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n. 10-2009 - © copyright |
T.A.R. CALABRIA - CATANZARO - SEZIONE I - Sentenza 2 ottobre 2009 n. 1013
Cesare Mastrocola – Presidente, Concetta Anastasi – Estensore. |
1. Pubblico impiego – Corte dei conti – Consiglio di Presidenza – Qualificazione soggettiva – Amministrazione dello Stato in senso stretto – Esclusione.
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2. Processo – Processo amministrativo – OPCM n. 3635 del 2007 – Commissario Delegato per l’Emergenza Sanitaria in Calabria – Membro del Comitato Tecnico-Scientifico – Nomina di un magistrato della Corte dei conti – Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti e Commissario Delegato per l’Emergenza Socio-Sanitaria in Calabria – Difesa contestuale da parte dell'Avvocatura dello Stato – Elementi di conflitto – Inesistenza.
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3. Pubblico impiego – Magistrati – Incarichi extragiudiziari – Procedimento di silenzio-assenso ex art.53, d.lg. n.165 del 2001 – Applicazione.
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4. Pubblica amministrazione – Procedimento amministrativo – Preavviso di rigetto – Ratio – Individuazione.
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5. Pubblico impiego – Magistrati – Attività estranee a quelle proprie dell'ufficio – Incisione in astratto sulla loro indipendenza ed imparzialità.
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6. Pubblico impiego – Magistrati – Magistrato della Corte dei conti – Emergenza socio-economico sanitaria nel territorio della Regione Calabria – Comitato Tecnico Scientifico – Incarico di componente – Incarico vietato.
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1. Soggettivamente, il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti non può considerarsi come amministrazione dello Stato in senso stretto, poiché costituisce l'organo di autogoverno di un ordine giudiziario autonomo ed indipendente il quale, storicamente e sul piano positivo, si distingue dall’amministrazione, intesa come struttura che coadiuva le istituzioni politiche nell'esercizio delle attività di governo, provvede alle attività per il conseguimento dei fini pubblici posti dalle stesse istituzioni politiche e produce beni e servizi a favore della collettività.
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2. Con riferimento alla nomina di un magistrato della Corte dei conti a membro del Comitato Tecnico-Scientifico, posta in essere dal Commissario Delegato per l’Emergenza Sanitaria in Calabria, previa “designazione” del Presidente della Regione Calabria, retribuito ai sensi dell’art.3, commi 4, 5, 6 e 7 dell’OPCM n. 3635 del 2007, la difesa contestuale, da parte dell'Avvocatura dello Stato, sia del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti che del Commissario Delegato per l’Emergenza Socio-Sanitaria in Calabria, non contiene in sé elementi di conflitto, stante la natura di “parere vincolante” di contenuto sostanzialmente provvedimentale già riconosciuto alla “designazione” del Presidente della Regione Calabria.
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3. Il procedimento di silenzio-assenso ex art.53, d.lg. 30 marzo 2001 n.165, trova applicazione anche riguardo ai magistrati per gli incarichi extragiudiziari.
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4. In tema di procedimento amministrativo, l’istituto del c.d. “preavviso di rigetto”, introdotto dal precitato art. 10-bis, l. 7 agosto 1990 n.241, ha portata generale e la sua “ratio” va individuata nelle esigenze, da un lato, di assicurare piena visibilità all'azione amministrativa nel momento della sua formazione e, dall'altro, di garantire la partecipazione dei destinatari dell'atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione, in modo che - anche grazie all'acquisizione delle ragioni prospettate dagli interessati - l'Amministrazione sia posta in condizione di esercitare il proprio potere con la piena cognizione di tutti gli elementi di fatto e di diritto.
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5. Per i magistrati, l'assunzione di compiti e lo svolgimento di attività estranee a quelle proprie dell'ufficio ad essi affidato - anche quando non richiedano una sospensione o una riduzione delle funzioni ordinarie - sono fattori suscettibili, in astratto, di incidere sulla loro indipendenza ed imparzialità, connotato e condizione essenziale per l'esercizio della funzione loro attribuita, sia in quanto può esservi una interferenza diretta fra compiti propri e ulteriori attività svolte, sia in quanto l'attribuzione stessa, o la possibilità di attribuzione, dell'incarico, per la sua natura e per i vantaggi che possono derivarne, può tradursi in un indiretto condizionamento del magistrato.
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6. L’ incarico di componente del Comitato Tecnico Scientifico per la valutazione dei progetti di intervento predisposti dal Commissario Delegato, nominato con O.P.C.M. del 21 dicembre 2007 per fronteggiare l’emergenza socio-economico sanitaria nel territorio della Regione Calabria è sussumibile nell’ipotesi prevista dall’art.3 comma 6, lett. e), d.P.R. 27 luglio 1995 n. 388, che vieta espressamente ai magistrati della Corte dei Conti di ricoprire incarichi inerenti “ e ) partecipazione a commissioni o comitati di vigilanza sull'esecuzione di piani, programmi, interventi, finanziamenti”, piuttosto che in quella di cui all’art.3 comma 3 lett. e), del medesimo d.P.R. n. 388 del 1995, che espressamente consente ai magistrati della Corte dei Conti di ricoprire “incarichi di studio, di ricerca, e di collaborazione scientifica o culturale”.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso R.G. n. 849 del 2008, proposto da
Quirino Lorelli, rappresentato e difeso dall'avv. Felice Foresta, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Catanzaro, via A. De Gasperi, n. 48;
contro
- Corte dei Conti, in persona del Presidente pro-tempore; -Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, in persona del Presidente pro-tempore; -Commissario Delegato per l'Emergenza Socio Sanitaria in Calabria; -Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore; rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro, domiciliata per legge in Catanzaro, via G. Da Fiore;
per l'annullamento
-della deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti n. 232/CP/2008 del 23.06.08, resa nell’adunanza dell’11-12.6.2008, comunicata al ricorrente in data 8.7.2008, con la quale “il Primo Referendario dott. Quirino Lorelli non è autorizzato a svolgere l’incarico di componente del Comitato Tecnico Scientifico per la valutazione dei progetti di intervento predisposti dal Commissario Delegato, nominato con O.P.C.M. del 21.12.2007 per fronteggiare l’emergenza socio-economico sanitaria nel territorio della Regione Calabria”;
-e, per quanto possa occorrere, di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi inclusi:
la nota del 7.4.2008, pervenuta al ricorrente il 14.4.2008, della Seconda Commissione del Consiglio di Presidenza (nota prot. 3052/CP);
la nota del 15.5.2008, pervenuta al ricorrente il 22.5.2008, dell’Ufficio di Segreteria del Consiglio di Presidenza (nota prot. 3899/CP);
le determinazioni assunte dal Consiglio di Presidenza nell’adunanza del 7-8 maggio 2008 e dell’11-12 giugno 2008;
E PER OTTENERE
l’accertamento del diritto al risarcimento dei danni, discendente dalla perdita di “chance” e dalla riduzione della professionalità, con conseguente condanna della Corte dei Conti alla corresponsione della somma di euro 50.000,00 (cinquantamila) o di quella diversa determinata dall’adito Giudice, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dal dì del dovuto fino all’effettivo soddisfo.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della difesa erariale per le Amministrazioni statali intimate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 46 del 30.3.2009, con cui questa Sezione disponeva incombenti istruttori;
Relatore, alla pubblica udienza del giorno 19/06/2009, il cons. Concetta Anastasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con atto notificato il 23.7.2008 e depositato il 1.8.2008, il ricorrente, magistrato in servizio presso la Sezione Regionale di Controllo per la Calabria della Corte dei Conti, premetteva che, con istanza del 31.3.2008, aveva chiesto al Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, l’autorizzazione ad espletare l’incarico di componente del Comitato Tecnico-Scientifico di cui all’art.3, comma 3, dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 21.12.2007 n. 3635, per il quale aveva già ricevuto la relativa nomina.
Precisava che, con nota prot. 3052/CP, pervenuta al ricorrente con lettera A.R. del 14.4.2008, la Seconda Commissione del Consiglio di Presidenza, gli chiedeva, ai sensi dell’art. 53, comma 10 del D. Lgs. 30.3.2001 n. 165 e dell’art. 23-ter, commi 2 e 4, della deliberazione n. 96/CP/2004, di comunicare le ragioni di ordine giuridico, per le quali riteneva non ostativo, ai fini dell’accettazione dell’incarico in oggetto, il divieto previsto dall’art.3, comma 6, lett. e) del D.P.R. n.388 del 26.7.1995, con contestuale invito a produrre “elementi in proposito”.
Esponeva che, a seguito della regolare presentazione delle proprie deduzioni del 18.4.2008, la segreteria del Consiglio di Presidenza, con nota prot. 3899/CP, inviata con lettera A.R. pervenuta il 22.5.2008, comunicava, ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7.8.1990 n. 241, introdotto dalla legge 11.2.2005 n. 15, che il Consiglio di Presidenza, nell’Adunanza del 7/8 maggio 2008, aveva ritenuto l’incarico de quo non autorizzabile, sia in relazione ai divieti previsti dall’art. 3 , comma 6, lett. e) e lettera f) del D.P.R. 27.7.1995 n. 3888, sia sotto il profilo dell’incompatibilità territoriale.
Con il presente ricorso, lamentava che, nonostante le osservazioni presentate il 26.5.2008, al fine di dimostrare l’autorizzabilità del chiesto incarico, l’organo di autogoverno si pronunciava negativamente con l’epigrafato provvedimento di diniego, che veniva comunicato in data 8.7.2008.
A sostegno del proprio ricorso, deduceva:
1- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 e dell’art. 2 della legge n. 241/1990 nonché dell’art. 53 , comma 10 del D. Lgvo n. 165/2001; maturazione del silenzio-assenso sulla richiesta di autorizzazione;
Nella specie, si sarebbe formato il silenzio-assenso sulla richiesta di autorizzazione, come previsto dalla normativa invocata.
