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CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE IV - Sentenza 22 settembre 2009 n. 5661
Pres. Trotta, Est. Greco
G. Ruoppolo (Avv. G. Falini) c/ Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (Avv. dello Stato), P. de Lise (n.c.)


1. Pubblico impiego - Consiglio di Stato - Presidente aggiunto - Nomina - Requisiti - Funzione di Presidente di Sezione - Necessità - Non Sussiste - Conseguenze.

 

2. Pubblico impiego - Consiglio di Stato - Presidente aggiunto - Nomina - Requisiti - Anzianità di ruolo - Insufficienza - Ragioni.

1. In base al tenore testuale e alla ratio dell’art. 6bis d.l. 354/03 -conv. in l. 45/04-, lo svolgimento delle funzioni di Presidente di una Sezione del Consiglio di Stato costituisce un effetto della nomina a Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato e non certo un requisito necessario per accedere a tale incarico, con conseguente legittimità della nomina a Presidente Aggiunto di chi rivesta la qualità di Presidente di T.A.R.

 

2. Ai fini dell’accesso alla qualifica di Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato, è legittima la scelta di valorizzare i requisiti previsti per la nomina del Presidente del Consiglio di Stato dall’art. 22, l. 186/1982- come ad es. l’attitudine a ricoprire l’incarico direttivo ovvero il pregresso esercizio di funzioni direttive per un determinato numero di anni- e non già, sic et simpliciter, il criterio dell’anzianità di ruolo. In tal senso depone la considerazione che la figura del Presidente Aggiunto si caratterizza non già come meramente vicaria del Presidente del Consiglio di Stato, ma come compartecipe del vertice dell’Ufficio, con espresse funzioni di collaborazione alla sua gestione e direzione.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta)



ha pronunciato la presente

DECISIONE



sul ricorso in appello nr. 2594 del 2009, proposto dal

dott. GIOVANNI RUOPPOLO, rappresentato e difeso dall’avv. Giorgio Falini, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, viale Gorizia, 25/c,

contro



- la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente “pro tempore”,

 

- il CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA, in persona del Presidente “pro tempore”, rappresentati e difesi “ope legis” dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di



dott. PASQUALE DE LISE, non costituito,

per l’annullamento



della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Terza, nr. 1333/09, depositata in data 9 febbraio 2009, non notificata, emessa su ricorso a reg. gen. 7374/2008, ricorso inteso all’annullamento: 1) del d.P.R. 23 giugno 2008 e del d.P.C.M. 17 giugno 2008, di nomina del Presidente de Lise alla funzione di Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato; 2) nonché, “in parte qua”, delle deliberazioni del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa del 15 maggio 2008 e della IV Commissione dello stesso Consiglio dei giorni 15 e 9 maggio 2008, nonché, per quanto essa rilevi, della deliberazione del Consiglio in data 30 maggio 2008; 3) nonché di tutti gli atti presupposti e/o consequenziali e/o connessi alla procedura di nomina del Presidente de Lise, con riguardo anche a provvedimenti, non conosciuti ma eventualmente sussistenti, di riconoscimento allo stesso dello “status” di cui all’art. 50 della legge 27 aprile 1982, nr. 186.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione delle Amministrazioni appellate;
Viste le memorie prodotte dall’appellante (in data 24 giugno 2009) e dall’Amministrazione (in data 26 giugno 2009) a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2009, il Cons. Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Falini per l’appellante e l’avv. dello Stato Aldo Linguiti per l’Amministrazione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO



