Giustizia Amministrativa - on line
 
Articoli e Note
n. 9-2009 - © copyright

 

ROBERTO CAPONIGRO

La giurisprudenza sui rapporti tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa


I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale sono disciplinati dal d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 l. 17 ottobre 2003, n. 280.
L’art. 1 - dopo avere premesso al primo comma che la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale - stabilisce al secondo comma che i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo.
In applicazione di tali principi, l’art. 2, co. 1, riserva all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:
- l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;
- i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.
In tali materie, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui agli artt. 15 e 16 d.lg. 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo.
L’art. 2 del decreto legge n. 220/2008 aveva esteso la riserva in favore dell’ordinamento sportivo anche alle questioni aventi ad oggetto “l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati” nonché “l’organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a programma illimitato e l’ammissione alle stesse delle squadre ed atleti”, ma tali fattispecie sono state soppresse dalla legge di conversione n. 280/2003.
L’art. 3, inoltre, dispone al primo comma, che, esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, assicurazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre al secondo comma attribuisce in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure cautelari, la competenza di primo grado al Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma, indicando che le relative questioni di competenza sono rilevabili d’ufficio.

*****



Per effetto del descritto corpus normativo, i rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale sono regolati in base al principio di autonomia, per cui la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela quando è controversa l’applicazione delle regole sportive, mentre la giurisdizione statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l’ordinamento generale, determinando la violazione di diritti soggettivi o di interessi legittimi[1].
Il fondamento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo può essere rinvenuto nelle norme costituzionali di cui all’art. 18 Cost., concernente la tutela della libertà associativa, e dell’art. 2 Cost., relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo[2].
Le controversie tecniche, ossia quelle derivanti dall’applicazione di regole tecnico-sportive, che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva ovvero la regolarità delle competizioni, sono riservate senz’altro alla giustizia sportiva, con conseguente esclusione del controllo giurisdizionale sui relativi atti.
Le controversie relative all’ammissione e all’affiliazione alle federazioni di società, associazioni sportive e singoli tesserati nonché i provvedimenti di ammissione ai campionati, invece, sono senz’altro attribuite alla giurisdizione amministrativa, tanto che la riserva all’ordinamento sportivo delle questioni aventi ad oggetto “l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati”, formulata dall’art. 2 del decreto legge n. 220/2008, è stata soppressa in sede di conversione in legge, trattandosi di provvedimenti di natura amministrativa in cui le Federazioni esercitano poteri di carattere pubblicistico in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI[3] [4].
La linea di confine tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa, peraltro, è rimasta spesso incerta, come dimostrano le divergenze interpretative che si riscontrano anche all’interno della stessa giurisdizione amministrativa[5].
Le difficoltà esegetiche riguardano soprattutto i provvedimenti aventi natura disciplinare nei confronti di atleti, associazioni e società sportive.
L’art. 2 del d.l. 220/2008, convertito in legge, con modificazioni dalla l. 280/2003 riserva, alla lett. b), “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” all’ordinamento sportivo; tuttavia il secondo comma dell’art. 1 nel sancire che i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, fa salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico statale di situazioni soggettive connesse con l’ordinamento sportivo.
La complessità interpretativa e le conseguenti difformità giurisprudenziali, quindi, traggono origine dalla esigenza di coniugare le due norme nella maniera più coerente con la voluntas legis ed il complessivo sistema normativo, anche di carattere costituzionale.