2-violazione e falsa applicazione dell’art. 1 , comma 2 e dell’art. 2 della legge n. 2411990 nonché dell’art. 53, comma 10, del D. L.gvo n. 165/2001 e della Deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 96/CP/2004;
Secondo l’esponente, tra la data di acquisizione degli elementi istruttori (18.4.2008), a seguito della comunicazione dell’interruzione del procedimento da parte della Seconda Commissione, e quella della decisione definitiva da parte del Consiglio di Presidenza, sarebbe decorso un tempo superiore al termine dei trenta giorni previsto dall’art. 23-ter della Deliberazione 96/CP/2004.
3-violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990 e della Deliberazione della Corte dei Conti 6 luglio 1995;
Nel caso di specie, sarebbe stato altresì violato il termine massimo per la conclusione del procedimento autorizzatorio individuato in sessanta (60) giorni dall’Allegato 1 , punto 12 della Deliberazione della Corte dei Conti 6 luglio 1995, recante “Regolamento di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7.8.1990 n. 241, relativo ai procedimenti amministrativi di competenza della Corte dei Conti”, pubblicata dalla Gazzetta ufficiale 22 luglio 1995 n. 170 .
4-violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 e dell’art. 2, comma 4 , della legge 241/1990 nonché della deliberazione 96/CP/2004, in materia di divieto di aggravio del procedimento;
La richiesta di chiarimenti inviata al ricorrente in data 14.4.2008 sarebbe impropria e piuttosto simile ad un preavviso di diniego ex art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, con conseguente aggravio del procedimento.
5-violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 10-bis della legge n. 241/1990; eccesso di potere per incongruità della motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990;
Vi sarebbe discrasia fra le ragioni addotte alla base del diniego trasfuso nell’impugnata delibera e le due note comunicate al ricorrente, rispettivamente del 7.4.2008 e del 15.5.2008.
6-violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis della legge 7.8.1990 n. 241; eccesso di potere per incongruità della motivazione e violazione del principio del contraddittorio;
L’impugnata delibera non avrebbe tenuto in alcuna considerazione le valutazioni espresse dal ricorrente .
7-insussistenza di incompatibilità a termini dell’art. 3, comma 6, lett. e) del D.P.R. n. 388/1995; violazione e falsa applicazione di norma di legge; violazione dell’art. 3 Cost; eccesso di potere per disparità di trattamento;
Il Comitato Tecnico-Scientifico presso il Commissario Delegato per l’Emergenza Sanitaria non avrebbe competenze riconducibili ad alcuna attività di vigilanza, ma soltanto competenze di tipo consultivo, rilevanti sotto il profilo scientifico e non a fini deliberativi. Inoltre, il diniego impugnato sarebbe inficiato dal vizio di eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento, rispetto alla posizione di altri magistrati della Corte dei Conti, che, nel corso dell’anno precedente, sarebbero stati autorizzati a svolgere incarichi di membri di organi e comitati, aventi, ad avviso dell’esponente, la medesima natura consultiva, rispetto a quello per cui è causa.
8-insussistenza di incompatibilità a termini dell’art.3, comma 6, lettera f) del D.P.R. n. 388/1995; violazione e falsa applicazione di norma di legge; eccesso di potere per disparità di trattamento;
Il Comitato Tecnico-Scientifico non svolgerebbe alcuna funzione amministrativa attiva o di gestione delle fasi dell’emergenza, che sarebbero interamente rimesse al Commissario Delegato.
9-violazione degli artt. 3 e 108, comma 3 Cost; violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del D.P.R. 27 luglio 1995 n. 388; eccesso di potere con riferimento alla individuazione da parte del Consiglio di Presidenza di fattispecie ulteriori di divieti e preclusioni sull’assunzione di incarichi;
La delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti impugnata confonderebbe le attività di amministrazioni attiva attribuite al Commissario Delegato con quelle di competenza del Comitato –Tecnico-Scientifico.
10-violazione degli artt. 3, 100, 104, 108 Cost.; insussistenza di ulteriori ragioni di incompatibilità; violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del D.L. n. 90/2008; violazione e falsa applicazione della Delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, n. 227/CP/2002;
L’impugnata delibera di diniego prospetterebbe un’interpretazione estensiva delle norme di cui al DP.R. n. 388/1995 nonché una falsa interpretazione della Delibera n. 227/CP/2002, inventandosi “ex novo” la categoria della “incompatibilità territoriale”, al fine di motivare il diniego dell’incarico per cui è causa. Inoltre, l’Ufficio di assegnazione del ricorrente non eserciterebbe il controllo sugli atti del Commissario Delegato, secondo l’art. 14 del D.L. 23.5.2008 n. 90.
11-violazione e falsa applicazione dell’art. 53, commi 2 e 3 del D. Lgs. 30.3.2001 n. 165 (già l’art. 58, comma 3, del D. Lgs. 3.2.1993 n. 29) e dell’art. 3 del D.P.R. 27.7.1995 n. 388; eccesso di potere con riferimento alla individuazione di ipotesi preclusive alla accettazione di incarichi extra-giudiziari non contemplate dalla legislazione primaria e secondaria;
Il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti non avrebbe il potere di contemplare criteri di attribuzione di incarichi più restrittivi, rispetto a quelli previsti nel regolamento di delegificazione.
12-violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990 n. 241; difetto di motivazione;
La motivazione dell’impugnato provvedimento sarebbe del tutto insufficiente ed ometterebbe ogni riferimento fattuale alle situazioni di pregiudizio al buon funzionamento dell’ufficio, all’esistenza di un rapporto di controllo, ai sensi dell’art. 6 , comma 3, lett. b) della Deliberazione 227/CP/2002.
Dopo aver formulato domanda di risarcimento danni, concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.
Con atto del 27.8.2008, si costituiva la difesa erariale e, in data 17.9.2008, depositava la documentazione del caso.
Con memoria depositata in data 12.3.2009, la difesa erariale depositava altresì la relazione dell’Ufficio Studi e Documentazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti che, dopo aver contestato le argomentazioni svolte dal ricorrente, evidenziava che, con sentenza T.A.R. Lazio n. 19983 del 2007 era stata rigettata l’impugnativa proposta dal medesimo ricorrente avverso la deliberazione n. 347/CP/2005 del 3.10.2005, dispositiva del diniego a svolgere un incarico conferito dalla Giunta Regionale della Calabria e che, con la successiva Delibera del Consiglio di Presidenza n. 105 del 27.3.2008, non impugnata, al ricorrente era stata altresì denegata l’autorizzazione a svolgere l’incarico di componente della Commissione Ministeriale incaricata di svolgere un’indagine conoscitiva sulla sanità in Calabria.
Con memoria depositata in data 13.3.2009, il ricorrente eccepiva l’inammissibilità della costituzione in giudizio della difesa erariale per conflitto di interesse fra il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, che aveva denegato l’incarico, e, quindi, nel presente giudizio, assumerebbe, certamente, la posizione di resistente, e la Presidenza del Consiglio-Commissario Delegato per l’Emergenza Socio-Sanitaria in Calabria, che avrebbe disposto la nomina del ricorrente, e, quindi, ad avviso del medesimo, sarebbe portatore di un interesse coincidente con quello proprio, per cui, nell’ambito del presente giudizio, rivestirebbe una posizione “adesiva”.
Con ordinanza n. 46 del 30.3.2009, questa Sezione disponeva incombenti istruttori.
Con memoria depositata in data 3.6.2009, il ricorrente insisteva nelle già prese conclusioni.
Alla pubblica udienza del giorno 19 giugno 2009, il ricorso passava in decisione.
DIRITTO
1. Con il presente gravame, il ricorrente, magistrato in servizio presso la Sezione Regionale di Controllo per la Calabria della Corte dei Conti, impugna la deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti n. 232/CP/2008 del 23.06.08, resa nell’Adunanza dell’11-12.6.2008, comunicata in data 8.7.2008, con la quale non viene “.. autorizzato a svolgere l’incarico di componente del Comitato Tecnico Scientifico per la valutazione dei progetti di intervento predisposti dal Commis-sario Delegato, nominato con O.P.C.M. del 21.12.2007 per fronteggiare l’emergenza socio-economico sanitaria nel territorio della Regione Calabria”, sia in applicazione dei divieti posti dall’art.3, comma 6, lett. e) e lettera f) del D.P.R. 27.7.1995 n.3888, sia sotto il profilo dell’incompatibilità territoriale.
2.1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione, sollevata con la memoria depositata in data 13.3.2008, con cui il ricorrente deduce l’inammissibilità della costituzione in giudizio, della documentazione e degli atti difensivi depositati dall’Avvocatura dello Stato, per incompatibilità processuale degli interessi e delle posizioni giuridiche soggettive delle amministrazioni contemporaneamente patrocinate, e violazione di legge, in quanto, a suo avviso, vi sarebbe conflitto di posizione tra la “Corte dei Conti e, per essa il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti”, certamente portatrice di un interesse di tipo oppositivo ed avente, quindi, nell’ambito del presente giudizio, la legittimazione passiva quale “parte resistente”, e la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissario Delegato per l’Emergenza Socio-Sanitaria in Calabria, che, avendo provveduto a disporre la nomina, sarebbe espressione di un interesse coincidente con quello del ricorrente e, quindi, avrebbe, nell’ambito del presente giudizio, la posizione del “cointeressato”, legittimante un intervento “adesivo”, con conseguente violazione dell’art. 100 c.p.c. e della disciplina legislativa inerente il patrocinio della difesa erariale.
