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n. 9-2009 - © copyright |
ALFONSO CELOTTO
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L’ansia riformatrice, il Gattopardo e il nuovo art. 29 della legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge n. 69 del 2009 (*)
(*) Scritto destinato alla pubblicazione in R. GAROFOLI, LA NUOVA DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO E DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO, Commento organico alla Legge 18 giugno 2009, n. 69, Nel diritto editore, 2009
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Sommario:
1. Generalità.
2. Testo originario e novella del 2005.
3. La modifica del 2009: a) il nuovo primo comma.
4. [segue] b) i nuovi commi aggiunti.
5. Considerazioni sistematiche.
1. Generalità.
Le regole di buona legislazione consigliano norme che durino nel tempo, per buone o cattive che siano. In fondo le norme, mi si consenta una metafora irriverente, sono come le scarpe: all’inizio vanno strette, poi, con il tempo, ci si abitua a portarle e diventano comode.
La metafora, portata sul piano legislativo, ci ricorda che le norme debbono restare in vigore per un certo tempo, in quanto soltanto con un certo numero di anni di vigenza l’ordinamento e i cittadini si adattano alla loro applicazione. Ne discende che, in linea di massima, le riforme troppo frequenti sono comunque dannose, in quanto costringono a modificare comportamenti, abitudini, prassi, circolari, prima ancora che sia dato il tempo di abituarsi alla nuova norma.
In quest’ottica è facile condannare la tecnica normativa di questi ultimi anni, troppo spesso portata a modificare molto di frequente le regole, in una spasmodica ansia riformatrice.
Non va esente da questo rilievo la legge n. 241 del 1990, fatta oggetto di numerose e ponderose modifiche in meno di vent’anni di vigenza. Anche se questa considerazione di carattere generale – almeno a prima vista - va attenuata rispetto alla nuova formulazione dell’art. 29, qui in commento, in quanto la disposizione introdotta nel 2005 è stata fatta oggetto di numerose e severe critiche, mentre la modifica del 2009 appare molto più chiara e precisa.
2. Testo originario e novella del 2005.
Per comprendere adeguatamente la portata delle modifiche ora introdotte, occorre partire dal 1990.
Nel testo originario, l’art. 29 della legge n. 241 del 1990[1], relativamente all’applicazione alle regioni, si limitava a definire “principi generali dell'ordinamento giuridico le materie disciplinate dalla medesima legge” e ne sanciva la diretta operatività “nei riguardi delle regioni fino a quando esse non avranno legiferato in materia”.
Si trattava di una disposizione classica nell’impostazione precedente alla riforma costituzionale del Titolo V. Le norme statali di carattere generale venivano qualificate come principi a cui la legislazione regionale doveva conformarsi e assumevano la funzione di norme suppletive fino a quando le regioni non avrebbero adottato regole specifiche. Non a caso, il Consiglio di stato, aveva specificato che la legge n. 241 reca “direttive e principi di carattere fondamentale per l’ordinamento giuridico nel suo complesso”[2].
Nel 2005, si è modificata l’impostazione dell’art. 29 per (cercare di) renderlo coerente con il nuovo modello regionalista dettato dalla modifica costituzionale del 2001[3].
Sappiamo che il modello quasi-federale dettato dalla riforma costituzionale del 2001 non reca linee immediatamente intelligibili quanto ai rapporti fra normazione statale e normazione regionale.
In linea di principio, la rivoluzione copernicana nella distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regioni, ha capovolto il criterio di attribuzione delle materie. La competenza normativa generale spetta (rectius spetterebbe) alle Regioni, con specifica individuazione degli ambiti di competenza statale (esclusiva e concorrente).
Tuttavia, anche in ragione della “incompiutezza” degli elenchi di competenza statale e della diversa capacità delle diverse Regioni nel produrre norme, la Corte costituzionale – a fronte di un possibile approccio statico ed oggettivo - ha privilegiato una interpretazione funzionale e teleologica delle “tabelle competenziali” statali, che ha reso – potremmo dire – “dinamico” il riparto delle competenze, mediante alcuni meccanismi interpretativi, come:
- le materie “trasversali” – o anche “materie non materie”, o “materie-funzioni” – che indicano gli ambiti in cui sono “raccolti ed intrecciati tra loro interessi molteplici che mettono capo a competenze differenziate, distribuite tra enti locali, Regioni e Stato”[4];
- la “chiamata in sussidiarietà”, che facendo leva su esigenze unitarie giustifica competenze statali che non trovano alcun titolo nell’art. 117 Cost.[5];
- la pervasività dei principi fondamentali, attraverso i quali si restringono non di poco gli spazi di competenza regionale concorrente[6];
- l’applicazione del criterio della prevalenza per materie con concorrenza di competenze[7];
- la segmentazione (o scomposizione) degli ambiti materiali, così da ricondurre gli oggetti a più materie.
