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n. 5 -2010 - © copyright

 

GIANLUIGI PELLEGRINO

Il codice al passaggio decisivo. Tra grande occasione e strani paradossi


Lo scritto costituisce sviluppo dell’intervento tenuto durante la Tavola Rotonda
“Verso il codice del processo amministrativo”
Aula magna della Corte di cassazione 21 aprile 2010.

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Ha senz’altro ragione il Presidente de Lise quando evidenzia che quello che abbiamo predisposto in Commissione è un “progetto” di codice, avendo poi il Governo ampio e definitivo potere sul testo da varare.
E va anche ascoltato, il Presidente de Lise, quando sollecita riflessioni e contributi sul merito delle modifiche che, come ampiamente riportato dal Sole 24 ore, Palazzo Chigi ha proposto nel testo, che va ora alle Camere per i pareri della commissioni competenti per poi infine tornare al Governo per la finale approvazione.
Ed allora, possiamo e dobbiamo serenamente dire che alcune delle modifiche appaiono senz’altro apprezzabili e migliorative come ad esempio l’espunzione della normativa della cd. class action che si era dovuta recepire (e in attesa che venga auspicabilmente novellata nelle altre fonti in cui si trova); o ancora le modifiche ispirate da comprensibili esigenze di evitare l’apertura di capitoli di spesa.
In secondo luogo rispondendo al giusto invito alla collaborazione in questa fase decisiva per i contenuti del codice, dobbiamo segnalare altre modifiche assai rilevanti o disseminate in tutto il testo, che non risultano in alcun modo coerenti o per nulla attinenti con gli obiettivi che lo stesso Governo ha correttamente dichiarato nell’annunciare l’avvio all’ultima fase del procedimento approvativo. Così da poter serenamente contare che, se prontamente segnalate, non potranno che essere espunte dallo stesso Governo grazie anche all’apporto collaborativo cui le commissioni parlamentari sono chiamate e che come ha pubblicamente annunciato il Presidente Filippo Berselli (Commissione giustizia Senato) sono in attesa di tutti i possibili contributi.
Peraltro, prima di andare ai più significativi aspetti di dettaglio che meritano riflessione, emerge come alcune delle modifiche proposte rischiano di consegnare il codice ad un singolare quanto evidente paradosso.
Si ricorderà infatti che all’indomani dell’inizio dei lavori della commissione presso il Consiglio di Stato non era tardata ad arrivare la critica, a firma in particolare di Luciano Violante, secondo cui un codice concepito nello stesso palazzo di giustizia chiamato ad applicarlo rischiava di essere chiuso e autoreferenziale.
La risposta è intervenuta con le parole e con i fatti. Fu dapprima il Presidente de Lise a rispondere con garbata fermezza, rivendicando la migliore giurisprudenza del giudice amministrativo volta sempre ad ampliare e mai a restringere gli spazi di tutela. Alle parole sono seguiti i fatti: in commissione su ogni profilo ha sempre prevalso l’opzione volta ad evitare restringimenti di tutela e a rafforzare il dialogo tra le giurisdizioni. Ciò peraltro facendosi sempre carico anche di esigenze connesse alle ragioni di bilancio della pubblica amministrazione. Emblematica è stata la soluzione faticosamente cercata ed infine trovata in tema di azione risarcitoria autonoma. Soluzione che pur essendo assai più vicina alle posizioni del giudice amministrativo ha ottenuto anche l’espresso plauso del Primo Presidente della Cassazione nella solenne inaugurazione dell’anno giudizio.
E così, rimanendo fedele a queste direttive di fondo, il Consiglio di Stato ha consegnato al governo una proposta di codice, senz’altro perfettibile (ci mancherebbe altro) ma che sicuramente, e con lungimiranza, aveva scongiurato il rischio di un codice posto a tutela non dell’utenza ma del giudice, non del “servizio” ma di recondite ubbie.
Il singolare paradosso è allora nella circostanza che questo rischio di autoreferenzialità giudiziaria e di chiusura così brillantemente evitato da Palazzo Spada, si materializzi invece ora ed in modo persino enfatizzato con le modifiche ipotizzate dal Governo.
Con l’ulteriore aggravante dei concreti plurimi profili di violazione della ottima legge delega, espressamente ispirata all’ampliamento di tutela e al dialogo tra le giurisdizioni.
E con il rischio di esporre il codice a diffusissime critiche che già in queste ore si registrano in ogni ambiente (accademia, foro, operatori economici, magistratura amministrativa e ordinaria), così compiendosi il peccato che sarebbe mortale di mettere in cattiva luce un passaggio che invece può e deve essere di estrema importanza, per la giustizia amministrativa e per il complessivo sistema di tutele.
La concretezza di questo triplice rischio emerge da una pur schematica rassegna di alcune delle modifiche ipotizzate dal Governo, che non a caso iniziamo da un aspetto solo all’apparenza secondario.