I giudici di primo grado[6] e di secondo grado[7], in relazione all’impugnazione dei provvedimenti con cui è stato disposto il transito di un arbitro di calcio inserito nel ruolo della Commissione Arbitri Nazionali (CAN) per le serie A e B nel ruolo degli arbitri fuori quadro, hanno declinato la giurisdizione evidenziando che l’inserimento del ricorrente nel ruolo degli arbitri fuori quadro, in dipendenza di un giudizio di “demerito tecnico” e senza perdita dello status di tesserato, rimane questione del tutto interna alla giustizia sportiva, che deve essere risolta con gli strumenti propri del relativo ordinamento. In proposito, è stato precisato che il provvedimento con cui l’arbitro già in forza al ruolo della CAN A e B sia collocato fuori quadro o applicato a dirigere il settore giovanile e scolastico ha indubbiamente portata afflittiva, sia che la “retrocessione” venga qualificata come sanzione sia che venga definita come effetto della riscontrata inidoneità tecnica; tuttavia, un tale effetto negativo, intrinseco a tutti i provvedimenti di cui all’art. 2 d.l. 220/2003, non vale, per ciò solo, a renderli rilevanti per l’ordinamento della Repubblica e, quindi, a fondare la giurisdizione statale, atteso che, al di là dell’afflizione connessa allo specifico status di membro della Federazione, occorre indagare se sussistono conseguenze incidenti su situazione giuridiche soggettive protette dall’ordinamento generale in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo.
Nel caso di specie, la giurisdizione del giudice statale è stata esclusa considerato che nessun rapporto di lavoro lega l’arbitro alla Federazione Italiana Giuoco Calcio, come reso evidente anche dalla qualificazione in termini di mera indennità del compenso ricevuto dall’arbitro per le prestazioni rese, che l’inserimento nei ruoli fuori quadro non ha comportato la cancellazione del tesseramento e che nessuna altra conseguenza giuridicamente apprezzabile avente ricaduta all’esterno dell’ordinamento sportivo è ravvisabile come effetto dei provvedimenti impugnati.
In sostanza, la carenza di giurisdizione statale è stata fatta derivare dalla assenza di rilevanza esterna all’ordinamento sportivo degli effetti dei provvedimenti impugnati, che si esauriscono all’interno dell’ordinamento di settore non avendo alcun riflesso nell’ordinamento generale il giudizio di scarsa capacità tecnica resa nei confronti dell’arbitro.
Analogamente, in una controversia instaurata da una società di basket per il riconoscimento della vittoria “a tavolino” in una gara del campionato di serie A in ragione dell’utilizzo irregolare di un atleta da parte della squadra antagonista, è stato dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione statale, trattandosi di una questione puramente tecnica da risolvere nell’ambito della giustizia sportiva. In altri termini, è stato precisato che stabilire se una squadra debba o meno vincere una partita “a tavolino”, indipendentemente dalle ragioni per le quali lo stravolgimento del risultato conseguito sul campo venga chiesto, così come stabilire se un giocatore debba essere ammonito o squalificato, rientra nella competenza inderogabile degli organi dell’ordinamento sportivo[8].
L’indirizzo giurisprudenziale, coerentemente con il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, quindi, esclude che alla violazione di regole strettamente attinenti al fenomeno sportivo possa conseguire una responsabilità verificabile dalla giurisdizione statale in quanto, trattandosi di interessi meramente settoriali, non si configurano situazioni giuridiche soggettive che, qualificabili come diritti soggettivi o interessi legittimi, siano rilevanti per l’ordinamento giuridico generale.
In altri termini, premesso che l’ordinamento sportivo, come insieme di regole che disciplinano lo sport in generale ovvero la singola disciplina sportiva, costituisce un ordinamento autonomo, le regole che garantiscono la correttezza e la regolarità delle competizioni hanno natura tecnico-sportiva e sono espressione dell’ordinamento autonomo e settoriale al quale appartengono, per cui l’osservanza delle stesse è garantita, attraverso l’accertamento dei competenti organi sportivi, dalle Federazioni che adottano determinazioni espressive di manifestazioni di giudizio di carattere tecnico-discrezionale-sportivo, con esclusione, salvo casi eccezionali, del coinvolgimento degli organi della giurisdizione statale[9].