Ne è emerso un quadro complesso e talora confuso, basato su un approccio dinamico e casistico, in cui la giurisprudenza della Corte costituzionale che è venuta ad assumere un ruolo fondamentale sul riparto di competenza, di carattere arbitrale, anche in ragione dell’assenza del Senato federale.
Questa incertezza ha contagiato anche il legislatore statale che è spesso intervenuto con norme che non hanno certo contribuito a porre chiarezza.
E’ proprio il caso della modifica apportata nel 2005 all’art. 29 della legge n. 241.
Si disponeva che la legge n. 241 si applica “ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali” e, “per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche”.
Dal loro canto, le “Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge”.
La dottrina ha severamente criticato questa disposizione, ritenendola in parte “superflua” e in parte “di difficile applicazione”[8].
Superflua, in quanto le prime tre specificazioni erano ricavabili direttamente dall’art. 117 Cost e, quindi, sarebbero state applicabili anche a prescindere da una loro esplicitazione.
Infatti: a) la applicabilità “ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali” discende dall’art. 117, 2° comma, lett. g), secondo cui è riservata alla competenza esclusiva dello Stato, la materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”;
b) la applicabilità, “per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche” scaturisce dall’art. 117, 2° comma, lett. l), secondo cui è riservata alla competenza esclusiva dello Stato la materia “giustizia amministrativa”;
c) la potestà delle regioni e degli enti locali di regolare “le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale” riprende il limite di cui all’art. 117, 1° comma, Cost, secondo cui “La potestà legislativa è esercitata … dalle Regioni nel rispetto della Costituzione”.
Molto problematica e di difficile applicazione era invece l’ulteriore specificazione, secondo cui le regioni e gli enti locali, nel regolare le materie disciplinate dalla legge n. 241, debbono anche rispettare le “garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge”.
Il richiamo ai “principi” stabiliti dalla presente legge poteva far pensare che ci trovassimo di fronte ad una legge che dettava principi fondamentali della materia nell’impianto della competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117, 3° comma, Cost.
Si trattava, tuttavia, di un’indicazione erronea, in quanto la materia del procedimento amministrativo era del tutto inconferente rispetto all’impianto della legislazione a competenza concorrente.
A quel punto, si sono battute diverse vie per ricondurre a razionalità questa disposizione di difficile lettura. Del resto, sappiamo che l’interprete – in base all’argomento apagogico[9] - deve tendere ad escludere le interpretazioni assurde delle norme, cioè le interpretazioni irragionevoli che non rendono applicabili le norme stesse, per cui occorre ricorrere all’argomento sistematico, ove quello letterale non sia sufficiente. Rispetto all’art. 29 come novellato nel 2005, quindi[10]:
• si è proposto di ritenere del tutto incostituzionale l’impianto del secondo comma dell’art. 29, in quanto pretendeva illegittimamente di imporre principi alle Regioni in materie di competenza esclusiva regionale;
• si è cercato di legittimare la potestà dello Stato, mediante il ricorso a titoli di competenza esclusiva, soprattutto con riferimento alla lett. m) del 2° comma dell’art. 117 Cost, relativa alla competenza esclusiva statale circa la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Ma questa impostazione ha dovuto scontare due ulteriori difficoltà: da un lato giustificare la vincolatività soltanto di principi in un ambito di competenza esclusiva statale[11]; dall’altro, individuare quali delle norme della legge 241 costituiscano principi[12];
• si è tentato di riportare la competenza statale al limite costituzionale di cui al 1° comma dell’art. 117 Cost., per ancorarsi ai principi dell’art. 97 Cost., senza tuttavia riuscire a superare la difficoltà di individuare comunque quali delle disposizioni della legge n. 241 costituiscano principi.
Soltanto la Corte costituzionale avrebbe potuto fornire un autorevole chiarimento circa l’operatività di questo limite.
