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n. 10 -2010 - © copyright |
SILVESTRO RUSSO
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La giurisdizione sugli atti vincolati
1. – Una premessa a ritroso: dalla prassi alla definizione
L’incipit d’ogni descrizione[1] sugli atti amministrativi c.d. vincolati (o, meglio, in tema di morfologia delle potestà funzionalizzate non discrezionali che tali atti producono) muove da un duplice assunto: la discrezionalità non è la vincolatezza, ma identico è il regime giuridico degli atti amministrativi emanati in base a ciascuno di tali, sia pur diversi, poteri[2].
Mentre non vi sono dubbi circa le differenze ontologiche tra le due categorie di poteri amministrativi, così come pare prevalente l’idea che pure i provvedimenti vincolati, oltre che unilaterali, siano parimenti autoritativi[3], mi sembra opportuno verificare fin da subito se, ed in qual misura anche il secondo asserto trovi riscontro nella prassi applicativa. Occorre, perciò, una breve disamina di come la giurisprudenza tratta, perlomeno in linea di tendenza recente, gli atti vincolati o, comunque, alcuni degli aspetti controversi o che più determinano contenzioso, quali la piena applicabilità ad essi delle regole procedimentali, la loro sicura soggezione all’obbligo generale di motivazione ex art. 3, c. 1 della l. 7 agosto 1990 n. 241[4] ed il tipo di situazioni soggettive da loro implicate. Tanto per verificare se in sede contenziosa tali atti reagiscano, coeteris paribus, alla stessa stregua dei provvedimenti discrezionali e, quindi, per inferire da tal reazione la bontà attuale delle definizioni dottrinali sulla vincolatezza dell’attività amministrativa[5].
2. – Il contenzioso sul procedimento amministrativo per potestà non discrezionali
Una precisazione preliminare, però, è immediatamente necessaria, a mo’di primo orientamento appunto sulle funzioni procedimentalizzate.
Per l’intera attività amministrativa, discrezionale o vincolata che sia, la legge è al contempo base, compito e limite di tale attività, solo che diversa è la misura del vincolo legale di volta in volta apposto al potere ed al suo esercizio nell’ambito del procedimento, ove, cioè, la funzione s’esplica per la cura di interessi pubblici e s’intessono dialetticamente rapporti giuridici con i terzi e, soprattutto, con i destinatari dell’attività.
Ebbene, ad un’attività amministrativa, per esser intesa come vincolata in senso proprio, non basta presentare alcun carattere di discrezionalità e, quindi, per non esser confusa con quelle forme di potestà, in cui alla discrezionalità s’intrecciano taluni (ed anche ampi) aspetti di vincolatezza, deve possedere alcune sue intrinseche qualità. Essa deve manifestarsi all’interprete in modo che l'agire amministrativo sia interamente definito a priori, siano precisamente stabiliti i presupposti di fatto e le conseguenze giuridiche e si abbia una ed una sola determinazione corrispondente al legittimo esercizio di siffatta potestà, senz'altra possibilità di scelta, che non sia un’aperta ribellione, antigiuridica, alla norma che pone la potestà stessa. Dal canto suo, invece, la discrezionalità in tanto sussiste, in quanto la norma attribuisca all'agente una potestà (e fin qui v’è identità concettuale tra le due categorie) non solo di valutazione e d’apprezzamento di fatti e di regole giuridiche (anche qui non v’è differenza), ma soprattutto di scelta della soluzione più acconcia tra una pluralità di soluzioni diverse scaturenti dalla fattispecie in esame, tutte ugualmente valide per l'ordinamento[6].
La diversa morfologia delle due categorie si può certo cogliere, almeno ad un primo esame, nella rigidità del meccanismo d’esercizio del potere vincolato, rispetto alla flessibilità di scelta dei possibili esiti, non consentita nella vincolatezza, che la discrezionalità reca con sé, laddove, grazie ad essa, è lo stesso agente a porre, a sé ed ai terzi, la norma del singolo caso concreto[7].
Tuttavia, sembra più significativo un altro tipo di distinzione tra le due categorie. In particolare, se la discrezionalità è, al contempo, giudizio (fissazione del valore comparativo degli interessi), volontà (scelta della soluzione imposta da tal valutazione) e capacità creativa, ossia posizione di nuovi precetti nei casi maggiori, sviluppo di precetti normativi in quelli minori[8], allora il proprium della discrezionalità consiste non nell'imporre un risultato predefinito, ma nello scegliere il mezzo che realizza il risultato[9]. Viceversa, nel caso d'attività vincolata, ogni valutazione sull’interesse pubblico è già stata assunta direttamente dalla norma attributiva del potere, onde il rispetto di questa realizza di per sé detto interesse e, quindi, il proprium della vincolatezza consiste non nel delineare l’effetto giuridico, ma nel costituire questo realizzando l’assetto di interessi ex ante prefigurato[10].
Ma, se l’effetto giuridico si produce non direttamente dalla legge, ma con la necessaria intermediazione del provvedimento vincolato, l’attribuzione del potere vincolato non determina una meccanica esecuzione della volizione della norma attributiva, essendo scandita affinché anzitutto l’agente apprezzi i presupposti del concreto provvedere, solo dalla cui effusione si produrrà l’effetto giuridico delineato dalla norma stessa[11]. E che l'effetto giuridico derivi non dalla legge, ma dal concreto provvedimento, ancorché vincolato, s’evince dal fatto che, per ottener tutela, occorra non già il mero accertamento della mancata produzione dell’effetto, bensì l'annullamento dell’atto che non l’abbia disposto e che ne è pur sempre l’unica fonte costitutiva. Per far ciò, come per le funzioni discrezionali, occorre che siffatto apprezzamento si abbia nell'unico luogo all’uopo indicato dalla legge per il corretto esercizio del potere stesso, ossia il procedimento. La struttura di quest’ultimo è inderogabile per l'agente in tutti i casi d’esercizio di poteri autoritativi, indipendentemente dalle loro qualità o natura, sicché il procedimento va adoperato, in assenza d'ogni diversa regola che l’escluda —e, anzi, in relazione a quanto a contrario evincesi dall’art. 19, c. 1 della l. 241 /1990, che semplifica alcune funzioni vincolate di tipo abilitativo—, per l’esercizio dei poteri vincolati.
Ma, se si parla del procedimento, allora il pensiero corre subito alle norme sulla partecipazione del privato, maxime agli artt. 7 e 10-bis della l. 241/1990, il cui significato, com’ è noto, è oggidì conformato dal tenore del successivo art. 21-octies, c. 2, II per.
Sull’applicabilità, o meno, delle regole di partecipazione procedimentale, già prima della novella del 2005 v’erano almeno due linee di pensiero, in giurisprudenza, circa la possibilità che la P.A. procedente omettesse la comunicazione ex art. 7 della l. 241/1990, qualora questo fosse preordinato all'emanazione d’un provvedimento vincolato.
