1, lett. e)].
Senza contare che questo dialogo fra rimedi trova una formidabile sintesi nella previsione di cui all’art. 60, laddove si prevede la definizione del giudizio nella stessa sede cautelare, mediante una sentenza in forma semplificata.[9]

4. Sul terreno delle novità assolute, si segnala la disciplina del rapporto fra il regime della liquidazione del danno, in sede di risarcimento per equivalente monetario del pregiudizio causato dall’illegittimo esercizio della funzione, e la tutela impugnatoria, anche – e soprattutto – cautelare contro gli atti di esercizio della funzione che costituiscono veicolo di lesione.
Finora la fase cautelare era stata in effetti studiata unicamente nella prospettiva della sua strumentalità rispetto alla forma rimediale ritenuta centrale (e a lungo unica) nel processo amministrativo, vale a dire alla domanda di annullamento dell’atto illegittimo: ma l’avere affiancato a questa la possibilità di domandare il risarcimento del danno derivante da tale atto pone ora l’esigenza di riflettere sulle funzioni della tutela cautelare alla luce del rinnovato spettro delle azioni a disposizione del cittadino, aventi ad oggetto gli etti di esercizio del potere amministrativo, e dei loro effetti.
L’art. 30, comma 3 del codice, accogliendo un ordine di idee già espresso da una parte della giurisprudenza amministrativa,[10] smentisce ora la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla non sussumibilità degli strumenti rimediali nello sforzo diligente esigibile dal danneggiato quale contributo causale alla riduzione delle conseguenze pregiudizievoli,[11] escludendo dal novero dei danni risarcibili quelli che gli “strumenti di tutela previsti” (e, dunque, quello cautelare in primis) avrebbero potuto evitare.
Neppure questo nesso fra funzione della cautela e limitazione delle conseguenze (risarcitorie) pregiudizievoli è inedito sul piano teorico, in quanto aveva costituito oggetto di indagine, seppure in una diversa ma affine prospettiva, da parte del Guicciardi, il quale osservava come nella delibazione sulla sussistenza dei presupposti della sospensione cautelare l’attributo della irreparabilità del pregiudizio andasse valutato “non solo dal punto di vista del ricorrente, ma anche per la stessa Amministrazione, a causa della eccessiva onerosità del ripristino della situazione preesistente all’emanazione del provvedimento impugnato ed annullato. Se ne ha un tipico esempio nel caso in cui l’esecuzione del provvedimento implichi la demolizione di un edificio, che imporrebbe all’Amministrazione l’obbligo di un forte risarcimento a favore del proprietario qualora il ricorso venisse accolto”.[12]
Da questo punto di vista, si può osservare, conclusivamente, che la definitiva affermazione del rimedio risarcitorio nel sistema della tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione ha prodotto anzitutto l’effetto – positivizzato dal codice - di affrancare l’interesse a ricorrere dalla mera prospettiva caducatoria (art. 34, comma 3): nel giudizio d’impugnazione l’interesse a coltivare il ricorso può prescindere dall’utilità ricavabile dall’annullamento, concentrandosi sulla funzione anche meramente risarcitoria dell’accertamento della illegittimità provvedi mentale.
Per altro verso - proprio a causa della disposizione di cui al citato art. 30, comma 3 - detta affermazione non ha contribuito, in una rinnovata visione funzionale del rimedio interinale alla luce dell’introduzione della tutela risarcitoria, a delimitare in senso letterale l’attributo della irreparabilità nella prospettiva tradizionale della garanzia della res adhuc integra: anzi, fra le funzioni positivamente riconosciute – ancorché implicitamente - alla cautela vi è ora non solo quella di evitare la produzione di un danno che non possa essere in alcun modo riparato, ma anche quella di evitare riparazioni per equivalente monetario certamente possibili (in fatto e in diritto), ma eccessivamente onerose per il danneggiante pubblico.
In altre parole, coerenza sistematica vuole che se il potenziale danneggiato, per non vedersi limitata l’area della liquidazione, è onerato dell’esperimento dei necessari rimedi giurisdizionali, primo fra tutti il più sollecito (vale a dire quello cautelare), per dare un senso a tale previsione occorre che nella valutazione della sussistenza dei presupposti per la concessione di quest’ultimo il giudice debba includere – come auspicato da Guicciardi - anche la valutazione dell’entità delle possibili conseguenze, per il danneggiante, derivanti sul piano risarcitorio dalla produzione degli effetti del provvedimento di cui si chiede la sospensione (o, più in generale, dell’attività amministrativa che si chiede di inibire interinalmente): non potendo evidentemente rifugiarsi, per motivare il rigetto dell’istanza cautelare, dietro la formula tralaticia per cui l’eventuale pregiudizio è comunque riparabile per equivalente monetario.
Il che è un ulteriore indice, anche sul piano rimediale, della strutturale recessività, in diritto amministrativo, delle regole di responsabilità rispetto alle regole di validità.[13]
Una efficace tutela degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi non è quella che prescinde dalla conformazione dell’interesse pubblico in senso conforme al paradigma normativo, e dalla connessa validità ed efficacia degli atti di esercizio del relativo potere, ma quella che combina i due profili: a partire dalla delibazione sommaria di fondatezza del ricorso operata in sede cautelare, e dalle statuizioni conseguenti.