Nell’interpretazione del principio introdotto dall’art. 2 del testo di legge in materia di giustizia sportiva, che riserva allo stesso ordinamento la disciplina delle questioni aventi ad oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, emergono, peraltro, alcune divergenze interpretative nell’ambito della giurisdizione amministrativa.
Il giudice di primo grado ha più volte sostenuto che detta disposizione - se letta unitamente all’art. 1, co. 2, dello stesso testo di legge, che, nel porre il principio di autonomia a base dei rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica, fa salvi “i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” – non opera nel caso in cui la sanzione non esaurisce la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma refluisce nell’ordinamento generale dello Stato, per cui ha affermato la giurisdizione amministrativa in controversie instaurate, ad esempio, da una società di calcio, da un arbitro e da un dirigente sportivo in relazione alle sanzioni inflitte dalla Corte Federale della FIGC per illecito sportivo per fatti connessi alla vicenda della c.d. calciopoli o dagli aventi diritto ad assistere alla partite casalinghe di una società di calcio in relazione alla squalifica del terreno di gioco[10].
La sussistenza della giurisdizione statale in caso di sanzioni che, avendo un’efficacia esterna, incidono su situazioni giuridiche soggettive del destinatario è stata ritenuta fondata su una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2 d.l. 220/2003.
In particolare, è stato evidenziato che costituisce principio ricorrente nella giurisprudenza del giudice delle leggi che, dinanzi ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un’aporia del sistema, prima di dubitare della legittimità costituzionale della norma occorre verificare la possibilità di darne un’interpretazione secondo Costituzione; la Corte costituzionale, con sentenza 30 novembre 2007 n. 403, ha chiarito che il giudice, specialmente in assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale, deve adottare, tra più possibili interpretazioni di una disposizione, quella idonea a fugare ogni dubbio di legittimità costituzionale, dovendo sollevare la questione dinanzi al giudice delle leggi solo quando la lettera della norma sia tale da precludere ogni possibilità ermeneutica idonea ad offrirne una lettura conforme a Costituzione. In linea di principio, quindi, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile dare di esse interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali[11].
Secondo la riferita giurisprudenza del giudice di primo grado, il legislatore del 2003 avrebbe voluto solo garantire il previo esperimento, nella materia della disciplina sportiva, di tutti i rimedi interni, senza peraltro elidere la possibilità, per le parti del rapporto, di adire il giudice statale se la sanzione applicata non esaurisce la sua rilevanza all’interno del solo ordinamento sportivo.
Nella fattispecie esaminata dalla richiamata sentenza del TAR Lazio n. 2472/2008, un dirigente sportivo aveva impugnato le sanzioni disciplinari, interdittive e patrimoniali, irrogategli dalla Commissione d’Appello Federale e dalla Corte Federale per illeciti commessi durante il campionato di calcio di serie A 2004/2005 ed il giudice ha ritenuto che le sanzioni in discorso assumono rilevanza anche al di fuori dell’ordinamento sportivo ove si considerino non soltanto i riflessi sul piano economico, atteso che il ricorrente potrebbe essere chiamato a rispondere, a titolo risarcitorio, sia alla Società di calcio quotata in borsa che ai singoli azionisti, ma anche e soprattutto il giudizio di disvalore che da detta sanzione discende sulla personalità del soggetto in tutti i rapporti sociali, per cui le sanzioni disciplinari sportive de quibus, ovviamente rilevanti per l’ordinamento sportivo, sono state ritenute incidenti anche su posizioni regolate dall’ordinamento generale, con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa esclusiva ai sensi dell’art. 3, co. 1, d.l. 220/2003, dovendosi altrimenti ritenere violato l’art. 24 Cost., secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.
Il giudice d’appello ha manifestato sull’argomento un orientamento diverso.
