Giustizia Amministrativa - on line
 
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n. 4-2009 - © copyright

 

 

MARZIO BRANCA

Arretrato, sezioni stralcio, giudice monocratico


1. Premessa
La persistenza, e il tendenziale incremento, di un pesante arretrato nella giustizia amministrativa è cosa ormai nota. Nella Relazione di apertura del corrente anno giudiziario dinanzi al Consiglio di Stato, il Presidente Paolo Salvatore ci ha fornito i dati aggiornati al 2008: la pendenza, che negli anni precedenti era indicata approssimativamente intorno ai 600 mila per i TAR e 20 mila per il Consiglio di Stato, passa nel 2008 a 646.441 per i TAR e 32.249 per il CdS.
E’ anche generalmente condiviso che tale mole di cause inevase non può essere ragionevolmente riassorbita, in tempi accettabili, mediante incremento della produttività dei giudici, che pure è obiettivamente registrabile, sia in cifra assoluta, sia in riferimento al numero dei ricorsi definiti rispetto quello dei ricorsi introitati in primo grado e in appello.
Né ci si può più illudere che si tratti di un arretrato fittizio, o apparente, fidando sulla sopravvenuta carenza di interesse. La risarcibilità dell’interesse legittimo e la possibilità di ristoro per la non ragionevole durata del processo, inducono i ricorrenti a persistere nella coltivazione del giudizio.
Tutto questo è angosciosamente noto e quindi non è il caso di indugiarvi oltre.
Conviene piuttosto prendere in esame gli strumenti cui è possibile ricorrere per avviare il problema a soluzione.

2. Le sezioni stralcio presso i tribunali civili
Il pensiero corre naturalmente allo strumento delle sezioni stralcio, sia perché vi ha fatto ricorso la giurisdizione ordinaria, sia perché – come sappiamo – si è già tentato di utilizzarle anche nella giustizia amministrativa.
E’ a tutti noto che nel 1997, allorché la pendenza dei tribunali civili veniva stimata in oltre 500 mila procedimenti, con la legge 22 luglio n. 276, vennero istituite le sezioni stralcio, composte da un magistrato di ruolo e da due giudici aggregati.
Per la magistratura amministrativa, il Governo Amato, che aveva presentato a tal fine un disegno di legge già nel 1999 (A.S. 4961), tentò di abbreviare i tempi con il d.l. 18 maggio 2001 n. 179 che, assunto da un Governo ormai battuto alle elezioni del 13 maggio, fu lasciato decadere.
L’esperimento delle sezioni stralcio presso i tribunali civili ha ricevuto valutazioni di difficile decifrazione. I giudizi iniziali furono molto positivi.
In un articolo apparso sul Sole24ore del novembre 2006 il dr. Giovanni Verde, già vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, diede atto che al 31 dicembre 2005 erano state esauriti 530 mila procedimenti su 560 mila e che le sezioni stralcio avevano praticamente concluso il loro compito consentendo di superare un momento di particolare difficoltà, legato anche alle riforma del processo civile. L’autore tuttavia – di fronte alla prospettiva ventilata dal Ministro Mastella di ripetere l’esperimento, specie nell’area della controversie di lavoro - non ebbe esitazioni a dirsi contrario e ad invitare a ricercare altre soluzioni.
Su tale opinione hanno pesato: a) la modesta qualità delle decisioni; b) l’intasamento del giudizio di appello; c) la difficoltà sul piano costituzionale di dirottare controversie predeterminate verso organi giudiziari di nomina mirata. Di fatto di sezioni stralcio nel processo civile non si è più parlato.