Tuttavia, il giudice delle leggi non si è ancora pronunciato al riguardo, pur avendo sfiorato il punto. Nella sentenza n. 401 del 2007, relativa all’impugnazione del Codice degli appalti da parte delle Regioni, la Corte ha anche affrontato la censura secondo la quale le procedure di affidamento sono dei veri e propri procedimenti amministrativi, come tali soggetti al riparto competenziale di cui all’art. 29, 2° comma. In tale occasione, non ha tuttavia offerto utili elementi circa la esatta portata dell’art. 29, 2° comma[13].
3. La modifica del 2009: a) il nuovo primo comma.
Era auspicabile un chiarimento legislativo e un chiarimento c’è stato.
L’art. 10 della legge 18 giugno 2009, n. 69, interviene sull’art. 9 della legge n. 241, da un lato novellando il primo comma, dall’altro aggiungendo quattro nuovi commi al secondo comma.
Il nuovo primo comma recita:
“Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. Le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche”.
Si tratta di tre specificazioni sull’ambito di applicazione della legge:
a) in via generale, si ribadisce che la disciplina statale sul procedimento amministrativo – potremmo dire, ovviamente – si applica “alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali”. La finalità è chiara, anche se lascia sul campo due perplessità. In primo luogo, sappiamo tutti quanto sia complessa e confusa la materia degli enti pubblici. Sono oltre cinquant’anni che si cerca un riordino e una razionalizzazione (a partire dalla legge n. 1404 del 1956), senza essere ancora riusciti a venirne a capo. La perplessità riguarda, nello specifico, i sintagmi utilizzati per chiarire la applicabilità della legge n. 241 all’ambito degli enti statali: voglio dire che né “amministrazioni statali” né “enti pubblici nazionali” costituiscono categorie univoche e definite. Lo desumiamo agevolmente dalla mancanza di questi due sintagmi in quello che è oggi l’elenco per eccellenza delle pubbliche amministrazioni, cioè l’elenco annualmente compilato dall’ISTAT delle “amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311”[14]: in esso, infatti, si utilizza la dizione “Amministrazioni centrali”, per individuare le amministrazioni che fanno capo allo Stato. Ad ogni modo, anche se possiamo ritenere che si tratti solo di una imprecisione terminologica, resta comunque l’incertezza su quali siano, puntualmente, le amministrazioni a cui si vuole riferire il primo comma, primo periodo, dell’art. 29, non essendovi alcun elenco tassativo che indica quali siano “amministrazioni statali” né “enti pubblici nazionali”.
In secondo luogo, su un piano più generale, questo riferimento, per quanto non del tutto congruo, comporta un rilievo di tecnica normativa: ma è davvero utile chiarire, nelle leggi, nozioni in sé ovvie? Nessuno potrebbe mai negare che la legge statale sul procedimento amministrativo si applichi alle amministrazioni statali, anche se non ci fosse il primo periodo del primo comma dell’art. 29. Ma allora, perché le leggi si ostinano a ribadire nozioni già ovvie? La problematica è nota alla teoria generale e alla filosofia del diritto come “ridondanza giuridica”. Alcuni ritengono comunque utile la “ridonanza giuridica”, rispondendo essa alla ragione positiva “di sottolineare una particolare opinione o ... soddisfare un'esigenza generale (a vantaggio specialmente del lettore inesperto)”, per cui si reputa “necessario ribadire sotto un solo contesto alcune cose che altrimenti avrebbero trovato posto altrove”[15]. Altri, invece appaiono più severi sulle disposizioni che ribadiscono nozioni già ovvie, ritenendo che costituisca un difetto “non troppo grave: il fatto che vi siano norme ridondanti non impedisce che il sistema giuridico funzioni”, anche se “rende più difficile maneggiare il sistema stesso”[16].
b) Il secondo periodo del primo comma chiarisce che la legge sul procedimento si applica altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. Questa specificazione segue un orientamento già avviato con la novella del 2005 alla legge n. 241. In quella occasione era stato introdotto all’art. 1, un comma 1-ter, per specificare che i “soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative” sono tenuti ad assicurare il rispetto dei princìpi generali della legge stessa. La attuale aggiunta conferma questa tendenza, tesa a configurare sempre di più la 241 quale norma generale sull’azione amministrativa, in tutti i rami dell’ordinamento.
c) Il terzo periodo segue la medesima linea e rappresenta una specificazione importante, in quanto chiarisce che si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche “le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis”.
Si tratta di una sforzo ammirevole, in quanto – nell’ottica della riforma costituzionale del 2001 – conferma l’esistenza di esigenze unitarie, secondo le quali l’azione amministrativa deve avere comunque regole comuni su tutto il territorio nazionale. Il legislatore del 2009, tuttavia, non si ferma ad una generica affermazione di principio come aveva fatto il legislatore del 2005[17], ma individua specificamente quali disposizioni sull’azione amministrativa debbono essere applicate a tutte le amministrazioni pubbliche.