Il dott. Giovanni Ruoppolo, in atto Presidente titolare della Sezione Sesta del Consiglio di Stato, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso da lui proposto avverso gli atti relativi alla nomina del dott. Pasquale de Lise alla funzione di Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato.
A sostegno dell’appello ha dedotto:
1) l’erroneità della sentenza laddove ha dichiarato inammissibili, per difetto di tempestiva impugnazione, le censure proposte in ricorso avverso gli atti posti in essere dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa anteriormente alle delibere del maggio 2008 (culminati nella nomina alla funzione di Presidente Aggiunto del pres. Corrado Calabrò);
2) l’erronea applicazione dell’art. 6-bis del decreto legge 24 dicembre 2003, nr. 354, convertito in legge 26 febbraio 2004, nr. 45, e relativo eccesso di potere (con riguardo alla parte della sentenza in cui il primo giudice non ha ritenuto che, fra i requisiti necessari per la nomina a Presidente Aggiunto, rientrasse anche lo svolgimento attuale delle funzioni di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, requisito non posseduto dal pres. de Lise, all’epoca Presidente del T.A.R. del Lazio);
3) erroneità della sentenza impugnata in ordine alla illegittima ammissione alla procedura del pres. de Lise (neanche a seguito della modifica dei criteri dell’interpello operata dal C.P.G.A., in contraddizione con i criteri seguiti nelle precedenti occasioni in cui si era proceduto alla nomina del Presidente Aggiunto);
4) erroneità della sentenza con riguardo all’asserita irrilevanza, nella specie, dell’art. 50 della legge 27 aprile 1982, nr. 186 (laddove, invece, proprio in applicazione di tale norma – peraltro nella specie non invocabile - il pres. de Lise era stato illegittimamente ammesso alla procedura);
5) erroneità della sentenza laddove afferma che il pres. de Lise non aveva alcun onere, per poter partecipare alla procedura “de qua”, di presentare formale domanda di rientro nel ruolo del Consiglio di Stato;
6) erronea applicazione dell’art. 21 della legge nr. 186 del 1982 (laddove il primo giudice ha negato che il pres. de Lise fosse tenuto all’osservanza del triennio di permanenza nella sede ricoperta, prescritto da tale norma, prima di poter ottenere l’assegnazione ad altra sede);
7) erronea applicazione dell’art. 9 del d.P.R. 21 aprile 1973, nr. 214 (laddove il T.A.R. ha considerato detta norma coma una mera “misura organizzativa di massima”, in riferimento al rientro del pres. de Lise nel ruolo del Consiglio di Stato in data anteriore al 1 gennaio 2009, tale da violare gli interessi dell’odierno appellante e del pres. Raffaele Iannotta);
8) erronea applicazione degli artt. 11, comma 2, della legge 6 dicembre 1971, nr. 1034, e dell’art. 9 del d.P.R. nr. 214 del 1973 (con riferimento alla carenza in organico, al momento dell’interpello, di un posto vacante di Presidente di Sezione titolare del Consiglio di Stato, che precludeva al pres. de Lise la presentazione di domanda per la partecipazione alla procedura);
9) omessa pronuncia su taluni motivi di ricorso (in relazione all’asserita ininfluenza, ai fini della determinazione finale dell’Amministrazione, del parere della IV Commissione del C.P.G.A. del 9 maggio 2008, il quale aveva invece prodotto l’effetto di indurre il pres. Iannotta a revocare la domanda di nomina alla funzione “de qua”, ed inoltre aveva comportato grave modifica dei criteri in precedenza seguiti dallo stesso C.P.G.A., con penalizzazione dell’odierno appellante).
Le Amministrazioni appellanti, costituitesi, hanno diffusamente controdedotto ai motivi di appello, assumendone l’infondatezza e chiedendo la integrale reiezione del gravame, con la conseguente conferma della sentenza di primo grado.
All’udienza del 7 luglio 2009, la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO



1. Giunge all’attenzione di questa Sezione il contenzioso, avviato dal ricorso del pres. Giovanni Ruoppolo, in ordine agli atti posti in essere dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa in relazione alla nomina del Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato, procedura nella specie conclusasi con la nomina del pres. Pasquale de Lise.
Al riguardo, giova preliminarmente rammentare che la figura del Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato è stata introdotta nell’ordinamento della magistratura amministrativa dall’art. 6-bis del decreto legge 24 dicembre 2003, nr. 354, aggiunto in sede di conversione dalla legge 26 febbraio 2004, nr. 45, disposizione che al comma 2 così testualmente recita: “Nell’ordinamento della magistratura amministrativa è istituito il posto di Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, parificato a ogni effetto giuridico ed economico, escluso l’incremento retributivo di cui al presente comma, a quello del Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione, con conseguente incremento di una unità nella dotazione organica complessiva. La tabella A allegata alla legge 27 aprile 1982, n. 186, e successive modificazioni, è conformemente modificata. Il Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, oltre a svolgere le funzioni di presidente di una sezione del Consiglio di Stato, sostituisce, nei casi di assenza o impedimento, il Presidente del Consiglio di Stato e lo coadiuva nei compiti affidatigli. Al Presidente del Consiglio di Stato è riconosciuto un incremento retributivo pari alla metà della differenza tra il trattamento economico previsto per il Presidente aggiunto della Corte suprema di cassazione e quello previsto per il Primo Presidente della stessa Corte”.

