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n. 2 -2010 - © copyright |
GABRIELE PEPE
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La Dia: natura, regime giuridico e strumenti di tutela del terzo.
1. Inquadramento dell’istituto.
2. La pronuncia del C. d. s. n. 717/2009 : impatto sul sistema e problemi applicativi con particolare riguardo ai rimedi di tutela del terzo.
3. L’ azione di accertamento autonomo: le nuove frontiere del processo amministrativo.
4. Conclusioni.
1. Inquadramento dell’istituto.
La Dia rinviene la propria base giuridica nell’art. 19 della legge 241 del 1990[1], che offre una legittimazione generale all’istituto[2].
La norma dispone che: “ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingentamento complessivo, è sostituito da una dichiarazione dell’interessato, corredata, anche per mezzo di autocertificazione, delle certificazioni e attestazioni normativamente richieste”.
I privati, dunque, hanno la facoltà di intraprendere alcune attività ( a carattere vincolato[3] in quanto legalmente predefinite), purchè conformi ai requisiti normativi, sulla base di una mera denuncia alla amministrazione competente.
A seguito dell’informativa la p.a. verifica, d’ufficio, la sussistenza dei presupposti richiesti , e ove ne riscontri la mancanza, entro 30 gg. dal ricevimento della dichiarazione, con provvedimento motivato, vieta lo svolgimento dell’attività e ne rimuove gli effetti medio tempore prodotti[4].
Qualora, invece, il termine decorra senza alcun intervento della amministrazione, il privato potrà svolgere l’attività previa comunicazione di concreto avvio[5].
L’art. 19 fa comunque salvo il potere dell’organo pubblico di assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies.Va poi ricordato che alla disciplina generale dell’istituto si è, altresì, aggiunta quella in materia edilizia, contemplata dall’art. 25 del T.u. 380/2001, ora alternativa ora sostitutiva del permesso di costruire. Da decenni dottrina e giurisprudenza si cimentano nell’opera di decodificazione della natura giuridica della Dia, attraverso prospettazioni dalle eterogenee conseguenze applicative. Di ciò si darà conto nel presieguo dello scritto vagliando criticamente le molteplici ricadute pratiche collegate all’opzione ermeneutica prescelta.
Muovendo dalla sentenza 717/2009 del C.d. s., infatti, l’interprete sarà chiamato ad indagare tra le pieghe della vicenda “trilatera” denunciante- amministrazione- controinteressato, attraverso il vaglio dei poteri della p.a. in ordine all’attività dichiarata, esaminando, altresì, la natura delle posizioni soggettive coinvolte, per giungere, da ultimo, all’analisi degli strumenti di tutela del terzo con particolare riguardo all’ammissibilità di un’ azione di accertamento autonomo.
2. La pronuncia del C. d. s. n. 717/2009 : impatto sul sistema e problemi applicativi con particolare riguardo ai rimedi di tutela del terzo.
Una recente pronuncia del C. d. s.[6] fa il punto sulla natura giuridica della Dia, soffermandosi su varie questioni teorico- applicative, nel tentativo di dare soluzione all’annoso problema della tutela del terzo leso dagli effetti dell’attività del dichiarante.
La sentenza in esame, pur enunciando indiscutibili novità, solleva al contempo molteplici dubbi sulla coerenza e sistemacità di alcune argomentazioni .
Prima di analizzare la pronuncia nei suoi snodi fondamentali è d’obbligo delineare il quadro problematico di fondo da cui muovuono - e alla cui risoluzione tendono - i giudici di palazzo Spada.
La natura giuridica della Dia ha, da sempre, diviso gli studiosi ponendoli su posizioni contrapposte: secondo i fautori della tesi privatistica[7] la Dia, in quanto strumento di liberalizzazione delle attività economiche, sarebbe un atto del privato, espressione di un diritto soggettivo[8], che sostituisce il provvedimento autorizzatorio della p. a..
Secondo altro orientamento l’istituto, ispirandosi ad una logica di semplificazione procedimentale, andrebbe qualificato in termini pubblicistici come provvedimento, atto tacito di assenso o titolo edilizio[9], che consente al privato, titolare di un interesse legittimo pretensivo, di conseguire una autorizzazione implicita a seguito di una fattispecie complessa ( decorso del termine di 30 gg. seguito dall’inerzia della amministrazione).
Si registra, poi, una terza impostazione ( mediana) secondo la quale la Dia sarebbe “un ircocervo che nasce privato e si tramuta in pubblico per poter essere annullato come un provvedimento”[10].
Le disquisizioni sulla natura giuridica dell’istituto non hanno valore meramente accademico, ma incidono in concreto sulla qualificazione della posizione soggettiva del dichiarante, sulla tipologia dei poteri della amministrazione e, infine, sulla tematica dei rimedi e delle forme di tutela del terzo. Quanto al primo problema, dall’assunto della natura privatistica della Dia discenderebbe come corollario la qualificazione in termini di diritto soggettivo della posizione del denunciante[11].
Considerando, invece, la Dia un provvedimento tacito, il privato risulterebbe titolare di un interesse legittimo pretensivo, cioè di una posizione soggettiva che vive con ( e nell’) esercizio del potere pubblico. Quest’ ultimo orientamento, però, viene smentito dalla recente pronuncia del C. d. S. che, in conformità alla tesi privatistica, nega, nella vicenda in esame, l’esistenza di un potere amministrativo, definendo la Dia atto del privato.
Quanto al secondo problema (le caratteristiche dei poteri di intervento della p.a.), anch’esso risente dell’opzione in favore della concezione privatistica o della tesi pubblicistica.
E’bene, però, affrontare questo nodo gordiano partendo dal dato normativo: l’art. 19 l . 241/1990, a fronte della dichiarazione del privato, attribuisce alla amministrazione un potere di controllo[12] e verifica. Nello specifico l’amministrazione : a) può adottare provvedimenti motivati di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti; b) può invitare il privato, in presenza di difformità emendabili, a regolarizzare l’attività conformandosi allo schema legale; c) può agire in autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies[13].
Dalla lettera della legge si evince come questo generale potere di vigilanza e controllo della p.a. si articoli al suo interno in una molteplicità di facoltà, dalle distinte caratteristiche e presupposti, azionabili in momenti differenti e idonei a spiegare effetti eterogenei.
Quanto al potere inibitorio l’amministrazione è tenuta ad accertare l’esistenza delle condizioni normativamente prescritte e, in caso di esito negativo, ad adottare, entro 30 gg. dall’informativa del privato, i necessari provvedimenti di divieto.
La p.a., in questo modo, esercita una attività vincolata funzionale alla verifica di conformità della Dia ai parametri di legge.
Decorso il termine (perentorio) di cui sopra, l’amministrazione decade dal potere di verifica, potendo soltanto adottare provvedimenti di autotutela e sanzionatori[14].