3.1. Le sezioni stralcio presso il giudice amministrativo
Quanto al processo amministrativo, invece, il progetto di istituire queste sezioni straordinarie, in primo grado e in appello, non è definitivamente tramontato, ed anzi ancora di recente ritenuto utile e degno di essere messo allo studio (Relazione Schinaia 15 febbraio 2007).
In effetti, la situazione della pendenza nella giustizia amministrativa presenta alcune differenze rispetto a quella civile.
In primo luogo vanno menzionate le norme di accelerazione dei giudizi relativi a materie determinate, che ne impongono la trattazione prioritaria. Questo tipo di disposizioni, alludo all’art. 23 bis della l. n. 1034/71 provoca in alcune sezioni l’esaurimento pressoché totale dei ruoli di udienza, lasciando spazi minimi alle controversie più risalenti. Da ciò consegue la istituzionalizzazione della giurisdizione “a due velocità”: alcuni processi tra primo e secondo grado si esauriscono in circa due anni; altri attendono circa 15 anni tra primo grado e appello.
Questa è una situazione tutta particolare di questo plesso, che rende acuto il bisogno di misure straordinarie per la giustizia amministrativa più che in altre aree della giurisdizione, per il dovere di eliminare quel vulnus ai principi di eguaglianza, diritto di difesa e di ragionevole durata del processo, che non appare ulteriormente tollerabile.
Né può essere dimenticato che il provvedimento amministrativo illegittimo, se determina oggettivamente la lesione di una posizione soggettiva privata, si risolve contemporaneamente in una deviata ed erronea cura dell’interesse pubblico, che richiede di essere corretta con la massima tempestività. Quanto maggiore è il ritardo con il quale si esplica l’effetto conformativo della sentenza, tanto più ampia risulterà l’area del danno arrecato agli interessi pubblici e privati coinvolti dal fluire incessante dell’attività amministrativa illegittima.
L’altro dato su cui riflettere è costituito dal saldo attivo che il nostro plesso offre nel computo tra ricorsi e appelli annualmente pervenuti e procedimenti annualmente definiti. Con riferimento ai TT.AA.RR. la Relazione del Presidente Paolo Salvatore sull’andamento dell’attività giurisdizionale nel 2008, al prospetto riepilogativo (pag. 57), annota 56.716 ricorsi pervenuti contro 96.683 ricorsi definiti. Per il Consiglio di Stato (pag. 43) il dato è meno clamoroso: le cifre parlano di 6.905 appelli in entrata, mentre quelli definiti assommano a 7.042.
Questo dato, che è prevalentemente frutto di una migliore organizzazione del lavoro, grazie alla graduale applicazione di processi informatici, delle innovazioni processuali introdotte con la legge n. 205 del 2000, ma anche del costante superamento dei carichi di lavoro fissati dal CdP., potrebbe far pensare che la magistratura amministrativa nel suo complesso disponga di risorse umane e materiali capaci di definire, nel rispetto dei termini processuali fisiologici, quello che è il flusso ordinario del contenzioso, ed anzi possa offrire qualcosa di più, consentendo di distrarre energie dalle esigenze del trend quotidiano per destinarle all’eliminazione dell’arretrato più antico.
La realtà è ben diversa.
Una analisi più attenta delle tabelle evidenzia che presso i TTAARR, a fronte dei 56.716 ricorsi pervenuti, quelli definiti con sentenza, ordinaria o breve, sono soltanto 47.467, e che alla cifra di 96.638 si perviene aggiungendo al primo dato la somma dei decreti decisori, riferibili a perenzioni, rinunce, cessazione della materia del contendere e altre causa estintive.
Analogamente, presso il Consiglio di Stato, si perviene alla cifra di 7.042 decisioni (contro 6.905 appelli introitati) aggiungendo alle 6.423 sentenze, ordinarie e semplificate, i 619 decreti decisori.
Se ne deve dedurre che:
a) le risorse umane del plesso non sono in condizioni di evadere il flusso corrente della domanda di giustizia, di nuovo in aumento dopo una lieve flessione negli anni 2006 e 2007;
b) anno per anno l’arretrato si alimenta dei soli procedimenti non protetti dall’obbligo di trattazione immediata;
c) il necessario rispetto del criterio cronologico di presentazione del ricorso appesantisce i ruoli con controversie di definizione più facile per la avvenuta stabilizzazione della giurisprudenza, e che potrebbero essere affidate ad organi straordinari a composizione speciale, lasciando spazio ai procedimenti più complessi perché legati a mutamenti ordinamentali pù recenti