2. Ancora in via preliminare, giova richiamare sinteticamente la successione cronologica degli atti e provvedimenti che rivestono interesse ai fini del presente giudizio, sostanzialmente corrispondenti a due procedimenti consecutivi per la nomina alla funzione di Presidente Aggiunto.
In particolare:
- in data 1 ottobre 2007, a seguito della nomina del pres. Paolo Salvatore (già Presidente Aggiunto) alla carica di Presidente del Consiglio di Stato, era indetto l’interpello per il posto nuovamente vacante di Presidente Aggiunto;
- detto interpello era rinnovato con delibera del C.P.G.A. del 10 ottobre 2007, a seguito di disguidi verificatisi nell’invio delle comunicazioni agli interessati;
- a conclusione di un complesso iter procedimentale, nel quale s’inseriva anche un ricorso giurisdizionale proposto dal pres. Corrado Calabrò dinanzi al T.A.R. del Lazio, il C.P.G.A., con delibera del 20 dicembre 2007, nominava Presidente Aggiunto lo stesso pres. Calabrò;
- all’esito della registrazione del d.P.R. di nomina, intervenivano le dimissioni del pres. Calabrò dalla magistratura amministrativa;
- nella seduta del 18 aprile 2008, il C.P.G.A. accettava la predette dimissioni e contestualmente indiceva un nuovo interpello per la copertura del posto di Presidente Aggiunto;
- a seguito di detto interpello, presentavano domanda il pres. Raffaele Iannotta, il pres. Pasquale de Lise e l’odierno appellante (quest’ultimo, solo “subordinatamente” al pres. Iannotta);
- nella seduta del 9 maggio 2008, la IV Commissione del C.P.G.A., dopo aver riesaminato la questione dei criteri per la nomina a Presidente Aggiunto, proponeva la nomina del pres. de Lise;
- in data 13 maggio 2008, nelle more dell’esame della proposta da parte del “plenum” del C.P.G.A., il pres. Iannotta rinunciava alla propria domanda;
- conseguentemente, in data 15 maggio 2008 si riuniva nuovamente la IV Commissione per procedere al nuovo esame delle domande rimaste, concludendo nuovamente con proposta di nomina del pres. de Lise;
- con delibera dello stesso 15 maggio 2008, il “plenum” del C.P.G.A. nominava il pres. de Lise alla funzione di Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato;
- in data 19 maggio 2008, il pres. Ruoppolo formulava una serie di osservazioni al C.P.G.A. in ordine alla nomina del pres. de Lise;
- tali osservazioni venivano respinte, e conseguentemente era confermata la nomina del pres. de Lise, dapprima dalla IV Commissione (in data 28 maggio 2008) e quindi dal “plenum” del C.P.G.A. (in data 30 maggio 2008);
- con d.P.R. del 23 giugno 2008, il pres. de Lise veniva nominato Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato.

3. Avverso gli atti elencati al punto che precede, il pres. Giovanni Ruoppolo ha proposto ricorso giurisdizionale, che il T.A.R. del Lazio ha respinto con la sentenza oggi all’esame.
L’appello è infondato, essendo largamente condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure.

4. Innanzi tutto, appare condivisibile la declaratoria di inammissibilità dei primi due motivi di ricorso (qui sostanzialmente riproposti col primo motivo d’appello), in relazione alla procedura conclusasi con la nomina a Presidente Aggiunto del pres. Corrado Calabrò, stante la mancata tempestiva impugnazione degli atti di detta procedura (censurati solo in una con quelli del successivo procedimento conclusosi con la nomina del pres. de Lise).
Al riguardo, non è oggettivamente contestabile che trattasi di due procedure di nomina autonome e distinte, ciascuna delle quali si è aperta con un autonomo interpello, ha avuto una autonoma istruttoria e si è conclusa con un autonomo d.P.R. di nomina del soggetto individuato (nel primo caso, il d.P.R. 29 dicembre 2007, di nomina del pres. Calabrò; nel secondo caso, il d.P.R. 23 giugno 2008, di nomina del pres. de Lise); di tanto appare consapevole lo stesso appellante il quale, correggendo sul punto la motivazione della sentenza impugnata, rileva nell’atto di impugnazione che il pres. Calabrò presentò non una rinuncia alla domanda di partecipazione alla procedura, bensì un atto di dimissioni dalla magistratura amministrativa, in un momento in cui aveva già acquisito le funzioni di Presidente Aggiunto (e, dunque, la procedura di nomina che lo riguardava si era ampiamente conclusa).
Se tutto questo è vero sul piano formale, neanche su quello sostanziale appare convincente il tentativo dell’appellante di cogliere tra le due procedure un qualche “legame” in termini di presupposizione-consequenzialità, tale da consentire di ritenere che eventuali vizi della prima si siano riverberati, in via derivata, sulla seconda.
Ed invero, dalla lettura delle stesse doglianze di parte appellante si evince che l’unico profilo “lato sensu” comune tra le due procedure in oggetto consisterebbe nella reiterata violazione che, a dire dello stesso appellante, il C.P.G.A. avrebbe perpetrato delle norme di legge “in subiecta materia”, ovvero dei criteri che esso stesso si era dato in precedenti occasioni; essendo però del tutto diversi, nella stessa prospettazione di parte istante, i contenuti delle ipotizzate violazioni e illegittimità.
Infatti, nel caso della procedura conclusasi con la nomina del pres. Calabrò, sono oggetto di doglianza l’ammissione alla procedura di un magistrato fuori ruolo e la conseguente concezione del posto di Presidente Aggiunto, asseritamente sottesa a tale opzione, come una sorta di “premio alla carriera” piuttosto che come risorsa concreta di cui dotare il Consiglio di Stato; questione del tutto estranea, invece, alla procedura successiva, laddove nessuno degli aspiranti era fuori ruolo e le problematiche sollevate dal ricorrente attenevano, piuttosto, al possesso dei requisiti di legge per poter conseguire la nomina.
Dai rilievi che precedono appare confermato che, qualora il pres. Ruoppolo avesse inteso lamentare i profili di illegittimità a suo dire sussistenti nella procedura conclusasi col d.P.R. del 29 dicembre 2007, ciò avrebbe dovuto fare mediante tempestiva impugnazione di quest’ultimo e degli atti presupposti (nonché evocando in giudizio il pres. Calabrò, all’epoca chiaramente controinteressato).