Dunque i poteri inibitori e di autotutela hanno caratteri e ambiti temporali di esercizio eterogenei: i primi postulano un accertamento vincolato sull’osservanza dell’attività oggetto di Dia allo schema legale e, nell’ipotesi di mancato riscontro, si traducono in provvedimenti di divieto[15], da adottarsi in un termine ben preciso (30 gg.); i secondi implicano, diversamente, una attività discrezionale esercitabile in ogni tempo in presenza di situazioni ulteriori rispetto alla mera illiceità- non conformità a legge della Dia[16]. L’espressa attribuzione alla amministrazione, da parte dell’art. 19, di poteri di autotutela[17] è considerato dai fautori della natura pubblicistica della Dia argomento forte per un inquadramento provvedimentale dell’istituto[18].
Ad essi si contrappongono i sostenitori della tesi privatistica[19] i quali ritengono che il legislatore abbia usato l’espressione autotutela in senso “atecnico” riferendosi al generale potere di controllo, inibizione e sanzione riconosciuto alla p.a.[20].
In realtà questa prospettazione non convince poiché travisa, con una interpretazione contra legem, la ratio dell’art. 19[21]. Con l’inciso “ in ogni caso l’amministrazione può sempre disporre in via di autotutela”, infatti, il legislatore ha inteso distinguere con nettezza la potestas (discrezionale) di autotutela dai (doverosi) poteri inibitori e sanzionatori, assegnando all’una e agli altri distinti connotati e spazio operativo. La prospettiva del C. d. s., dunque, non convince appieno.
Con riguardo al terzo problema (gli strumenti giurisdizionali offerti dall’ordinamento al controinteressato leso nella propria sfera giuridica), anche qui le strade si divaricano a seconda della natura giuridica assegnata alla Dia.
In via preliminare va rilevato che l’area di tutela del terzo è assai ampia, poiché è idonea a ricomprendere sia le controversie interprivate dinanzi al giudice civile[22] sia i conflitti di fronte al giudice amministrativo aventi come parte una p. a..
Le due forme di tutela non sono alternative, bensì risultano concorrenti , sicchè l’esperimento dell’una non esclude, ma può cumularsi all’altra.
. Si tratta, comunque, di due rimedi riconducibili a diversi presupposti: l’azione dinanzi al giudice ordinario è subordinata alla lesione di un diritto soggettivo del terzo[23] per effetto dello svolgimento dell’attività ( illecita) del dichiarante, mentre l’azione “pubblicistica” presso il g. a. mira ad offrire protezione giurisdizionale a tutti quegli interessi, pubblici e privati, non sussumibili nella categoria del diritto soggettivo.
E’ del resto evidente come l’ambito di tutela dei diritti non corrisponda nel nostro ordinamento all’area degli interessi[24] ma ne costituisca un “gruppo più ristretto”[25]. Pertanto riconoscere al controinteressato i soli rimedi civilistici significherebbe lasciare sprovvisti di tutela variegati interessi e posizioni soggettive che, parimenti, sono azionabili in via esclusiva dinanzi agli organi di giustizia amministrativa[26].
Circoscrivendo ora la trattazione ai soli rimedi azionabili dinanzi al g. a., l’interprete è chiamato a definirne i caratteri e l’ampiezza applicativa, tenendo altresì conto degli arresti giurisprudenziali a riguardo e dei processi di riforma che hanno investito la struttura del processo amministrativo dal secolo scorso ai giorni nostri.
Il discorso in parola non può non snodarsi attraverso le forche caudine, ormai note, della natura giuridica della Dia, conducendo ad approdi differenti a seconda dell’opzione prescelta.
Sposando l’orientamento pubblicistico che considera la Dia una autorizzazione implicita (ossia un atto di natura provvedimentale), si riconosce al terzo la possibilità di contestarla direttamente con l’azione di annullamento dinanzi al g. a. entro il termine (decadenziale ) di 60 gg.[27].
L’assunto sarebbe, poi, ulteriormente suffragato dalla lettera del comma 3 dell’art. 19 l. 241/1990 che attribuisce espressamente alla p. a, poteri di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies[28].
La tesi pubblicistica, anche se minoritaria, ha indubbiamente il pregio di risolvere ab origine in favore del terzo ogni problema di tutela, ancorandone la protezione giurisdizionale al classico modello impugnatorio.
Note dolenti si registrano, invece, ove non si ravvisi alcun provvedimento da caducare, considerando la dichiarazione un atto del privato e l’inerzia della p.a. un mero fatto privo di valore provvedimentale. E’ quanto asserito dai fautori della tesi privatistica i quali, per la prima volta, mettono in dubbio l’archetipo del processo demolitorio, quale unica forma di tutela del civis dinanzi al giudice amministrativo.
Una simile idea apre più scenari nella dommatica amministrativa che da subito si affanna alla ricerca di nuovi strumenti, alternativi al giudizio impugnatorio, in grado comunque di garantire forme riparatorie al controinteressato leso dalla Dia.
Prima di illustrarli è indispensabile esaminare funditus le ricadute applicative di questa scuola di pensiero che segna la crisi definitiva del tradizionale modello processuale amministrativo.
Considerare la Dia un atto del privato[29] implica la sottoposizione dell’istituto al regime, sostanziale e processuale, degli atti di diritto comune.
E’ notorio che gli atti dei soggetti privati sono sindacati dal giudice civile e che, quindi, non sono impugnabili dinanzi al g. a., il quale al contrario, conosce solo atti provenienti da una p. a..
Così ragionando deve escludersi che il terzo possa agire avverso la Dia con l’azione di annullamento[30] dinanzi ai Tar. Ma in tal modo il controinteressato non avrebbe altri strumenti processuali dinanzi al g. a. a protezione della propria sfera giuridica, rappresentando per molto tempo il modello impugnatorio l’unica forma di accesso alla giustizia.
Per ovviare a questo deficit di tutela, una parte della giurisprudenza[31], già da tempo, prevede un defatigante meccanismo giurisdizionale, ossia che il terzo chieda alla amministrazione di esercitare i propri poteri di autotutela, e ove ciò non avvenga, impugni il silenzio inadempimento[32] formatosi sulla propria istanza.
In altre pronunce[33] si riconosce, invece, al terzo il potere di impugnare direttamente il comportamento omissivo della p.a. per mancato esercizio dei poteri inibitori sull’attività non conforme a legge.
La considerazione della Dia come atto del privato ( e non come provvedimento della amministrazione) sconta certamente alcune difficoltà teoriche connesse alla previsione forzata di rimedi di tutela che mal si conciliano con il sistema amministrativo.
Infatti prevedere la formazione di un silenzio inadempimento, a seguito dell’istanza del terzo, significa snaturare l’autotutela, trasformando un potere discrezionale in una potestà vincolata, mediante l’imposizione ( arbitraria e contra legem) di un obbligo in capo alla p.a. di pronunciarsi sull’istanza sollecitatoria della funzione di riesame .
Anche volendo riconoscere l’ammissibilità del rimedio, non può non criticarsene l’efficacia: i tempi richiesti da questo lungo e affannoso meccanismo procedurale rischiano, certamente, di offrire al terzo una tutela costosa e tardiva.
Anche la tesi che prevede l’impugnativa del comportamento omissivo della amministrazione presta il fianco a censure.
Infatti, al di là dei dubbi circa la possibilità di annullare un non facere, con tale rimedio il terzo verrebbe ad arrogarsi il diritto di sindacare una attività della p.a. che non lede direttamente la sua sfera giuridica.