In particolare, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana[12], in un giudizio di appello proposto avverso una sentenza del TAR Catania[13] pronunciata su un ricorso proposto dagli abbonati di una società di calcio di seria A avverso la sanzione disciplinare della squalifica del campo con l’obbligo altresì di disputare a porte chiuse le rimanenti partite da giocare in casa, oltre ad un’ammenda di 50.000 euro poi ridotta a 20.000 euro, nel dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione, ha fatto presente che l’insussistenza della giurisdizione amministrativa, e al contempo di ogni altra giurisdizione, deriva dalla corretta esegesi degli artt. 1, 2 e 3 del d.l. 220/2003, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della l. 280/2003[14].
Lo Stato, ha argomentato il CGARS, ha dichiarato apertamente il proprio disinteresse per ogni questione concernente “l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale” in ogni sua articolazione, così come per ogni questione che concerna “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, sicché nessuna violazione di tali norme sportive può considerarsi di alcun rilievo per l’ordinamento giuridico dello Stato.
In sostanza, ogni controversia riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2 resta esclusa tanto dalla giurisdizione del giudice ordinario quanto da quella del giudice amministrativo, atteso che, in quanto riservate all’ordinamento sportivo, tali controversie sono, per definizioni di legge, prive di ogni rilievo per il diritto statale.
Pertanto, al fine di radicare o meno la giurisdizione statale, occorre verificare soltanto se la controversia riguardi o meno rapporti per i quali, ai sensi del richiamato art. 2, la rilevanza per l’ordinamento statale è esclusa, mentre nessun rilievo può essere attribuito a tali fini alle conseguenze ulteriori, anche se patrimonialmente significative, che possono indirettamente derivare da atti che la legge considera propri dell’ordinamento sportivo e a quest’ultimo riservati.
Il legislatore, sostiene il giudice d’appello siciliano, ha compiuto una scelta netta, nell’ovvia consapevolezza che l’applicazione di una norma regolamentare sportiva ovvero l’irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva hanno normalmente grandissimo rilievo patrimoniale indiretto e tale scelta l’interprete è tenuto ad applicare senza poter sovrapporre la propria “discrezionalità interpretativa” a quella legislativa esercitata dal Parlamento.
Secondo tale prospettazione, appare legittima la scelta del legislatore ordinario di stabilire che, quando un imprenditore decida di operare nel settore dello sport, resti interamente ed esclusivamente assoggettato alla disciplina interna dell’ordinamento sportivo, al quale la legge ha voluto riconoscere la più ampia autonomia, ma limitatamente ai due soli profili di cui alle lett. a) e b), dell’art. 2, co. 1, d.l. n. 220/2003.
Di talché, il CGARS ha ritenuto, da un lato, che il chiaro disposto normativo primario non sia possibile di alcuna diversa interpretazione essendo in esso espressamente stabilita l’irrilevanza per l’ordinamento statale di ogni applicazione di norme regolamentari o di sanzioni disciplinari sportive, quale che ne siano le relative conseguenze indirette, dall’altro, che esso non presenta neppure profili di sospetta illegittimità costituzionale, atteso che il legislatore costituzionale, nel disciplinare l’iniziativa economica privata, ne afferma, all’art. 41 Cost., la mera libertà.
In conclusione, rileva il CGARS nella pronuncia in discorso, l’art. 2 d.l. n. 220/2003 ha sostanzialmente qualificato come meri interessi, ossia interessi non tutelati né in sede giurisdizionale né in sede amministrativa, tutti quelli concernenti “l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale”, nonché l’esatta valutazione dei “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” e tale opzione rientra nell’esercizio, costituzionalmente legittimo, della discrezionalità del legislatore, che è tenuto ad assicurare piena tutela ai diritti soggettivi ed agli interessi legittimi, ma senza che gli sia in radice preclusa la scelta di quali tra le molteplici situazioni di interesse di fatto – che in sé non afferiscano direttamente a beni costituzionalmente intangibili, tra i quali non si ascrivono le conseguenze patrimoniali indirette delle attività sportive di qualsiasi livello – meritino di essere qualificate come diritti soggettivi o interessi legittimi.