1. Il balzello dell’aumento del contributo unificato.
La proposta si era anche affacciata in commissione, solleticata dal fatto che i fondi vengono riservati ad eventuali emolumenti straordinari all’interno della macchina giudiziaria. Ma era stata bocciata per evidente estraneità alla delega (si aumenta una tassa in danno di cittadini e imprese) nonché per violazione della stessa ratio del contributo unificato. Come tale infatti, la tassa è ontologicamente una tantum e riguarda il giudizio a prescindere dalla sua consistenza; pertanto non la si può moltiplicare per ogni atto di motivi aggiunti o ricorso incidentale contenente nuove domande; perché altrimenti la si dovrebbe anche commisurare al numero di domande contenute già nel ricorso introduttivo. E del resto smetterebbe di essere un contributo “unificato”.
In ogni caso quella ora ipotizzata è misura chiaramente volta a disincentivare l’accesso alla giustizia, non prevista dalla delega e contro la sua esplicita finalità. La circostanza che replichi analoga previsione del recente decreto di recepimento della direttiva ricorsi, aggrava il profilo dovendo al più il codice essere utilizzato per correggere precendenti svarioni (anche lì commessi in evidente violazione di delega), non certo per reiterarli. Inutile dire che questa previsione già da sola non potrà che scatenare sul codice le critiche più ampie e convergenti.

2. Il ginepraio della competenza territoriale. Addio better regulation.
Dopo approfondita discussione si era deciso, in commissione, di mantenere la regola generale, salve eccezioni ex lege, del carattere non inderogabile della competenza territoriale, con appositi accorgimenti volti ad evitare i, pur limitati, casi di abuso di tale principio che per il resto caratterizza il sistema di giustizia amministrativa.
Ora risulta inserita una modifica che improvvisamente trasforma come sollevabile di ufficio l’eccezione…. però solo quando vi è richiesta di tutela cautelare. Francamente un potere del giudice che incide sull’intero processo ma che esiste solo in presenza di istanza cautelare, ci sembra una originalità assoluta e un po’ stravagante. Peraltro la singolarità continua a convivere con il sistema di eccezione di parte e di adesione delle controparti, con il risultato che non è dato comprendere cosa avviene se in fase cautelare tale concorde volontà non dovesse coincidere con quella del giudice; ed ancora cosa accade se la cautelare viene abbinata al merito; esiste ancora questo nuovo potere officioso o svanisce di incanto? Ed ancora viene previsto un singolare potere cautelare collegiale da parte di un TAR diverso da quello adito e innanzi al quale non pende (e forse mai penderà) nessun giudizio!!
Peraltro il guazzabuglio si traduce nella norma sull’appello cautelare in un comma che contiene ben sedici (dico sedici) rinvii a disposizioni diverse, con buona pace della better regulation giustamente cara al Governo come al Consiglio di Stato.