L’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3635 del 21.12.2007, stabilisce: “ Il dott. Vincenzo Spaziante è nominato Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti necessari per il superamento della situazione di emergenza socio-economico-sanitaria determinatasi nella regione Calabria” (art.1, comma 1) e dispone: “Per le finalità di cui al comma 1, il Commissario delegato predispone un apposito programma di interventi che, nel rigoroso rispetto della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004 citata in premessa, preveda:
a) la realizzazione delle strutture ospedaliere previste dall'accordo di programma integrativo sottoscritto dal Ministro della salute e dal Presidente della regione Calabria in data 6 dicembre 2007;
b) la riorganizzazione, l'adeguamento e il potenziamento delle dotazioni tecnologiche della rete ospedaliera esistente;
c) l'accelerazione delle iniziative necessarie per l'adeguamento degli impianti delle strutture sanitarie alla normativa vigente in materia di sicurezza;
d) l'espletamento, in via generale, di tutte le altre iniziative comunque necessarie al superamento del contesto emergenziale in rassegna.” (art. 1, comma 2).
L’ordinanza precisa: “Il programma predisposto ai sensi del comma 2 è sottoposto all'approvazione del Comitato tecnico- scientifico di cui all'art. 3, comma 3.” (art. 1, comma 7).
L’art. 3 della suddetta OPCM n. 3635 del 2007, al comma 3, stabilisce:
“3. Per la valutazione dei progetti, nonchè per garantire il necessario supporto tecnico alle attività occorrenti per il superamento dell'emergenza, il Commissario delegato si avvale di un Comitato tecnico-scientifico, nominato con apposito provvedimento commissariale, composto da sei membri, scelti tra dipendenti pubblici ed esperti anche estranei alla pubblica amministrazione, di cui due designati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile, due dal Ministro della salute, due dal Presidente della giunta regionale della Calabria. Il Presidente del Comitato è scelto tra i membri designati dal Ministro della salute.”
L’ordinanza n. 6 del Commissario Delegato del 11.2.2008, richiamato l’art. 3, comma 3, della suddetta O.P.C.M. n.3635 del 21.12.2007, che “prevede l’istituzione e le modalità di nomina di un Comitato Tecnico-Scientifico chiamato ad effettuare la valutazione dei progetti d’intervento predisposti dal Commissario Delegato e a fornire al Commissario stesso il necessario supporto tecnico alle attività occorrenti per il superamento dell’emergenza”, “viste le designazioni allo scopo trasmesse dal Ministero della Salute con nota 18 gennaio 2008 n. 512-P-Gab, dal Presidente della Regione Calabria con nota 28 gennaio 2008 n. 473/Gab e del Capo del Dipartimento della Protezione Civile con nota 4 febbraio 2008 n. DPC/DIP/007632” , dispone l’istituzione del Comitato Tecnico Scientifico e la sua composizione, nelle persone di: dott. Serafino Zucchelli Presidente; dott.ssa Rosanna Ugenti; cons. Nicola Durante, cons. Quirino Lorelli, dott. Tommaso Longhi; dott. Giuseppe Graziano”.
Nella nota prot. 473/GdB del 28 gennaio 2008, a firma del Presidente pro-tempore della Regione Calabria, in riferimento all’oggetto “Comitato tecnico-scientifico di cui all’art.3, comma 3, OPCM 21 dicembre 2007 n. 3635 (emergenza sanitaria nella Regione Calabria)”, risulta scritto: “Quali componenti del Comitato indicato in oggetto, si designano il Segretario generale della Giunta regionale, Cons. Nicola Durante ed il magistrato della Corte dei Conti, Cons. Quirino Lorelli. Tale designazione si pone in termini confermativi e di continuità, rispetto alla nomina delle medesime personalità, da opera del Ministero della Salute on. Livia Turco, nell’ambito della connessa Commissione d’indagine conoscitiva, presieduta dal Prefetto Achille Serra: La presente comunicazione revoca ogni eventuale altra precedente”.
Osserva il Collegio che sia l’ordinanza n. 3635 del 2007, quanto alle modalità di individuazione dei membri del Comitato Tecnico-Scientifico, sia la susseguente ordinanza n. 6 del Commissario Delegato del 11.2.2008 usano il termine “designati”, senza che, in alcuna norma di entrambe le ordinanze, sussista alcun riferimento ad una eventuale potestà decisionale o, quanto meno, di mera accettazione, né ad alcun potere di veto, da parte del suddetto Commissario Delegato, in ordine ai nominativi “designati”, rispettivamente, dal Ministero della Salute, dalla Regione Calabria e dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile.
Il concetto tecnico di “designazione” rinvia, invero, ad atti di amministrazione consultiva, con cui si esprimono pareri su persone ritenute capaci ed idonee a ricoprire un determinato ufficio, rispetto alle quali, l'organo di amministrazione attiva, competente ad emanare il successivo atto di nomina, ha, in alcuni casi, la facoltà di scelta tra più nominativi ricompresi tra quelli designati, mentre ha, in altri casi, come quello di specie, l'obbligo di conformarsi alla “designazione” espressa (c.d. “designazione vincolante”).
Coerentemente con siffatta impostazione, nel caso che occupa, alla designazione regionale dei due componenti il Comitato Tecnico-Scientifico, fra cui il ricorrente, va riconosciuta natura di “parere vincolante”, rispetto al quale il successivo atto di nomina, riservato al Commissario Delegato, deve conformarsi al nominativo fornito dal ministero o dalla regione.
Pertanto, al “parere vincolante”, del tipo di quello espresso nota prot. 473/GdB del 28 gennaio 2008, a firma del Presidente pro-tempore della Regione Calabria, va riconosciuto carattere non già endoprocedimentale, ma provvedimentale, con natura di decisione preliminare, cui fa seguito un atto di attuazione (nel caso di specie l'atto di nomina in senso proprio) nel quadro di una fattispecie complessa o pluristrutturata, nella quale il destinatario del cosiddetto “parere vincolante”, cioè il Commissario Delegato, non si può discostare , ma, anzi, deve recepirne fedelmente il contenuto.
Sulla scorta di queste considerazioni, ritiene il Collegio che la “designazione” del ricorrente, quale componente del Comitato Tecnico –Scientifico per cui è causa, quantunque inefficace sino al successivo (ma vincolato ovvero ricognitivo) atto di nomina del Commissario Delegato, rappresenta già, “ex sé”, un fatto idoneo a determinare nel designato un ragionevole affidamento circa l'effetto ampliativo della sua sfera giuridica.
2.2. L'art. 5 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 consente che la difesa della Pubblica Amministrazione possa essere affidata ad un avvocato del foro libero, anziché all'Avvocatura dello Stato, solo per ragioni assolutamente eccezionali ed inteso il parere dell'Avvocato Generale dello Stato, stabilendo altresì che l'incarico debba essere conferito con decreto del Capo del Governo, di concerto con il Ministro, del quale dipende l'Amministrazione interessata, e con il Ministro del Tesoro.
L'art. 5 R.D. n. 1611 del 1933 testualmente contempla le amministrazioni dello Stato. Soggettivamente, il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti non può considerarsi come amministrazione dello Stato in senso stretto, poiché costituisce l'organo di autogoverno di un ordine giudiziario autonomo ed indipendente il quale, storicamente e sul piano positivo, si distingue dall’amministrazione, intesa come struttura che coadiuva le istituzioni politiche nell'esercizio delle attività di governo, provvede alle attività per il conseguimento dei fini pubblici posti dalle stesse istituzioni politiche e produce beni e servizi a favore della collettività.
La sua legittimazione processuale si argomenta con le ragioni inerenti l’autonomia dello stesso nonché avuto riguardo alla forma dei provvedimenti consi-liari, i quali costituiscono atti autonomi, immediatamente impugnabili.
Tuttavia esso è soggetto al patrocinio obbligatorio della difesa erariale, per cui, come ogni altra amministrazione statale difesa per legge dall’Avvocatura dello Stato, può, in teoria, rivolgersi al foro libero, mediante le macchinose procedure previste dall'art. 5 del R.D. n. 1611 del 1933 cit., sussistendone i presupposti, configuranti l'unica possibilità per assicurarne la difesa davanti al giudice amministrativo.
Invero, una classica ipotesi di “conflitto di interessi”, è quello che preclude all'Avvocatura dello Stato il patrocinio della Regione, allorquando Stato e Regioni partecipano entrambi nello stesso giudizio, come previsto dall’art. 10 legge 3 aprile 1979 n. 103.
2.3. Nel caso di specie, in cui si discute della nomina a membro del Comitato Tecnico-Scientifico, posta in essere dal Commissario Delegato per l’Emergenza Sanitaria in Calabria, previa “designazione” del Presidente della Regione Calabria, retribuito ai sensi dell’art.3, commi 4,5,6 e 7 dell’OPCM n. 3635 del 2007, la difesa contestuale, da parte dell'Avvocatura dello Stato, sia del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti che del Commissario Delegato per l’Emergenza Socio-Sanitaria in Calabria, non contiene in sé elementi di conflitto, stante la natura di “parere vincolante” di contenuto sostanzialmente provvedimentale già riconosciuto alla “designazione” del Presidente della Regione Calabria.
Né una situazione di conflitto può ravvisarsi nell’innegabile interesse del Commissario Delegato ad avere un Comitato Tecnico-Scientifico pienamente operante con la presenza di tutti i suoi membri, giacchè siffatto interesse, eventualmente, può essere collegato alle esigenze di certezza connesse alla definizione del contenzioso, ovvero alla stessa sostituzione della “designazione “, da parte del Presidente della Regione Calabria, del ricorrente con altro soggetto qualificato.
Pertanto, risultando sostanzialmente estranea la posizione del Commissario Delegato per l’Emergenza Socio-Sanitaria in Calabria, rispetto all’interesse specifico del ricorrente dedotto nel presente giudizio, la presente eccezione va disattesa.