L’un filone, per vero minoritario, intendeva siffatta omissione come conseguenza tout court dell'assenza in sé d’alcun margine di discrezionalità, di talché la mancanza d’ogni margine di ponderazione di interessi, in capo alla P.A. stessa, determinava ipso facto l'inutilità dell'eventuale contributo partecipativo del privato, impossibilitato ad influire in alcun modo sul contenuto del provvedimento conclusivo[12]. Ciò era evidente essenzialmente in tema di repressione degli abusi edilizi, le cui sanzioni presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul loro carattere illecito, donde, a causa della natura vincolata del relativo atto nell'an e nel quantum, l'instaurazione del contraddittorio procedimentale, inteso quale apporto collaborativo del destinatario dell’atto all'esattezza della statuizione da assumere, sarebbe stato del tutto inutile. Siffatta semplificazione o, meglio, amputazione procedimentale al più può apparire come uno scatto di (pretesa) efficienza e, perciò, concerne il procedimento solo nella sua dimensione materiale e non anche come forma giuridica della funzione amministrativa. Infatti, tutto ciò che la P.A. procedente ha ritenuto superfluo, senza, però, dimostrarne la giuridica inutilità, rispunterà inesorabilmente in sede contenziosa, laddove l’interessato può far constare, in una con l’ omissione delle formalità partecipative, l’insussistenza o l’erroneità dei presupposti e, più in generale, tutto ciò che, con maggior accortezza (e, questa sì, efficienza), la P.A. avrebbe potuto risolvere già in ambito procedimentale[13].
L’altro filone, invece e quando non s’appalesò in pratica opposto al precedente[14], mosse dalla considerazione che un potere vincolato, di per sé solo e sol perché il risultato di cura dell'interesse pubblico è già prefigurato dalla norma attributiva del potere stesso, non esclude ogni apporto partecipativo del destinatario.
Infatti, la giurisprudenza reputò illegittimo il comportamento della P.A. che non avesse dato formale comunicazione all'interessato dell'inizio del procedimento amministrativo, con le regole ed i contenuti ex artt. 7 e 8 della l. 241/1990, in quanto essa avrebbe potuto omettere tali formalità non già per ragioni, più o meno condivisibili o sussistenti, di snellezza dell'azione amministrativa, erroneamente associata a tutti i procedimenti vincolati[15], ma solo per quelli appartenenti sì a tal categoria, ma per i quali i fatti fossero pacifici ed incontestati per tutte le parti.
Viceversa, per tutti i procedimenti, anche vincolati, che avessero abbisognato di accertamenti materiali o nei quali vi fosse contrasto sulla qualificazione giuridica del fatto, tali vicende giustificavano l'intervento del privato per rendere effettivo il contradditorio sui punti controversi[16]. La partecipazione al procedimento ha la sua ragion d'essere pure quando i presupposti di fatto e di diritto, che dovranno essere posti alla base del provvedimento da adottare ed ancorché siano stabiliti in modo preciso e puntuale dalla legge come nei procedimenti vincolati, richiedono comunque un accertamento, nel cui ambito si deve garantire il contraddittorio con il privato[17]. Tanto per l’evidente ragione che non sembra sussistere, con riguardo alla sola morfologia, vincolata o no, del potere esercitato e se si guarda al dato testuale e alla ratio delle norme sulla partecipazione procedimentale, alcun principio di ordine logico o giuridico, opponibile al destinatario del provvedimento, d'interloquire con la P.A. procedente e di rappresentarle, a vantaggio di se stesso la propria ricostruzione dei fatti e della qualificazione giuridica del fatto. La giurisprudenza aveva così raggiunto il convincimento che la partecipazione procedimentale fosse, per un verso, funzionale ad una migliore definizione in contraddittorio dei presupposti del concreto provvedere, sì da esercitare in via preventiva, già sul piano del procedimento amministrativo, quella difesa delle proprie ragioni altrimenti spendibili solo in via d’azione; e, per altro verso, ineludibile ogni qual volta, indipendentemente dalla natura del potere esercitato con l’atto da emanare, il relativo effetto giuridico incidesse sfavorevolmente nella sfera giuridica del destinatario[18].
Quest’ultimo complesso di principi pretori s’appalesa, nel valutare il procedimento per l’esercizio di poteri vincolati, al contempo più prudente e più realista del primo filone, che sorse quand’ancora non era stato codificato, attraverso l’art. 21-octies, c. 2 della l. 241/ 1990, il criterio per individuare in generale le situazioni d’opponibilità dell’omesso avviso d’avvio del procedimento vincolato. Il secondo filone parte anzitutto dalla constatazione, attuale pure adesso[19], che l’art. 7 della l. 241/1990 esprime un principio generale dell'ordinamento giuridico, per cui le limitazioni espresse alla sua osservanza devono esser ritenute in modo rigoroso e restrittivo e le interpretazioni che ne escludono l'applicazione vanno, di conseguenza, rifiutate se non autorizzate da specifiche norme d'eccezione, pure per i provvedimenti vincolati[20]. Tiene in considerazione poi il concetto[21] per cui le norme sulla partecipazione procedimentale sono sì inderogabili di per sé, ma non vanno applicate in maniera meccanica e formalista ad ogni contesto, come se, cioè, si debba annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa. Dette norme, al contrario, si devono meglio interpretare, per un verso, nel senso che la comunicazione è superflua, con prevalenza dei principi d’economicità e speditezza dell'azione amministrativa, quando l'interessato abbia ottenuto comunque la conoscenza effettiva delle vicende d’innesco d’un procedimento amministrativo il cui sbocco possa avere effetti lesivi nei suoi confronti. Per altro verso, sull’emanazione di detta comunicazione prevalgono canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, sicché, essendo l'obbligo della comunicazione stessa strumentale ad esigenze partecipative dell’interessato al procedimento in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto della statuizione conclusiva, l'omissione di tal formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato pure con riferimento ai presupposti di fatto, nel senso che questi ultimi non siano o non possano esser revocati in dubbio dall’interessato stesso. Insomma, alla luce di questa linea interpretativa, già prima dell’entrata in vigore del ripetuto art. 21-octies, c. 2, l’omissione della comunicazione de qua è da intendere superflua o, rectius, si rende inopponibile alla P.A. procedente, che eserciti poteri vincolati, non per la natura del potere, ma solo quando l'apporto collaborativo dell’interessato in concreto non possa nulla aggiungere o togliere né alla sussistenza ed alla consistenza dei presupposti fattuali dell'atto, né alla loro qualificazione giuridica, né all’effetto giuridico che da questi discende.
Si potrebbe obiettare, aldilà del nuovo assetto recato dalla novella del 2005, che i due filoni in realtà non erano così divaricati come sarebbe sembrato di primo acchito, in quanto né l’uno, né l’altro hanno mai enfatizzato, per l’esercizio di poteri vincolati, l’irrilevanza delle regole partecipative e, rispettivamente, il loro rigoroso rispetto in ogni contesto.