Basti pensare che nello schema classico dei rapporti tra autorità e amministrati, fonte della lesione alla posizione giuridica del privato è direttamente il provvedimento emesso dalla amministrazione, mentre nella Dia la lesione è cagionata unicamente dall’attività non conforme a legge del denunziante ( cioè di un privato).
Il problema della tutela del controinteressato non ha trovato, per molti anni, soddisfacenti soluzioni nella configurazione privatistica della Dia, nonostante questo sia l’orientamento da sempre più seguito dalla giurisprudenza amministrativa.
La sentenza 717/2009, nella consapevolezza di queste criticità, ha ribadito sì il fondamento privato della Dia[34], ma ha riconosciuto, in via generale, al terzo- e qui sta la novità- un nuovo strumento processuale ossia l’azione di accertamento autonomo, in funzione di una tutela celere, piena ed effettiva[35]. In tal modo appaiono oggi superati i rimedi sopra illustrati del rito sul silenzio-inadempimento e dell’impugnativa del comportamento omissivo della p. a..
L’azione di accertamento autonomo ha il grande merito di consentire al controinteressato di far dichiarare al g. a. l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio della attività oggetto di Dia. Si tratta, quindi, di un accertamento cd. negativo[36].
Dall’effetto conformativo del giudicato discende, poi, l’obbligo per la p.a. di rimuovere gli effetti prodottisi e adottare tutti i provvedimenti necessari alla esecuzione della sentenza.
Il collegio, in questo modo, sancisce il definitivo ingresso dell’azione di accertamento nel sistema processuale amministrativo[37], corroborando la tesi della ammissibilità del rimedio con una serie di pregevoli considerazioni. In primo luogo constata come l’evoluzione normativa e giurisprudenziale degli ultimi decenni abbia imposto il superamento delle rigide prospettive del giudizio caducatorio verso i nuovi orizzonti dell’azione dichiarativa.
Ciò è stato possibile, riscoprendo il valore dell’effettività della tutela[38], principio che la Corte Costituzionale[39] coniuga con il riconoscimento al g. a. della “piena dignità di giudice” e con l’equiparazione degli interessi legittimi ai diritti soggettivi, quanto alla possibilità di farli valere in giudizio[40]. Il C. d. s., poi, muove da ulteriori argomentazioni: in primo luogo dall’idea “che il potere di accertamento del giudice sia connaturato al concetto stesso di giurisdizione”[41] sicchè nello stesso esercizio della funzione giurisdizionale il g. a. rinverrebbe la potestà di accertare il rapporto giuridico e conseguentemente il privato la facoltà di agire per farlo dichiarare in giudizio.
Un fondamento normativo generale ed esplicito non è, dunque, necessario, come dimostra il processo civile ove non è rinvenibile alcuna norma che una volta per tutte abiliti l’azione di accertamento autonomo[42]. Il collegio, a ben vedere, correttamente ragiona intorno al fulcro dei principi costituzionali: infatti- a suo avviso- l’art. 24 Cost. esalterebbe anzitutto il carattere strumentale del processo rispetto al diritto sostanziale, in linea con la nota corrente di pensiero secondo la quale “il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire” e inoltre il processo “è per sé stesso fonte di tutte le azioni praticamente possibili, che tendano all’attuazione d’una volontà della legge”[43].
Uno dei corollari dell’effettività della tutela è proprio il principio della atipicità delle forme di tutela da applicarsi tanto al giudizio civile quanto al processo amministrativo.
Il C. d. s., infine, chiarisce i tempi per la proposizione del rimedio: l’azione di accertamento autonomo dinanzi al g. a. soggiace allo stesso termine di decadenza[44] previsto per l’azione di annullamento. Non è, infatti, applicabile alcun termine prescrizionale poiché l’azione, anche se di accertamento, non è funzionale alla tutela di un diritto soggettivo, bensì serve a far valere un interesse legittimo[45].
La qualificazione della posizione soggettiva del terzo in termini di interesse legittimo rappresenta il momento di maggiore criticità della sentenza. Come autorevolmente sostenuto[46] se la Dia si considera un atto del privato ( come fa la sentenza in esame) non è ipotizzabile alcun esercizio di potere da parte della p.a.[47] e, di conseguenza, la posizione del terzo dovrebbe assumere i caratteri del diritto soggettivo.
Appare difficilmente sostenibile l’idea di un interesse legittimo che nasce e vive sganciato dal potere amministrativo ossia da qualsivoglia vicenda di esercizio di potere[48].
Inoltre, poiché con l’azione di accertamento il terzo controinteressato vuole che si verifichi l’insussistenza, nel caso concreto, dei presupposti legali per l’attività , la cognizione del g. a. copre una relazione tra privati con esclusione della p.a., per cui a fronte di un diritto soggettivo del privato denunziante non può corrispondere un interesse legittimo del terzo, difettando nella specie qualunque intermediazione provvedimentale. Pertanto, a rigore, la posizione del terzo dovrebbe essere di diritto soggettivo da far valere, con l’azione di accertamento, dinanzi al giudice ordinario. A questa ricostruzione potrebbero contrapporsi due argomenti: il primo che la tutela dinanzi al solo giudice civile risulterebbe ristretta ai soli diritti soggettivi, in un contesto nel quale, invece, la presenza e l’operato di una p.a. non possono non far nascere anche posizioni di interesse legittimo in capo al terzo; il secondo che il legislatore avrebbe risolto il problema qualificatorio della posizione soggettiva del controinteressato attribuendo le controversie in tema di Dia alla giurisdizione esclusiva del g. a..
Così opinando si rischia, però, l’illegittimità dell’art. 19 l. 241/1990 per violazione dell’art. 103 Cost. nell’interpretazione datane dalla Consulta[49], poiché in assenza di un potere amministrativo conformativo risulterebbe irragionevole ed arbitrario il riconoscimento al g. a. della cognizione sui diritti soggettivi[50].
3. L’ azione di accertamento autonomo: le nuove frontiere del processo amministrativo.
La pronuncia del 2009 del C. d. s. offre un magnifico assist per un excursus circa l’affermazione dell’azione di accertamento in ambito pubblicistico[51] ossia in un sistema, da sempre, plasmato su un modello processuale di tipo demolitorio.
Il processo amministrativo è da sempre considerato “un monolitico giudizio esclusivamente impugnatorio”[52] finalizzato all’annullamento di un provvedimento illegittimo. Questa radicale chiusura verso forme di tutela alternative all’azione di annullamento ha condizionato negativamente lo studio teorico dei rimedi esperibili nel sistema amministrativo.
Opposte vicende si sono vissute, invece, nel processo civile ove l’elaborazione dottrinale ha dato vita ad una completa classificazione delle diverse tipologie di azioni: in primis si sono distinte le azioni esecutive da quelle di cognizione e, nell’ambito di queste ultime, si è provveduto alla suddivisione in azioni di accertamento, costitutive e di condanna[53].
In ambito amministrativo, invece, non si è sviluppato un simile dibattito a causa della ricostruzione giurisprudenziale del processo in chiave esclusivamente demolitoria di atti, con esclusione dal sindacato di qualsivoglia ulteriore aspetto.
Questo orientamento ha ricevuto linfa vitale dagli artt. 26 e 34 del R.d. 1054/1924 alla stregua dei quali oggetto del giudizio è solo il provvedimento impugnato.