3.2. I dubbi sulla struttura
Di qui la convinzione che il discorso sulle sezioni stralcio meriti di essere ripreso.
Il primo problema da risolvere è quello della struttura di questi organi straordinari, discutendosi se sia preferibile ripercorrere la strada del vecchio d.l. decaduto ( e delle sezioni stralcio civili) , che prevedeva il reclutamento di giudici aggregati, o se non sia meglio utilizzare le risorse interne, ossia soltanto personale di magistratura di ruolo.
Preciso subito che, nell’un caso o nell’altro, non è pensabile un intervento a costo zero, perché, anche ricorrendo all’applicazione dei soli magistrati di ruolo, sollevati dal carico ordinario e quindi non incentivati economicamente, sarebbe comunque indispensabile una provvista di personale di supporto, già oggi gravemente sottodimensionato, come meglio ci chiarirà probabilmente Filippo Gai.
Sono note le difficoltà economiche del momento e la netta chiusura delle sedi politiche ad ogni discorso di spesa. E tuttavia credo che noi potremmo prospettare con successo che l’impiego di risorse in questo campo si risolverebbe sostanzialmente in un investimento e in risparmio per lo Stato, potendo provocare la eliminazione progressiva degli eborsi dovuti alle condanne della CEDU ed all’accoglimento delle domande di ristoro ex legge Pinto. Evidentemente la trattativa va condotta carte alla mano, con esposizione di cifre e raffronti di tipo finanziario.
Inoltre va tenuto presente che l’ultimo comma dell’art. 45 del d.d.l.. recante la delega per il codice del processo amministrativo (A.S. n. 1082), già approvato dal Senato, modifica l’art. 1, comma 309, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, prevedendo che il maggior gettito derivante dall’innanzamento del contributo unificato (d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115) sia destinato, fra l’altro, a coprire le spese “occorrenti per incentivare progetti speciali per lo smaltimento dell'arretrato e per il miglior funzionamento del processo amministrativo”..

3.2 bis. Impiego di soli magistrati di ruolo
Ciò premesso, va detto che la soluzione “interna” presenterebbe evidenti vantaggi.
Il primo consiste nella eliminazione dei tempi e delle spese necessari al reclutamento dei magistrati aggregati, che non è detto siano reperibili in grande abbondanza. Le sezioni presso i tribunali civili sono entrate in funzione con molto ritardo per questa ragione, in quanto alcuni bandi sono andati pressoché deserti.
Il secondo vantaggio è costituito dalla garanzia della qualità della giurisprudenza, un aspetto che non può non meritare particolare attenzione. Le sezioni stralcio civili hanno dato luogo ad alti lai da parte delle corti di appello, oltre che per il conseguente carico, soprattutto lo scarso livello delle pronunce di primo grado.
Il terzo è dato dalla possibilità che l’applicazione alla sezione dia diritto ad un compenso aggiuntivo, se il magistrato non è sollevato dal carico ordinario. Su questo punto le posizioni dei colleghi TAR sono assai variegate. Tuttavia si tratta di aspetti che riterrei di dettaglio, che potranno essere precisati in seguito al necessario confronto interno.
Va precisato che almeno una sezione stralcio dovrà essere prevista anche presso il Consiglio di Stato. Il d.l. poi decaduto ne prevedeva addirittura due, più una per CGA. A quest’ultima, probabilmente si potrà rinunciare perché il CGA, a quanto risulta, non soffre di un arretrato apprezzabile.

3.2.ter. L’impiego di giudici onorari aggregati
La soluzione che prevede l’impiego di giudici aggregati, presenta gli inconvenienti cui ho già indirettamente accennato, cui si aggiunge quello di un costo dell’intervento alquanto più elevato, ma offre il vantaggio di ridurre al minimo la sottrazione di magistrati alle funzioni ordinarie, essendo ad essi riservata la sola presidenza della sezione.
Con riguardo al problema dell’onere del finanziamento, va tenuto presente che la sezione, o le sezioni, stralcio non debbono essere previste necessariamente in tutti i TTAARR.. Come è stato osservato, la mole del contenzioso arretrato in primo grado si concentra per circa due terzi nel Lazio, Campania e Sicilia e solo per un terzo, in varia misura, nelle altre 25 sede principali o staccate. Nulla impedirebbe quindi di adottare forme di intervento straordinario modulate sulle situazioni più gravi, tra le quali rientra certamente, peraltro, la pendenza in grado di appello. Tale criterio ridurrebbe sensibilmente i costi della misura.
E’ evidente che nella soluzione mediante giudici onorari aggregati rilievo preminente assume l’aspetto del reclutamento dei componenti delle sezioni
La relazione di accompagnamento al d.d.l. AS 4961, citato sopra, prevedeva che il reclutamento dei giudici onorari dovesse avvenire fra persone “particolarmente qualificate per la loro precedente esperienza professionale e nel contempo libere di dedicarsi al nuovo compito collaborativo”, e ciò sarebbe avvenuto attingendo a:
“a) magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, avvocati dello Stato, avvocati di enti pubblici, a riposo;
b) professori universitari in materie giuridiche, a riposo ovvero, se non svolgono la professione forense, in servizio;
c) funzionari della carriera direttiva degli organi costituzionali, in servizio o a riposo, muniti di laurea in giurisprudenza.”