È ovvio che entrambe le tesi non sono state mai affermate in modo assoluto, ma, nel dire che il secondo filone è sembrato esser più prudente e più realista, si vuol significare che solo questo e non anche il primo ha saputo cogliere, nell’ambito del procedimento, uno dei caratteri salienti della vincolatezza. Questo carattere consiste anzitutto nel marcare la differenza tra predefinizione normativa vincolante dell’interesse ed effetto giuridico consequenziale, ed accertamento dei presupposti affinché tale effetto si possa poi produrre in concreto. In secondo luogo, l’effetto si produce per legge, ma non direttamente dalla legge, nel senso che l’effetto costitutivo, tipico del concreto provvedere nella determinazione della fattispecie, non si ha se non attraverso la necessaria intermediazione del procedimento e del provvedimento finale in esito all’apposita istruttoria e solo all’interno del primo si formano, nella dialettica delle parti, il riscontro sui presupposti e la relativa qualificazione[22]. In tal caso, la giurisprudenza del secondo gruppo, nel pretendere il rispetto delle norme sulla partecipazione procedimentale, richiama l’attenzione sia della P.A. procedente ad effettuare un’esatta valutazione dei presupposti d’esercizio del potere vincolato ed a fornire la seria dimostrazione della loro incontestabilità materiale e giuridica —prima di svincolarsi dalle regole di tal partecipazione—, sia dell'interessato a fornire un'altrettanto seria argomentazione circa la controvertibilità dei presupposti stessi e delle norme applicabili.
Essa in tal modo ha già prefigurato quello che sarebbe poi stato il meccanismo dell’art. 21-octies, c. 2 della l. 241/1990 in termini, appunto, di rapporto procedimentale e di reciproca buona fede nello svolgimento del procedimento.
Come ben evincesi già da una prima lettura degli arresti del secondo filone, la P.A. non può accampare scuse, per svicolare dalle regole partecipative, assumendo ragioni di rapidità (si badi, e non d’urgenza, che sono invece codificate) o la natura vincolata del potere esercitato nel procedimento. Essa deve dar contezza delle ragioni eccezionali che giustifichino la fuoriuscita di quest’ultimo dalla partecipazione, perché i presupposti ed il risultato non sarebbero potuti esser diversi, neppure con l’apporto partecipativo del destinarlo. Ecco, questo è, per la parte che concerne la P.A. procedente, l’onere che ad essa spetta sotto l’ imperio dell’art. 21-octies, c. 2, ché detta norma di per sé non sana l'invalidità del provvedimento emanato nonostante il mancato avviso d’avvio del relativo procedimento, né l'assoggetta ad un regime di invalidità o irregolarità diverso da quello ordinario. A ben vedere, l’art. 21-octies, c. 2, più che dettare un regime d’immunità generale dall'impugnazione degli atti proceduralmente malfatti —in sé non del tutto conforme all’art. 113, II c., Cost., perché sottrarrebbe un’intera categoria degli atti ai mezzi di gravame—, ma impone un peculiare sistema di valutazione preliminare dell’interesse fatto valere in via d’azione, attraverso un metodo d’evidenziazione reciproca della prova che dimostri che la strumentalità propriamente detta dell’interesse procedimentale, ossia la sua capacità di veicolare una rappresentazione della realtà ed un’interpretazione giuridica più corrette e complete di quelle cui era pervenuta all’inizio la P.A. procedente. L’art. 21-octies, c. 2 rende superflua, per evidente assenza d’ogni utilità ritraibile, la coltivazione d’una lite da parte del destinatario del provvedimento malfatto che non sia in grado d’offrire, aldilà della mera constatazione dell'omissione, la prova contraria alla rigorosa dimostrazione della circostanza che il provvedimento non poteva essere diverso da quello in concreto adottato[23].
Un onere di pari qualità, anzi prioritario rispetto a quello testé evidenziato in capo alla P.A. procedente, è addossato al destinatario del provvedimento. A questi, oggi come prima della novella del 2005, non basta predicare il mancato avviso d’avvio del procedimento, dovendo invece allegare quantomeno gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove ne avesse ricevuto detta comunicazione.
Solo una volta adempiuto questo onere, la P.A. sarà tenuta a comprovare a sua volta che, quand’anche quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato[24].
È evidente, però, che la serietà della prova, il cui onere è in capo all’una parte come all’altra, deve poter dimostrare l’incompletezza e, rispettivamente, la perfezione rebus sic stantibus dell'istruttoria procedimentale, nel senso che il destinatario dell’atto è tenuto a comprovare, per superare lo scoglio della non tutelabilità in concreto dell’interesse procedimentale, la bontà dell’interesse sostanziale, e viceversa. Si tralasci per un momento ogni questione sull’opinabilità dei giudizi della P.A. procedente, il cui ambito è nei procedimenti vincolati o nullo (più raramente, quando, cioè, la norma attributiva del potere già lo fissi a priori) o legato a più o meno ampi margini di valutazione tecnica (più sovente, quando detta norma imponga una certa conseguenza giuridica in relazione ad un fatto definito, il cui contenuto è tuttora da valutare). Infatti, l’art. 28, c. 2, II per. non condanna le parti alla ricerca dell’optimum amministrativo, né il Giudice a definire l’ideale di procedimento per accertare se l’interesse procedimentale sia rilevante, o no, ma onera le une e l’altro ad indicare lo scenario degli eventi che si sarebbe avuto non al momento del giudizio, bensì all’ avvio del procedimento stesso —e sia pur con tutte le asimmetrie informative che in quell' istante esistevano—, se la comunicazione ex art. 7 fosse giunta realmente.
3. – Il contenzioso sull’istruttoria procedimentale per potestà non discrezionali
Poiché l’innesco del procedimento porta naturaliter all’istruttoria procedimentale, a quest’argomento occorre rivolgere l'attenzione, ben consci del fatto che, in base all’art. 3, c. 1, ult. parte della l. 241/1990, un’istruttoria completa e chiaramente verificabile è sempre necessaria, anche per i procedimenti più semplici[25].
In tutto ciò, non v’è gran differenza tra procedimenti discrezionali e quelli vincolati, né circa le regole, né per quanto attiene al contenuto dell’istruttoria, ché, anzi, non pochi procedimenti vincolati si connotano per una ricchezza di acquisizioni istruttorie.
Preme allora subito dire che vi sono poteri che diciamo vincolati sol perché non consentono alla P.A. procedente la disponibilità della scelta dello strumento che curi l'interesse pubblico, ma senza che ciò necessariamente implichi la predeterminazione, oltre che del risultato, pure della premessa, cui per obbligo di legge quello e quel solo risultato consegue. In tutti i procedimenti, che intendiamo vincolati in via ricostruttiva o per espressa volizione della norma attributiva del relativo potere, si può riscontrare lo schema logico del «se, allora», ossia della stretta consequenzialità d’un risultato fisso e conoscibile a priori quando si verifichi un dato presupposto: se un edificio è abusivo, allora se ne ordina la demolizione a cura del responsabile dell’illecito; se questi non vi provvede, il Comune demolisce d’ufficio ed in danno al responsabile; se non si può demolire, l’edificio è acquisito per scopi d’interesse pubblico, ecc. Mentre nei procedimenti discrezionali anche il momento della statuizione è frutto della scelta dello strumento più efficace a perseguire un concreto interesse pubblico, nei procedimenti vincolati non v’è scelta circa le conseguenze, ma spesso occorre chiarire il primo termine della proposizione normativa (il se). Ben lungi dall'esser semplici come la loro struttura sembrerebbe indicare, i procedimenti vincolati partono da presupposti assai articolati: anche nell’esempio testé accennato, il cui corollario logico-procedimentale è la necessità di far precedere il procedimento dalla comunicazione d’ avvio ex art. 7 della l. 241/1990 o da atti equipollenti, la premessa (l’illecito edilizio) può esser d’immediata intelligibilità e, quindi, d’altrettanto chiara rappresentazione, oppure può manifestarsi in modo del tutto aperto o generico, sì da aver bisogno di valutazioni atte a giungere all’esatta definizione della premessa. È questo il campo proprio della c.d. discrezionalità tecnica, dei suoi limiti e del tipo di tutela concreta che, a differenza della discrezionalità vera e propria, l’ordinamento offre per difendersi dalle sue procedure e dai suoi risultati, soprattutto se connotati da opinabilità, per i quali può non esser sufficiente, come vedremo, il sia pur importante controllo sulla congruenza razionale.