5. Con il secondo e terzo motivo d’appello, il pres. Ruoppolo censura gli argomenti in base ai quali il primo giudice ha respinto le doglianze articolate in ordine all’asserita carenza, in capo al pres. de Lise, dei requisiti per poter aspirare al posto di Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato, nonché le determinazioni assunte dal C.P.G.A. sui criteri per la selezione del più idoneo fra i candidati.
È opportuno esaminare congiuntamente tali motivi di impugnazione, non solo perché sono strettamente connessi, ma anche per le implicazioni che hanno sugli ulteriori profili di doglianza sollevati dall’appellante.
5.1. In primo luogo, si assume l’erroneità dell’interpretazione dell’art. 6-bis del d.l. nr. 354 del 2003 (sposata dal C.P.G.A. e ritenuta corretta dal primo giudice) secondo cui non era richiesto, quale requisito per la nomina a Presidente Aggiunto, anche l’esercizio attuale delle funzioni di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato: l’opposta opzione ermeneutica, propugnata dall’odierno appellante, avrebbe comportato l’esclusione dalla procedura del pres. de Lise (il quale effettivamente al momento dell’interpello non possedeva detto requisito, essendo Presidente del T.A.R. del Lazio).
La Sezione reputa corretta la lettura proposta dal primo giudice, che appare in linea sia con la “ratio” che con la lettera del citato art. 6-bis.
Sotto il primo aspetto, appare evidente che il legislatore, con l’introduzione della nuova figura (così come avvenuto, del resto, anche per le altre giurisdizioni superiori) ha inteso non semplicemente istituzionalizzare le funzioni vicarie già esercitate, nell’assetto precedente, dal più anziano tra i Presidenti di Sezione, bensì prevedere una nuova figura apicale o subapicale, di livello superiore a quello dei Presidenti di Sezione, con compiti specifici di collaborazione nella gestione dell’Ufficio; ciò appare confermato – a parte quanto meglio appresso si dirà sulle caratteristiche della nuova figura - anche dalla scelta, contestuale alla previsione “de qua”, di aumentare di un posto l’organico della magistratura amministrativa.
Tale considerazione non può non riverberare i propri effetti sull’interpretazione letterale della disposizione, laddove all’inciso “oltre a svolgere le funzioni di presidente di una sezione del Consiglio di Stato” potrebbe effettivamente attribuirsi il significato di richiedere, per l’accesso alla nuova qualifica, il pregresso esercizio di dette funzioni – così come vorrebbe l’odierno appellante – soltanto laddove fosse consentito ricavare “aliunde”, in maniera positiva, che la platea dei possibili aspiranti al posto in questione è ristretta ai soli Presidenti di Sezione in servizio presso il Consiglio di Stato: ciò che non è, non essendo ciò né espressamente specificato dalla norma né evincibile da altre disposizioni.
Pertanto, all’inciso sopra riportato non può che darsi il significato, logicamente coerente con l’inserimento di esso in una proposizione che specifica i compiti del neo-istituito Presidente Aggiunto, secondo cui lo svolgimento delle funzioni di Presidente di una Sezione del Consiglio di Stato costituisce un effetto della nomina a tale incarico, e non certo un presupposto di essa.
5.2. D’altra parte, l’opzione interpretativa sostenuta dall’appellante è a forte rischio di illegittimità, comportando problemi di inconciliabilità sia col principio secondo cui alle procedure per l’accesso a una qualifica superiore possono partecipare tutti i magistrati in possesso della qualifica immediatamente sottordinata, sia – più specificamente – con il disposto degli artt. 14 e 15 della legge nr. 186 del 1982.
Dal combinato disposto di questi ultimi, come correttamente rilevato dal primo giudice, emerge che, nell’ambito delle funzioni direttive della giurisdizione amministrativa, i Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato sono equiparati ai Presidenti di Tribunale Amministrativo Regionale (art. 14, nr. 2).
Orbene, una eventuale esclusione dei Presidenti di T.A.R. dall’area dei legittimati ad accedere al posto di Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato, in difetto di espressa e inequivoca previsione normativa, comporterebbe una ingiustificata “deminutio” per una intera categoria di magistrati con funzioni direttive, con violazione di quella equiparazione che il legislatore ha invece espressamente affermato.
Dai rilievi che precedono discende:
a) che correttamente l’Amministrazione ritenne di estendere l’interpello, comunicandolo a tutti i magistrati che svolgessero funzioni direttive nel senso testé precisato;
b) che il pres. de Lise – il quale, peraltro, aveva già anteriormente svolto funzioni di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato da epoca anteriore rispetto all’odierno appellante – anche nella propria attuale qualità di Presidente di T.A.R. era pienamente legittimato a partecipare alla procedura.