3. Dialogo tra le giurisdizioni. Translatio e pregiudiziale.
C’è in primo luogo la modifica della norma sulla translatio dove la “riassunzione” viene trasformata in “riproposizione”; e ciò in contrasto in violazione con la delega e con con l’art. 59 della stessa legge 69/09 che ha optato espressamente per la “riassunzione” dei giudizi con “riproposzione” delle domande nei processi “riassunti”. Quindi avremmo una norma generale che certifica la comunicazione tra giurisdizioni distinte; ma una norma speciale che rischierebbe inutilmente di fare apparire le paure e le diffidenze del giudice amministrativo come prevalenti sul miglior funzionamento del complessivo servizio giustizia.
C’è poi la sorprendente volontà di rompere la faticosa intesa trovata con la Cassazione in materia di azione risarcitoria autonoma. Le modifiche infatti farebbero saltare la soluzione su cui si era incassato il solenne avallo anche del Primo Presidente della cassazione in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario, pur essendo molto più vicina alle posizioni pubblicistiche e di grande salvaguardia per gli interessi della PA.
Ma si tratta di modifiche che destano perplessità anche nel merito.
Le stesse si concentrano sul termine che viene portato da 180 a 120 giorni in chiara evocazione del termine di impugnazione (ricorso straordinario, che peraltro lo stesso codice e il recepimento della direttiva ricorsi escludono per molte materia); nonché sul rilievo della mancata previa impugnazione dell’atto lesivo che viene allegata come causa di necessaria esclusione dei danni, salvi solo quelli immediatamente verificati.
Così riscritta la norma non sembra volta a risolvere una questione; piuttosto a regolare i conti su chi in passato avesse torto e chi ragione. Esattamente ciò su cui in commissione si era saggiamente scelto di voltar pagina. Non è un caso che in questa stessa tavola rotonda il Presidente Vittoria che pure si era speso con successo per difendere la mediazione raggiunta (come detto assai più vicina alle posizioni del GA) ha apostrofato con motivata critica la nuova singolare formulazione.
Sarebbe a questo punto molto più comprensibile optare espressamente per la pregiudizialità di annullamento, senz’altro compatibile con il diritto comunitario e dotata almeno del pregio della chiarezza (anche se dovrebbe verificarsene la compatibilità con la legge delega). Quel che è certo è che non ha nessun senso prevedere una tutela nominalisticamnte autonoma per poi escludere ex lege i danni se non è stata attivata altra e differente tutela. Con l’ulteriore singolarità che la pregiudiziale diventa così non già di “annullamento” bensì di “impugnazione”; il che non riesce a comprendersi per quale ragione non possa ritenersi omogeneo, quanto a leale collaborazione, ad una motivata e tempestiva diffida a ritirare l’atto lesivo.
Del resto, le argomentazioni a favore di un superamento “regolato” della pregiudiziale, sembra chi scrive, siano tutte nel senso del rafforzamento del sistema di giustizia amministrativa, rendendo poco comprensibili le relative paure.
La pienezza di tutela dell’interesse legittimo è una conquista non solo irretrattabile ma di effettiva realizzazione del disegno costituzionale.
Lo stesso deve dirsi per la riconosciuta giurisdizione del GA su ogni forma di tutela che trovi causa nell’esercizio del pubblico potere.
Vengono così a realizzarsi, come richiesto dalla Costituzione, due grandi giurisdizioni, l’una dedicata ai diritti e l’altra agli interessi. Riconosciute agli uni e agli altri (diritti e interessi) tutte le forme di tutela, costitutive e risarcitorie, non può che trovare applicazione il principio generale secondo cui ciascuna forma di tutela è attivabile anche autonomamemente e indipendentemente dalle altre. La legge può espressamente ed esplicitamente derogare a tale principio generale. Come pure la legge può (come già è per la tutela costituiva di annullamento) modulare la tutela risarcitoria degli interessi legittimi in modo particolarmente consono alla peculiarità di tale posizione che ha sì uguale dignità e uguale bagaglio di tutele rispetto al diritto soggettivo, ma dallo stesso resta distinta in quanto ontologicamente differente. Ai diritti si contrappongono altri diritti nonché obblighi (diritti relativi) e doveri (diritti assoluti). Gli interessi legittimi invece si trovano nella peculiare posizione di doversi confrontare con posizioni (interesse pubblico o collettivo) di cui essi stessi fanno parte. E’ qui la ontologica distinzione tra interessi e diritti e la corrispettiva essenzialità della funzione del giudice amministrativo.
Ciò però non vuol dire che gli interessi siano ancillari e titolari di una tutela solo “occasionale” rispetto alla salvaguardia del pubblico interesse; al contrario la pienezza dell’ autonomia e della tutela degli interessi è segno distintivo di civiltà giuridica e di realizzazione del disegno costituzionale. Allo stesso tempo ciò non toglie che quelle peculiari caratteristiche lascino (vorremmo dire per diritto naturale) gli interessi in posizione ontologicamnte distinta dai diritti, con riconosciuta possibilità che il legislatore moduli la tutela in modo differente. Con termine di decadenza senz’altro ma, se la scelta è per l’autonomia delle tutele non ha senso sottoporre la fondatezza di una all’esperimento dell’altra.
Né appare corretto, affermare che una legge (artt. 7 L. 205/00) che ha assegnato la competenza giurisdizionale al GA anche sulle domande risarcitorie (testualmente quando connesse a domande rientranti nella sua tradizione giurisdizione di legittimità) abbia con ciò affermato che non esiste la tutela risarcitoria autonoma da lesione di interessi; piuttosto è stato opportuno e apprezzabile che il giudice della giurisdizione abbia infine (dopo iniziali diversi orientamenti) ritenuto di assegnare al GA la cognizione della domanda risarcitoria anche quando proposta in via autonoma, in quanto giudice naturale del legittimo esercizio del potere. E sarebbe infine ben singolare, beffardo e comportante un ingiusto concetto deteriore della tutela apprestata dal GA, postulare che sia proprio tale (opportuna) attribuzione della competenza giurisdizionale anche per le domande autonome di risarcimento del danno a comportare un deroga in riduzione delle opzioni di tutela. Quasi a dire che la tutela autonoma c’è sino a quando non è il GA chiamato ad esercitarla (!!??)