Per tali ragioni, per molto tempo, lo spettro cognitivo del g. a. non ha potuto estendersi al rapporto sostanziale inciso dall’atto, né al fatto, ma è rimasto circoscritto alla verifica di legittimità del provvedimento impugnato nei limiti delle censure indicate con i motivi di ricorso[54].
Dunque l’unica azione ammissibile, per decenni, è stata quella di annullamento, una azione teleologicamente orientata ad una pronuncia retroattivamente caducatoria dell’atto amministrativo illegittimo. Tale prospettiva era, poi, rafforzata dalla esigenza di riservare alla p. a. l’adozione di azioni dichiarative o di accertamento considerate imprescindibili per gli ulteriori provvedimenti volti a plasmare la realtà ai principi di diritto sanciti dal giudicato.
La giurisprudenza amministrativa degli anni ’50, nel ribadire perentoriamente la natura impugnatoria del giudizio amministrativo, ha chiuso le porte all’utilizzo di altre azioni processuali e, con riferimento alla azione di accertamento, ne ha sottolineato l’assoluta incompatibilità strutturale e funzionale con il processo dinanzi al g. a..
Nonostante le chiusure giurisprudenziali, una parte della dottrina[55] ha, poi, cercato strenuamente di aprire una breccia, individuando una serie di azioni in qualche modo somiglianti e riconducibili alla figura della azione di accertamento[56].
Questo tentativo muove dall’idea che una ipotesi di azione dichiarativa sia già espressamente codificata nel sistema ( art. 33 T.u. del C. d .s) e che da questa norma si possa ricavare una legittimazione generale dell’azione di accertamento.
Tale impostazione è stata, però, criticata dai fautori della tesi della natura eccezionale della disposizione inclini ad una interpretazione restrittiva della stessa[57].
Le forti resistenze del sistema non impediscono, però, all’azione di accertamento di penetrare, gradualmente, come un fiume carsico, nel tessuto del giudizio amministrativo, ingrossando le fila, già importanti, dei propri sostenitori[58].
Nonostante le autorevoli elaborazioni dottrinali sulla ammissibilità dell’azione di accertamento, i giudici amministrativi si mostrano per anni impermeabili al cambiamento , arroccati in una visione conservativa dello status quo, ossia del tradizionale modello impugnatorio.
Solo nel 1979, anche se in relazione ad un caso dalle notevoli specificità[59], la giurisprudenza per la prima volta riconosce l’azione di mero accertamento nel giudizio amministrativo.
Ulteriore tappa verso la definitiva consacrazione dell’istituto si ha negli anni ‘80 con la normativa sul silenzio assenso[60].
Da quel momento, pur nei comprensibili dubbi iniziali circa la natura del silenzio (fattispecie legale tipizzata o provvedimento tacito di assenso) fu evidente come al g. a. si richiedesse in concreto non una pronuncia di annullamento ma una sentenza dichiarativa della sussistenza degli elementi previsti dalla legge.
Di lì in avanti la dottrina si appassiona sempre più alla tematica dell’azione di accertamento che inizia ad acquisire una propria e distinta fisionomia concettuale: infatti secondo alcuni[61], in presenza di un provvedimento vincolato, vi sarebbe sempre spazio per una domanda di accertamento autonomo volta a verificare la sussistenza dei requisiti di legge, e quindi la sua legittimità, anche in assenza di un atto da caducare.
Altra tesi[62] accoglie senza riserve l’azione di accertamento quale logico corollario dell’evoluzione del processo amministrativo che, in omaggio ai principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, ha arricchito il proprio corredo di azioni e poteri attivabili, aprendosi all’ azione di mero accertamento e alla verifica sulla spettanza del bene della vita.
Il giudizio amministrativo, nel suo iter evolutivo, si è trasformato da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, estendendo la propria cognizione all’interesse sostanziale cui si collega il bene della vita[63]. Il giudizio di accertamento diviene lo strumento di una tutela reale e concreta del cittadino e delle sue posizioni soggettive (in primis gli interessi legittimi pretensivi).
Le riforme legislative degli ultimi decenni in tema di accesso agli atti amministrativi[64], silenzio inadempimento[65] e nullità del provvedimento[66] forniscono chiari esempi di una rivoluzione copernicana del giudizio amministrativo, caratterizzata dall’ingresso delle nuove azioni di accertamento e di condanna, e dai nuovi poteri istruttori e probatori del g. a.[67], in un contesto di piena valorizzazione degli interessi legittimi.
Insigne dottrina afferma l’autonomia e la valenza generale dell’ azione di accertamento nel panorama amministrativo[68]: tale rimedio non può dirsi tipico in quanto non abbisogna, ai fini della sua applicabilità, di alcuna espressa previsione normativa. L’ammissibilità in via generale della azione dichiarativa si evince, pertanto, dalla esistenza della giurisdizione che implica appunto lo ius dicere ossia postula indefettibilmente per il suo esercizio un momento accertativo[69].
Essendo, quindi, immanente alla stessa funzione giurisdizionale, il potere di accertamento ha natura generale e la relativa azione è sempre esperibile, al di là di specifiche previsioni.
Inoltre, in virtù della piena equiparazione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, entrambi considerati posizioni giuridiche sostanziali, apparirebbe irragionevole diversificare la tipologia e l’ambito applicativo delle azioni attivabili, per il vulnus che ciò arrecherebbe ai principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale. Risulterebbe, poi, costituzionalmente illegittima una interpretazione della legge che diversificasse la protezione del cittadino dinanzi al g. o. e al g. a., a fronte anche della normativa comunitaria che non conosce la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi.
Il principio di atipicità delle azioni proprio del processo civile[70] va esteso, sia pure nel rispetto delle peculiarità di ciascun sistema, anche all’ ambito amministrativo[71], superando così il dogma della tipicità delle azioni ammissibili[72] che si pone in conflitto con il valore della pienezza della tutela.
Oggi l’atipicità delle azioni viene garantita, infatti, dall’art. 24 Cost.[73]anche per gli interessi legittimi[74].
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4. Conclusioni.
La pronuncia del C. d. s. del 2009 consacra ( forse definitivamente) la Dia come atto del privato riconoscendo, in via generale, al terzo controinteressato un’azione di accertamento che lo tuteli a fronte di un’attività illecita del dichiarante non inibita dalla amministrazione.
Al di là di alcune criticità (si pensi alla natura dei poteri della p.a. in ordine alla attività dichiarata e alla qualificazione della posizione soggettiva del terzo), la sentenza in esame ha il grande pregio di abbattere definitivamente il monolite della tutela demolitoria, con l’ingresso nel giudizio amministrativo di un’ azione generale di accertamento esperibile oltre le ipotesi codificate dal legislatore.
Siamo al cospetto di una pronuncia che arricchisce i rimedi processuali del controinteressato, aggiungendo un nuovo strumento dall’ampia portata applicativa, in un sistema sempre più indirizzato verso una tutela piena ed effettiva nel rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 24, 103 e 113 .
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[1] L’art. 19 della l. 241/1990 ha subito, in questi vent’anni, varie modifiche, iniziate con la l. 537/1993 e proseguite con le leggi 15 e 80 del 2005 sino al recente intervento operato dalla novella 69/2009.