3.4. La scelta dei g.o.a.
Fu subito notato (D’Alessandro N., Le sezioni stralcio nel disegno di legge governativo, in Diritto e Diritti, febbraio 2001) che le categorie indicate non rappresentavano la scelta più felice in ragione della specialità del diritto e del processo amministrativo.
Non è dubbio che i magistrati amministrativi, gli avvocati dello Stato e degli enti pubblici a riposo posseggono spiccata attitudine a svolgere le funzioni di giudice onorario presso le sezioni stralcio dei TAR ma già sulla categoria dei magistrati ordinari e militari sono state espresse riserve, essendo l’esperienza del giudizio avanti all’AGO ed ai Tribunali militari del tutto distinta e con pochi o nulli punti di contatti con quella necessaria per ben giudicare in campo amministrativo.
Anche la categoria dei professori universitari in materia giuridica –se non ristretta alle scienze afferenti al diritto amministrativo- appare discutibile.
Ancora meno condivisibile è la pretesa di attingere i giudici onorari dai “funzionari della carriera direttiva degli organi costituzionali, in servizio o a riposo, muniti di laurea in giurisprudenza”.
Se per i magistrati ordinari e militari ed i professori in materie giuridiche non attinenti al diritto amministrativo manca l’esperienza del processo amministrativo e la conoscenza della normativa di settore, per i funzionari difetta del tutto la conoscenza delle regole del processo (non solo quello amministrativo) e –normalmente- la conoscenza del diritto amministrativo sostanziale è limitata al ridotto ambito dell’Amministrazione nella quale si è operato.
A tali problematiche deve sommarsi il dato cronologico in quanto, per un verso il decreto legge decaduto prevedeva in prevalenza il reclutamento di personale pensionato, e per altro verso occorrerebbe comunque prevedere un limite di età per l’esercizio delle funzioni, ad esempio di 75 anni, con la conseguenza che il numero di soggetti tra i quali operare la scelta sarebbe ridottissimo ed estremamente breve sarebbe la permanenza in servizio tanto da non poter coprire neppure, spesso, la prevista durata quinquennale di vigenza delle sezioni stralcio.
La categoria professionale che oggettivamente presenta la maggiore idoneità a svolgere le funzioni di giudice onorario è senz’altro quella degli avvocati che operano avanti alle giurisdizioni amministrative. Intendendo avvocati che esercitano la professione e non in pensione, come del resto fu previsto per le sezioni stralcio dei tribunali civili.
Altrettanto ovvie sono le controindicazioni esplicite ed implicite che da più parti vengono formulate e che possono così sintetizzarsi:
- incompatibilità, potendo avere interesse a ché una causa o una specifica questione giuridica sia risolta in un modo determinato;
- mancanza di tempo da dedicare all’esercizio delle funzioni giudicanti;
- aspettativa al consolidamento in ruolo.