Le disposizioni che vengono ritenute soggette a questa esigenza di unitarietà sono:
- l’art. 2-bis, concernente le conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento (introdotto dalla medesima novella del 2009);
- l’art. 11, sugli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento;
- l’art. 15, relativo agli accordi fra pubbliche amministrazioni;
- l’art. 25, commi 5, 5-bis e 6, che disciplinano le modalità di ricorso al giudice amministrativo contro le determinazioni concernenti il diritto di accesso;
- il capo IV-bis (artt. da 21-bis a 21-novies), relativo all’efficacia, alle ipotesi di invalidità del provvedimento amministrativo e agli istituti della revoca e del recesso.
Nessun commentatore potrà contestare la scelta di coerenza del legislatore di novella, teso ad individuare puntualmente quali siano le disposizioni sull’azione amministrativa che si applicano necessariamente a tutte le amministrazioni pubbliche. Non mancheranno polemiche e contestazioni sulla mancanza in tale elenco di ulteriori disposizione della legge n. 241. Ad ogni modo, la scelta di superare la vaghezza adottata nel 2005 non può che essere fatta oggetto di plauso.
Va altresì notato che viene meno il riferimento alla giustizia amministrativa, invece previsto nel testo del 2005. Sappiamo che l’art. 117, 2° comma, lett. l), Cost., affida la “giustizia amministrativa” alla competenza legislativa esclusiva allo Stato, per cui - comunque - non ci possono essere dubbi circa la applicabilità a tutte le amministrazioni pubbliche delle disposizioni fissate dallo Stato in tema di giustizia amministrativa.
4. [segue] b) i nuovi commi aggiunti.
L’ambito di incidenza della legge n. 241 sulle Regioni e gli enti locali non è tuttavia limitato alla specificazione dell’ultimo periodo del primo comma del nuovo art. 29.
Il legislatore di novella non ha modificato il secondo comma dell’art. 29, come introdotto nel 2005. Per cui resta fermo che Regioni ed enti locali possono regolare in modo autonomo la propria azione amministrativa, fermo restando “il rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti nella L. 241/1990”.
Delle perplessità che hanno accompagnato questo comma abbiamo già detto. Il legislatore del 2009, tuttavia, aggiungendo quattro ulteriori commi, fornisce utili elementi per chiarire in quali parti Regioni ed enti locali debbano rispettare i principi della legge n. 241.
A tal fine il legislatore utilizza la categoria dei livelli essenziali delle prestazioni, la cui disciplina è affidata dalla Costituzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, co. 2°, lett. m, Cost.), e pertanto sono vincolanti anche per le Regioni e gli enti locali. Si tratta di una tecnica già utilizzata dal legislatore del 2005 per il diritto di accesso e che aveva destato non pochi imbarazzi nei commentatori di quella riforma, in quanto appariva davvero poco spiegabile che il legislatore avesse voluto utilizzare la categoria dei livelli essenziali delle prestazioni per il diritto di accesso e non anche in sede di definizione generale degli ambiti di applicabilità della legge n. 241 a Regioni ed enti locali.
Ora, il comma 2-bis ritiene che attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della legge n. 241 relative agli obblighi per la pubblica amministrazione di:
- garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento;
- individuarne un responsabile;
- concluderlo entro il termine prefissato;
- assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa;
- garantire la durata massima dei procedimenti.
La medesima tecnica è utilizzata anche dal comma 3-bis che individua un altro gruppo di disposizioni della legge anch’esse ritenute indispensabili per garantire i livelli essenziali delle prestazioni, la cui applicazione può essere però oggetto di intesa tra Stato e Regioni. Si tratta:
- della dichiarazione di inizio attività;
- del silenzio assenso.
Per queste due viene espressamente fatta salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano a livello locale.
Il nuovo comma 2-quater ribadisce che le Regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela. In tal modo si chiarisce che i livelli previsti dalla legislazione statale rappresentano livelli minimi, nel senso che le deroghe regionali possono essere soltanto in bonam partem verso i cittadini.
Infine, il nuovo comma 2-quinquies contiene la consueta clausola di applicazione delle norme alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, le quali adeguano la propria legislazione secondo i rispettivi statuti.