[2] Prima del 1990 la Dia era uno strumento settoriale esperibile nei soli casi espressamente previsti da normative ad hoc. Sul punto interessante la ricostruzione di G. Acquarone, La denuncia di inizio attività. Profili teorici, Milano, 2000, p. 36.[3] Con riferimento all’ambito applicativo della Dia va detto che la dichiarazione del privato è ammissibile nelle ipotesi di attività vincolata cioè nei casi in cui, ove non vi fosse stata la Dia, la p.a. avrebbe adottato provvedimenti permissivi vincolati il cui rilascio dipende esclusivamente dalla verifica circa la ricorrenza dei presupposti normativi. In queste situazioni l’assetto degli interessi in gioco è già predeterminato ex lege e pertanto l’amministrazione non è titolare di alcun potere di scelta né di comparazione. Per tali ragioni, in un’ottica di semplificazione, il legislatore ha attribuito al privato dichiarante la funzione di accertamento delle condizioni legali in vista del compimento dell’attività, riservando, al contempo, alla p.a. l’esercizio di poteri inibitori, di vigilanza e controllo.[4] G. Falcon, L’autoamministrazione dei privati, In procedimenti e accordi dell’amministrazione locale ( Atti del XLII convegno di studi di scienze della amministrazione, Tremezzo, 19-21 sett. 1996) Milano, 1996, pp. 147-148. Secondo l’autore la Dia è “un’attività privata soggetta a necessaria verifica successiva” da parte della amministrazione pubblica.[5] Sia pure in modo sommario e non esaustivo la Dia può definirsi come una dichiarazione preventiva del privato in funzione legittimante di una successiva attività, riconducibile al principio di libertà dell’iniziativa economica ( art. 41 Cost.) che produce effetti sostanzialmente autorizzatori pur in assenza di un provvedimento.
[6] Cons. Stato, sez. VI , 9 febbraio 2009 n. 717, in www.giustizia-amministrativa.it.
[7] Ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 948/2007; Cons. Stato, sez. V, 3586/2006; Cons. Stato, sez. IV, 3916/2005, Cons. Stato, sez. VI, 4453/2002,; Tar Abruzzo, l’Aquila, 383/2004, Tar Campania, Napoli, sez. I, 5272/2001 in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina per la natura privatistica della Dia: A. Travi, Silenzio-assenso, denuncia di inizio attività e tutela dei terzi controinteressati, in Dir. Proc. Amm. 2002, pp. 16 e ss.; F. Liguori, Attività liberalizzate e compiti della amministrazione, Napoli, 2000; M. P. Chiti, Atti di consenso, in Dir. Amm., 1996, P. 181; M. A. Sandulli, Riflessioni sulla tutela del cittadino contro il silenzio della pubblica amministrazione, in Giust. Civ, 1994, p. 479. [8] M. Corradino, Diritto amministrativo, II ed., Cedam, 2009, pp. 642 e ss.. L’autore si è interrogato sulla natura di tale diritto soggettivo posto che le facoltà ad esso connesse non sono immediatamente esercitabili. Secondo Corradino il fatto che “non si possa immediatamente esercitare una facoltà ( es. : svolgimento di una attività) connessa ad un diritto e che la legge preveda degli oneri a carico del privato ( presentazione di una dichiarazione e attesa di un termine) non esclude di per sé che possa teoricamente trattarsi di un diritto soggettivo”. Infatti i diritti sottoposti ad autorizzazione, ciononostante, sono e rimangono diritti.[9] In favore della natura pubblicistica della Dia, Cons. Stato, sez. IV, 5811/2008, Cons. Stato, sez. IV, 3742/2008, Cons. stato, sez. IV, 1550/2007, Tar Veneto, sez. II, 4722/2003 in www.giustizia-amministrativa.it.[10] M. A. Sandulli, Competizione, competitività, braccia legate e certezza del diritto (note a margine della legge di conversione del D.l. 35/2005) in www.giustamm.it. Il pregio di questa tesi risiede nella sua estrema duttilità e capacità di adattamento alle molteplici criticità dell’istituto mutuando regole sia dalla disciplina degli atti privatistici sia da quella degli atti di diritto amministrativo. Si tratta comunque di un’ opzione interpretativa che si allinea di fatto all’orientamento configurante la Dia in termini pubblicistici e alle conseguenti ricadute applicative.[11] L. Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo. Autorizzazione ricognitiva, denuncia sostitutiva e modi di produzione degli effetti, Padova, 1996. Ad avviso dell’autore il privato è titolare di un diritto soggettivo (allo svolgimento dell’attività) che “la p.a. non può degradare ma può solo verificarne la sussistenza o meno”. Infatti il privato può esercitare l’attività in base ad una legittimazione che, sia pure integrata dall’elemento volontaristico della dichiarazione, promana direttamente dalla legge, senza bisogno di alcuna intermediazione provvedimentale. Inoltre il denunciante svolge una funzione ( di regola appartenente alla amministrazione) di accertamento e interpretazione delle condizioni legali, idonea a dispiegare i medesimi effetti di un provvedimento permissivo.[12] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2009. L’autore svolge un’ attenta disamina sui poteri di controllo, lato sensu intesi, della p.a., distinguendo i controlli nell’ambito delle relazioni interorganiche o intersoggettive ( ascrivibili alla tradizionale funzione amministrativa di controllo), dai controlli sull’attività dei privati che invece presentano caratteristiche sui generis, essendo riconducibili ad una vera e propria funzione di amministrazione attiva.
[13] M. Corradino, op. cit.;
[14] Tar Campania, Napoli, sez. II, 8707/2005; Tar Piemonte, 70/2002; Tar Lombardia, Brescia, 397/2001, in www. giustizia-amministrativa.it.
[15] Vincolati nell’ an e nel quando.
[16] Infatti gli artt. 21 quinquies e 21 nonies, ai fini dell’annullamento d’ufficio e della revoca, richiedono non solo la mera esigenza di ripristino della legalità violata, ma implicano, altresì, una serie di valutazioni su: 1)gli interessi pubblici e privati coinvolti; 2) il consolidamento degli effetti dell’atto; 3) l’ affidamento del dichiarante; 4) il tempo trascorso.
[17] Per una trattazione completa dell’autotutela, F. Benvenuti, Autotutela (dir. amm. ), in Enc. Dir., Milano, 1980, vol. XXX, pp. 995 e ss.
[18] Infatti i procedimenti di autotutela si traducono in provvedimenti di secondo grado aventi ad oggetto precedenti atti amministrativi nell’ambito di un giudizio dall’esito demolitorio o conservativo. Per sua natura l’autotutela pubblicistica non si indirizza verso atti del privato, bensì ha un ambito applicativo circoscritto ai soli atti amministrativi.[19] Su tutti Cons. Stato, sez. VI , 9 febbraio 2009 n. 717, in www.giustizia-amministrativa.it; il Supremo Consesso ritiene che il potere attribuito dall’art. 19 rappresenti una forma di autotutela decisoria sui generis, che ha ad oggetto non un precedente provvedimento amministrativo, bensì il rapporto instauratosi tra l’amministrazione e il privato con la Dia. Si tratta, quindi, non “di atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare poteri di inibizione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti , nell’osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti da tali norme”. In precedenza si era pronunciato in tal senso anche Cons. Stato, sez. V, 3586/2006, in www.giustizia-amministrativa.it.[20] W. Giulietti, op. cit., secondo il quale il potere di riesame può avere ad oggetto “ non necessariamente un atto espresso o implicito( ancorchè fittizio) ed i suoi effetti, ma anche nell’ambito di una verifica successiva, la modalità di originario esercizio della funzione, laddove essa non abbia avuto esito provvedimentale”.
