CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE VI - Sentenza 25 settembre 2009 n. 5793
Pres. Varrone Est. Scanderbeg
Yahiaoui ( Avv. ammendola) c/ Ministero dell’interno ( Avv. Dello Stato) |
Emersione di lavoro irregolare –Domanda cittadino extracomunitario – Procedura – Esclusione - Ragioni
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Ai sensi dell’art. 33 della L. 189/ 02, in materia di dichiarazione di emersione di lavoro irregolare di persone di origine extracomunitarie,tra le ipotesi che espressamente inibiscono la finalizzazione del procedimento di emersione del lavoro irregolare , è espressamente prevista quella relativa al furto.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 7767 del 2007, proposto da:
Yahiaoui Ahmed, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Ammendola, Cosmo Pellegrino, con domicilio eletto presso Candida Russiello in Roma, via Alfredo Catalani, 4;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
per la riforma
della sentenza del Tar Campania - Napoli: Sezione Iv n. 7668/2006, resa tra le parti, concernente RIGETTO ISTANZA DI EMERSIONE LAVORO IRREGOLARE DI EXTRACOMUNITARIO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 23 bis comma sesto della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2009 il dott. Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.E’ impugnata la sentenza n. 7668 del 21 giugno 2007 del Tar Campania che ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il decreto del Prefetto di Caserta del 10 marzo 2006, recante il rigetto dell’istanza di emersione di lavoro irregolare presentata ex lege 189/02 dalla sig.ra Iolanda Assunta Testa nell’interesse del ricorrente Yahiaoui Ahmed.
Assume l’appellante che illegittimamente la intimata autorità amministrativa avrebbe ritenuto ostativa, ai fini della regolarizzazione della pratica di emersione del lavoro irregolare, la pretesa sussistenza di un precedente penale a suo carico, rappresentato nello specifico da una condanna per tentato furto emessa a seguito di patteggiamento e divenuta irrevocabile il 26 gennaio 1993. In particolare, il ricorrente deduce che la appena detta fattispecie delittuosa non rientrerebbe nelle ipotesi ostative (alla finalizzazione positiva della pratica di emersione) di cui agli artt. 380 e 381 cpp e che, pertanto, avrebbe errato, con l’autorità prefettizia, il giudice di primo grado nel ritenere sufficientemente motivato il provvedimento in primo grado impugnato. Di qui i motivi di gravame e la richiesta di annullamento dell’atto in prime cure gravato, in totale riforma della impugnata decisione.
Si è costituita in giudizio la amministrazione intimata per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.
All’udienza del 26 giugno 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2.L’appello è infondato e va respinto.
Tra le ipotesi delittuose che espressamente inibiscono, ai sensi del comma 7 dell’art. 33 della l. 189/02, la finalizzazione del procedimento di emersione del lavoro irregolare è espressamente prevista quella relativa al furto, in ordine alla quale l’appellante risulta aver riportato sentenza di condanna emessa ex art. 444 cpp dal Pretore di Roma il 4 gennaio 1993. Inoltre, è risultato – con dati allegati dalla amministrazione e non smentiti dall’interessato – che l’appellante è stato tratto in arresto, sotto false generalità, sempre per episodi di furto, occorsi in Roma il 3 gennaio 1993 ed il 6 aprile del 1993.
Ritiene il Collegio che tali gravi precedenti da cui risulta gravato il sig. Yahiaoui Ahmed giustificano ampiamente il gravato provvedimento negativo adottato dalla intimata autorità prefettizia, dato che è la legge ad escludere in via prioritaria ed assorbente che le pratiche di regolarizzazione dei lavoratori possano trovare positivo epilogo in favore di soggetti, quale l’odierno appellante, che risultino attinti da gravi pregiudizi penali. Oltre al ricordato precedente penale per furto, risultante da sentenza passata in giudicato, l’appellante risulta altresì essere stato tratto in arresto per analoghi episodi delittuosi, il che comprova – anche sul piano sostanziale - una propensione a delinquere del soggetto che certamente giustifica il diniego di regolarizzazione opposto dalla autorità di pubblica sicurezza.