5.3. Dalle considerazioni fin qui svolte discende anche l’inconferenza dei rilievi di parte appellante in ordine all’illegittimità dei possibili effetti della nomina di un Presidente Aggiunto proveniente dall’esterno del Consiglio di Stato, il quale, assumendo contestualmente anche le funzioni di Presidente di una delle Sezioni del Consiglio medesimo come espressamente voluto dall’art. 6-bis, potrebbe “scalzare” uno dei Presidenti titolari di esse, qualora non vi siano al momento posti di Presidente vacanti in organico.
Tale “scalzamento”, lungi dal costituire una anomalia, è conseguenza diretta della previsione normativa di una nuova figura subapicale, estranea e diversa da quelle dei Presidenti di Sezione, ed alla quale possono accedere magistrati con funzioni direttive provenienti anche dal ruolo dei Tribunali Amministrativi Regionali, nonché dell’espressa attribuzione di essa di compiti ulteriori oltre a quelli vicari e collaborativi del vertice dell’Ufficio, espressamente individuati nella Presidenza di una Sezione del Consiglio di Stato.
5.4. Del pari condivisibili appaiono le conclusioni raggiunte dal primo giudice in ordine alle censure articolate da parte attrice sui criteri individuati dalla IV Commissione del C.P.G.A. nella seduta del 6 maggio 2008, allorché ritenne, in contraddizione con l’orientamento espresso in occasioni precedenti, di dover applicare analogicamente l’art. 22 della legge nr. 186 del 1982, relativo alla nomina del Presidente del Consiglio di Stato.
Sul punto, la difesa erariale assume l’irrilevanza della questione, atteso che la nomina del pres. de Lise è intervenuta a seguito di una ulteriore seduta della Commissione, in data 15 maggio 2008, nella quale fu applicato “sic et simpliciter” il criterio dell’anzianità di ruolo (che comunque portava a preferire il pres. de Lise).
La Sezione ritiene in ogni caso pienamente condivisibile l’opzione prescelta dal C.P.G.A. anche in punto di applicazione del citato art. 22, tenuto conto della peculiarità della figura del Presidente Aggiunto, come introdotta dall’art. 6-bis d.l. nr. 354 del 2003.
Si è già rilevato che tale figura si caratterizza non già come meramente vicaria del Presidente del Consiglio di Stato (per il che non vi sarebbe stato bisogno di innovare l’ordinamento, essendo già previsto lo svolgimento di tali funzioni da parte del più anziano tra i Presidenti di Sezione), sibbene come compartecipe del vertice dell’Ufficio, con espresse funzioni di collaborazione alla sua gestione e direzione; non si tratta, in altri termini, di un “primus inter pares” tra i Presidenti di Sezione, ma di figura subapicale, che almeno in parte condivide prerogative e attribuzioni del vertice dell’Ufficio.
Molti sono i dati che orientano verso tale conclusione: oltre ai rilievi logici già svolti (anche in ordine all’introduzione del nuovo posto in organico, in posizione distinta da quella dei Presidenti di Sezione e indipendentemente dalla vacanza di uno o più di essi), depongono in tal senso il dato positivo secondo cui il Presidente Aggiunto è nominato con d.P.R., e non con d.P.C.M. come i Presidenti di sezione, ma anche lo stesso elemento letterale, laddove l’uso dell’aggettivo “Aggiunto” individua chiaramente un assetto di co-gestione dell’Ufficio, e non il mero esercizio di funzioni vicarie (così come avviene, nell’ambito della magistratura ordinaria, per gli uffici requirenti, in cui il Procuratore della Repubblica è coadiuvato da “Procuratori Aggiunti” e non da “Vice Procuratori”).
Di conseguenza, non appare meritevole di censura la scelta del C.P.G.A. di valorizzare, ai fini dell’accesso alla nuova qualifica, i requisiti previsti dall’art. 22 l. nr. 186/82 per la nomina del Presidente del Consiglio di Stato, e quindi l’attitudine a ricoprire l’incarico direttivo, il pregresso esercizio di funzioni direttive per un determinato numero di anni etc.
A poco rileva la circostanza, su cui insiste parte appellante, che lo stesso C.P.G.A. nelle precedenti occasioni (e, segnatamente, in occasione delle nomine a Presidente Aggiunto del pres. Schinaia e del pres. Salvatore) non avesse fatto riferimento all’art. 22, limitandosi ad applicare il criterio dell’anzianità, così come sempre fatto per la nomina dei Presidenti di Sezione: ciò può voler dire solo che, fino alla procedura per cui è causa, il problema della necessità di una più analitica individuazione dei criteri per la selezione del Presidente Aggiunto (comunque destinato prima o poi a porsi, stante il silenzio del legislatore al riguardo) non era ancora balzato all’attenzione del C.P.G.A., essendovi sempre stata, nelle precedenti occasioni, coincidenza tra il più anziano e il più idoneo tra gli aspiranti.