3.5. La scelta dei soli avvocati amministrativisti in attività
La vera questione da porsi è, pertanto, non se gli avvocati amministrativisti possano essere idonei allo svolgimento transitorio delle funzioni di Giudice amministrativo ma quali sono i rimedi alle controindicazioni vere o presunte cui sopra si è fatto cenno.
Tra le tante soluzioni supponibili sono state proposte (D’Alessandro, cit.) le seguenti:
le riserve collegate all’ipotizzabile incompatibilità sono superabili assegnando il giudice onorario, avvocato esercente la libera professione, presso Tribunali regionali diversi da quelli aventi sede nella regione di appartenenza e, ancora, di quei Tribunali dove comunque sono pendenti giudizi patrocinati dallo stesso legale. Tra l’altro, sia per il fatto che anche le sezioni stralcio hanno composizione collegiale sia per la concorrente valutazione che la giurisprudenza delle sezioni stralcio ben difficilmente produrrà rivoluzioni nei filoni giurisprudenziali già maturati (trattandosi di questioni –anche giuridiche- risalenti nel tempo) il rischio di dare spazio a scelte dettate da interessi personali è pressoché inesistente.
La mancanza di tempo da dedicare alle funzioni giudicanti può essere agevolmente ovviata limitando nel tempo l’impegno richiesto. Su tale punto è da considerare sia che normalmente i collegi amministrativi tengono solo due udienze al mese -che le sezioni stralcio potrebbero limitare ad una- sia che avvocati amministrativisti non hanno necessità di un periodo di addestramento perché la loro professionalità è speculare a quella dei Giudici amministrativi e, ancora, che gli studi legali sono di già dotati degli strumenti materiali (biblioteche, sistemi informatici, etc.), difficilmente posseduti da altre categorie, che consentirebbero una spedita produzione delle decisioni.
- Il “pericolo” che gli avvocati cooptati nelle funzioni giudiziarie possano aspirare al consolidamento in ruolo è ovviabile, anch’esso, fissando il limite ristretto di durata temporale dell’incarico. La limitata durata nel tempo –oltre ad altri vantaggi- evita che venga a crearsi una particolare affezione alla carica, pur non incidendo sulla produttività complessiva del sistema in quanto il numero relativamente elevato di avvocati amministrativisti consentirebbe un adeguato ricambio.

4.1. Il giudice monocratico.
Nello stesso arco di tempo in cui il Parlamento esaminava il disegno di legge, e poi il d.l., istitutivo delle sezioni stralcio nella giustizia amministrativa, il Ministro per la Funzione Pubblica, Franco Bassanini, predisponeva uno schema di disegno di legge recante norme per l'emanazione del codice del processo amministrativo e per la definizione delle liti pendenti davanti agli organi della giustizia amministrativa. Non risulta che il testo sia mai stato portato all’esame del Consiglio dei Ministri, ma fu preso in esame dal Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa che venne richiesto di esprimere il proprio parere.
L’articolato prevedeva all'art. 1, comma 4, lettera v) nell’ambito della delega per il codice del processo amministrativo, il seguente criterio direttivo: "individuazione di ipotesi in cui il tribunale amministrativo regionale giudica in composizione monocratica, con specifico riferimento ai ricorsi per l'esecuzione del giudicato e agli altri giudizi in camera di consiglio, con esclusione dei giudizi cautelari";
-all'art. 2 disponeva che il Tar giudica in composizione monocratica per la definizione dei ricorsi concernenti: a)le controversie in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, di cui all'art. 69, comma 7, secondo periodo, del d. lgs. n. 165 del 2001 (si tratta dei ricorsi sul pubblico impiego privatizzato), relativamente alle questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 1° luglio 1998; e b) le liti introdotte con ricorsi depositati prima del 1° gennaio 1995, e le liti a queste connesse, comprese quelle proposte con i motivi aggiunti, con esclusione delle liti di cui all'art. 23 bis della l. n. 1034 del 1971 (che riguardano procedure di aggiudicazione di opere pubbliche, servizi pubblici e forniture, procedure di occupazione ed espropriazione di aree destinate a opere pubbliche o di pubblica utilità, provvedimenti adottati dalle autorità indipendenti, decreti di scioglimento di enti locali e altre ipotesi specificate nel medesimo art. 23 bis) e delle controversie in materia urbanistica di cui all'art. 34 del d. lgs. n. 80 del 1998.