Tra le due diverse opzioni ermeneutiche, il Consiglio di Stato[15], in un giudizio promosso da una società di calcio avverso una penalizzazione di punti nel campionato di serie B nonché per il risarcimento del danno, ha ritenuto la seconda, vale a dire quella del difetto assoluto di giurisdizione statale, più aderente alla formulazione letterale degli artt. 2 e 3 d.l. 220/2003, atteso che le norme, nel demandare in via esclusiva alla giustizia sportiva la materia disciplinare, non hanno operato alcuna distinzione in ordine alle conseguenze patrimoniali che le sanzioni disciplinari possono produrre e che, al momento dell’emanazione del testo di legge, il legislatore non poteva certo ignorare che l’applicazione del regolamento sportivo, sia da parte dell’arbitro nella singola gara che da parte del giudice sportivo di primo o di secondo grado, e l’irrogazione di sanzioni disciplinari quasi sempre producono conseguenze patrimoniali indirette di rilevantissima entità, ma a tali conseguenze non ha attribuito alcun rilievo ai fini della verifica di sussistenza della giurisdizione statale che, infatti, il legislatore ha radicato solo nei casi diversi da quelli, espressamente previsti come eccezione dall’art. 2, co. 1, d.l. 220/2003.
L’adesione a tale opzione interpretativa è stata accompagnata, peraltro, da alcune perplessità in ordine alla legittimità costituzionale della riserva a favore della “giustizia sportiva”, tanto che il giudice d’appello, nella citata decisione della Sesta Sezione n. 5782/2008, ha ritenuto non manifestamente infondati quei dubbi di costituzionalità che evocano un possibile contrasto con il principio della generale tutela statale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi (art. 24 Cost.), e con la previsione costituzionale che consente sempre l’impugnativa di atti e provvedimenti amministrativi dinanzi agli organi di giurisdizione amministrativa (artt. 103 e 113 Cost.), specificando però che la strada dell’interpretazione correttiva e costituzionalmente orientata finirebbe per tradursi, di fronte ad una norma dalla chiara ed univoca portata precettiva, in una operazione di disapplicazione della legge incostituzionale, preclusa al giudice amministrativo.
Nel caso affrontato dalla Sesta Sezione, la controversia è stata tuttavia decisa senza che sia stata sollevata la questione di costituzionalità delle norme contenute negli art. 2 e 3 d.l. 220/2003.
Il giudizio, infatti, non è stato più considerato come avente ad oggetto l’annullamento della sanzione disciplinare irrogata dalla Federazione alla Società di calcio ricorrente e delle decisioni degli organi di giustizia sportiva che hanno respinto i ricorsi della Società e ciò in quanto tali atti hanno prodotto medio tempore effetti irreversibili, per cui un’eventuale decisione di annullamento giurisdizionale non avrebbe potuto comunque restituire al ricorrente il “bene della vita” sperato, consistente nella permanenza nel campionato di calcio di serie B.
Il Consiglio di Stato ha conseguentemente ritenuto che, in tal caso, la legittimità degli atti impugnati viene in rilievo solo in via indiretta ed incidentale al fine di decidere sulla domanda risarcitoria, divenuta l’oggetto esclusivo del giudizio.
Di talché, ha rilevato, diversamente da quanto argomentato dal Consiglio di Giustizia per la Regione Siciliana nella richiamata decisione n. 10478/2008[16], che, rispetto alla domanda di risarcimento dei danni, non può essere sostenuto il difetto di giurisdizione invocando gli artt. 2 e 3 del d.l. 220/2003.
Ciò in quanto - premesso che la domanda risarcitoria non è proponibile innanzi agli organi della giustizia sportiva, ai quali si può chiedere solo l’annullamento della sanzione – l’esclusione della giurisdizione statale avrebbe la conseguenza di creare un vero e proprio vuoto di tutela in considerazione del fatto che i danni provocati dalle decisioni delle Federazioni sportive, o dalla Camera di conciliazione e di arbitrato del CONI, sarebbero irrisarcibili anche quando incidono su situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico generale, con conseguente deroga sostanziale, priva di ogni plausibile giustificazione e sprovvista di fondamento normativo espresso, all’applicazione dell’art. 2043 c.c.
Ai soli fini risarcitori, in sostanza, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto, nella richiamata sentenza, che sia possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, nel senso che laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il risarcimento del danno, deve essere proposta innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere; il giudice amministrativo potrebbe quindi conoscere, nonostante la riserva normativa a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale ed indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.