[21] “Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”. Il legislatore ha fatto una scelta chiara e puntuale che va rispettata nel suo originario ed unico significato.
[22] W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo: il modello della dichiarazione di inizio attività, Giappichelli,Torino, 2008, secondo il quale alla tutela pubblicistica dinanzi al giudice amministrativo si giustappone la tutela delle relazioni intersoggettive dinanzi al giudice civile, in virtù della quale il terzo può agire con le azioni a tutela della proprietà e degli altri diritti reali, con i rimedi cautelari e possessori. Sulla stessa lunghezza d’onda, V. Parisio, I silenzi della pubblica amministrazione. La rinuncia alla garanzia dell’atto scritto, Milano, 1996. Secondo l’autore il terzo controinteressato può ricorrere al giudice ordinario ove subisca la lesione di un proprio diritto soggettivo esperendo un’azione cautelare, di accertamento o di condanna.[23] A titolo esemplificativo può ravvisarsi la lesione di un diritto soggettivo nel vulnus arrecato alla sfera giuridica del proprietario confinante a fronte dell’attività edilizia abusivamente intrapresa dal dichiarante. Il proprietario potrà tutelarsi in giudizio nelle forme previste dall’art. 872 c. c..
[24] A. Travi, Semplificazione e tutela del cittadino, in Riv. giur. Urb., 1998, p. 105.
[25] W. Giulietti, op. cit.
[26] E. Boscolo, I diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art. 19 della legge n. 241/1990 e altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001. L’autore, richiamando G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, II ed., Napoli, 1935, afferma che al cospetto di una protezione garantita dalla giurisdizione civile per la tutela nelle relazioni interprivate, consistente nella tutela dei diritti ( che è soggettivizzata), “ solamente la presenza di una funzione amministrativa di verifica può garantire una protezione desoggettivata a vantaggio di tutti i consociati”, qualora lo svolgimento di un’attività sia capace di produrre effetti polidirezionali, in cui “l’esercizio delle facoltà attribuite dal diritto soggettivo deve essere necessariamente sottoposto ad una verifica puntuale entro lo schema fissato dall’art. 19”.[27] il dies a quo di decorrenza del termine va individuato nella comunicazione al terzo del perfezionamento della dia o nell’avvenuta conoscenza del consenso implicito all’intervento in esame.[28] Tar Abruzzo, Pescara 494/2005, in www.giustamm.it. Secondo il Tar il riferimento agli istituti dell’autotutela decisoria denota la precisa volontà del legislatore di considerare la Dia in termini pubblicistici, ossia come atto abilitativo tacito formatosi a seguito della denuncia del privato e del conseguente comportamento inerte della amministrazione. Infatti non potrebbe ipotizzarsi alcuna forma di autotutela decisoria in assenza di un provvedimento amministrativo che ne costituisca l’oggetto, di talchè i poteri di annullamento d’ufficio e revoca non sarebbero esperibili ove si qualificasse la Dia come atto del privato.
[29] Orientamento che riceve i consensi della giurisprudenza maggioritaria: ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 948/2007 in www.giustizia-amministrativa.it.
[30] Si potrebbe prospettare, allora, una azione dinanzi alla giurisdizione ordinaria, ma tale soluzione è dalla sentenza in esame preclusa, nel caso di specie, dalla circostanza che il terzo è titolare di una posizione soggettiva ( l’interesse legittimo) non conoscibile dal g. o. (sindacatore naturale dei soli diritti soggettivi). In siffatto contesto il terzo verrebbe privato di una serie di strumenti di tutela, e ciò in spregio dei principi costituzionali di difesa, effettività e pienezza della protezione giurisdizionale ( artt. 24, 103 e 113 Cost.).
[31] Cons. Stato, sez. V, 3586/2006; Cons. Stato, sez. IV, 3916/2005; Cons. Stato, sez. VI, 4453/2002, in www.giustamm.it
[32] Si ricorre in questo caso al rito speciale introdotto dall’art. 21 bis della l. 1034/1971, come modificata dalla l. 205/2000.
[33] Tar Lombardia, sez. II, 1777/2003 e 3577/2003 in www. giustizia-amministrativa.it
[34] Secondo i giudici di palazzo Spada la legge 241/1990, in un’ottica di liberalizzazione delle attività economiche, riconosce al privato la possibilità di svincolarsi dalla emanazione di un provvedimento di legittimazione nello svolgimento di alcune attività vincolate e predeterminate dalla legge. Pertanto la Dia consentirebbe al privato il compimento di determinate attività non sulla base di una manifestazione di consenso della p.a., bensì in virtù di una legittimazione ex lege che sostituisce l’intermediazione provvedimentale. [35] D’ altronde -sottolinea il Supremo Consesso- l’esigenza di assicurare una tutela effettiva al terzo non deve condurre ad improprie metamorfosi dell’istituto mediante la trasformazione di una dichiarazione del privato in un atto amministrativo. [36] Per un esame approfondito e multidisciplinare dell’istituto si rinvia ad A. Romano, L’azione di accertamento negativo, Jovene, 2006; A. Proto Pisani, La tutela di mero accertamento, in Appunti sulla giustizia civile, Cacucci ed., 1982. Per l’autore “ le sentenze di accertamento negativo appartengono alla categoria di quelle di accertamento mero”.[37] In tema di azione di accertamento nel processo amministrativo si segnalano: B. Tonoletti, Mero accertamento e processo amministrativo: analisi di casi concreti, in dir. Proc. Amm., 2002, pp. 593 e ss.; S. Murgia, Crisi del processo amministrativo e azione di accertamento, in dir. Proc. Amm. , 1996, pp. 243 e ss.; P. Stella Richter, Per l’introduzione dell’azione di mero accertamento nel giudizio amministrativo, in scritti in onore di M. S. Giannini, Giuffrè, Milano 1988.
[38] A. Orsini Battaglini, Alla ricerca dello stato di diritto- per una giustizia non “amministrativa”, Milano, 2005, p. 54.
[39] C. cost. 204/2004, in www.cortecostituzionale.it. Questo concetto viene ribadito nella parte della sentenza in cui si precisa che l’attribuzione al giudice amministrativo di disporre il risarcimento del danno ingiusto anche nell’ambito della competenza generale di legittimità ( secondo l’art. 7 l. 205/2000) non costituisce una nuova “materia”, ma solo uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello demolitorio e/o conformativo. La tesi si lega indissolubilmente all’art. 24 della Costituzione “il quale garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri”.
[40] A riguardo si veda anche il commento di A. Formica, Dia e accertamento nel processo amministrativo, in Urbanistica e appalti 5/2009, p. 577.