Anche qui ci si deve soffermare un attimo su un aspetto alquanto contraddittorio della discrezionalità tecnica: sembra che della nozione di questa si possa far a meno o sarebbe meglio non utilizzarla per definire il concetto ad essa sotteso, ma il riferimento ad essa è parimenti irrinunciabile nella prassi.
La ragione è evidente, non appena dalla definizione si passa ad esaminare alcune fattispecie, è facile imbattersi in situazioni in cui il potere è tanto strettamente connesso, anzi è del tutto coessenziale con la discrezionalità tecnica, da non sussistere da solo senza di essa. Soprattutto per l’esercizio dei poteri discrezionali, per quanto si voglia distinguere tra elementi fissi ed elementi non determinabili a priori della fattispecie, la commistione tra i due dati si ha quando la valutazione è al contempo tecnica e discrezionale insieme, ossia quando la tecnica impone di volta in volta il mezzo da scegliere per massimizzare la cura concreta dell’interesse pubblico, o quando il giudizio riguarda la probabilità di vicende future e/o incerte e suggerisca, allo stato dell’arte, la scelta più opportuna, tra le tante astrattamente possibili, per meglio governare l’evento se e quando si dovesse verificare. Una cosa è dire che, dato un certo risultato dalla valutazione tecnica, alla P.A. decidente rimane un più o meno ampio margine d’apprezzamento tra più soluzioni possibili per completare la fattispecie; altra cosa è che il risultato, essendo frutto di valutazioni opinabili, coincide con la scelta. In entrambe le ipotesi, la soluzione del caso concreto esige un’opera delicata di bilanciamento di interessi, tra loro sovente antitetici e di valutazioni del rischio alternative, oltre ad impegnare la responsabilità dell’agente; tuttavia, quando la discrezionalità, esistente in linea teorica, in realtà coincide strettamente con la valutazione opinabile, vuol dire non già che la discrezionalità perime di fronte alla tecnica, ma che la tecnica è parte integrante e necessaria della discrezionalità.
Nei procedimenti vincolati, non più agevole s’appalesa la linea di demarcazione tra la valutazione tecnica e l’esercizio del potere vincolato, indipendentemente dagli eventuali limiti che possano mai scontare i poteri di controllo del Giudice sul modo di formazione e sui risultati del giudizio tecnico, in sé non dissimili da quelli che esercita allorquando la valutazione sia propedeutica o coessenziale alla discrezionalità.
E tal difficoltà appare evidente laddove, nella morfologia del potere, la norma assegna alla tecnica il compito non solo, o non tanto di render certo o esattamente delimitato il presupposto fattuale da cui poi discende il provvedimento che pone l’effetto giuridico, ma soprattutto di sopperire a definizioni incomplete ed indeterminate. Nella misura in cui la norma affida alla tecnica di completare una fattispecie, allora adombra la possibilità che il risultato tecnico sia in pratica il contenuto del concreto provvedere. Si ha allora una fattispecie solo apparentemente rigida nel suo schema «premessa/conseguenza inderogabile», in realtà basata sulla libera (o, se si vuole, opinabile) selezione e valutazione delle circostanze di fatto e sull'adeguamento ad esse della misura adottata: il che è come dire che il potere sembra vincolato, ma è di tutt’altra natura. Come si vede, qui non è in discussione né l’esistenza della categoria dei poteri vincolati in sé o come specie del genus dei poteri amministrativi, né, come si vedrà tra poco, l’ampiezza del controllo che il Giudice amministrativo è in grado d'effettuare in base alla legge sulle valutazioni tecniche, né tampoco che v’è oggidì, a causa dell’espansione della tecnologia e delle conoscenze scientifiche in tumultuoso divenire, una sorta di “pervasività della tecnica”, come questa si contrapponesse alla discrezionalità. In discussione è invece il fatto che tal contrasto non v’è, perché la tecnica, in base a svariate norme attributive di funzioni amministrative, non si pone come una specie di tertium genus tra la discrezionalità e la vincolatezza —sì da poter esser adoperata indifferentemente nell’un contesto o nell’altro—, ossia come potere autonomo ed intermedio, comunque riservato alla P.A. Tali norme, enfatizzando l’uso di tecniche sempre più sofisticate e, più in generale, del non giuridico all’interno del procedimento e per definire l’ ambito stesso del potere amministrativo, amplia così la sfera della discrezionalità vera e propria, determinando l’intreccio tra il profilo strettamente tecnico ed oggettivo, legato all’ applicazione di discipline specialistiche e quello funzionale, proprio della scelta tra le soluzioni possibili a petto dell’indeterminatezza della norma da applicare.
Se ci si chiede se ancor oggi la discrezionalità tecnica ha un’utilità pratica, la risposta è certo positiva, ma quest’ultima può avere un’implicazione maliziosa o una virtuosa, a seconda di ciò che si vuol evincere dalla natura e dai limiti del controllo giudiziale sulle valutazioni tecniche.
L’implicazione maliziosa non discende, di per sé, dal fatto quasi ineluttabile che, in molti casi, le norme, davanti all'espansione della tecnica, impongono l’elemento specialistico a compenetrare la morfologia della discrezionalità, sì da rendere non solo indistinguibile opinabilità ed opportunità, ma addirittura trasformare in discrezionali alcuni poteri pensati un tempo come vincolati. Siffatta trasformazione non sembra essere per vero un arretramento della tutela accordata dall’ordinamento, purché essa non venga intesa, a fronte di un’attività amministrativa non riconducibile pienamente alla discrezionalità o alla vincolatezza, come una sfera riservata alla P.A. e sottratta al controllo pienamente sostitutivo del Giudice. Un tempo, infatti, tanto la discrezionalità, quanto la discrezionalità tecnica erano considerati un tutt’uno, ma nel senso che entrambe venivano in varia guisa ricondotte ad una sfera esclusiva di piena competenza della P.A., di per sé insindacabile da parte del Giudice amministrativo nella sua competenza generale di legittimità. Oggidì, stanti i principi costituzionali di legalità nella (e non solo della) Amministrazione, d’imparzialità, d'economicità e d’efficacia, può la norma attribuire alla P.A., negli ovvi limiti di proporzionalità e ragionevolezza posti dalla Costituzione e dal diritto comunitario, un potere recante, almeno in parte, una sfera esclusiva di competenze proprie per la P.A.[26] La salvaguardia di tal sfera inibisce al Giudice amministrativi di sostituire la propria determinazione a quella della P.A. stessa, senza che ciò determini, da sola, un’ingiustificata deminutio dei poteri di cognizione del Giudice stesso, o si risolva nella limitazione degli strumenti processuali a sua disposizione.