4.2. Opinioni favorevoli e contrarie
Come ricorda anche il collega consigliere del TAR Veneto, Marco Buricelli, autore di uno studio approfondito sul testo, con ampi riferimenti all’istituto del giudice monocratico nelle diverse giurisdizioni italiane e straniere (Il giudice amministrativo monocratico di primo grado. Riflessioni su ipotesi di riforma, in Registro Giuridico, Enciclopedia giuridica on line jurispedia, luglio 2006), il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ha esaminato lo schema nella seduta del 6 giugno 2002, ma sulla istituzione del giudice monocratico, che si prevedeva solo per il primo grado, non ha raggiunto una posizione unitaria.
Si legge nel relativo verbale che “Da una parte dei consiglieri si sono evidenziate perplessità di ordine organizzativo e funzionale in merito alla figura del giudice monocratico.
In particolare, si è evidenziato come le attuali strutture non siano in grado di fronteggiare i problemi strutturali collegati al moltiplicarsi degli organi giudicanti;
Inoltre, si ritiene che il giudice collegiale fornisca maggiori garanzie di qualità, bontà ed uniformità dei giudizi, particolarmente necessarie nel campo del diritto amministrativo, attesa la sua origine prevalentemente pretoria. Infatti, il maggior approfondimento, lo scambio di opinioni, la funzione di indirizzo delle attività dell'amministrazione peculiarmente svolte dal giudice amministrativo rafforzano in modo decisivo per esso le ragioni tradizionalmente sostenute in dottrina in favore della collegialità del giudizio. Sul piano organizzativo, poi, vi è da osservare che l'introduzione di un giudice monocratico imporrebbe in molti Tribunali la moltiplicazione delle aule da destinare all'udienza pubblica e del personale amministrativo da adibire a compiti di segreteria. Problemi questi che già nell'attuale organizzazione collegiale del giudizio si presentano di estrema gravità, attesi i noti rapporti numerici intercorrenti tra il personale amministrativo e quello di magistratura (1,2 a 1 nella giustizia amministrativa a fronte di 3 a 1 del giudice ordinario e di 5 a 1 di quello contabile), con evidenti riflessi quanto ai possibili risultati positivi.
In senso opposto si è rilevato da altri consiglieri come l'istituzione della figura del giudice monocratico sia sostanzialmente da condividere, ed anzi, come peraltro previsto, a regime, dall'articolo 1, comma 4, lettera v), da rafforzare e stabilizzare. Tale figura, infatti, servirebbe non solo a smaltire fortemente l'arretrato ma anche a far fronte con maggiore sollecitudine alla domanda ordinaria di giustizia su controversie di modesto valore.
Secondo questa opinione, infatti, i provvedimenti redatti dal giudice monocratico non sarebbero soggetti ai numerosi passaggi attualmente necessari nel giudizio collegiale, anche con riguardo al visto ed alla firma del presidente del collegio. Inoltre, la minore difficoltà tecnica delle cause affrontate da tale giudice e l'affrancamento dalla supervisione presidenziale, oltretutto con conseguente assunzione di responsabilità esclusiva da parte del singolo magistrato consentirebbe di aumentare la produttività individuale.
E' da aggiungere come, sempre secondo tale opinione, il mantenimento di un giudice esclusivamente collegiale per la sola magistratura amministrativa urta contro l'opposto principio di riserva ad organi collegiali delle sole controversie di maggiore rilevanza, principio ormai diffuso per tutte le altre magistrature "ordinarie".
Per parte mia debbo dire che, comparando le argomentazioni contrarie a quelle favorevoli, le seconde si presentano di spessore più consistente.