[41] Dello stesso avviso P. Stella Richter, op. cit., secondo il quale “ l’accertare è il prius logico ed insopprimibile di qualsiasi esplicazione della funzione giurisdizionale”. Di grande importanza anche il contributo di F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli, 1958. Ad avviso dell’autore “ il nucleo essenziale di qualsiasi processo, anche di quello amministrativo, è sempre l’accertamento ossia la scelta tra due diversi giudizi”.[42] Per un’ampia trattazione della tematica dell’ azione di mero accertamento nel processo civile: V. Lanfranchi, Contributo allo studio dell’ azione di mero accertamento, Milano, 1969 e G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale, Jovene, 1960 ( ristampa).
[43] G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1912 ( ristampa inalterata, Napoli, 1965), p. 81.
[44] Favorevole alla assoggettabilità dell’azione di accertamento al termine di decadenza contemplato per la tutela costitutiva è W. Giulietti, op. cit., secondo il quale la previsione del termine decadenziale soddisfa precise esigenze di certezza giuridica e di stabilità dei rapporti amministrativi. Un argomento ad adiuvandum può rintracciarsi, inoltre, nell’assetto di liberalizzazione disegnato dal legislatore in cui la Dia è deputata a sostituire un provvedimento autorizzatorio producendone i medesimi effetti. Pertanto l’ equiparazione sul piano sostanziale dell’ atto del privato al provvedimento dell’ amministrazione non può non proiettarsi a livello processuale sul regime giuridico dei rimedi di tutela, sicchè risulta coerente e ragionevole che l’azione di annullamento e l’azione di accertamento, entrambe funzionali alla protezione dell’ interesse legittimo, siano soggette allo stesso termine di 60 gg..[45] Interessante risulta il commento alla sentenza di R. Gisondi, Dia ed accertamento autonomo: il Consiglio di Stato separa l’interesse legittimo dal potere: nota a margine a Consiglio di Stato, VI , 9 febbraio 2009 n. 717, in www.giustamm.it.[46] O. Forlenza, In assenza di un potere conformativo della p.a. l’istanza andrebbe proposta al giudice ordinario, Nota a Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717, in Guida al Diritto, 2009, fasc. 13, pp. 106-111.[47] Infatti i provvedimenti inibitori e sanzionatori sono solo eventuali e inoltre, ove il terzo lamenti la lesione della propria sfera giuridica, risulta evidente che gli stessi non sono stati nemmeno esercitati dalla amministrazione ( altrimenti la lesione non si sarebbe prodotta), sicchè non è riscontrabile alcun potere pubblicistico in atto.[48] In base ad una tradizione consolidata l’interesse legittimo nasce e vive sempre correlato all’esercizio di un potere amministrativo. Tra le varie elaborazioni dottrinali, F. G. Scoca, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990, p. 25, secondo il quale l’interesse legittimo è “ una situazione giuridica soggettiva che dialoga con il potere ( unilaterale altrui)”.[49] C. Cost. 204/2004, in www.cortecostituzionale.it. Il legislatore, nell’ esercizio della propria discrezionalità politica, può attribuire particolari materie alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo purchè ricorrano due presupposti ineludibili: 1) un intreccio inestricabile tra diritti soggettivi e interessi legittimi; 2) l’esercizio di un potere amministrativo.[50]La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rappresenta l’eccezione alla regola di riparto della giurisdizione fondato sul criterio della posizione giuridica soggettiva secondo la quale il giudice ordinario è il giudice naturale dei diritti soggettivi mentre il giudice amministrativo è il sindacatore della funzione amministrativa e degli interessi legittimi.[51] Sull’evoluzione del giudizio amministrativo e delle forme di tutela attivabili dinanzi al g. a. si veda al riguardo G. Morbidelli, Le tecniche di tutela dell’interesse legittimo: verso l’azione atipica di accertamento? , Atti del convegno, Riparto, responsabilità, pregiudiziale e tecniche di tutela: la giurisprudenza amministrativa tra storia e attualità, tenutosi presso il C.d. s. in data 27/05/2009.
[52] R. Galli, Corso di diritto amministrativo, IV ed., vol. II, Cedam, 2004, p. 1795.
[53] G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, 1934-37, F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, Padova, 1929.
[54] R. Galli, op. cit.
[55] Uno dei più illustri autori fu E. Guicciardi, Sentenze dichiarative del giudice amministrativo?, in Giur. It. ,III, 1951, pp. 121 e ss.
[56] ad esempio l’azione dichiarativa del raggiungimento dello scopo di un atto.
[57] Sulla questione si veda G. Morbidelli, op. cit..
[58] Insieme a Guicciardi tra i primi a riconoscere in via generale l’azione di accertamento nel processo amministravo F. Cammeo, Corso di diritto amministrativo, (1911), ristampa, Cedam,, 1960, p. 738. Egli argomentava principiando da un caso pratico : nell’ipotesi di annullamento di un precedente atto di rifiuto ci si trova al cospetto di due negazioni, di talchè il g. a., intervenendo a posteriori, in realtà non caduca alcunché, bensì si limita ad accertare l’illegittimità dell’originario atto di diniego. Questa considerazione incrinò il monolite del giudizio amministrativo come giudizio esclusivamente impugnatorio dimostrando la compatibilità con il sistema anche di azioni diverse di tipo dichiarativo.[59] Adunanza plenaria del C. d. s. 25/1979. La fattispecie processuale verteva sulla richiesta, avanzata dai dipendenti di un conservatorio, di accertamento del proprio status. Il C. d. s. fu costretto ad ammettere una azione dichiarativa per scongiurare una disparità di trattamento con i dipendenti privati lesiva dei principi di difesa e di effettività della tutela giurisdizionale.[60] Legge Nicolazzi 94/1982 : in un’ ottica di liberalizzazione del settore edilizio introdusse, per la prima volta, un regime semplificato per alcune attività, prevedendo la formazione del silenzio – assenso sulle domande di concessione edilizia per vari interventi di recupero del patrimonio esistente. Come chiarito successivamente dalla giurisprudenza l'art. 8, l. 94/1982, non solo è di stretta interpretazione ed è insuscettibile di applicazioni analogiche, ma presuppone la vigenza di uno strumento urbanistico di dettaglio approvato dopo l'entrata in vigore della l. 765/1967 e quindi adeguato agli standard da quest'ultima previsti.
[61] A. Orsi Battaglini, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Riv. Proc. Civ., 1988, pp. 3 e ss.