3.1. Vanno esaminati congiuntamente i primi due profili di gravame, con cui il ricorrente deduce, rispettivamente, che, nella specie, si sarebbe formato il silenzio-assenso sulla richiesta di auto-rizzazione, come previsto dalla normativa invocata (primo motivo) e che, tra la data di acquisizione degli elementi istruttori (18.4.2008), conseguenti alla comunicazione dell’interruzione del procedimento, da parte della Seconda Commissione, e quella della decisione sull’autorizzazione, sarebbe decorso un tempo ben maggiore, rispetto al termine dei trenta giorni, stabilito dall’art. 23-ter della Deliberazione 96/CP/2004 (secondo motivo).
L'art. 53, comma 10°, del D.Lgs. 30-3-2001 n. 165 recita : “L'autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa……Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.”.
Con tale norma, il legislatore ha inteso coniugare le contrapposte esigenze delle parti, poiché essa, pur consentendo all'amministrazione una pronuncia espressa, ne limita lo “spatium deliberandi”, prevedendo la formazione del silenzio-assenso nel solo caso di conferimento dell'incarico da parte di un soggetto pubblico, laddove è meno avvertita e, quindi, risulta recessiva l'esigenza di tutela dell'interesse pubblico.
Il comma 6 del suddetto art. 53 del D.Lgs. 30-3-2001 n. 165 stabilisce che i commi da 7 a 13 dell'articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, co. 2, compresi quelli di cui all'art. 3: nessun dubbio, dunque, in ordine all'applicabilità ai magistrati del descritto procedimento di silenzio-assenso (conf.: T.A.R. Lazio, Roma, I, 5 dicembre 2005, n. 12979), che, in via generale, può sembrare sufficientemente ampio per consentire una ponderata valutazione sulla compatibilità dell'incarico extragiudiziario del magistrato con le esigenze di servizio e con le funzioni giudiziarie concretamente svolte, senza che l'eventuale formazione del silenzio-assenso possa incidere sull'autonomia dell'organo di autogoverno, al quale spetta di verificare se, nel caso concreto, non sussistano ragioni, connesse al prestigio della magistratura ovvero alla funzionalità del singolo ufficio giudiziario, che si oppongano a che quel particolare incarico sia svolto da quel determinato magistrato.
La specificità della disciplina del sistema degli incarichi per i magistrati, connessa alle peculiari funzioni ed allo “status” degli stessi, è, peraltro, confermata dal disposto del comma 3° del precitato art. 53, il quale espressamente dispone che, ai fini previsti dal comma 2 (concernente gli incarichi non compresi nei compiti e doveri di ufficio conferiti dalle pubbliche amministrazioni ai dipendenti), appositi regolamenti, da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, individuino gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti.
Conseguentemente viene emanato il DPR 27/07/1995 n. 388, anche ai sensi dell’art. 87 Cost., dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dell'art. 58, comma 3, del D. Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, previo parere Cons. Stato, Ad. Gen. 2 giugno 1994 , il quale, con l’art. 2, stabilisce, in via generale:
“1. I magistrati della Corte dei conti non possono ricoprire cariche, né svolgere incarichi, di cui all'art. 1 del presente regolamento, se non nei casi espressamente previsti da leggi dello Stato o dal presente regolamento.
2. Gli incarichi non possono essere conferiti né autorizzati quando l'espletamento degli stessi, tenuto anche conto delle circostanze ambientali, sia suscettibile di determinare una situazione pregiudizievole per l'indipendenza e l'imparzialità del magistrato, o per il prestigio e l'immagine della magistratura della Corte dei conti.
3. Ai fini del conferimento o dell'autorizzazione, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, sulla base di criteri oggettivi e previamente adottati, valuta la natura e il tipo dell'incarico, il suo fondamento normativo, la compatibilità con l'attività d'istituto, anche sotto il profilo della durata dell'incarico medesimo e dell'impegno richiesto, il numero complessivo dei magistrati della Corte dei conti utilizzati dall'amministrazione richiedente, l'adeguatezza dell'incarico alla qualificazione ed al prestigio del magistrato, il numero e la qualità degl'incarichi espletati dal magistrato interessato nell'ultimo quinquennio, avendo speciale riguardo agl'incarichi in corso di svolgimento, nonché all'opportunità che l'incarico venga espletato, in relazione all'eventuale pregiudizio che possa derivarne, anche di fatto, al prestigio e all'immagine del magistrato, a tal fine tenendo particolare conto delle situazioni locali.
4. I predetti criteri devono assicurare, inoltre, un'equa ripartizione degli incarichi fra tutti i magistrati, tenendo conto, altresì, della professionalità, della qualifica rivestita, dell'anzianità posseduta, dell'impegno nello svolgimento nell'attività d'istituto, dell'entità dei proventi percepiti per incarichi almeno nell'ultimo quinquennio e della rilevanza complessiva degli incarichi stessi.”
Nel descritto quadro normativo si inserisce, dunque, ai fini della presente decisione, la disciplina concernente gli incarichi extraistituzionali che possono ricoprire i magistrati della Corte dei Conti, al cui conferimento provvede il Consiglio di Presidenza, in base al combinato disposto dell'art. 10 della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati) e del richiamato art. 13, secondo comma, numero 3, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di stato e dei tribunali amministrativi regionali).
Con la Delibera n. 227, adottata dal Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti nell'Adunanza del 4-5 giugno 2002, viene emanata la disciplina generale, inerente i criteri per l’attribuzione degli incarichi ai magistrati della Corte dei Conti.
Con la successiva Delibera n. 96, assunta nell’Adunanza del 18.3.2004, viene introdotto, nella precedente deliberazione n. 227/CP/2002 , l’art. 23 ter, inteso a regolamentare l’applicazione del principio di cui al citato art. 53, alle richieste di autorizzazione presentate dai magistrati della Corte dei Conti, stabilendo che “1.Il termine di 30 giorni di cui all’art. 53, commi 7 e 13 del D. Lgs. 165/2001 decorre dall’assunzione al protocollo dell’Ufficio di Segreteria del Consiglio di Presidenza dalla richiesta di autorizzazione. 2.Detto termine è interrotto per una sola volta, qualora sia necessario compiere adempimenti istruttori per la definizione della richiesta di autorizzazione; l’interruzione del termine è comunicata al magistrato interessato dalla II° Commissione. 3. Una volta acquisiti gli elementi istruttori di cui al comma precedente decorrono ulteriori 30 giorni. 4. L’attività istruttoria di cui al comma 2 può essere disposta sia dalla II° Commissione che dal Consiglio . 5. L’avvenuta formazione del silenzio-assenso viene comunicata dalla II° Commissione al Consiglio e, successivamente, all’interessato. 6 Rimane ferma la titolarità del potere di autotutela che si estrinseca, su proposta della II° Commissione, nell’annullamento o nella revoca d’ufficio dell’atto autorizzatorio implicito”.
Nel caso di specie, risulta che l’istanza di autorizzazione, presentata dal ricorrente, è stata assunta in data 31.3.2008 e che, con lettera prot. n. 3052 del 7.4.2008, al ricorrente sono state formulate richieste istruttorie, aventi, come tali, valore di interruzione del termine previsto dalla legge, ai sensi dell’art. 23 ter , commi 2 e 4 della deliberazione n. 96/CP/2004, come comunicato con lettera della Seconda Commissione del Consiglio di Presidenza.
A tale richiesta, il ricorrente risulta aver risposto con lettera del 21.4.2008.
Dalla data di ricezione di detta lettera, quindi, secondo l’art. 23 ter , commi 2 e 4, della Deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 96 del 2004, ricomincia a decorrere il termine, che era stato già interrotto, di ulteriori trenta (30) giorni.
A questo punto, occorre tener presente, ai fini della disamina dei vari motivi di censura, che, successivamente all’emanazione della precitata Delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti n. 96 del 18.3.2004, è entrata in vigore la legge 11.2.2005 n.15, che ha introdotto l’art. 10 bis della legge 7.8.1990 n. 241, il quale, al I° comma, stabilisce: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti”.
Il 2° comma, I° inciso, del medesimo articolo stabilisce: “La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo”.
L'istituto del cosiddetto “preavviso di rigetto”, introdotto dal precitato art. 10 bis della legge n. 241/1990 ha portata generale - esclusi soltanto i procedimenti espressamente menzionati dal comma 2, tra cui non figura quello di specie - e la sua “ratio” - comune a quella dell'art. 7 della medesima legge - va individuata nelle esigenze, da un lato, di assicurare piena visibilità all'azione amministrativa nel momento della sua formazione e, dall'altro, di garantire la partecipazione dei destinatari dell'atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione, in modo che - anche grazie all'acquisizione delle ragioni prospettate dagli interessati - l'Amministrazione sia posta in condizione di esercitare il proprio potere con la piena cognizione di tutti gli elementi di fatto e di diritto.
Invero, l'istituto in parola è volto ad attivare - nella fase non iniziale ma costitutiva del procedimento - un contraddittorio con il destinatario del provvedimento negativo, non ancora emanato ma ormai definito nelle intenzioni dell'Autorità, al fine di raccoglierne il contenuto istruttorio indispensabile per addivenire ad una compiuta disamina di quegli elementi di fatto e di diritto che risulteranno decisivi per la determinazione da assumere.
Orbene, nella specie, il termine dei trenta (30) giorni, che ha ripreso a decorrere dalla data di ricezione, da parte della segreteria del Consiglio di Presidenza, della nota del ricorrente del 21.4.2008, risulta essere stato interrotto in conseguenza della decisione assunta dal Consiglio di Presidente nell’Adunanza del 7/8 maggio 2008 - che ha ritenuto che, anche a seguito degli elementi istruttori acquisiti, l’incarico non doveva essere ritenuto autorizzabile, ai sensi dell’art. 3 , comma 6, lettera e) e lettera f) del D.P.R. 27.7.1995 n. 388 , in relazione all’incidenza delle funzioni svolte dal Commissario Delegato, nonché ai sensi dell’art. 6 , comma 1, lett. b) e lett. c) e comma 3 , lettera b) della deliberazione n. 227/CP/2002 sotto il profilo dell’incompatibilità territoriale- dalla data della nota prot. 3899 del 15 maggio 2008, di comunicazione all’interessato dei motivi ostativi all’autorizzazione dell’incarico ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, introdotta con legge 11.2.2005 n.15.