3. Né appar fondato il rilievo censorio secondo cui nella specie la condanna riportata dall’appellante non avrebbe efficacia ostativa ai fini della regolarizzazione del lavoro, in quanto adottata ai sensi degli artt. 444 e 445 cpp; è la stessa legge ad includere tale tipologia di sentenza (art. 33 comma 7 cit.) fra quelle impeditive del buon esito della pratica di regolarizzazione, vertendosi in fattispecie di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica.
4. Né, trattandosi di sentenza condanna, peraltro divenuta irrevocabile, e non di una semplice denuncia priva di riscontri, potrebbe farsi questione della insufficienza del titolo incorporante il pregiudizio penale; è noto, infatti, che la Corte costituzionale con la decisione n. 78 del 10/18 febbraio 2005 ha censurato la originaria previsione della legge – e cioè del citato art. 33 comma 7 l. 189/02 - lì dove la stessa considerava sufficiente, in senso ostativo al buon esito della pratica di regolarizzazione, la semplice denuncia per uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 cpp, senza ulteriori ed autonomi accertamenti da parte della amministrazione circa la rilevanza penale del fatto.
5.Da ultimo non convince, perché palesemente destituita di giuridico fondamento, la tesi dell’appellante fondata sul rilievo della illegittimità dell’atto amministrativo derivante dalla incapacità della sentenza adottata ex art. 445 cpp di far stato nei giudizi civili ed amministrativi, trattandosi all’evidenza di effetto processuale della pronuncia, destinato a limitare gli effetti dell’accertamento proprio della sede penale in altri ambiti giurisdizionali, che nulla tuttavia può comportare, sul piano sostanziale della legittimità dell’atto amministrativo di diniego di regolarizzazione, assunto sulla scorta di una sentenza di condanna espressamente richiamata dalal ricordata disposizione normativa.
6. Neppure può riconnettersi rilievo, come prospetta l’appellante, al fatto che la sentenza adottata ex art. 445 cpp comporta l’estinzione del reato e di ogni altro effetto penale ove l’imputato non commette nel quinquennio un delitto della stessa indole. Non par dubbio infatti che tale effetto estintivo del reato – che peraltro va dichiarato dal giudice – al pari della riabilitazione ( che è causa di estinzione della pena), pur comportando la estinzione delle incapacità giuridiche e degli altri effetti penali che conseguono automaticamente ad una sentenza di condanna, non elimina la condanna in sé quale fatto storico rilevante, che continua ad esistere e a produrre integralmente tutti quegli effetti giuridici che non sono rimossi dal beneficio estintivo. Con la espressione “ogni altro effetto penale”, il legislatore ha inteso far riferimento a tutti gli effetti che discendono direttamente dalla sentenza di condanna e comportano una diminuzione della capacità giuridica del condannato, ma non ha anche precluso che l’Amministrazione eserciti le sue valutazioni discrezionali, considerando negativamente la condanna penale, né che tale condanna sia autonomamente valutata in senso ostativo ( come appunto nel caso di specie in cui la legge – con il richiamo alle ipotesi di reato di cui agli artt. 380 e 381 cpp - esclude dall’ammissibilità del beneficio della regolarizzazione i soggetti gravati da pregiudizi penali di particolare allarme sociale).
7. Le considerazioni che precedono danno conto altresì della inconsistenza della censura di omessa o insufficiente motivazione articolata all’indirizzo dell’avversato diniego di regolarizzazione, atteso che l’onere motivazionale risulta compiutamente assolto a mezzo del rinvio relazionale al precedente ostativo ed al parametro normativo in applicazione del quale la pratica di regolarizzazione non ha potuto sortire buon esito.
8.Quanto all’ulteriore vizio procedimentale di carenza della comunicazione d’avvio, è evidente che la sussistenza del più volte richiamato precedente ostativo, nonchè la conseguente natura «vincolata» del provvedimento negativo conclusivo, fanno propendere, in armonia con le scelte normative del legislatore più recente ( art. 21 octies L. 241/90, nel testo risultante dalla modifica ad opera della legge n. 15/05 ), per la irrilevanza dell’apporto partecipativo dell’interessato rispetto al possibile contenuto dell’atto, che non avrebbe potuto essere di diverso segno.
9. In definitiva, il ricorso va respinto e va confermata la impugnata sentenza.
Le spese di lite del grado possono essere compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Claudio Varrone, Presidente
Aldo Fera, Consigliere
Domenico Cafini, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2009
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