6. Con ulteriore motivo di gravame, parte appellante lamenta l’erroneità della motivazione impugnata nella parte in cui, a fronte della censura incentrata sull’inapplicabilità al pres. de Lise del disposto ex art. 50 l. nr. 186/82, si afferma l’irrilevanza di tale disposizione ai fini della legittimazione dello stesso pres. de Lise.
Anche tale doglianza è infondata.
Ed invero, l’unico richiamo alla norma “de qua” rinvenibile negli atti impugnati si ritrova in un prospetto allegato al verbale del 9 maggio 2008 della IV Commissione del C.P.G.A., laddove, nel riportare l’elenco dei magistrati che avevano presentato domanda, accanto al nominativo del pres. de Lise si legge: “Presidente di sezione del Consiglio di Stato al T.A.R. Lazio (art. 50 l. nr. 186/82)”.
Ciò premesso, appare ultroneo l’approfondimento degli argomenti svolti da parte appellante circa il carattere temporaneo del ridetto art. 50 e la sua inapplicabilità nel caso di specie, emergendo dalla documentazione in atti che la legittimazione del pres. de Lise alla procedura in oggetto trova fondamento in tutt’altro ordine di rilievi.
In primo luogo, si è già visto come l’esercizio attuale delle funzioni di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, alla data dell’interpello, non poteva essere considerato requisito di legge per concorrere alla nomina a Presidente Aggiunto.
A ciò va aggiunto che la già evidenziata equiparazione, nell’ambito delle funzioni direttive della giurisdizione amministrativa, dei Presidenti di T.A.R. ai Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato non poteva che comportare, quale logica conseguenza, la pari possibilità di concorrere per l’incarico subapicale in oggetto.
Inoltre, nella specie il pres. de Lise risultava in possesso della qualifica di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, avendo esercitato le relative funzioni, fin da epoca ampiamente anteriore alla sua nomina a Presidente del T.A.R. del Lazio, precedendo l’odierno appellante per anzianità nel ruolo del Consiglio di Stato; è vero che, con l’assunzione dell’incarico di Presidente di T.A.R., egli era transitato nel ruolo dei Tribunali Amministrativi Regionali, ma ciò non poteva implicare – come vorrebbe parte appellante – una sorta di “azzeramento” della sua pregressa anzianità nel ruolo del Consiglio di Stato, che come detto lo vedeva comunque in posizione poziore.
Siffatta conclusione attribuirebbe all’assunzione di funzioni direttive presso i TT.AA.RR. un inspiegabile e ingiustificato effetto “degradante” nell’ambito delle funzioni direttive, in contrasto – a tacer d’altro – con l’evidenziata equiparazione ex artt. 14 e 15 l. nr. 186/82.
Dunque, indipendentemente dalla questione teorica del c.d. doppio “status” (e, cioè, se il Presidente di Sezione del Consiglio di Stato che assume le funzioni di Presidente di T.A.R. mantenga o meno la qualifica pregressa), è la stessa equiparazione normativa più volte richiamata a imporre che, nella valutazione comparativa da compiere ai fini del conferimento dell’incarico superiore, la pregressa anzianità dei candidati sia valutata considerando in maniera eguale e omogenea le funzioni direttive comunque svolte, indipendentemente dal fatto che ciò sia avvenuto nel ruolo dei TT.AA.RR. o in quello del Consiglio di Stato.