Quanto alle difficoltà di carattere pratico e organizzativo, che sono serie e reali, ma non attengono al merito tecnico della proposta. Non si tratta qui, infatti, di valutare se la decisione collegiale sia preferibile in astratto a quella monocratica, essendo evidente che la prima offre quelle garanzie di compiutezza e di equilibrio che necessariamente mancano alla seconda. Occorre invece stabilire se sia accettabile, quanto meno con riguardo a situazioni emergenziali come la presente, l’affidamento delle controversie più antiche al giudice unico, non dimenticando che spesso il meglio è nemico del bene.
A questo proposito sembra da tenere presente, come ha sottolineato Buricelli, che il giudice monocratico già oggi, dopo la innovazioni introdotte dalla legge n. 205 del 2000, è un istituto che opera nel processo amministrativo.
Ricordo brevemente:
-all'art. 1, comma 2, demanda al presidente, o a un magistrato da lui delegato, la decisione sui mezzi istruttori, compresa la consulenza tecnica e, in particolare, l'ordine, all'amministrazione inadempiente, di produrre in giudizio il provvedimento impugnato e gli atti e i documenti in base ai quali il provvedimento medesimo è stato emanato.
E qui è giusto segnalare come sia stato intelligentemente utilizzata la disposizione presso il Tar del Veneto: (v. decr. pres. n. 19 del 2001 relativo alla sezione prima, oltre a un analogo decreto, all'incirca coevo, emanato dal presidente della terza sezione) dove il presidente ha delegato in via generale i magistrati designati relatori nel singolo procedimento, ai quali è comunicato l'elenco dei ricorsi assegnati, di norma, tra 90 e 60 giorni prima dell'udienza pubblica, a decidere preliminarmente sui mezzi istruttori, compresa la c.t.u., senza pregiudizio dei poteri del collegio circa ulteriori acquisizioni istruttorie);
-all'art. 3 affida al presidente alla quale il ricorso è assegnato, il potere, nel caso di estrema gravità e urgenza, di disporre misure cautelari provvisorie con decreto motivato, la cui efficacia perdura fino alla pronuncia del collegio, cui l'istanza cautelare è sottoposta nella prima camera di consiglio utile;
-all'art. 9 stabilisce che il presidente della sezione, o un magistrato da lui delegato, pronuncia con decreto (opponibile al collegio) la rinuncia al ricorso, la cessazione della materia del contendere, l'estinzione del giudizio e la perenzione;
-all'art. 8 affida al presidente, o a un magistrato da lui delegato, la funzione di emanare decreti ingiuntivi ai sensi dell'art. 633 c.p.c. (va segnalato peraltro che la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 ha comportato un calo drastico delle richieste di emissione di decreti ingiuntivi).
Le competenze decisorie, cautelari e provvisorie, presidenziali o delegate, sono state di recente ampliate alla luce della nuova tutela cautelare monocratica "ante causam" inserita nel codice degli appalti pubblici dall'art. 245 del d. lgs. n. 163 del 2006.
Il decreto n. 163/06 -codice degli appalti pubblici, disciplina infatti -per la prima volta nel processo amministrativo-, all'art. 245, commi 3 e seguenti, una forma di tutela cautelare "ante causam" la cui "introduzione si è resa necessaria nel processo amministrativo relativo ai pubblici appalti a seguito di una procedura di infrazione a carico del nostro Paese aperta sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia (v. da ultimo l'ordinanza 29 aprile 2004 nella causa C-202/03 ...), con cui la Corte ha ribadito l'esigenza di tale forma di tutela cautelare" (così Cons. St. -sezione consultiva per gli atti normativi, parere n. 355/06 del 6 febbraio 2006).
In particolare il citato art. 245 prevede:
-al comma 3, che in caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso e la richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all'articolo 21, comma 9, della l. n. 1034 del 1971, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare di cui ai commi 8 e 9 del citato articolo 21;