A tale nuova comunicazione, resa ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, è seguita la nota prot. n..4123, pervenuta in data 26 maggio 2008, con cui il ricorrente ha illustrato i vari elementi di fatto e di diritto a sostegno della propria tesi.
Conseguentemente, è da tale data del 26 maggio 2008 che è ripreso a decorrere il termine per la conclusione del procedimento, che, infatti, ha avuto luogo con la deliberazione finale del Consiglio di Presidenza nell’Adunanza dell’11/12 giugno 2008, cioè dopo 17 giorni.
Pertanto, nella specie, il termine dei trenta giorni, previsto dal comma 3 dell’art. 23 ter della deliberazione n. 227/CP/2002, non risulta essere mai stato superato, essendo stato interrotto, una prima volta, per esigenze istruttorie, con lettera prot. n. 3052 del 7.4.2008, fino alla data del 21.4.2008, di risposta della lettera del ricorrente, nonché una seconda volta, con nota prot. 3899 del 15 maggio 2008 , di comunicazione del preavviso di rigetto, fino alla data del 26 maggio 2008, di ricezione della nota di chiarimenti del ricorrente prot. n..4123.
Infatti, si osserva che:
-dalla data dell’istanza di autorizzazione del 31.3.2008, presentata dal ricorrente, alla data della nota prot. 3052 del 7.4.2008 di richieste istruttorie, intervengono giorni sette (7) giorni;
-dal giorno successivo alla data di ricezione della lettera del 21.4.2008, con cui il ricorrente ha integrato elementi istruttori alla data della nota prot. 3899 del 15.5.2008, di invio di comunicazione del “preavviso di rigetto”, intervengono ventiquattro (24) giorni;
- dalla data della nota prot. 4123 del 26.5.2008, contenente le deduzioni del ricorrente (esaminate già dalla II° Commissione del Consiglio di Presidenza con verbale del 4.6.2008) alla data del provvedimento finale, assunto nell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Presidenza del giorno 11/12-2008, sono decorsi diciassette (17) giorni.
Conseguentemente, in nessun caso, nel corso del procedimento de quo, si sono compiuti i trenta giorni, necessari ai fini della formazione del silenzio-assenso ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. 30-3-2001 n. 165, tenuto conto dei periodi di interruzione legittimamente intervenuti.
Né può rilevare, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la data del 8.7.2008, in cui il ricorrente ha ricevuto la comunicazione dell’impugnata delibera del Consiglio di Presidenza, essendo chiara la norma di rango legislativo di cui all'art. 53, comma X del D.Lgs. 30-3-2001 n. 165 (integrata dalla delibera del Consiglio di Presidenza n.96 del 2004 quanto alla scansione dei termini procedimentali), nel porre, quale “dies ad quem, la data di emanazione della decisione amministrativa finale, poiché nell’ultimo inciso prevede: “L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa”.
Analogamente l’art.10 bis , comma 2°, fa riferimento alla conclusione del procedimento e non ad eventuali successive date di comunicazione: del resto, se il legislatore avesse voluto diversamente statuire, avrebbe fatto riferimento alla data di ricezione della comunicazione della pronuncia amministrativa, o dell’invio della stessa.
Pertanto, nel caso di specie, può escludersi che si sia formato il silenzio –assenso invocato dal ricorrente, con conseguente rigetto del primo e del secondo profilo di gravame.
3.2. Dalla coerente applicazione dei suddetti principi, tenuto conto di tutti i periodi di interruzione già individuati, discende altresì l’infondatezza del terzo profilo di gravame, con cui il ricorrente deduce che, nella specie, sarebbe stato violato il termine massimo per la conclusione del procedimento autorizzatorio, individuato in sessanta (60) giorni dall’Allegato 1 , punto 12 della Deliberazione della Corte dei Conti 6 luglio 1995, recante “Regolamento di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7.8.1990 n. 241, relativo ai procedimenti amministrativi di competenza della Corte dei Conti”, pubblicata dalla Gazzetta ufficiale 22 luglio 1995 n. 170.
Ed infatti, i termini decorsi per la definizione del procedimento, tenuto conto delle interruzioni, come sopra specificato, sono di giorni sette (7) dal 31.3.2008 al 7.4.2008, oltre giorni ventiquattro (24), dal 21.4.2008, alla data della nota prot. 3899 del 15.5.2008, oltre giorni diciassette (17) , dalla nota prot. 4123 del 26.5.2008, alla data del provvedimento finale assunto nell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Presidenza del giorno 11/12-2008, per una somma totale di giorni quarantotto (48= 7+24+17), inferiori al previsto termine dei sessanta giorni.
3.3. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce che la richiesta di chiarimenti, inviatagli in data 14.4.2008, sarebbe impropria e piuttosto simile ad un preavviso di diniego ex art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, con conseguente aggravio del procedimento.
Anche questa censura è infondata, atteso che la funzione della richiesta di chiarimenti e la funzione del cosiddetto “preavviso di rigetto” ex art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, assolvono a differenti finalità .
Ed invero, mentre la prima fa parte della fase dell’avvio dell’istruttoria procedimentale, ed è funzionale esclusivamente all’acquisizione di tutti gli elementi necessari ed utili ai fini dell’assunzione di una decisione amministrativa finale, il cui contenuto non può essere, in siffatta fase, neanche orientativamente prefigurabile, la fase subprocedimentale, susseguente al cosiddetto “preavviso di rigetto” ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, è successiva alla raccolta ed alla valutazione degli elementi istruttori e può aver luogo soltanto in via eventuale, qualora, all’esito dell’istruttoria già espletata, nella P.A. si sia formato un orientamento inteso a concludere il procedimento con un provvedimento di dinego.
Infatti, il cosiddetto “preavviso di rigetto” ex art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 costituisce uno strumento volto ad implementare il contraddittorio procedimentale, facendo emergere, una volta per tutte, prima della chiusura del procedimento amministrativo, il complesso dei motivi ostativi all'accoglimento dell’istanza, anche al fine di facilitare, a livello processuale, la posizione del cittadino che ricorra contro un illegittimo atto di diniego.
In effetti, soltanto un completo sviluppo della funzione amministrativa consente al titolare di un interesse legittimo pretensivo di poter dedurre immediatamente innanzi al giudice amministrativo l'intero spettro del rapporto controverso e di poter ottenere, così, un giudicato pieno che non lasci spazio ad ulteriori provvedimento negativi fondati su motivazioni ostative nuove che non abbiano formato oggetto del provvedimento originario e, quindi, del giudizio di impugnazione che ne è seguito.
Inoltre, essendo la fase subprocedimentale ex art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 imposta, in via generale, dalle legge, non può darsi ingresso alla censura di “aggravio del procedimento”, a causa della ritenuta inutilità sostanziale degli apporti pervenuti nella suddetta fase sub procedimentale, posto che siffatto rilievo potrebbe, al contrario, trovare legittimamente ingresso soltanto nel caso di censura di omessa comunicazione di avvio dal procedimento, ai fini della dimostrazione, da parte delle P.A., del raggiungimento della prova prevista dall’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, in base al quale un vizio di legittimità non è idoneo a determinare l'annullabilità del provvedimento finale, sulla base di valutazioni, attinenti al contenuto del provvedimento, effettuate "ex post" dal giudice, circa il fatto che il provvedimento non poteva essere diverso.
3.4 Con il quinto motivo, il ricorrente deduce che, nella specie, vi sarebbe discrasia fra le motivazioni addotte per negare l’autorizzazione con l’impugnata delibera e le due note comunicate al ricorrente, rispettivamente del 7.4.2008 e del 15.5.2008.
Anche questa censura è infondata dal momento che, in entrambi i documenti, le richieste di chiarimento ineriscono alla natura dell’incarico nonché all’incompatibilità territoriale, come si vedrà meglio in prosieguo, anche in relazione alle esigenze di chiarimento circa l’organo da cui effettivamente promanava la nomina del ricorrente, peraltro oggetto di accertamento anche con l’ordinanza istruttoria di questa Sezione n. 46 del 30.3.2009.
3.5. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce che l’impugnata delibera di diniego trascurerebbe le valutazioni dal medesimo espresse.
La censura va rigettata, in quanto la questione risulta esaminata “funditus”, come emerge dai verbali prodotti dalla difesa erariale, e, in particolare, dal verbale del Consiglio di Presidenza del 12.6.2008.
3.6. Vanno esaminati congiuntamente il settimo e l’ottavo profilo di gravame, poiché presuppongono la soluzione di identiche questioni.
Con il settimo motivo, il ricorrente deduce che il Comitato Tecnico – Scientifico presso cui era stato nominato non svolgerebbe alcuna attività di vigilanza, ma soltanto un’attività di tipo consultivo, sotto il profilo scientifico e non decisionale. Deduce, inoltre, eccesso di potere per disparità di trattamento, con riferimento ad altri soggetti che, nel corso dell’anno precedente, sarebbero stati autorizzati ad espletare incarichi di partecipazione a comitati, a suo avviso, aventi analoghe finalità di studio nonché natura consultiva.
Con l’ottavo motivo, il ricorrente deduce, in sostanza, che il Comitato Tecnico-Scientifico, presso cui era stato nominato, svolgerebbe funzioni consultive e non di amministrativa attiva o di gestione delle fasi dell’emergenza, che, invece, ricadrebbero nella sfera di competenza esclusiva del Commissario Delegato per l’Emergenza Socio-Sanitaria, il quale, infatti, si avvarrebbe proprio del suddetto organo di esperti .
Come per tutti i pubblici dipendenti, per i magistrati, i limiti di compatibilità dell'ufficio ricoperto con lo svolgimento di altre attività e con l'assunzione di altri incarichi sono un elemento del loro stato giuridico.