5. Considerazioni sistematiche.
A livello sistematico, va spesa qualche considerazione circa il novero delle norme sull’azione amministrativa che il legislatore del 2009 indica quali vincolanti anche oltre l’ambito delle amministrazioni statali.
Abbiamo già segnalato positivamente lo sforzo sistematico, teso ad individuare puntualmente quali siano le norme vincolanti in via generale, a differenza di quanto avvenuto nel 2005.
Il legislatore utilizza una doppia tecnica. Da un lato indica norme direttamente applicabili a tutte le amministrazioni pubbliche; dall’altro individua le norme qualificabili quali livelli essenziali delle prestazioni (c.d. LEP), ai fini dell’applicabilità diretta anche da parte di Regioni ed enti locali (costituisce solo un dettaglio, la sottospecificazione che alcune di esse sono derogabili con intesa in Conferenza unificata).
E’ interessante notare che, ripercorrendo l’intero impianto della legge n. 241 del 1990, si desume agevolmente come gran parte delle disposizioni siano vincolanti anche oltre l’ambito strettamente statale, a conferma dell’assunto che la legge del 1990 reca i principi generali sull’azione amministrativa.
Nello specifico, vanno annoverati nell’ambito di questa vincolatività estesa:
• l’art. 2 “Conclusione del procedimento”, che rientra tra i LEP ai sensi del comma 2-bis del nuovo art. 29;
• l’art. 2-bis “Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”, che viene dichiarato applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche in base al comma 1 del nuovo art. 29;
• il Capo II (artt. 4 - 6) sul Responsabile del procedimento, che rientra tra i LEP ai sensi del comma 2-bis;
• così come il Capo III (artt. 7 – 15) sulla Partecipazione al procedimento amministrativo, anche se – a fortiori - l’art. 11 “Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento” e l’art. 15 “Accordi fra pubbliche amministrazioni” vengono dichiarati applicabili a tutte le amministrazioni pubbliche dal comma 1;
• l’art. 19. “Dichiarazione di inizio attività”, che rientra tra i LEP ai sensi del comma 2-ter, con facoltà di deroga mediante intesa in Conferenza;
• così come l’art. 20 “Silenzio assenso” a cui si collega strettamente anche l’art. 21 (“Disposizioni sanzionatorie”);
• il Capo IV-bis (artt. 21-bis – 21-nonies) su Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso, che viene dichiarato applicabile a tutte le amministrazioni pubbliche in base al comma 1;
• il Capo V (artt. 22 – 28) sull’Accesso ai documenti amministrativi, che viene fatto rientrare tra i LEP dal comma 2-bis e, a fortiori, i commi 5, 5-bis e 6 dell’art. 25, che sono esplicitamente individuati quali applicabili a tutte le amministrazioni pubbliche dal comma 1.
Allora, cosa è sottratto alla diretta applicabilità anche a Regioni ed enti locali? Davvero poco, a ben vedere. Anche perché occorre tener conto del 2° comma dell’art. 29 che impone a Regioni ed enti locali di regolare “le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa”.
A rigore, potrebbero essere disattesi l’art. 1 sui “Principi generali dell'attività amministrativa” e l’art. 3 sulla “Motivazione del provvedimento”, ma sembra davvero bizzarro ritenere che Regioni ed enti locali possano sottrarsi all’applicazione di regole così generali, peraltro discendenti da principi costituzionali e - per quel che riguarda la motivazione - incidenti in un settore di competenza esclusiva dello Stato come la giustizia amministrativa (art. 117, 2° comma, lett. l, Cost).
Sicuramente derogabile dalle Regioni e dagli enti locali è l’art. 3-bis “Uso della telematica”, che peraltro, anche nella struttura morfologica si configura come una direttiva.
Non viene espressamente qualificato come vincolante il sistema delle conferenze di servizi, previsto nel capo IV “Semplificazione dell'azione amministrativa” (artt. 14 – 14-quinquies). Ma è difficile dubitare che i principi di semplificazione non siano eludibili dal sistema degli enti locali.
Stesse considerazioni valgono per l’art. 16 “Attività consultiva” e per l’art. 17 “Valutazioni tecniche” che comunque recano principi di garanzia anche per i cittadini interessati.
Restano, ancora, l’art. 18 “Autocertificazione” e l’art. 30 “Atti di notorietà”. Anche rispetto a tali modalità operative sussistono garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, per cui gli spazi di derogabilità appaiono limitati.