Ora, almeno in linea di massima, è jus receptum[27] che è tramontata l'equazione discrezionalità tecnica - merito amministrativo, sicché il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della P.A. s’estende fino alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il profilo della loro correttezza, allo stato delle conoscenze in base alle regola delle esperienze e delle scienze rilevanti nel caso concreto[28]. Più in particolare, le valutazioni tecniche non godono d’uno statuto peculiare d’impermeabilità al sindacato del Giudice amministrativo, ben potendo esser pienamente sindacate in relazione alla natura del giudizio tecnico espresso in concreto ed allo stato epistemologico della scienza applicata. E che si tratti d’un controllo intrinseco, non par dubbio, giacché la verifica va condotta non tanto sulla mera congruenza logica in sé o sull’evidenza ictu oculi (anche agli occhi del profano) dell'irragionevolezza del metodo seguito e del risultato ottenuto e senza possibilità di rivedere entrambi, quanto, piuttosto, attraverso le stesse regole tecniche e con le stesse competenze scientifiche adoperate nella specie dalla P.A. procedente, ossia secondo i dettami della scienza applicata. Sennonché, occorre modulare il controllo giudiziario in modo più o meno penetrante, a seconda dell’oggetto di ciò che s’intende verificare, per cui s’avrà un sindacato forte, ossia la sostituzione globale in sede giudiziale della valutazione della P.A. con quella condotta dal Giudice adito mercè la consulenza tecnica d’ufficio, in presenza d’una discrezionalità tecnica che muova da dati scientifici connotati da sufficiente certezza e stabilità allo stato dell’arte[29]. Il controllo intrinseco sarà di tipo debole[30], cioè senza revisione degli accertamenti effettuati dalla P.A., quando il provvedimento sia emanato in esito ad un giudizio tecnico opinabile che si fonda con la ponderazione, in termini d'opportunità, con la determinazione conclusiva[31].
Mentre tal ultimo caso non è che una tipica espressione della discrezionalità pura —per cui ben si comprende il self restraint del Giudice adito di fronte ad una contestazione che impinge non sull’opinabilità, ma sulla scelta—, non mi sembra corretto ridurre il sindacato c.d. “debole”, che è sempre intrinseco, al sindacato esterno. I giudizi espressi in base alle scienze sociali, pur se queste sono connotate da un'ampia componente di giudizi valoriali opinabili, non corrispondono affatto, appunto alla luce della stessa giurisprudenza del Supremo Consesso, al merito amministrativo[32]. Il sindacato del Giudice amministrativo sugli apprezzamenti tecnici della P.A. si può pure limitare al controllo estrinseco dell'iter logico seguito in concreto nell'azione amministrativa —se questa è la domanda della parte e se ciò s’appalesi sufficiente per valutare l'illegittimità dell'atto impugnato—, ma può consistere anche nella verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza, fermo il limite delle valutazioni sul merito. Sicché il sindacato debole, ad onta del suo nome, è ben diverso ed assai più pregnante del sindacato estrinseco, in quanto serve a meglio modulare i rapporti fra Amministrazione e Giurisdizione, quando la valutazione tecnica della P.A. sia esercizio d’un potere autoritativo. Insomma, l’esistenza d’una sfera di potere riservato è inopponibile al pieno accesso del Giudice amministrativo al fatto, né lo schema del sindacato debole non impedisce, di conseguenza, la possibilità per questi d’avvalersi della CTU nel valutare gli elementi necessari alla decisione, tali facoltà del Giudice stesso trovando il loro fondamento negli artt. 97, 103 e 113 Cost.
Se, dunque, è ampliato il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica in ragione della sua appartenenza non già alla discrezionalità amministrativa, bensì alla sfera del giudizio, c’è allora da chiedersi non già perché il Giudice amministrativo sembri troppo “timido” nell’approfondire gli strumenti processuali discendenti dal controllo debole. Bisogna piuttosto domandarsi se siffatta “timidezza”, piuttosto che esser un’interpretazione non virtuosa della novella del 2000, non sia la consapevolezza che puramente discrezionali sono alcune funzioni in cui opinabilità e scelta sono un tutt’uno. In altre parole, il richiamo della giurisprudenza al limite del merito amministrativo o all’impossibilità del Giudice d’ ingerirsi, aldilà del controllo estrinseco sull'irragionevolezza o sul manifesto travisamento dei fatti, non fa che prendere in considerazione quella particolare morfologia della discrezionalità, nella quale, allorquando la norma prenda in considerazione fatti il cui accertamento richieda l'impiego di regole extragiuridiche, spetta alla sola P.A. procedente la loro applicazione e, dunque, ove queste consistano in leggi di carattere relativo, la scelta tra varie soluzioni prospettabili[33].
Si considerino, per esempio, i procedimenti d’avanzamento a scelta degli ufficiali delle Forze armate, su cui non è chiara la natura vincolata, piuttosto che discrezionale del relativo potere esercitabile dalle Commissioni di avanzamento.
Ora, è in pratica consolidato il concetto, ribadito da numerosi arresti[34], che, nelle controversie aventi ad oggetto la mancata iscrizione nel quadro d’avanzamento degli ufficiali delle FF.AA., il Giudice amministrativo non ha il potere di entrare nel merito delle valutazioni espresse dalla competente CSA, dovendo il suo giudizio essere limitato ad una generale verifica della logicità e razionalità dei criteri seguiti in sede di scrutinio. E ciò in quanto la discrezionalità tecnica attribuita a detta Commissione impinge nel merito amministrativo ed è sindacabile solo in presenza di valutazioni microscopicamente incoerenti o irragionevoli[35]. La ragione di tal interpretazione è forse rinvenibile nell’art. 10, c. 5 del Dlg 30 dicembre 1997 n. 490, che ha novellato il procedimento per l'avanzamento degli ufficiali ex art. 26 della l. 12 novembre 1955 n. 1137, introducendo, nella fase d’attribuzione del punto di merito, quell’ulteriore parametro di valutazione, in aggiunta agli elementi già previsti, relativo alla specifica attitudine ad assumere incarichi propri del grado superiore. Si tratta d’un parametro autonomo rispetto agli altri, il quale non ne costituire una sorta di sintesi matematica e si traduce in una prognosi, altamente discrezionale e non sindacabile da parte del Giudice amministrativo, sulle potenzialità del singolo ufficiale ad operare in un contesto diverso da quello precedente[36]. Se così è, quindi, la lett. d) dell’art. 26 fissa al medesimo tempo un parametro di giudizio ed un criterio di scelta d’opportunità, nella misura in cui, per quanto tutti i giudizi sugli ufficiali non possano prescindere dai suoi precedenti di carriera e poiché tutti gli ufficiali scrutinandi vantano profili d’elevato livello[37], al grado superiore perviene solo colui il quale supera il giudizio idoneativo. Ma allora lo scrutinio della CSA aggiunge, grazie alla norma de qua attributiva di questa peculiare scelta idoneativa, un quid pluris d’opportunità rispetto alla valutazione sulla bravura pregressa di ciascun ufficiale, ossia proprio quell’elemento tipico del potere discrezionale[38], che s’invera nella sequenza «norma – fatto – scelta – effetto», non riscontrabile in quello vincolato.