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Da qui, almeno a parere di chi scrive la conclusione che una “regolata” ma effettiva autonomia dell’azione risarcitoria sia idonea a rafforzare piuttosto che a minacciare il ruolo e la funzione di un giudice amministrativo forte della sua piena dignità costituzionale e non agitato da spettri che altrimenti finisce egli stesso con il materializzare.


4. Il diniego del diritto al risarcimento della illegittima perdita di chance.
La previsione, che è in pacifico contrasto con il diritto comunitario ma anche con la nostra Costituzione, una volta che la consistenza patrimoniale degli interessi legittimi e la loro risarcibilità è dato acquisito all’ordinamento, risulta confermativa di quanto contenuto nel recente decreto legislativo di (pretesa) attuazione della direttiva ricorsi. Il codice dovrebbe ovviamente essere la sede per correggere l’inaccettabile diniego di tutela, per il quale avremmo la maglia nera in Europa. E va da sé come sia primitiva la stessa idea che ambiti di tutela costituzionalmente garantiti possano essere non limitati ma persino esclusi per esigenze finanziare della parte che ha causato il danno. Le casse erariali piuttosto si salvaguardano evitando le illegittimità che spesso sono clamorose e severamente punendone gli artefici, altrettanto spesso, tutt’altro che incolpevoli.



5. Tutela cautelare.
Come è noto ciò che negli ultimi decenni ha contraddistinto la qualità e l’efficienza del sistema di giustizia amministrativa è stata, tra l’altro, la tutela cautelare. La stessa in ragione proprio della sua importanza necessitava aggiustamenti che in commissione, all’esito di lunghi approfondimenti, sono stati introdotti anche con qualche ridondanza i dettaglio. Sicchè ci si poteva attendere che su questi eccessi di ipedisiplina di appuntasse l’attenzione critica del Governo. Ed invece alla accentuazione per le spese in fase cautelare, alla dilatazione dei termini di delibazione, alla esclusione del decreto ante causam in secondo grado, viene ora aggiunta una singolare formulazione delle norme sul giudizio di appello che stando al loro testo non contemplano più la tutela cautelare monocratica. Ed infatti resta solo un previsione di tutela collegiale con rinvio al “procedimento” dell’appello cautelare (sempre collegiale).