Certo, la tecnica legislativa utilizzata dal legislatore del 2009 è assolutamente preferibile rispetto a quella del legislatore del 2005. Va tuttavia notato che gli effetti pratici non sono molto dissimili, in quanto gli spazi di intervento a favore della competenza delle Regioni e degli enti locali appaiono comunque molto limitati.
Al fondo, l’esame di questa riforma dell’art. 29 della legge n. 241 del 1990 fa comunque riecheggiare la mitica frase gattopardesca: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!”
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[1] “1. Le regioni a statuto ordinario regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto dei principi desumibili dalle disposizioni in essa contenute, che costituiscono principi generali dell'ordinamento giuridico. Tali disposizioni operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a quando esse non avranno legiferato in materia.
2. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella legge medesima.”
[2] Consiglio di stato, ad. gen., parere 17 febbraio 1987, n. 7, in Foro it, 1988, III, 22.
[3] Nel testo sostituito dall'art. 19, L. 11 febbraio 2005, n. 15, recitava:
“1. Le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche.
2. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla presente legge”.
[4] Così - mi limito a ricordare i leading case - Corte cost. sent. n. 96 del 2003.
[5] Sulla base dell’impianto della sent. n. 303 del 2003.
[6] Ad es. sent. n. 286 e 324 del 2005.
[7] Ad es., mercato del lavoro, sent. n. 50 del 2005; istituti di cura a carattere scientifico sent. n. 270 del 2005.
[8] Mi sia consentito rinviare a CELOTTO – SANDULLI, Legge n. 241 del 1990 e competenze regionali: un «nodo di gordio», in Foro Amministrativo – C.d.S., 2005, 1946 ss.
[9] Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, 369 s.
[10] Cfr., anche ricognitivamente, FRANCHINI – LUCCA - TESSARO, Il nuovo procedimento amministrativo, Rimini, 2005, 1475 ss.; BERGONZINI, Legge dello Stato sull’azione amministrativa e potestà legislativa regionale, in Dir. Amm., 2006, 23 ss.; URSI, La disciplina generale dell’azione amministrativa nel prisma della potestà normativa degli enti locali, in Dir. Amm., 2006, 611 ss.; BOTTIGLIERI, Art. 29, in BOTTIGLIERI – COGLIANI – PONTE – PROIETTI, Commentario alla legge sul procedimento amministrativo, II ediz., Padova, 2007, 967 ss.
[11] Cfr. l’apprezzabile tentativo di ROMANO TASSONE, Legge n. 241 del 1990 e competenze regionali, in www.federalismi.it, 2 marzo 2006.
[12] Sia consentito rinviare a CELOTTO – SANDULLI, op. cit., specie § 4.
[13] La Corte ha ritenuto che “deve, inoltre, escludersi che le procedure di affidamento, come invece sostenuto dalle Regioni Lazio e Abruzzo, essendo dei «veri e propri procedimenti amministrativi», debbano essere disciplinate secondo il riparto di competenze previsto dall’art. 29, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), secondo cui le «regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge». Il procedimento amministrativo non è una vera e propria materia, atteso che lo stesso, in relazione agli aspetti di volta in volta disciplinati, può essere ricondotto a più ambiti materiali di competenza statale o regionale (sentenza numero 465 del 1991), entro i quali la disciplina statale regola in modo uniforme i diritti dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Nella specie, avendo riguardo alla censura specificamente formulata, deve ribadirsi che la procedura di affidamento – volta allo scopo di garantire i predetti principi diretti a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti – è fondamentalmente riconducibile alla materia della tutela della concorrenza” (Corte cost., sent. n. 401 del 2007, § 6.7 Cons. diritto).
[14] Il più recente, a quanto consta, è quello pubblicato nella Gazzetta ufficiale, serie generale, n. 178 del 31 luglio 2008.
[15] Così ROSS, Diritto e giustizia [1958], trad. it. di G. Gavazzi, Torino, 1965, 126.
[16] BULYGIN, Norme, validità, sistemi normativi, Torino, 1995, 36 s., Cfr. anche le considerazioni di CARNEVALE, Il caso delle leggi contenenti clausole di «sola abrogazione espressa» nella più recente prassi legislativa, in MODUGNO (a cura di), Trasformazioni della funzione legislativa - I) “Vincoli” alla funzione legislativa, Milano, 1999, 15, in nota.
[17] Che lo ricordiamo aveva sancito l’applicazione delle regole della legge 241 a tutte le amministrazioni pubbliche “per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa” e aveva richiesto alle Regioni e agli enti locali il “rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge”.
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(pubblicato il 10.9.2009)
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