Non così accade per ciò che attiene al sindacato del Giudice amministrativo sull'operato delle Autorità indipendenti (p.es., l’“Antitrust”), che invece è pieno e s’estende sino al controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) dalla stessa compiuta, potendo sia rivalutare le scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la corretta interpretazione dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie concreta in esame[39].
La ragione va ricercata nell’oggetto, più che nella morfologia del potere esercitato dall’Autorità, non così dissimile da quello che svolge la CSA.
Infatti, la valutazione riguardante l'evidenza o meno d’una posizione dominante d’una determinata impresa non costituisce un accertamento di mero fatto, né la sussistenza di tale posizione può risolversi in un semplice presupposto di fatto, che può esser travisato o ignorato nella sua realtà o nella sua esistenza storica. Essa implica un apprezzamento che si risolve tanto in un giudizio tecnico complesso —fondata non su regole scientifiche esatte, ma sull'applicazione di regole proprie di scienze sociali opinabili come quelle economiche —, quanto su una vera e propria valutazione prognostica sugli effetti, che in un determinato mercato, un comportamento, di per sé lecito (p.es., una concentrazione), è destinato ad operare. In tal caso, non sembra significativo discettare se il sindacato del Giudice amministrativo al riguardo sia di tipo “forte”, anziché di tipo "debole"[40], dovendo invece ritenere che detto sindacato deve tendere ad un modello comune a livello europeo. Il principio d’ effettività della tutela giurisdizionale va coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al Giudice il compito non d’esercitare un potere in materia antitrust, ma di verificare, senza alcuna limitazione, se il potere a tal fine attribuito all'AGCM sia stato correttamente esercitato[41].
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[1] La dottrina è sterminata sul punto: cfr., da ultimo, OTTAVIANO, Merito (dir. amm.), in Nss.D.I., vol. X, Torino, 1964, 577, secondo cui tutta l’attività amministrativa ha sempre natura sostanzialmente vincolata; SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, 572; CASETTA Attività amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. I, Torino, 1987, 523 ss.; id., Provvedimento e atto amministrativo, ivi, vol. XII, Torino, 1997, 251; GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993, vol. II, 45 ss.; SCOCA F.G., La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in AA.VV. (a cura di AMOROSINO), Le trasformazioni del diritto amministrativo, Milano, 1995, 282 ss.; CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, vol. II, Milano, 2003, 1170 ss.; VILLATA – RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 63 ss, con ampissimi riferimenti di dottrina; GIOVAGNOLI – FRATINI, Le nuove regole dell’azione amministrativa al vaglio della giurisprudenza, vol. I, Milano, 2007, 112, 202 ss.
[2] Contra, per tutti LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm. 1983, 376, secondo cui il potere autoritativo sussiste solo in presenza della discrezionalità.
[3] Così SCOCA, La teoria, cit., 286 ss., per cui, anche quando manchi ogni discrezionalità, resta in capo alla P.A. il potere costitutivo, senza cui l’effetto, ancorché prefigurato dalla norma attributiva del potere, non si potrebbe produrre; CASETTA, Provvedimento, cit., loc. cit. e dottrina cola citata. In realtà, l’appartenenza, o meno, degli atti vincolati alla categoria dei provvedimenti autoritativi discende, più che dalla legge, dall’idea che ciascun autore s’è fatto, di volta in volta, del principio d’autorità e, dunque, con la consapevolezza che la discrezionalità di per sé, almeno nelle proposizioni teoretiche, non esaurisce la categoria dei provvedimenti propriamente detti.
[4] È jus receptum che l'obbligo che la l. 241/1990 impone all'Autorità emanante di motivare tutti provvedimenti da essa adottati ha carattere assoluto e quindi deve essere adempiuto a prescindere dal fatto che gli stessi siano favorevoli o sfavorevoli per i loro destinatari: cfr. MATTARELLA B.G., Il provvedimento amministrativo, in AA.VV. (a cura di CASSESE), Trattato di diritto amministrativo, vol. I, Milano, 2000,772.
[5] In realtà, non sempre il G.A. conosce dell’attività vincolata in modo pieno, ma o la considera secondo parametri meramente formali (cioè, di conformità pura e semplice d’un comportamento al dato normativo), o la sussume per intero nel merito amministrativo sì da renderla insindacabile, oppure si limita all'accertamento, più o meno penetrante, sulla sussistenza in sé dei presupposti di fatto o delle valutazioni tecniche eventualmente adoperate nell’esercizio del potere. Anzi, la giurisprudenza tende ad escludere che la disciplina dei provvedimenti vincolati sia identica a quella dei provvedimenti discrezionali, affermando non solo l'impossibilità di riconoscere nei primi profili o questioni d’eccesso di potere, ma anche la non necessità, in parecchi casi in cui la norma attributiva del potere abbia interamente regolato la fattispecie, della motivazione, altrimenti ineludibile nei casi di discrezionalità: cfr. GIOVAGNOLI – FRATINI, Le nuove regole, cit., 205; nonché Cons. St., sez. IV, 16 giugno 2008 n. 2977, in Foro amm. CDS 2008, 6, 1722, anche se, come poi vedrà in seguito, svariate pronunce parlanonon di libertà dalla motivazione, ma di criterio di sufficienza di questa.
[6] Non a caso Cons. St., ad. plen., 6 febbraio 1993 (in Foro amm. 1993, 351) definisce la discrezionalità come il caso in cui «la legge si limita a delimitare l’ambito delle scelte consentite, lasciando l’autorità amministrativa libera di effettuare la scelta definitiva fra più opzioni ugualmente legittime»,
[7] Nelle proposizioni giuridiche discrezionali all’agente spetta non solo la qualificazione del fatto, ma anche la determinazione di quanto deve essere qualificato: cfr. GIANNINI, Il potere discrezionale della Pubblica amministrazione, Milano, 1939, 91.
[8] GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 47 ss.
[9] VILLATA – RAMAJOLI, Il provvedimento, cit., 59, con ampi riferimenti di dottrina
[10] Infatti, il potere consiste non solo nella scelta, ma anche nel dar seguito effettivo a scelte eteroformate, nel rendere giuridicamente operanti le decisioni e nel costituirne l’effetto: nella discrezionalità c’è il potere di prefigurare l’effetto (SCOCA F.G., Op. cit., 287) e la creazione d’un qualcosa d’“originario”, da cui derivano certi effetti giuridici (GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 520.
[11] MATTARELLA B.G., Il provvedimento, cit., 818 ss.