7. Miglior sorte non meritano le doglianze riformulate dall’appellante in ordine all’asserita violazione dell’obbligo di permanenza minima triennale nel posto di Presidente del T.A.R. del Lazio da parte del pres. de Lise, alla mancata formulazione di formale domanda di rientro nel ruolo del Consiglio di Stato, al mancato rispetto della disposizione che precludeva tale rientro prima del 1 gennaio 2009 ed alla carenza in organico di un posto vacante di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato.
7.1. Sotto il primo profilo, è dirimente il rilievo per cui l’art. 21, comma 6, della legge nr. 186 del 1982, che sancisce il predetto obbligo di permanenza triennale, non era applicabile nella specie.
Infatti, tale disposizione è inserita nell’ambito di una norma (rubricata “Nomina a presidente di sezione del Consiglio di Stato ed a presidente di tribunale amministrativo regionale”) che è testualmente riferita alla nomina a funzioni direttive – e, segnatamente, a quelle equiparate ex art. 14, nr. 2, della medesima legge nr. 186 – dei “consiglieri di Stato” e dei “consiglieri di tribunale amministrativo regionale”, e che dunque disciplina modalità e obblighi connessi al transito “verticale” alle predette funzioni direttive; non sembra che rientri nel perimetro della previsione, invece, l’ipotesi di spostamento “orizzontale” dalle funzioni di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato a quelle di Presidente di T.A.R. (e viceversa).
Tale conclusione, lungi dall’essere frutto di mero artificio ermeneutico, corrisponde a una ben precisa “intentio legis”, connessa all’esigenza di non porre eccessive limitazioni all’accesso alla carica di vertice di Presidente del Consiglio di Stato, che all’epoca dell’entrata in vigore della legge nr. 186 del 1982 era l’unica funzione sovraordinata a quelle direttive di cui all’art. 14, nr. 2: il fatto che analoga esclusione, oggi, si applichi anche alla nomina alla qualifica “intermedia” di Presidente Aggiunto potrebbe dipendere da un mero difetto di coordinamento in occasione della novella del 2003, ma anche da una ben precisa opzione normativa connessa al già evidenziato carattere “subapicale” della nuova figura introdotta nell’ordinamento della magistratura amministrativa.
In tale prospettiva, il richiamo del primo giudice alle omologhe norme vigenti nell’ambito della giustizia ordinaria (laddove gli obblighi di permanenza in sede per periodi determinati non si applicano in occasione dell’accesso agli incarichi direttivi) può valere più che altro come argomento logico “ad adiuvandum” dell’interpretazione qui proposta.
7.2. Del pari inapplicabile al caso che occupa è l’art. 9 del d.P.R. 21 aprile 1973, nr. 214, che nella prospettazione dell’appellante avrebbe precluso al pres. de Lise la possibilità di rientrare nei ruoli del Consiglio di Stato prima del 1 gennaio 2009, escludendolo quindi dalla procedura per cui è causa.
Tale norma, per quanto qui interessa, così testualmente recita: “Nei casi indicati nell’articolo 11 della legge i presidenti dei tribunali amministrativi regionali cessano dall’ufficio e riassumono le loro funzioni presso il Consiglio di Stato all’inizio dell’anno successivo al verificarsi delle condizioni prescritte”; la disposizione si ricollega all’art. 11 della legge nr. 1034 del 1971, il quale, sempre per quanto qui interessa, dispone: “I presidenti di sezione del Consiglio di Stato destinati a presiedere i tribunali amministrativi regionali cessano, a domanda, da tale destinazione, secondo l’ordine di anzianità, e riassumono le loro funzioni in seno al Consiglio di Stato, quando presso il Consiglio stesso si verificano vacanze nei posti di presidente di sezione” (comma II).
Pertanto, è evidente che trattasi di previsioni specificamente riferite alla vicenda dei Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato i quali, dopo essere stati destinati alla Presidenza di un T.A.R., rientrino nelle funzioni precedentemente esercitate, e non anche alla ben diversa ipotesi in cui essi accedano invece alla superiore qualifica di Presidente del Consiglio di Stato (e quindi, per quanto fin qui evidenziato, anche a quella di Presidente Aggiunto).
Anche in questo caso è evidente la “ratio” della diversa disciplina, dovendosi privilegiare rispetto alle esigenze organizzative, nel secondo caso, la necessità di evitare di lasciare sguarniti i vertici dell’Ufficio per un periodo di tempo troppo prolungato.
7.3. Quanto poi alla mancata presentazione da parte del pres. de Lise di una formale domanda di rientro nel ruolo del Consiglio di Stato, non può che convenirsi col primo giudice nel senso che tale domanda doveva considerarsi implicita nella domanda di assegnazione al posto di Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato.
È vero, come sostiene parte appellante, che la deliberazione del C.P.G.A. in ordine al rientro in ruolo, e la relativa valutazione di idoneità, sono qualcosa di logicamente e cronologicamente distinto dalla valutazione in ordine all’assegnazione all’incarico direttivo sovraordinato: tuttavia, tale valutazione di idoneità nella specie non può che essere ricompresa, siccome implicita, nel giudizio di idoneità del pres. de Lise a ricoprire un incarico di vertice nella medesima istituzione (essendo palesemente assurda, se non “di scuola”, l’ipotesi in cui un magistrato sia giudicato idoneo a ricoprire un incarico apicale nel Consiglio di Stato …ma non anche idoneo a psssare dal ruolo del T.A.R. a quello del Consiglio medesimo).
7.4. Infine, con riguardo alla carenza in organico, al momento dell’interpello, di un posto vacante di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato (ciò che, a dire dell’appellante, avrebbe precluso al pres. de Lise la partecipazione alla procedura), si è già osservato come l’irrilevanza di tale circostanza discenda dallo stesso impianto normativo, alla luce del quale quella del Presidente Aggiunto costituisce figura autonoma e distinta dai Presidenti di Sezione già in organico ed eventualmente in servizio.