 

----------

 

* Il testo riproduce, con l’aggiunta dei riferimenti bibliografici, la relazione al Convegno “Il codice del processo amministrativo”, organizzato a il 13 dicembre 2010 a Palermo dall’ISEL.
[1] In argomento, M. Eliantonio, Europeanisation of Administrative Justice?, Amsterdam, Europa Law Publishing, 2009.
[2] F. Benvenuti, Processo amministrativo (ragioni e struttura), voce dell’Enc. dir., Milano, 1987, vol. XXXVI.
[3] F. Benvenuti, Processo amministrativo (ragioni e struttura), cit.
In senso analogo F. Satta, I riti abbreviati: tra giurisdizione e amministrazione, in www.giustamm.it, n. 5/2007: “senza che si segua una regola precisa, accade sovente che in sede di trattazione dell’istanza cautelare le parti quasi la convertano in istanza di fissazione del merito in tempi brevi; e che non solo il presidente aderisca, ma addirittura a volte assuma iniziative d’ufficio in tal senso”.
In generale, sui problemi posti dal ricorso allo strumento cautelare, si vedano le considerazioni critiche di G. Paleologo, Il giudizio amministrativo oggi, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 621; si veda altresì F. Satta, Giustizia cautelare, voce dell’Enc. dir., aggiorn., vol. I, Milano, 1987, 595.
[4] G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, vol. II (La giustizia amministrativa), VIII ed., Milano 1958, p. 302, n. 17.
[5] P. Salvatore, Le nuove prospettive del sindacato sull’eccesso di potere alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, in Cons. di Stato, 2002, II, 1601; S. Giacchetti, Processo amministrativo e interesse generale, in Cons. di Stato, 2002, II, 1625; G. Corso, Il diritto comunitario e le trasformazioni del diritto amministrativo italiano, in Nuove autonomie, 10/2001, p. 516, ove il rilievo che “Il diritto europeo sembra (...) recuperare la distinzione liberale tra interesse generale come interesse di tuti e l’interesse collettivo che fa capo a gruppi sociali più o meno ampi; che va protetto mediante forme di autorganizzazione, ma che non può esser spacciato per interesse generale se non a prezzo del trattamento discriminatorio di altri interesi (collettivi) in gioco. Per quanto ovvia possa apparire questa riflessione essa contrasta radicalmente con uno degli assiomi della dottrina amministrativistica italiana. Contrasta con l’idea, formulata in modo particolarmente chiaro da M.S. Giannini, secondo cui, nell’impossibilità di identificare in termini oggettivi l’interesse pubblico, deve considerarsi tale qualunque interesse collettivo che il parlamento decida di tutelare, conferendogli lo status di interesse pubblico e affiancandogli un apparato amministrativo preposto alla sua protezione”.
Su questo tema E. Picozza, Attività amministrativa e diritto comunitario, voce dell’Enc. giur., osserva (p. 3) che “l’interesse pubblico comunitario si conforma diversamente da quello nazionale; esso è infatti più propriamente l’interesse del pubblico (...). L’interesse pubblico comunitario conserva quindi una carica di generalità e neutralità molto diverse da quelle che connotano l’interesse pubblico, ad esempio, del Ministero dell’industria, perché non vi è né separazione né primato. Ciò spiega perché la funzione ‘regolativa’ sia preminente rispetto a quelle di intervento economico-sociale, e comunque spiega altresì come anche queste ultime si connotino attraverso provvedimenti ad effetto favorevole nei confronti dei soggetti destinatari.
[6] N. Paolantonio, Il sindacato di legittimità sul provvedimento amministrativo, Padova, 2000, 44 e ss., ove il rigoroso tentativo di ricostruire l’indicato fenomeno nella prospettiva della teoria della discrezionalità amministrativa.
[7] In argomento, in sede di commento al codice del processo amministrativo, M.A. Sandulli, La fase cautelare, Relazione tenuta al 56° Convegno di studi amministrativi dal titolo “La gestione del nuovo processo amministrativo: adeguamenti organizzativi e riforme strutturali”, Varenna, Villa Monastero, 23-25 settembre 2010, in www.federalismi.it: “La sospensione di un provvedimento amministrativo può essere infatti strumentale anche all’interesse pubblico generale (quello tutelato dalle norme violate), che non sempre coincide con quello specifico della p.A. che ha emanato l’atto e che magari ha ingiustamente preposto il pubblico interesse particolare di cui essa è affidataria a quello generale (l’interesse alla concorrenza è ad esempio diverso dall’interesse al risparmio di tempo di gara o ad avvalersi di appaltatori “sperimentati” o altamente specializzati; l’interesse all’ambiente non è spesso coincidente con quello allo sviluppo economico o territoriale). La decisione cautelare, come quella di merito, diventa pertanto un delicato problema di bilanciamento dei diversi interessi, legato alla proporzionalità della misura adottata non soltanto tra l’interesse del ricorrente e quello dei suoi legittimi contraddittori, ma anche tra i diversi interessi pubblici coinvolti”.
[8] M. Nigro, Giustizia amministrativa, III. Ed. Bologna, 1973, p. 289.