4.3. Il giudice monocratico nelle altre giurisdizioni (cenni). La Corte dei conti
Maggior coraggio ha avuto il legislatore nell’introduzione del giudice monocratico nella giustizia civile, nei giudizi innanzi alla Corte dei conti, nel processo tributario e in quello davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Anche il Tribunale di primo grado della CE può giudicare nella persona di un giudice unico e così pure il giudice amministrativo di primo grado in Germania, in Francia e il Spagna, ma su tutto questo non è possibile diffondersi in questa sede.
Un cenno appena più ampio merita invece il giudice monocratico presso la Corte dei conti, quale giurisdizione più prossima a quella amministrativa..

- l'art. 5 della l. n. 205 del 2000 ha stabilito che in materia di ricorsi pensionistici civili, militari e di guerra la Corte dei conti, in primo grado, giudica in composizione monocratica attraverso un magistrato assegnato alla sezione giurisdizionale competente per territorio in funzione di giudice unico. In sede cautelare, peraltro, la Corte giudica sempre in composizione collegiale (art. 5, comma 1, ultimo periodo, l. n. 205 del 2000).
Le questioni di legittimità costituzionale della disposizione che prevede la competenza della Corte dei conti in composizione collegiale a provvedere all'adozione di misure cautelari nel giudizio pensionistico sono state dichiarate manifestamente infondate dalla Corte costituzionale con le ordinanze nn. 343 del 2001 e 124 del 2002;
-l'art. 9, comma 3, della l. n. 205 del 2000 ha esteso ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei conti, tra le altre, la norma di cui all'art. 9, comma 1, della stessa legge per la quale rinuncia al ricorso, cessazione della materia del contendere, estinzione del giudizio e perenzione sono pronunciate con decreto dal presidente della sezione competente o da un magistrato da lui delegato.
Sono state innovazioni efficaci.
Il collega Buricelli ci ha fornito di recente un dato parziale relativo al contenzioso pensionistico nel Veneto
Dalla relazione per l'anno giudiziario 2009 del presidente della sezione giurisdizionale per il Veneto della Corte dei conti: "(sulla) giurisdizione pensionistica segnalo con soddisfazione che può dirsi finalmente raggiunto l'obiettivo.dell'assorbimento dell'arretrato ereditato con il decentramento. I ricorsi pendenti , che erano 14626 al 31 dicembre 1998 e 5122 al 31 dicembre 2003, sono scesi a 710 a fine 2008 e ammontano oggi a 639. Il dato più significativo riguarda i tempi di giacenza. Dei 639 ricorsi attualmente pendenti circa i due terzi sono stati depositati negli ultimi sette mesi. Se si considera che nel corso del 2008 il tempo medio tra l'udienza del giudice unico e la pubblicazione della sentenza si e' attestato sui 20 giorni e che nel maggio del 2009 andranno in udienza i ricorsi pervenuti tra luglio e settembre del 2008 puo' concludersi che il ricorso pensionistico viene ora deciso entro 8 10 mesi dalla sua presentazione. .può dirsi percio' rispettato il principio costituzionale della ragionevole durata del processo. . i tempi di trattazione consentono . di evitare l erogazione dell’ equa riparazione prevista dalla legge Pinto per i casi di ritardo, con i pesanti oneri che ne deriva alla finanza pubblica".
Ho verificato che il dato del Veneto trova riscontro nelle relazioni di altre Sezioni Regionali della Corte.

4.4. Le aperture delle normative in itinere
Il dato è positivo e come tale viene apprezzato dal legislatore che, nel citato disegno A.S. n 1082, all’art. 43, estende le funzioni del giudice monocratico in primo grado alle decisioni in sede cautelare, dapprima affidate alla Corte sempre in composizione collegiale, prevedendo il reclamo innanzi al collegio contro le ordinanze del giudice singolo, e rinforza l'autonomia del giudice unico il quale, dopo l'assegnazione del presidente, fissa ogni semestre il proprio calendario di udienze e, con proprio decreto, fissa la trattazione dei relativi giudizi.
E’ quindi con rammarico che si deve registrare l’estrema timidezza propositiva in materia di giudizio amministrativo, di cui si occupa il medesimo d.d.l.. Nell’art. 45, recante la delega al Governo per riordinare il processo amministrativo, infatti, il ddl 1082 si limita a prevedere "l'estensione delle funzioni ISTRUTTORIE esercitate in forma monocratica”.
Sarebbe parso coerente con scopi di semplificazione e di riduzione dei tempi del processo indicare direttamente giudizi da affidare al Tar in composizione monocratica (per esempio, le controversie ultraquinquennali per le quali sia stata proposta una nuova domanda di fissazione dell udienza, o i ricorsi in materia di immigrazione (permessi di soggiorno ecc.), consentendo a ciascun giudice di gestire un proprio ruolo , da bilanciare con le funzioni "a latere" nel collegio.
E però non va taciuto che la stessa disposizione del d.d.l. di delega affida al legislatore delegato “l’ individuazione di misure, anche transitorie, di eliminazione dell'arretrato".
Una locuzione generica e criptica, evidentemente, che perciò lascia al Governo una ampia libertà di scelta sul punto, purché la magistratura amministrativa riesca a raggiungere quel tanto di consenso interno che potrebbe spianare la strada all’adozione dell’intervanto che sembrerà più conveniente allo scopo.

 

(pubblicato il 22.4.2009)

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