Inoltre, per i magistrati, l'assunzione di compiti e lo svolgimento di attività estranee a quelle proprie dell'ufficio ad essi affidato - anche quando non richiedano una sospensione o una riduzione delle funzioni ordinarie - sono fattori suscettibili, in astratto, di incidere sulla loro indipendenza ed imparzialità, connotato e condizione essenziale per l'esercizio della funzione loro attribuita, sia in quanto può esservi una interferenza diretta fra compiti propri e ulteriori attività svolte, sia in quanto l'attribuzione stessa, o la possibilità di attribuzione, dell'incarico, per la sua natura e per i vantaggi che possono derivarne, può tradursi in un indiretto condizionamento del magistrato.
Pertanto, al legislatore statale, nella sua sfera di competenza esclusiva, è attribuito il compito di dettare la disciplina relativa agli incarichi extraistituzionali dei magistrati: disciplina che dovrà, in concreto, essere rispettosa delle esigenze di salvaguardia dell'indipendenza e dell'imparzialità, e che, quindi, dovrà prevedere condizioni e procedure per il conferimento o per l'autorizzazione all'assunzione dell'incarico con esse compatibili.
Né, quanto alla esclusività della competenza statale, vi è ragione per distinguere fra magistrati dell'ordine giudiziario o comunque istituzionalmente investiti solo di funzioni giurisdizionali, e magistrati cui possono essere attribuite anche funzioni diverse, come quelli del plesso T.A.R.- Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, sia per la unicità dello “status” oggi previsto per questi ultimi, al di là della contingente attribuzione di funzioni giurisdizionali o di altre funzioni, sia perché Consiglio di Stato-T.A.R. e Corte dei Conti sono istituti appartenenti all'ordinamento statale, dei cui componenti la legge statale è tenuta a garantire l'indipendenza dal Governo (art. 100, terzo comma, della Costituzione), e, a maggior ragione, da organi politici territoriali.
La disciplina in tema di incarichi extraistituzionali dei magistrati della Corte dei Conti - a parte la norma sulla competenza del Consiglio di Presidenza, contenuta nell'art. 13, secondo comma, n. 3, della legge n. 186 del 1982, applicabile a detto Consiglio in forza del rinvio operato dall'art. 10, comma 10, della legge n. 117 del 1988 - è stata, poi, prevista dall'art. 58, commi 2 e 3, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e nel già citato D.P.R. 27 luglio 1995, n. 388 (Regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati della Corte dei conti, ai sensi dell'art. 58, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29), che hanno innovato sulla generica previsione dell'art. 7, quinto e sesto comma, del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. n. 1214 del 1934, sulla cui base detti magistrati potevano ricevere o accettare incarichi, oltre che nei casi stabiliti da leggi o regolamenti, quando non fossero "in contrasto con le norme vigenti" e solo in seguito ad ordinanza del Presidente, sentito il Consiglio di presidenza.
Il principio generale affermato dall'art. 58 del D. Lgs. n. 29 del 1993 è quello secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi "che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o da altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati" (comma 2). Per quanto riguarda, in particolare, i magistrati, viene demandato ad apposito regolamento l'emanazione di norme "dirette a determinare gli incarichi consentiti e quelli vietati" (comma 3), e si stabilisce che, scaduto invano il termine per l'emanazione del regolamento, "l'attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative" (comma 4).
Il D.P.R. n. 388 del 1995 ha dettato norme specifiche concernenti l’attribuzione degli incarichi ai magistrati della Corte dei Conti.
Esso stabilisce che i magistrati non possono ricoprire incarichi se non nei casi espressamente previsti "da leggi dello Stato o dal presente regolamento" (art. 2, comma 1); che gli incarichi "non possono essere conferiti né autorizzati quando l'espletamento degli stessi, tenuto anche conto delle circostanze ambientali, sia suscettibile di determinare una situazione pregiudizievole per l'indipendenza e l'imparzialità del magistrato, o per il prestigio e l'immagine della magistratura della Corte dei conti" (art. 2, comma 2); che il Consiglio di presidenza, sulla base di criteri oggettivi previamente adottati - che devono assicurare anche una "equa ripartizione" degli incarichi fra tutti i magistrati - valuta la natura e il tipo dell'incarico, il suo fondamento normativo, la compatibilità con l'attività d'istituto, il numero complessivo di magistrati della Corte utilizzati dall'amministrazione richiedente, il numero e la qualità degli incarichi espletati dall'interessato nell'ultimo quinquennio (art. 2, commi 3 e 4); che gli incarichi sono attribuiti sulla base di una richiesta non nominativa dell'amministrazione interessata o anche, in base a motivate ragioni, e previo consenso del magistrato interessato, su indicazione nominativa (art. 3, commi 2 e 4); che sono consentiti in via generale una serie di tipi di incarichi elencati (art. 3, comma 3), fra cui quelli "previsti da legge dello Stato o dal presente regolamento, con specifico riferimento a magistrati della Corte dei conti in generale, salvo quanto previsto dall'art. 2" (lettera h); che sono, invece, vietati alcuni tipi di incarichi elencati (art. 3, comma 6), con salvezza dei "casi espressamente previsti da legge dello Stato o delle regioni" (lettera g).
L’art.3, comma 3°, lett. e) del D.P.R. 27/07/1995 n. 388 espressamente consente ai magistrati della Corte dei Conti di ricoprire incarichi, fra l’altro, “e ) incarichi di studio, di ricerca, e di collaborazione scientifica o culturale”.
Con il comma 6°, il medesimo art.3 del D.P.R. n. 388 del 1995 vieta espressamente ai magistrati della Corte dei Conti di ricoprire incarichi, fra l’altro, inerenti a “ e ) partecipazione a commissioni o comitati di vigilanza sull'esecuzione di piani, programmi, interventi, finanziamenti” ed a “f ) partecipazione a consigli di amministrazione o ad organi con poteri di gestione, esclusi i casi di cui al comma 3, lettera b ), ed esclusa la partecipazione gratuita a organi di enti con finalità culturali, scientifiche, sportive, di beneficenza, di volontariato, o altri organismi con finalità non di lucro”.
Nella specie, occorre, dunque, esaminare la natura e la funzione dell’incarico per cui è causa, al fine di comprendere se risulta sussumibile nella categoria consentita di cui all’art.3, comma 3°, lett. e), come ritenuto dal ricorrente o nelle categorie vietate di cui all’art. 3 , comma 6°, lett. e) e lett. f), come affermato nel provvedimento di diniego, oggetto della presente impugnativa .
L’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3635 del 21.12.2007, stabilisce: “ Il dott. Vincenzo Spaziante è nominato Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti necessari per il superamento della situazione di emergenza socio-economico-sanitaria determinatasi nella regione Calabria” (art.1, comma 1) e prevede: “Per le finalità di cui al comma 1, il Commis-sario delegato predispone un apposito programma di interventi che, nel rigoroso rispetto della diret-tiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004 citata in premessa, preveda:
a) la realizzazione delle strutture ospedaliere previste dall'accordo di programma integrativo sotto-scritto dal Ministro della salute e dal Presidente della regione Calabria in data 6 dicembre 2007;
b) la riorganizzazione, l'adeguamento e il potenziamento delle dotazioni tecnologiche della rete o-spedaliera esistente;
c) l'accelerazione delle iniziative necessarie per l'adeguamento degli impianti delle strutture sanita-rie alla normativa vigente in materia di sicurezza;
d) l'espletamento, in via generale, di tutte le altre iniziative comunque necessarie al superamento del contesto emergenziale in rassegna” (art. 1, comma 2).
L’ordinanza precisa: “Il programma predisposto ai sensi del comma 2 è sottoposto all'approvazione del Comitato tecnico- scientifico di cui all'art. 3, comma 3.” (art. 1, comma 7).
L’art.3 della suddetta OPCM n. 3635 del 2007, al comma 3, stabilisce:
“3. Per la valutazione dei progetti, nonchè per garantire il necessario supporto tecnico alle attività occorrenti per il superamento dell'emergenza, il Commissario delegato si avvale di un Comitato tecnico-scientifico, nominato con apposito provvedimento commissariale...”.
Orbene, se i compiti del Commissario Delegato sono quelli inerenti “la realizzazione delle strutture ospedaliere…; la riorganizzazione, l'adeguamento e il potenziamento delle dotazioni tecnologiche…; l'accelerazione delle iniziative necessarie per l'adeguamento degli impianti delle strutture sanitarie….; l'espletamento, in via generale, di tutte le altre iniziative comunque necessarie al superamento del contesto emergenziale… e le funzioni del Comitato Tecnico-Scientifico, del quale il ricorrente è era stato nominato membro, sono quelle inerenti la “approvazione” del programma predisposto dal Commissario Delegato (art. 1, comma 7) , appare di palmare evidenza che le funzioni di detto Comitato non possono che essere, in buona sostanza, di “amministrazioni attiva”, come altresì confermato dal successivo art.3, comma 3°, della medesima OPCM n. 3635 del 2007 ( “Per la valutazione dei progetti…), sopra riportato.
Conseguentemente, ritiene il Collegio che l’incarico in questione sia sussumibile nell’ipotesi prevista dall’art.3, comma 6°, lett. e) del D.P.R. 27/07/1995 n. 388, che vieta espressamente ai magistrati della Corte dei Conti di ricoprire incarichi inerenti “ e ) partecipazione a commissioni o comitati di vigilanza sull'esecuzione di piani, programmi, interventi, finanziamenti”, piuttosto che in quella di cui all’’art.3, comma 3°, lett. e), del medesimo del D.P.R. n. 388 del 1995, che espressamente consente ai magistrati della Corte dei Conti di ricoprire “e ) incarichi di studio, di ricerca, e di collaborazione scientifica o culturale”.