[12] Ancora da ultimo, Cons. St., sez. IV, 21 maggio 2008 n. 2410 (in Foro amm .- CDS 2008, 5, 1425, in tema di recupero somme indebitamente percette da un impiegato pubblico) e id., sez. V, 29 aprile 2009 n. 2737, ove s’afferma che, in caso d’adozione di provvedimenti vincolati, la comunicazione dell’avvio del relativo procedimento può essere omessa, perchè in nessun caso la determinazione da prendere potrebbe essere modificata in base alle osservazioni dell’interessato. Prima della novella del 2005, cfr., per tutti, Cons. St., sez. V, 24 novembre 1997 n. 1365, in Vita notar. 1998, 872; id., 23 febbraio 2000 n. 956, in RAGIUSAN 2000, 190/1, 45; id., sez. VI, 5 ottobre 2004 n. 6462, in Foro amm. – CDS 2004, 2916; id., sez. IV, 28 febbraio 2005 n. 727, ivi, 2005, 2, 402.
[13] Pure di recente e dopo la novella del 2005, Cons. St., sez. VI, 24 giugno 2006 n. 4053, in Foro amm. - CDS 2006, 6, 1949 reputa che l'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo, avente per oggetto l'emissione dell'atto, vincolato e non autoritativo, di recupero di somme erroneamente corrisposte, non ne costituisce causa d’illegittimità dell'atto stesso. Il Supremo Consesso afferma la possibilità, per l'interessato, di contestare errori di conteggio e la sussistenza dell'indebito, nonché di chiedere, nel termine di prescrizione, la restituzione di quanto trattenuto, donde la superfluità dell'accertamento relativo all'espletamento dell’obbligo di comunicazione ex art. 7 della l. 241/1990. Al riguardo, è materialmente vero che siffatta omissione, da sola, non influisce sulla debenza o meno delle somme da restituire, né sulla possibilità di difesa dell’interessato, anche se, essendo procedimentalizzato pure detto recupero, non si comprende quale sia la ragione, alla luce dei principi di buon andamento, di proporzionalità e d’economicità dell’azione amministrativa, per cui il destinatario non possa far valere le sue ragioni contrarie all'esistenza del credito restitutorio già nel procedimento e debba, invece, adire il Giudice sia pur nell'ordinario termine di prescrizione.
[14] Cfr., p.es., Cons. St., sez. V, 13 novembre 1995 n. 1562 (in Foro amm. 1995, 2604, in materia di decadenza dalla concessione edilizia per mancato tempestivo inizio dei lavori); id., sez. VI, 8 aprile 2004 n. 2000 (in Foro amm. – CDS 2004, 1199). Cfr., altresì, in tema di sanzioni per lottizzazioni abusive, la necessità di farle precedere dall’avviso ex art. 7 della l. n. 241/1990, Cons. St., sez. V, 23 febbraio 2000 n. 248, in Foro amm. 2000, 498.
[15] Sull’irrilevanza della semplicità o della complessità del procedimento in sé, pur se vincolato (nella specie, una procedura d’irrogazione di sanzione edilizia), cfr. Cons. St., sez. V, 26 febbraio 2003 n. 1095, in Foro amm. – CDS 2003, 619.
[16] E ciò perché l'avviso ex art. 7 della l. 241/1990 è stato sempre inteso come principio generale dell'ordinamento e strettamente connesso ai canoni costituzionali dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, onde non tollera interpretazioni che ne limitino arbitrariamente l'applicazione generalizzata a tutti i procedimenti, anche vincolati: cfr., per tutti, Cons. St., sez. V, 22 maggio 2001 n. 2823, in Foro amm. 2001, 1204; id., sez. IV, 4 febbraio 2004 n. 295, in Foro amm. – CDS 2004, 384 (in tema di rilascio del nulla-osta paesaggistico ex l. 29 giugno 1939 n. 1497);
[17] Cfr. così Cons. St., sez. V, n. 2823/2001, cit.; id., sez. IV, 7 novembre 2001 n. 5718, in Foro amm. 2001, n. 2743.
[18] Cfr. Cons. St., sez. VI, 9 maggio 2002 n. 2516, in Foro amm. – CDS 2002, 1293; id., 29 maggio 2002 n. 2972, in Guida ee.ll. 2002, 25, 79; id., sez. IV, 10 novembre 2003 n. 7178, in Foro amm. – CDS 2003, 3295; id., sez. VI, 14 giugno 2004 n. 3860, in Riv. giur. edilizia 2004, I, 2161; id., 14 giugno 2004 n. 3854, in Foro amm. – CDS 2004, 1803.
[19] Cfr. Cons. St., sez. IV, 20 settembre 2005 n. 4836, in Foro amm.- CDS 2005, 9, 2549.
[20] Cfr. in terminis Cons. St., sez. V, 26 febbraio 2003, in Rass. Cons. Stato 2003, I, 438; id., 25 settembre 2006 n. 5628.
[21] Cfr. Cons. St., sez. IV, 30 settembre 2002 n. 5003 in Riv. giur. edilizia 2003, I, 186.
[22] Sul recupero delle somme erroneamente corrisposte dalla P.A., Cons. St., sez. V, 13 luglio 2006 n. 4413 (in Foro amm.- CDS 2006, 7-8, 2182) afferma sia l’eventualità d’una forma di rateazione del recupero stesso con riguardo alla situazione concreta ed all'affidamento ingenerato nel lavoratore, sia, sotto il profilo procedimentale, la doverosità della comunicazione dell'avvio del procedimento di rimborso, con ciò presupponendo la necessità tanto dell’intermediazione del provvedimento anche per stabilire le modalità della ripetizione dell’indebito, quanto di consentire all'impiegato di documentare la propria situazione. Tutto ciò, però, nella considerazione che il recupero costituisce un atto d’autotutela e non è assolutamente vincolato, perlomeno non nel quando e nel quomodo.
[23] Cfr. Cons. St., sez. VI, 7 luglio 2006 n. 4307, in Guida al diritto 2006, 31, 83 (con nota di GIUNTA).
[24] Cfr. CARLOTTI, Il nuovo provvedimento, cit., 483 ss. Pure di recente, TAR Sardegna, sez. I, 6 febbraio 2009 n. 177, in tema di recupero di somme indebitamente percette dal pubblico impiegato, fa riferimento al concetto di atto vincolato, per giudicare della motivazione, anche per gli atti paritetici o, meglio, sugli atti di gestione del rapporto di lavoro subordinato pubblico, ma senza prender partito, stante la peculiarità della vicenda, sull’applicabilità dell’art. 7 della l. 241/ 1990 su tali “atti vincolati”.
[25] Cfr., per tutti, GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., 167 ss.; CARLOTTI, Op. cit., 124.
[26] Che poi è, in sostanza, il merito amministrativo, rispetto alle competenze di legittimità ed esclusiva del Giudice amministrativo.
[27] A partire dalla fondamentale Cons. St., sez. IV, 9 aprile 1999 n. 601, in Rass. Cons. St. 1999, I, 584, per cui, ferma l’impossibilità per il Giudice amministrativo di sindacare direttamente il merito del concreto provvedere, netta è la distinzione tra opportunità, propria della discrezionalità ed opinabilità, tipica di quelle valutazioni tecniche afferenti a discipline scientifiche o tecnologiche non improntate, allo stato della conoscenza, a caratteri di stabilità o certezza. L’opinabilità, però, è altra cosa dal merito amministrativo ed attiene alla legittimità dell’azione amministrativa e, come tale, è sindacabile in modo intrinseco, ossia in ordine alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo.