*****



Sulla base della descritta normativa dettata in materia di giustizia sportiva ed in ragione della richiamata giurisprudenza formatasi sull’applicazione delle norme che disciplinano i rapporti tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa, le questioni interpretative che si presentano maggiormente problematiche e sulle quali sussiste un orientamento giurisprudenziale non uniforme sono le seguenti:
- la sussistenza o meno della giurisdizione statale in materia di sanzioni disciplinari sportive, che postula la corretta esegesi del combinato disposto dell’art. 1, co. 2, e dell’art. 2, co. 1, d.l. 220/2003;
- la sussistenza o meno, nell’ipotesi di difetto assoluto della giurisdizione statale in materia di sanzioni disciplinari sportive, di profili di illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1, d.l. 220/2003;
- la sussistenza o meno, nell’ipotesi di difetto assoluto della giurisdizione statale in materia di sanzioni disciplinari sportive, della giurisdizione amministrativa sulla eventuale e conseguente richiesta di risarcimento dei danni.
Con riferimento alla prima questione, l’interpretazione sia letterale che sistematica delle norme, ad avviso di chi scrive, porta a ritenere che la giurisdizione statale, sub specie di giurisdizione amministrativa esclusiva[17], sussiste ogniqualvolta la sanzione disciplinare abbia effettivamente prodotto la lesione di una posizione qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo.
Sotto un primo profilo, infatti, occorre rilevare che l’art. 2, co. 1, d.l. 220/2003, riserva all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, in espressa “applicazione dei principi di cui all’articolo 1”, il cui secondo comma, nel sancire il principio di autonomia nei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento della Repubblica, fa salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo.
Ne consegue che, se la riserva in favore della giustizia sportiva costituisce applicazione del principio di autonomia sancito dall’art. 1, devono necessariamente essere fatti salvi i predetti casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico generale.
Le controversie disciplinari, quindi, non sono sempre riservate alla giustizia sportiva e sottratte alla giurisdizione amministrativa, ma solo nell’ipotesi in cui non siano coinvolte situazioni giuridiche soggettive rilevanti nell’ordinamento generale, vale a dire situazioni di interesse legittimo o diritto soggettivo.
Tale interpretazione trova conferma sotto un profilo sistematico in quanto consente di coniugare le previsioni normative senza alcuna possibile lesione dei principi e valori costituzionale e, in particolare, dell’art. 24 Cost., che garantisce la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.
Il punto centrale del problema, allora, si traduce nel verificare quando l’applicazione di una sanzione disciplinare sportiva determina la lesione di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo in modo da radicare la giurisdizione amministrativa.
Affinché la questione rimanga di esclusiva pertinenza degli organi della giustizia sportiva sembra plausibile richiedere che gli interessi coinvolti dagli atti contestati abbiano natura meramente settoriale, vale a dire siano presi in considerazione dalle specifiche norme di settore dell’ordinamento sportivo e non anche dalle norme dell’ordinamento generale, in modo da essere qualificati solo per l’ordinamento sportivo e non anche per l’ordinamento giuridico statale per il quale si configurano come interessi di fatto.
Tali interessi appaiono individuabili in quelli che hanno la loro fonte, vivono e si esauriscono nell’ambito dell’ordinamento di settore, inerendo strettamente allo svolgimento delle competizioni sportive ed all’organizzazione dell’ordinamento sportivo, con la conseguenza che le sanzioni disciplinari lesive di tali interessi sono destinate a produrre i loro effetti essenziali sui risultati sportivi o sull’organizzazione dell’ente che ha adottato l’atto.
Diversamente, devono ritenersi rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, con conseguente giurisdizione amministrativa, gli interessi coinvolti dagli atti che, prescindendo dallo svolgimento delle competizioni sportive e dall’organizzazione dell’ordinamento di settore, producono i loro effetti direttamente sul destinatario, sia esso persona fisica o giuridica.
Aderendo a tale opzione ermeneutica, le controversie afferenti alla richiesta attribuzione a tavolino della vittoria di una gara di campionato, al provvedimento che ha disposto il transito nel ruolo degli arbitri fuori quadro di un arbitro appartenente al ruolo della CAN A-B, alla squalifica del campo per una società di calcio o all’inibizione per un dirigente sportivo dai ranghi federali appartengono esclusivamente alla giustizia sportiva, con esclusione della giurisdizione statale, in quanto gli interessi coinvolti sono rilevanti solo per l’ordinamento sportivo, attenendo allo svolgimento delle competizioni sportive ed all’organizzazione del relativo ordinamento, con conseguente insussistenza di una posizione giuridica soggettiva rilevante per l’ordinamento nazionale.