8. Con l’ultimo motivo di appello, il pres. Ruoppolo reitera il quinto e il sesto dei motivi di ricorso articolati in primo grado, lamentando al riguardo una omessa pronuncia del T.A.R.: quest’ultimo, per vero, ha dichiarato in parte inammissibili le doglianze “de quibus”.
Anche tale motivo di impugnazione non merita accoglimento.
Ed invero, con riguardo ai pretesi vizi che inficerebbero il verbale della IV Commissione del 9 maggio 2008, si è già detto “sub” 5.4 della piena condivisibilità dell’orientamento espresso nel corso di tale seduta, nel senso dell’applicabilità alla procedura in oggetto dell’art. 22 l. nr. 186/82, quanto all’individuazione dei criteri per la nomina del Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato.
Pertanto, quand’anche il successivo verbale del 15 maggio 2008, nel quale la preferenza accordata al pres. de Lise fu motivata unicamente sulla base del criterio dell’anzianità, non avesse avuto l’effetto di “elidere” ogni incidenza delle valutazioni formulate nella seduta precedente e non fosse stato “ex se” idoneo e sufficiente a fondare la deliberazione plenaria di nomina dello stesso pres. de Lise (come assume la difesa erariale), in ogni caso non sarebbe ravvisabile alcun vizio di legittimità tale da invalidare la procedura per cui è causa.
Con riguardo, poi, alla questione delle “ricadute” che quanto verificatosi nella seduta del 9 maggio avrebbe avuto sul prosieguo della procedura, con particolare riferimento alla rinuncia del pres. Iannotta (la quale, a detta dell’appellante, costituirebbe fattore alterante dell’intero iter successivo, che non potrebbe essere pretermesso), trattasi di questione in ordine alla quale alcun interesse può riconoscersi in capo all’odierno appellante, il quale, essendo collocato – come già più volte sottolineato – in posizione posteriore per anzianità di ruolo rispetto al pres. de Lise, sarebbe stato in ogni caso destinato a soccombere nel confronto con quest’ultimo, quand’anche detto confronto fosse avvenuto, così come nelle precedenti occasioni, prescindendo totalmente dal richiamo al ridetto art. 22.
Infine, quanto al ritardo nella definizione della procedura, a dire dell’appellante violativo dell’art. 22, comma 3, l. nr. 186/82, è appena il caso di precisare che il termine di trenta giorni previsto da detta norma ha indubbiamente natura acceleratoria, essendo inteso a evitare il protrarsi eccessivo della scopertura dell’Ufficio, e pertanto non comporta illegittimità in caso di sua inosservanza; né merita positivo apprezzamento il rilievo di parte appellante secondo cui tale protrarsi dell’iter procedimentale avrebbe favorito il verificarsi di illegittimità.
Se, infatti, tali illegittimità sono quelle ipotizzate nei motivi di censura fin qui esaminati, se ne è già vista l’insussistenza; se, invece, ci si riferisce ai non meglio precisati “interna corporis” dell’Amministrazione cui si allude in vari passaggi del ricorso introduttivo del giudizio, trattasi di doglianza, ancorché allusiva, manifestamente generica e quindi inammissibile.

9. Sulla scorta del complesso degli argomenti fin qui sviluppati, si impone una pronuncia di reiezione dell’appello, con la conseguenziale conferma della sentenza impugnata.

10. La complessità e la novità delle questioni affrontate giustificano la compensazione integrale delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2009 con l’intervento dei Magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Giuseppe Romeo, Consigliere
Goffredo Zaccardi, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/09/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)





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