Invero, il programma di “interventi” in materia sanitaria, peraltro di rilevante entità sotto il profilo dell’incidenza sul territorio e sulle spese che possono attenere anche alla realizzazione di opere pubbliche (“la realizzazione delle strutture ospedaliere..”), su cui il suddetto Comitato Tecnico-Scientifico è chiamato a pronunciarsi per la relativa “approvazione”, secondo le previsioni dell’ l’O.P.C.M. n. 3635 del 2007, involve l’esercizio sia di discrezionalità tecnica, in relazione alla fattibilità stessa degli interventi prospettati, sia di discrezionalità amministrativa pura, in relazione alla valutazione in ordine alla rispondenza degli interventi proposti alle fondamentali esigenze di pubblico interesse.
Infatti, il concetto di “approvazione” rinvia ad una procedura complessa, retta, quanto alle competenze, dal cosiddetto “principio del doppio stadio”, cui, nel sistema dei controlli, corrisponde non già il controllo meramente estrrinseco o solo formale “di legittimità”, ma il controllo intrinseco di natura preventiva-antecedente, “di merito”, sinteticamente riconducibile alla valutazione della rispondenza degli interventi proposti ai criteri di opportunità e di convenienza amministrativa, in relazione alle finalità di interesse pubblico perseguito con l’istituzione dell’organo stesso.
Consegue da ciò che nessun effetto costitutivo può attribuirsi all’attività Commissariale, in mancanza dell'atto finale di approvazione da parte del suddetto Comitato Tecnico-Scientifico, quale autorità competente.
In definitiva, non può essere revocato in dubbio che il Comitato Tecnico-Scientifico, di cui il ricorrente è stato nominato membro, al di là del “nomen juris” e di qualche ulteriore non chiara formulazione lessicale, ha natura chiaramente di amministrazione attiva, come tale suscettibile di poter determinare l’inclusione dell’incarico conferito al ricorrente nell’ipotesi di divieto contemplata dall’art.3, comma 6°, lett. e) del D.P.R. 27/07/1995 n. 388 che vieta espressamente ai magistrati della Corte dei Conti di ricoprire incarichi inerenti a “ e ) partecipazione a commissioni o comitati di vigilanza sull'esecuzione di piani, pro-grammi, interventi, finanziamenti”.
Né, per superare le precitate condizione di divieto, può giovare al ricorrente l’ultima doglianza, svolta nell’ambito del settimo profilo di censura, inerente la disparità di trattamento rispetto ad incarichi conferiti nell’anno precedente ad altri magistrati della Corte dei Conti, poiché, a prescindere dalle osservazioni, al riguardo svolte nella relazione dell’Ufficio Studi e Documentazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti del 10.3.2009, l'eccesso di potere per disparità di trattamento non è configurabile quando il termine di raffronto consista, come nella specie, in atti non conformi a legge ed essendo evidente che colui che sia stato legittimamente escluso da un determinato beneficio non possa invocare l'eventuale illegittimità commessa a favore di altri al fine di ottenere che essa venga compiuta anche in proprio favore (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4685).
Pertanto, entrambe le censure non meritano adesione.
3.7. L’acclarata conformità dell’impugnato provvedimento al divieto di legge sopra esaminato è già sufficiente a costituire un punto di motivazione autonoma, idoneo a sorreggere il diniego censurato, in coerente applicazione del generale principio, secondo cui, nel caso in cui un provvedimento risulti fondato sopra un duplice ordine di motivi indipendenti tra loro e ciascuno idoneo a sorreggere l'atto stesso, la riconosciuta legittimità di uno dei motivi addotti è sufficiente per la conservazione della legittimità dell'atto (giurisprudenza costante, cfr., ex plurimis: Cons. Stato, IV Sez., 17 ottobre 2000 n. 5530; T.A.R. Molise, 24 settembre 2003 , n. 693).
Il Collegio ritiene, comunque, doveroso procedere alla disamina degli ulteriori profili di gravame, svolti dal ricorrente.
3.8. Con il nono motivo, il ricorrente deduce, in sostanza, che la delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti impugnata confonderebbe le funzioni di amministrazioni attiva, attribuite al Commissario Delegato per l’Emergenza Socio Sanitaria, con quelle consultive del Comitato –Tecnico-Scientifico.
La censura è infondata alla luce delle considerazioni svolte in occasione dell’esame dell’ottavo profilo di gravame, che qui possono essere integralmente richiamate.
3.9. Con il decimo motivo, il ricorrente deduce, in sostanza, che l’impugnata delibera di diniego prospetterebbe un’interpretazione estensiva delle norme di cui al D.P.R. n. 388/1995 ed avrebbe altresì falsamente interpretato la deliberazione n. 227/CP/2002, inventando “ex novo” la categoria della “incompatibilità territoriale”, per denegare l’incarico.
Il già citato D.P.R. n. 388 del 1995, in materia di incarichi per i magistrati della Corte dei Conti, stabilisce, fra l'altro, che i magistrati non possono ricoprire incarichi se non nei casi espressamente previsti "da leggi dello Stato o dal presente regolamento" (art. 2, comma 1); che gli incarichi "non possono essere conferiti né autorizzati quando l'espletamento degli stessi, tenuto anche conto delle circostanze ambientali, sia suscettibile di determinare una situazione pregiudizievole per l'indipendenza e l'imparzialità del magistrato, o per il prestigio e l'immagine della magistratura della Corte dei conti" (art. 2, comma 2).
Le Sezioni Regionali della Corte dei Conti svolgono, in posizione di indipendenza, nei confronti dell'amministrazione regionale, comprensiva degli enti pubblici dipendenti dalla Regione, e degli amministratori e dei funzionari che operano presso di essa, tutte le funzioni di controllo e giurisdizionali proprie della Corte stessa: ivi comprese le funzioni di riscontro a posteriori sulla gestione delle pubbliche amministrazioni, disciplinate dall'art. 3, commi 4, 5, 6 e 7, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nel cui ambito fra l'altro la Corte verifica il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi regionali (comma 5), riferisce all'assemblea regionale sull'esito del controllo eseguito, anche con valutazioni sul funzionamento dei controlli interni, e formula alle amministrazioni interessate le proprie osservazioni (commi 6 e 7).
Pertanto, ai fini dell’autorizzabilità o meno di un determinato incarico, il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti è tenuto a ben valutare se, in una determinata fattispecie, possa sussistere il rischio di un intreccio fra i due ordini di funzioni, suscettibile di tradursi in una menomazione dell'indipendenza e dell'imparzialità dei magistrati delle sezioni regionali della Corte dei Conti, a causa della necessaria presenza istituzionale di magistrati, appartenenti alle stesse sezioni, nell'ambito di organi di amministrazione attiva operanti nel territorio degli enti regionali.
A ben vedere, la questione involve la valutazione anche in ordine alla possibile sussistenza di una linea di coinvolgimento istituzionale di dette sezioni, attraverso i magistrati ad esse addetti, in un'attività a sua volta, poi, soggetta ai poteri istituzionali di controllo esercitati dalle stesse sezioni.
Orbene, siffatta linea, pur non potendosi non riconoscere che, teoricamente, può essere funzionale anche ad imprimere caratteri di serietà e di "neutralità" alle attività da svolgere, attraverso la presenza della professionalità tipica dei magistrati contabili, non può essere considerata idonea ad eliminare la "contaminazione" fra controlli interni ed esterni, che si può realizzare attraverso la sistematica attribuzione di incarichi di controllo interno, conferiti e remunerati dalla Regione o da enti regionali, a molti degli stessi magistrati che, per i compiti di istituto, operano, nel medesimo ambito territoriale, nell'organo di controllo esterno.
La “incompatibilità territoriale”, risulta, quindi, funzionale alle esigenze di salvaguardia dell'indipendenza e dell'imparzialità dei magistrati, affidate alla cura del Consiglio di Presidenza, cui spetta, proprio a questi fini, di deliberare sugli incarichi, e che non potrebbe impedire, in singole occasioni ed a maggior ragione, quando ciò avviene in modo sistematico, che si crei l'accennato rischio di intreccio, pericoloso per l'indipendenza della Corte dei Conti e dei suoi magistrati.
Pertanto, nella specie, non si può escludere che il conferimento dell’incarico per cui è causa, per il contesto normativo in cui si colloca e per le caratteristiche dell’incarico in questione, siccome qualificato, si pone in contrasto con le esigenze di salvaguardia dell'indipendenza e dell'imparzialità dei magistrati contabili (espresse fondamentalmente nell'art. 100, 3°comma, e nell'art. 108, 2° comma, della Costituzione), le quali, come si è detto, governano anche la materia degli incarichi extraistituzionali, e sono affidate, per la loro cura in concreto, alle determinazioni del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti.
Inoltre, il ricorrente, in servizio presso la Sezione Regionale di Controllo per la Calabria della Corte dei Conti, nell’ambito del medesimo profilo di censura, deduce, sotto il profilo dell’incompatibilità soggettiva, che l’incarico per cui è causa, sarebbe stato proposto da un organo (il Commissario Delegato di Protezione Civile), la cui attività non sarebbe assoggettata, in quanto tale, al controllo dell’Ufficio di appartenenza, ai sensi dell’art. 14 del D. L. 23.5.2008 n. 90.
Quanto agli aspetti contabilistici dell’incarico in questione, l’art. 4 della citata OPCM n. 3635 del 2007 prevede:
“1. Per la realizzazione degli interventi relativi all'attuazione della presente ordinanza si provvede mediante utilizzo delle risorse finanziarie individuate dal protocollo d'intesa sottoscritto in data 6 dicembre 2007 dal Ministro della salute e dal Presidente della regione Calabria, con le risorse finanziarie residue assegnate alla medesima regione ai sensi dell'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni ed integrazioni, con le somme disponibili e non ancora utilizzate rivenienti dalla legge regionale n. 7 del 2006, anche in deroga agli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76, ed alle relative disposizioni normative regionali, nonchè mediante eventuali ulteriori risorse finanziarie di competenza regionale, fondi comunitari, nazionali, regionali e locali, comunque assegnati o destinati per le finalità di cui alla presente ordinanza.