[62] G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano 1980, pp. 86 e ss. L’autore osserva che l’ ammissibilità di una azione di accertamento dinanzi al g. a. sia imposta dagli artt. 24 e 113 Cost.. Essendo, infatti, l’azione giurisdizionale un diritto incomprimibile volto a garantire al civis una tutela piena, reale ed effettiva, non si può negare cittadinanza nel giudizio amministrativo alla azione di mero accertamento quando essa rappresenti il rimedio più idoneo per il soddisfacimento degli interessi legittimi, stante la loro piena equiparazione ai diritti soggettivi.[63] Antesignano di questa impostazione fu A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962. L’autore sottolinea i limiti del tradizionale modello processuale impugnatorio che, con il suo meccanismo caducatorio, è incapace di offrire tutela agli interessi legittimi pretensivi. Infatti il semplice annullamento del provvedimento, riattiva sì l’esercizio del potere, ma senza porre ulteriori limiti alla azione della amministrazione , di modo che la stessa potrà , nel rispetto del giudicato, adottare un nuovo atto negatorio, lasciando insoddisfatto l’interesse pretensivo del richiedente.[64] La l. 241/1990 ( come novellata dalle leggi 15 e 80/2005 e 69/2009) qualifica per la prima volta l’accesso ai documenti amministrativi come regola generale dei rapporti tra amministrazione e privati, in una nuova dinamica di democrazia partecipativa ispirata a logiche di informazione, trasparenza, imparzialità e controllo. La natura non più solo impugnatoria del giudizio amministrativo è dimostrata dal fatto che al giudice non si chiede tanto l’annullamento dell’atto, quanto l’accertamento dell’obbligo della p.a. di ostensione dei documenti e la ricorrenza delle condizioni per l’esercizio del diritto. Il privato promuove così una vera e propria actio ad exibendum nella quale il giudice è chiamato a valutare la fondatezza della pretesa a prescindere dalla impugnativa del provvedimento di diniego ( quest’ultimo potrebbe anche mancare nel caso, ad esempio, di inerzia della amministrazione). Le azioni di accertamento e di condanna si sostituiscono, in molti casi, alla tutela demolitoria quali strumenti più idonei alla realizzazione dell’interesse legittimo pretensivo del ricorrente.[65] L’ art. 2 della l. 241/1990 ( come modificato dalle leggi 15 e 80/2005 e 69/2009) riconosce al privato il potere di agire avverso il silenzio ( non significativo) della amministrazione mediante il rito abbreviato e camerale di cui all’art. 21 bis l. 1034/1971 (come introdotto dalla l. 205/2000).Siamo al cospetto di un’ azione di accertamento che consente al g. a. di verificare, oltre all’inadempimento da parte della p.a. dell’obbligo di provvedere, anche la fondatezza della pretesa sottostante nei casi di attività vincolata.[66] La legge 15/2005, inserendo l’art. 21septies nel corpo della l. 241/1990, ha positivizzato l’istituto della nullità del provvedimento amministrativo secondo gli schemi già noti alla dottrina e alla giurisprudenza amministrativa. Trattasi di un’ulteriore conferma della tesi secondo la quale il processo amministrativo non è più solo caducatorio dell’atto, ma è anche sindacatorio del rapporto. Infatti il g. a. è investito del potere di accertare e dichiarare la nullità dell’atto ove ricorrano i presupposti di legge.[67] A seguito della l. 205/2000 le azioni tipizzate nell’ambito della competenza generale di legittimità, in aggiunta all’azione di annullamento, sono l’azione di risarcimento del danno ingiusto, vuoi in forma generica vuoi in forma specifica, e l’azione di condanna dell’amministrazione a provvedere in caso di silenzio-inadempimento (ora tendente anche a far accertare la fondatezza della pretesa). La legge introduce, poi, nell’ambito del processo cautelare il principio della atipicità delle misure che possono essere concesse nell’alveo della tendenza ad una piena equiparazione di tutele e strumenti processuali tra giudizio civile e giudizio amministrativo.[68] G. Morbidelli, op. cit. e G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto, op. cit., p. 213, il quale sottolinea come “il presupposto concettuale comune a tutta la dottrina processuale civile sia quello di ritenere il potere di accertamento del giudice (civile) come un potere connaturato al concetto stesso di giurisdizione” e ritiene “che lo stesso ordine interpretativo adottato dalla dottrina e dalla giurisprudenza per il diritto processuale civile possa e debba valere anche per il processo amministrativo”.[69] Sulla questione già la dottrina processual-civilistica era giunta a conclusioni non dissimili attraverso un differente percorso argomentativo: L. Montesano, Accertamento giudiziale, in Enc. Giur. Treccani, Vol. I, 1988, pp. 1 e ss. secondo il quale, proprio in ragione della “esistenza di una tutela giurisdizionale, che ha come solo contenuto l’accertamento descritto nell’art. 2909 c.c., è innegabile l’esistenza di azioni di mero accertamento. Ma di queste mancano nei testi normativi espressa disciplina e disposizioni di carattere generale, che vanno dunque tratte dal significato della norma sull’interesse ad agire (art. 100 c. p. c.)”.[70] A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 1993, II ed., pp. 67-68 secondo il quale i codici moderni hanno superato il sistema di azioni tipiche, ma sono rimasti a mezza strada perché “se essi hanno segnato il superamento di un sistema rigido di rimedi tipici di tutela (c.d. azioni tipiche) in favore della generale tutelabilità di ogni diritto, con tutti i mezzi dalla legge consentiti, hanno tuttavia continuato a mantenere tracce di una tutela differenziata, in particolare attribuendo ad alcuni diritti (la proprietà) una tutela forte e ad altri una tutela debole (diritti di obbligazione) essenzialmente di tipo risarcitorio. L’art. 24 della Costituzione afferma “un principio di generale tutelabilità di ogni diritto al soggetto riconosciuto”.[71] Si è creato un sistema di giustizia amministrativa atipico e la atipicità dei mezzi esperibili si è diffusa anche negli ambiti della tutela cautelare a seguito della l. 205/2000.[72] A. Proto Pisani, Appunti preliminari sui rapporti tra diritto sostanziale e processo, In Diritto e Giurisprudenza , 1978. Secondo l’autore va anzitutto precisato che quando si parla di tipicità delle azioni nel processo amministrativo si usa la nozione di tipicità in un’accezione distinta da quella alla quale si riferiva la dottrina ottocentesca dell’azione come categoria generale atipica. Questa costruzione perseguiva, infatti, lo scopo di assicurare al titolare del diritto soggettivo la possibilità di ricorrere alla tutela giurisdizionale civile e ciò anche in assenza di una previsione espressa di norma che attribuisse a ciascun singolo diritto e/o violazione il diritto di azione, superando così la sistematica romanista delle actiones.[73] V. Andrioli, La tutela giurisdizionale dei diritti nella Costituzione della Repubblica italiana, in Nuova Rivista di Diritto Commerciale, Diritto dell’Economia, Diritto sociale, 1954, p. 314, secondo il quale dall’art. 24 della Costituzione emerge “il fondamentale principio che chi è titolare di un diritto soggettivo ovvero di un interesse legittimo è in pari tempo e automaticamente titolare dell’azione intesa come possibilità di far valere in giudizio quel diritto o quell’ interesse legittimo”.[74] M. Clarich, Tipicità delle azioni e azione di adempimento nel processo amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 2005, p. 557 e ss.. Secondo l’autore la tipicità dell’azione di annullamento era coerente con la prospettiva tradizionale del processo amministrativo come un giudizio costruito sulla tutela degli interessi legittimi oppositivi ai quali corrispondeva una pretesa a un non facere in capo all’amministrazione, cioè un dovere di astensione dall’emanare il provvedimento restrittivo della sfera giuridica del privato. L’art. 45 del R.d. 1054/1924 e l’art. 26, comma 2, della l. 1034/1971, che indicano quale unico dispositivo di accoglimento la sentenza di annullamento, riflettevano in pieno tale visione.
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(pubblicato il 15.2.2010)
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