Nel caso di sanzione pecuniaria, invece, appare logico ritenere che l’interesse coinvolto possa essere considerato rilevante per l’ordinamento giuridico statale, con conseguente ammissibilità del ricorso giurisdizionale, in quanto lo stesso ha la sua fonte e vive nell’ordinamento giuridico generale, sicché l’effetto diretto ed essenziale dell’atto prescinde dallo svolgimento delle competizioni sportive e dall’organizzazione dell’ordinamento settoriale incidendo soltanto sul destinatario, il cui interesse sostanziale, oltre che differenziato, deve essere ritenuto qualificato dall’ordinamento giuridico generale, con emersione di una situazione giuridica soggettiva rilevante per tale ordinamento[18].
Gli interessi ad ottenere il maggiore punteggio possibile in un campionato, ad essere inserito nel ruolo degli arbitri effettivi di una determinata categoria, a poter disputare le gare di campionato sul proprio terreno di gioco, a poter rivestire la qualifica dirigenziale di una Società sportiva, infatti, in tanto esistono, potendo comportare anche benefici di carattere economico, in quanto esiste un ordinamento sportivo che li contempla, al di fuori del quale non hanno alcun senso e sono di conseguenza irrilevanti, mentre l’interesse a non subire una sanzione pecuniaria per mantenere integro il patrimonio esiste a prescindere dall’ordinamento sportivo, essendo ad esso connesso solo in quanto la violazione causa della sanzione riguarda norme previste dall’ordinamento sportivo, ed è pertanto rilevante per l’ordinamento giuridico generale.
In altri termini, l’interesse che rileva per il solo ordinamento sportivo è quello che esiste in quanto esiste l’ordinamento di settore in cui ha la sua fonte, vive e si esaurisce e la circostanza che tale interesse sostanziale possa essere produttivo di benefici economici per il suo titolare non fa venire meno la totale dipendenza dello stesso dall’ordinamento sportivo, in assenza del quale non avrebbe alcuna ragione di essere ed al di fuori del quale, quindi, non assume rilievo, mentre l’interesse rilevante per l’ordinamento generale è quello che, sia pure connesso con l’ordinamento sportivo, esiste indipendentemente da quest’ultimo.
Seguendo la descritta traiettoria argomentativa, la questione dei possibili profili di illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1, d.l. 220/2003 perde consistenza, atteso che, ove sia effettivamente sussistente la lesione di una posizione giuridica rilevante per l’ordinamento generale, la giurisdizione statale non può essere esclusa, mentre la riserva a favore degli organi di giustizia sportiva postula che l’interesse dedotto nel giudizio abbia rilievo per l’ordinamento di settore e non anche per l’ordinamento giuridico generale.
L’illegittimità costituzionale della norma, insomma, non sembra ipotizzabile escludendosi in radice la possibile lesione degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in quanto, si ribadisce, il problema centrale è quello della individuazione di un’eventuale situazione di diritto soggettivo o interesse legittimo lesa dall’azione dell’Ente, situazione che, ove esistente, consente il radicamento della giurisdizione statale.
Con riferimento alla terza questione posta, ad avviso di chi scrive, non può ritenersi ammissibile la giurisdizione amministrativa sulla domanda di risarcimento dei danni prodotti dagli atti impugnati, ove sia stata dichiarata l’inammissibilità della domanda di annullamento degli atti per difetto assoluto della giurisdizione statale.
La tesi secondo cui, in relazione alla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno subito da una società in conseguenza delle decisioni adottate da una Federazione sportiva o dagli organi della giustizia sportiva, non può essere sostenuto il difetto di giurisdizione invocando gli artt. 2 e 3 del d.l. 220/2003, non sembra condivisibile in quanto, ai sensi dell’art. 7, co. 3, l. 1034/1971, il giudice amministrativo conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno “nell’ambito della sua giurisdizione”, sicché, ove sussista il difetto di giurisdizione sulla domanda di annullamento, non rientrando la fattispecie nella giurisdizione amministrativa, non può conoscere nemmeno della conseguente domanda risarcitoria.
Viceversa, deve ritenersi sussistente la giurisdizione statale sull’eventuale domanda risarcitoria ogniqualvolta il danno abbia la sua fonte in atti che abbiano inciso su situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico generale, sulle quali, quindi, sussiste comunque la giurisdizione statale.
In conclusione, non sembra possibile aderire alla prospettazione secondo cui il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale ed indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.
Nell’ipotesi in cui gli atti impugnati incidono su situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela secondo l’ordinamento generale, infatti, la giurisdizione statale sulla richiesta di risarcimento sussiste in quanto sussiste la giurisdizione statale sulla domanda di annullamento degli atti fonte del danno, mentre se gli atti incidono su interessi meramente settoriali, con conseguente riserva a favore degli organi della giustizia sportiva ed esclusione della giurisdizione statale, la domanda risarcitoria al giudice amministrativo è inammissibile in quanto la fattispecie causativa del danno esula dalla sua giurisdizione, sicché non può trovare applicazione la previsione di cui all’art. 7, co. 3, l. 1034/1971.