2. Le amministrazioni statali e gli enti pubblici sono autorizzati a trasferire al Commissario delegato eventuali risorse finanziarie finalizzate al superamento del contesto emergenziale.
3. Le risorse finanziarie di cui al presente articolo sono trasferite su apposita contabilità speciale intestata al Commissario delegato, all'uopo istituita, che provvede al trasferimento ai soggetti attuatori in relazione alle attività agli stessi attribuite, in deroga alle norme in materia di contabilità speciale”.
In sintesi, il Commissario Delegato per la realizzazione del proprio programma di interventi, dispone di fondi per la maggior parte assegnati alla regione Calabria e trasferiti su apposita contabilità speciale, al medesimo intestata, su cui vengono, fra l’altro, imputate anche le spese per la corresponsione delle indennità dovute ai membri del Comitato Tecnico- Scientifico, presso cui il ricorrente è stato nominato, ai sensi dell’art.3, commi 4,5,6 e 7 della suddetta OPCM n. 3635 del 2007.
Ad avviso del Collegio, le limitazioni al controllo introdotte dall’invocato art. 14 del D. L. 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, in legge 14 luglio 2008, n.123, non sono comunque idonee a superare le osservazioni già svolte con riferimento alle esigenze di tutela dell’imparzialità e dell’immagine del magistrato, dal momento che le Sezioni Regionali di Controllo predispongono, annualmente, la “Relazione sul Rendiconto Generale e sulle Politiche di spesa della Regione” di appartenenza, che, certo, assume un notevolissimo rilievo ai fini della valutazione della gestione complessiva della contabilità regionale, con effetti che, talora, possono essere anche suscettibili di incidenza in ordine a valutazioni di carattere politico.
Pertanto, stante la “designazione” della nomina del ricorrente da parte del Presidente della Regione Calabria, non possono del tutto sottovalutarsi quelle ragioni di opportunità e di immagine che, sul piano oggettivo, ne sconsigliano il conferimento.
Infine, poichè la Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei Conti, ai sensi dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (“ Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti”), nel testo modificato dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639, è competente a giudicare in tema di responsabilità dei soggetti sottoposti alla sua giurisdizione, nell’ambito del territorio regionale, per errori od omissioni commessi con dolo o colpa grave, non si può del tutto escludere che valutazioni inerenti le esigenze di tutela dell’immagine complessiva dell’istituzione della Corte dei Conti in ambito regionale possano assumere un qualche rilievo, ai fini delle decisioni del Consiglio di Presidenza, in relazione a determinate tipologie di incarichi, nell’ambito dei criteri e dei principi rivenienti da norme di rango primario e secondario, disciplinante la materia .
Pertanto, anche questa censura non può trovare accoglimento.
3.9. Con l’undicesimo profilo di gravame, il ricorrente deduce che il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti non avrebbe il potere di contemplare criteri di attribuzione di incarichi più restrittivi rispetto a quelli previsti nel regolamento di delegificazione.
La censura è infondata alla luce di tutte le considerazioni già svolte, particolarmente in occasione della disamina dell’ottavo profilo di gravame.
Vanno, in proposito, richiamate le argomentazioni svolte dal giudice delle leggi con sent. Corte Cost. 3 giugno 1999 , n. 224 e, più recentemente, con sent. Corte Cost. 27 giugno 2008 , n. 231, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 3 della legge regionale siciliana 5 dicembre 2006 n. 21, che prevedeva, con riferimento alla Riscossione Sicilia S.p.a., che il revisore contabile è scelto dall'Amministrazione regionale tra i magistrati della Corte dei conti, in servizio presso gli uffici della Corte dei conti aventi sede in Sicilia, in possesso, per tutta la durata del mandato, dei requisiti di cui all'articolo 2409-quinquies c.c., poiché siffatta disposizione legislativa regionale è stata ritenuta infliggere “un vulnus” all'indipendenza e all'imparzialità dei magistrati della Corte dei conti, non soltanto perché limitava nel territorio della Sicilia la scelta dei magistrati cui affidare l'incarico di revisore della indicata società, ma anche attribuiva detta scelta all'esclusivo apprezzamento dell'amministrazione regionale siciliana .
Inoltre, il principio della riserva di legge può considerarsi rispettato, anche quando il legislatore abbia fissato alcuni criteri precisi e generali per orientare la discrezionalità dell'Organo di autogoverno ( Tar Lazio 29 gennaio 2004, n. 889, che a sua volta richiama Cons. Stato, sez. IV, n. 2715 del 15 maggio 2000 e n. 4406 del 30 luglio 2003; v. anche Corte cost. 8 febbraio 1991, n. 72; Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2000, n. 2715), poiché la ragione della riserva di legge nella materia delle c.d. “guarentigie” della magistratura risiede proprio nella tutela dell'indipendenza della funzione giurisdizionale.
Del resto, la disposizione che fa obbligo ai magistrati, prima di accettare incarichi extragiudiziari, di ottenere l'autorizzazione dal Consiglio di Presidenza non può certo riferirsi ad incarichi che sono “a priori” incompatibili con le funzioni di magistrato, per cui l'esistenza di una norma di legge che, in via generale ed astratta, sancisca la possibilità di conferire un determinato tipo di incarico ai magistrati , oltre a non escludere la potestà autorizzatoria dell’organo di autogoverno, costituisce, anzi, un necessario presupposto perché essa possa legittimamente esercitarsi, in quanto, mentre la legge dispone in astratto, l'organo di autogoverno verifica che, nel caso concreto, non sussistano ragioni riferite al prestigio della magistratura ovvero alla funzionalità del singolo ufficio giudiziario, che si oppongano a che quello specifico incarico sia assunto da quella determinata persona ( Consiglio Stato , sez. IV, 04 marzo 1992 , n. 242).
Può essere, infine, richiamato, in proposito, l’orientamento secondo cui il conferimento ad un magistrato della Corte dei conti responsabile del controllo di un incarico retribuito da parte di un'autorità controllata dalla Corte stessa compromette la posizione di indipendenza ed imparzialità del magistrato stesso (C.G.A., Sez. Giur, 2 ottobre 1997 n.384).
Pertanto, non può ritenersi, nel complesso, irragionevole l’operato del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, anche sotto l’aspetto censurato.
3.9. Con il dodicesimo motivo, il ricorrente deduce il vizio di motivazione dell’impugnato provvedimento.
Il provvedimento impugnato precisa: “considerato che gli elementi forniti dall’interessato in sede di risposta alla comunicazione inviata ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 , introdotto dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, non sono stati ritenuti idonei a superare i divieti stabiliti dall’art. 3 , comma 6 , lett. e) e lett. f) del D.P.R. 27 luglio 1995 n. 388 , in relazione all’incidenza delle funzioni svolte dal Comitato tecnico-scientifico sull’attività di gestione esercitata dal Commissario delegato, nonché dall’art.6, comma 1, lett. b) e lett. c) e comma 3, lett.b della deliberazione n. 227/CP/2002 sotto il profilo dell’incompatibilità territoriale”.
Come già emerso nel corso dell’esame dell’ottavo profilo di gravame , è sufficiente il riferimento al divieto posto dall’art. 3 , comma 6 , lett. e) del D.P.R. 27 luglio 1995 n. 388 a sorreggere la motivazione del diniego.
Comunque, l’impugnato provvedimento, pur nella sua scarna esternazione motivazionale, consente, comunque, di comprendere l’iter logico seguito dall’organo di autogoverno per denegare il chiesto incarico sotto i profili evidenziati, posto che esso espressamente indica in preambolo tutte le note intercorse in contraddittorio fra le parti, sia in sede istruttoria (lettera prot. 3052 del 7.4.2008 del Presidente della II Commissione riscontrata con lettera del ricorrente del 21.4.2008), sia nell’ambito del subprocedimento avviato ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 (nota prot. n. 3899 del 15.5.2008 riscontrata con nota 4123 del 26.5.2008 del ricorrente), le cui argomentazioni possono intendersi richiamate “per relationem”.
In definitiva, la censura può essere rigettata, anche alla stregua delle considerazioni già svolta in occasione della disamina dei precedenti profili di gravame.
Nel dare atto, alla stregua delle considerazioni precedentemente esposte, dell'infondatezza dei motivi dedotti, dispone conclusivamente il Collegio la reiezione dell'impugnativa, con conseguente rigetto del ricorso.
4. L’infondatezza del gravame proposto preclude la disamina della pretesa risarcitoria avanzata dal ricorrente, atteso che la constatata non illegittimità (alla luce delle proposte doglianze) dell'esercizio del potere sostanziato dall'adozione del provvedimento gravato esclude la sussistenza dei necessari presupposti.
Per mere esigenze di completezza, giova altresì richiamare il principio secondo cui non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno avanzata da un magistrato della Corte dei Conti a seguito dell’annullamento del diniego di autorizzazione - da parte del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti - ad accettare un incarico extragiudiziario, nel caso in cui risulti che il diniego di autorizzazione comportava la risoluzione di problemi interpretativi di non agevole soluzione, con affermazioni anche estensive dell’ambito degli incarichi autorizzabili ex art. 3, comma 3, lett. i) del d.P.R. n. 388 del 1995 e si tratti altresì di questioni sulle quali non risultano precedenti giurisprudenziali in termini e che investono la discrezionalità della azione amministrativa (C..G.A. Sicilia , Sez. Giurisd., 22 marzo 2006 , n. 92).
La complessità delle questioni esaminate consiglia di disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Catanzaro – Sezione Prima, definiti-vamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo rigetta.
Rigetta anche la domanda di risarcimento dei danni.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 19/06/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Cesare Mastrocola, Presidente
Concetta Anastasi, Consigliere, Estensore
Alessio Falferi, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/10/2009
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