[28] Cfr. così Cons. St., sez. VI, 30 maggio 2008 n. 2600, in Foro amm. - CDS 2008, 5, 1571; id., 10 settembre 2008 n. 4325, Redaz. Giuffré 2008, 09.
[29] Come accade appunto nei confronti dei giudizi tecnici, per loro natura, connotati da un maggior grado d’estrinseca controllabilità (nella specie, di quei giudizi tecnici di tipo medico-antropometrico, cioè la misurazione dell'altezza d’un candidato a prove concorsuali): cfr. Cons. St., sez. VI, 7 novembre 2005 n. 6152, in Foro amm. CDS 2005, 11, 3360, che pure conclude nell’assimilare il sindacato intrinseco di tipo debole al mero riscontro esterno sulla manifesta irragionevolezza. Sugli accertamenti sanitari propedeutici al reclutamento militare, cfr. Cons. St., sez. VI, 16 settembre 2008 n. 4347, in Red. amm. CDS 2008, 09, secondo cui (tranne che non si tratti di accertamenti sanitari o di prove che non possono esser acquisiti se non in sede concorsuale – NDA) il giudizio espresso dalla Commissione medica militare sull’idoneità fisica del militare (nella specie, aspirante al reclutamento nella Guardia di finanza) costituisce espressione tipica di discrezionalità tecnica, sindacabile esclusivamente per quanto concerne la sussistenza dei presupposti di fatto assunti ad oggetto della valutazione, la logicità di questa e la congruenza delle conclusioni.
[30] Su tal definizione, cfr. Cons. St., sez. V, 5 marzo 2001 n. 1247, in Foro amm. 2001, 486, secondo cui, in un appalto pubblico di servizi, la valutazione di congruità delle offerte secondo le regole ed i principi del diritto comunitario implica un giudizio di natura tecnico-discrezionale, in base alla quale la P.A. procedente deve prendere in considerazione le giustificazioni dell'impresa in ordine alla contestata anomalia della di lei offerta, mercè una congrua ed adeguata istruttoria e con una compiuta motivazione che ne dimostri l'insufficienza, mentre tale apparato motivatorio non serve se le giustificazioni si dimostrino sufficienti, spettando se del caso a chi si dolga dell'aggiudicazione così effettuata d’offrire al Giudice adito gli argomenti da cui questi possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale sia erronea o irragionevole; id., sez. IV, 6 ottobre 2001 n. 5287, in Riv. giur. edilizia 2002, 179.
[31] Come è la scelta della P.A. sulla localizzazione di un'opera pubblica, che insieme è apprezzamento e scelta e, come tale, è sottratta al sindacato del Giudice, se non affetta da manifesta illogicità, travisamento dei fatti e contraddittorietà: cfr. Cons. St., sez. IV, 19 febbraio 2008 n. 529, in Foro amm.-CDS 2008, 2, 412.
[32] Non v’è bisogno che il Giudice amministrativo sostituisca una propria valutazione a quella della P.A. procedente, il suo sindacato debole sugli apprezzamenti tecnici di quest’ultima potendo esser effettuato, giudicandone la legittimità dell'esercizio, qualora essa esorbiti dall'ambito dell'attendibilità, verificabile allo stato delle conoscenze in base alle regola delle esperienze e delle scienze rilevanti nel caso concreto: cfr. Cons. St., sez. VI, n. 4325/2008, cit.
[33] Cfr. così Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2007 n. 6672, in Foro amm.-CDS 2007, 12, 3523, onde al Giudice non è consentito di controllare l'intrinseca validità del risultato, cioè del giudizio tecnico formulato dalla P.A., in caso contrario verificandosi la neutralizzazione del potere d’applicazione delle regole extragiuridiche e, in definitiva, il sovvertimento dell'essenza (non meno che l'attività di ponderazione degli interessi) della funzione pubblica.
[34] Cfr., per tutti, Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2007 n. 3292, in Foro amm. CDS 2007, 6, 1800; id., 6 giugno 2008 n. 2697, ivi, 2008, 6, 1719; id., 4 luglio 2008 n. 3338, ivi, 7-8, 2035.
[35] Respinge invece ogni equiparazione, reputandola superata, tra discrezionalità tecnica della CSA e merito amministrativo, anche se non ha ritenuto di dover effettuare accertamenti se non documentali, Cons. St., sez. IV, 4 maggio 2009 n. 2800 (in corso di pubblicazione).
[36] Cfr. così Cons. St., sez. IV, 18 dicembre 2006 n. 7608, in Foro amm.-CDS 2006, 12, 3309.
[37] Cfr. così Cons. St., sez. IV, 18 ottobre 2002 n. 5688, in Foro amm.-CDS 2002, 2352, secondo cui la discrezionalità amministrativa attribuita alla CSA è particolarmente ampia, poiché essa è di regola chiamata ad esprimersi su candidati dotati di buoni profili di carriera, le cui qualità sono definibili solo attraverso analisi di merito, con una valutazione che esprime un giudizio dotato d’alto grado di soggettività e che, come tale, non si presta ad un sindacato giurisdizionale di tipo "forte". Tale giudizio, per un verso, richiede una sintesi del complesso dei requisiti del candidato, che si trae dai dati documentali e che tuttavia non è direttamente influenzata dallo specifico rilievo di un singolo titolo o di un dato requisito, risultando viceversa decisiva la valutazione d'insieme; per altro verso, si colloca in un ordinamento nel quale il vincolo di gerarchia, i valori dominanti e gli obiettivi assunti dal Corpo militare affidano alla Commissione una valutazione, nel contempo, preliminare quanto all'analisi completa dei requisiti e dei dati personali e di carriera e finale quanto al giudizio di sintesi
[38] Convince meno la ragione che la giurisprudenza adopera per giustificare la sfera d’insindacabilità della CSA, cioè il fatto che il suo operato promana da un'articolazione amministrativa particolarmente qualificata per la sua formazione e per le competenze individuali, che è abilitata dall'ordinamento a definire tale complesso procedimento, giacché quest’elemento, oltre che spurio (perché la CSA sarebbe più qualificata, che so io?, di un’Autorità indipendente, o del CSM, o del Comune di Nicolosi?), non trova di per sé alcun riscontro nei valori custoditi nell'art. 97 Cost., atto a giustificare, stante il successivo art. 113, l'esistenza di limiti così pervasivi al controllo giurisdizionale.
[39] Cfr. così Cons. St., sez. VI, 8 febbraio 2008 n. 424, in Foro amm.-CDS 2008, 2, 507.
[40] Cfr. così Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2002 n. 2199, in Foro it. 2002, III, 482 (con nota di SCARSELLI); id., 1° ottobre 2002 n. 5156, in Foro amm.-CDS 2002, 10, 2505, che esclude il potere sostitutivo del Giudice, tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile od il proprio modello logico d’attuazione del concetto indeterminato all'operato dell'Autorità, dovendo al più verificarne il contenuto sotto i profili di ragionevolezza, coerenza e logicità.
[41] Cfr. Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2004 n. 926, in Giur. it. 2004, IV, 2178.
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(pubblicato il 4.10.2010)
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