 

----------

 

[1] ex multis: Cons. Stato, VI, 17 aprile 2009, n. 2333; Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782; T.A.R. Lazio, III ter, 19 marzo 2008. n. 2472.
[2] L. Marzano, Tecniche di rilevazione della questione di giurisdizione nelle controversie sportive: neutralità degli effetti mediati e indiretti del provvedimento sanzionatorio. Cons. Stato, sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2333 in www.giustizia-amministrativa.it, settembre 2009.
[3] Cfr. Cons. Stato, VI, 17 aprile 2009, n. 2333.
[4] La giurisprudenza ha chiarito che le federazioni sportive, pur sorgendo come soggetti privati (associazioni non riconosciute), in presenza di determinati presupposti assumono la qualifica di organi del CONI e partecipano alla natura pubblica di questo; in particolare, l’elemento discriminante per individuare il limite tra le due funzioni svolte dalle federazioni è quello della natura dell’attività, atteso che, in caso di applicazione di norme che attengono alla vita interna della federazione ed ai rapporti tra società sportive e tra le società stesse e gli atleti, le federazioni operano come associazioni di diritto privato, mentre, quando l’attività è finalizzata alla realizzazione di interessi fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva, devono essere considerate organi del CONI (ex multis: Cons. Stato, VI, 10 settembre 2007, n. 4743; T.A.R. Lazio, I, 30 marzo 2009, n. 3305).
[5] Cfr. Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782.
[6] T.A.R. Lazio, III ter, 5 novembre 2007, n. 10911.
[7] Cons. Stato, VI, 17 aprile 2009, n. 2333.
[8] T.A.R. Lazio, III ter, 2 luglio 2008, n. 6352.
[9]G. Bacosi, Ordinamento sportivo e giurisdizione: considerazioni generali in www.giustizia-amministrativa.it, settembre 2008.
[10] Cfr. T.A.R. Lazio, III ter, 19 marzo 2008, n. 2472; T.A.R. Lazio, III ter, 21 giugno 2008, n. 5645; ord. T.A.R. Lazio, III, ter, 12 aprile 2007, n. 1664.
[11] ex multis: TAR Lazio, III ter, 19 marzo 2008, n. 2472.
[12] Cons. Giust. Reg. Sic., 8 novembre 2007, n. 1048.
[13] T.A.R. Sicilia, Catania, IV, 19 aprile 2007, n. 679.
[14] Nella fattispecie concreta, la giurisdizione amministrativa era stata affermata anche da ord. T.A.R. Lazio, III ter, 12 aprile 2007, n. 1664.
[15] Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5782.
[16] In tale decisione, il CGARS ha fatto presente che l’inammissibilità delle domande risarcitorie consegue anche al fatto che le stesse sono state concretamente formulate come consequenziali e complementari rispetto all’illegittimità degli atti impugnati, sicchè il difetto di giurisdizione sugli atti interni all’ordinamento sportivo preclude la cognizione anche sulle domande risarcitorie.
[17] La giurisdizione del giudice ordinario, per espressa previsione dell’art. 3, co. 1, d.l. 220/2003, resta ferma solo per i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti.
[18] Sui concetti di differenziazione e di qualificazione nell’interesse legittimo sia consentito rinviare a R.Caponigro, La pregiudiziale amministrativa tra l’essenza dell’interesse legittimo e l’esigenza di tempestività del giudizio, in www.giustizia-amministrativa, ottobre 2007.

 

(pubblicato il 23.9.2009)

Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico Stampa il documento