[9] In argomento M.A. Sandulli, La fase cautelare, cit.: “Tale conferma del necessario legame tra cautela e merito non soltanto non incide evidentemente sulla progressiva evoluzione della tutela cautelare da mera sospensione interinale dell’efficacia del provvedimento impugnato a strumento atipico di salvaguardia immediata delle posizioni soggettive con effetti in taluni casi anticipatori nelle more della decisione di merito, ma ne è, in un certo senso, la necessaria conseguenza. Proprio la possibilità che, in una fase di cognizione sommaria, il Giudice abbia anche un potere conformativo (come avviene con la tecnica del remand) e che l’Amministrazione abbia l’obbligo di adeguarsi alle relative statuizioni anche imprimendo agli interessi coinvolti un assetto totalmente diverso da quello originariamente stabilito, rende oltremodo opportuno uno stretto legame con il giudizio di merito, che valga a fornire sollecitamente una parola definitiva sulla questione giuridica controversa e, più in generale, a garantire una maggiore certezza nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. La possibilità di anticipare già in fase cautelare la decisione nel merito delle questioni di più evidente soluzione (attraverso lo strumento della decisione in forma semplificata: art. 60), pur con i limiti che il modello presenta e che ne impongono un utilizzo estremamente prudente10, costituisce per altro verso una scelta ragionevolmente e proporzionatamente idonea a soddisfare una inutile duplicazione di quei giudizi già perfettamente suscettibili di essere espressi e definiti ad un “primo immediato esame”. Anche sotto questo profilo, peraltro, il Codice, attraverso l’eliminazione dell’obbligo di procedere in forma semplificata nei riti in materia di contratti pubblici criticabilmente introdotto dal d. lg. 53 del 2010 e, in termini più generali, attraverso il nuovo regime e la nuova tempistica della fase cautelare, ha cercato di offrire maggiore garanzia di giusto e adeguato processo, ad evitare che l’assetto “finale” degli interessi pubblici fosse stabilito (sia pure attraverso una sentenza di merito) in una fase troppo sommaria”.
[10] Ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 22 ottobre 2008 n. 5183. “L’appellante non ha usato la dovuta diligenza nell’adoperarsi per evitare il danno, come imposto dall’art. 1227, secondo comma, del codice civile, la cui applicabilità nei giudizi risarcitori conseguenti all’esercizio di poteri autoritativi è stata già affermata dalla giurisprudenza di questo Consiglio (C. di S., V, 31 dicembre 2007, n. 6908; IV, 03 maggio 2005, n. 2136). Egli, infatti, ha sopportato senza esperire alcuna iniziativa che il provvedimento di nomina di un altro docente spiegasse i suoi effetti, per lui pregiudizievoli. (…..) Ad avviso del collegio l’appellato omettendo di impugnare il provvedimento ministeriale non ha assolto l’onere, imposto dall’art. 1227, secondo comma, c.c. (…..) è caratteristica propria del rapporto amministrativo il fatto che solo l’iniziativa del danneggiato possa far cessare l’effetto pregiudizievole. Quanto all’eccessiva onerosità dell’adempimento, occorre osservare che l’ordinamento amministrativo consente di porre in discussione i provvedimenti amministrativi anche mediante lo strumento del ricorso straordinario, che non presuppone la necessaria assistenza di un avvocato ed è esperibile con adempimenti tributari di minore impegno”.
Tuttavia la stessa sezione (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 , n. 2751), quasi contestualmente aveva in contrario affermato che deve escludersi che la mancata presentazione da parte della ricorrente della domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, possa “incidere tanto sul rapporto di causalità c.d. materiale quanto sul rapporto di causalità c.d. giuridica, e, quindi, rilevare al fine di escludere o limitare il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1227, 1° e 2° comma, c.c.”.
In generale, la rilevanza della fase cautelare nel giudizio di risarcimento del danno, ai fini della liquidazione del danno risarcibile, era stata affermata dalla giurisprudenza, prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, sia nel senso di escludere l’esistenza di un danno risarcibile nell’ipotesi di accoglimento della domanda cautelare di sospensione degli effetti dell’atto impugnato (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 1 luglio 2008, n. 6348; T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 22 novembre 2002 , n. 1122); sia con riferimento alla valutazione dell’elemento soggettivo del danneggiante (Consiglio di Stato, sez. V, 30 luglio 2008 , n. 3806).
[11] Ex multis, Corte di Cassazione, sez. I civile, sentenza 5 maggio 2010 , n. 10895.
[12] E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, Padova, 1942, 192.
[13] G. Tulumello, Il diritto privato della pubblica amministrazione: dalle regole di validità alle regole di responsabilità, e ritorno, in www.giustamm.it

 

(pubblicato il 7.3.2011)

 

 

Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico Stampa il documento