6. Consulenza tecnica e verificazione. L’azione di accertamento. Le norme di principio.
Uno dei capisaldi del codice doveva essere la sostanziale equiparazione del bagaglio probatorio tra tutti i giudici. In commissione si ritenne peraltro e correttamente di limitare la prova testimoniale a quella “scritta” per non appesantire il giudizio di legittimità.
Quanto alla consulenza tecnica, ovviamente, fu unanime la sua ribadita codificazione. Si discusse piuttosto se mantenere la verificazione concludendo per l’affermativa, un po’ per tradizione un po’ per l’utilità che può avere in determinati casi di mero materiale accertamento.
Ebbene nella modifiche predisposte dal Governo vi è un integrale ribaltamento della logica, con la verificazione posta in assoluto primo piano e la CTU degradata a “solo se indispensabile”. Ora, in disparte il singolare carattere dell’inciso che sembra postulare che per il resto il giudice faccia cose…. non indispensabili, è evidente l’idiosincrasia che si manifesta anche in modo un po’ naif per un giudice amministrativo che sia in grado di erogare una tutela piena e completa.
L’intervento si coniuga con la soppressione dell’azione di accertamento che peraltro già c’è in giurisprudenza anche oltre i termini con cui in commissione era stata strutturata. Ed ancora con un strano timore dell’accentuazione sulle norme di principio che in apertura del progetto di codice, magari con qualche enfasi sicuramente non dannosa, ancoravano il giudice amministrativo a capisaldi che non si comprende per quali ragioni il Governo dovrebbe desiderare di sbiadire.

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Conclusioni.
Ovviamente, come già sottolineato all’inizio, vi sono modifiche introdotte da Palazzo Chigi al testo predisposto dalla commissione senz’altro condivisibili e del tutto comprensibili. Per il resto, però, la gran parte di quelle che abbiamo innanzi riassunto non risultano in alcun modo riconducibili (se non al prezzo di contorte acrobazie) alla giusta esigenza di escludere evitabili capitoli di spesa. Anzi molte di esse contraddicono frontalmente questo obiettivo perchè rendono la tutela più lenta e meno effettiva così aggravando le situazioni dannose sul pubblico erario. Ed inoltre rischiano di riaccedenee uno scontro tra giurisdizioni che si stava meritoriamente cercando di superare sulla via del dialogo tra giudici distinti ma comunicanti e facenti parte di un complessivo servizio giustizia.
Sicchè deve nutrirsi la serena convinzione che, con la collaborazione di tutti, all’approfondimento delle commissioni parlamentari prima e del Consiglio dei ministri dopo, in questa parte le modifiche non potranno che essere rimeditate.
Il Codice è per il nostro sistema un’occasione indubbiamente storica per certificare la piena dignità costituzionale e la funzione moderna ed essenziale del giudice amministrativo. Si tratta di un colpo d’ala in linea con la sua migliore tradizione e con il ruolo che si è saputo meritare nella società e nel complessivo servizio giustizia. Sarebbe triste se questa grande occasione venisse azzoppata da norme che sembrano riecheggiare ubbie e falsi miti di specialità che nei fatti il giudice amministrativo ha ampiamente superato. Ma che rischiano di rappresentare la tentazione ingannevole di un rassicurante bozzolo “figlio di un Dio minore” se non il viatico di un declino, proprio ora che dovremmo codificare e festeggiare la piena realizzazione del disegno costituzionale che mette il GA in prima linea e al centro del sistema delle tutele, in coerenza con la sua migliore giurisprudenza. Salvo che improvvisamente non se ne ritragga.
Peraltro è evidente che non sarà mai possibile distinguere il codice così come verrà alla luce dal lavoro svolto dalla commissione presso il Consiglio di Stato; sicchè norme che risultino inutilmente restringere la tutela e appaiano come poste a malcelata “protezione” del giudice, verrebbero ingiustamente addebitate al GA che invece ha dimostrato, in quest’anno di lavoro, grande apertura e responsabilità. Con il paradosso che i frettolosi critici della legge delega pur avendo torto, e prontamente smentiti dal Presidente de Lise e dal lavoro della commissione guidata dal Consiglio di Stato, finirebbero invece con il trovarsi regalata un insperata ragione.
Anche per questo, e soprattutto per l’importanza del risultato finale, è quanto mai opportuna una collaborazione di tutti in questa fase decisiva per il varo del codice che nessuno può davvero volere, in violazione della delega e più arretrato del diritto vivente.

 

(pubblicato il 4.5.2010)

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