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n. 6-2008 - © copyright |
T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI - SEZIONE I - Ordinanza 26 maggio 2008 n. 487
Pres. Guida, Est. Donadono
Futura Immobiliare s.r.l. Hotel Futura, Meeting Hotel, Hotel Blanc, Hotel Clyton, Business s.r.l. (Avv.ti L. Albanese e A. Lipani) c. Comune di Casoria (Avv.ti M. Spagna, G. Cresci e M. Iavarone), ASIA Azienda Speciale Igiene Ambientale s.p.a. |
Imposte e tasse – Smaltimento rifiuti urbani – Tariffa – Sopravvivenza di un sistema di carattere fiscale anteriore al sistema tariffario introdotto dal D.Lgs. 22/1997 e successivamente modificato – Contrasto col principio comunitario del “chi inquina paga” – Questione pregiudiziale – Rimessione alla Corte di Giustizia
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Va rimessa alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale se sia compatibile con l’art. 15 della direttiva n. 75/442/CEE del Consiglio, in materia di rifiuti, riprodotto nell’art. 15 della vigente direttiva n. 2006/12/CE, e con il principio del “chi inquina paga” la normativa nazionale dettata dagli artt. 58 e ss. del D.Lgs. n. 507 del 1993 e le norme transitorie che ne hanno prolungato la vigenza per effetto dell’art. 11 del D.P.R. n. 448 (rectius n. 158) del 1999 e dell'art. 1, co. 184, della Legge n. 296 del 2006, con ciò determinando la sopravvivenza di un sistema di carattere fiscale, per la copertura dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti, procrastinando l'introduzione di un sistema tariffario nel quale il costo del servizio sia sostenuto dai soggetti che producono e conferiscono i rifiuti.
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REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale amministrativo regionale della Campania
sezione prima
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti:
- n. 5413/06 reg. gen. proposto dalla Futura Immobiliare s.r.l. Hotel Futura, in persona dell'amministratore unico e legale rappresentante p.t. sig. Rapullino Camillo, rappresentata e difesa dall'avv. Luisa Albanese, con la stessa elettivamente domiciliata in Napoli alla via Monte Faito n. 84,
- n. 3917/07 reg. gen. proposto dalla Futura Immobiliare s.r.l. Hotel Futura, in persona dell'amministratore unico e legale rappresentante p.t. sig. Camillo Rapullino, Meeting Hotel, in persona del legale rappresentante p.t. sig.ra Chiara Artuso, Hotel Blanc, in persona del legale rappresentante p.t. sig. Enrico Farcone, Hotel Clyton, in persona del legale rappresentante p.t. sig. Salvatore Di Giovanni, Business s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. sig. Castrese Trinchillo, rappresentati e difesi dagli avv.ti Luisa Albanese ed Alessandro Lipani, presso quest'ultimo elettivamente domiciliati in Napoli alla via Ponte di Tappia n. 47,
contro
Comune di Caloria, in persona della Commissione straordinaria p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Michele Spagna, nonché limitatamente al ricorso n. 3917/07 dagli avv.ti Giovanni Cresci e Mauro Iavarone, presso il primo elettivamente domiciliato in Napoli alla via A. D'Isernia n.16.
e nei confronti di
ASIA Azienda Speciale Igiene Ambientale s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., limitatamente al ricorso n. 5413/06, n. c.,
per l'annullamento
- ric. n. 5413/06: della deliberazione della Commissione straordinaria n. 158 del 25/5/2006, concernente la determinazione della tassa rifiuti solidi urbani relativa all'anno 2006, della delibera di Giunta municipale n. 81 del 15/3/2005, nonché di tutti gli atti connessi;
- ric. n. 3917/07: delle deliberazioni della Commissione straordinaria n. 84 e n. 90 del 4/4/2007, concernenti rispettivamente l'approvazione del regolamento per l'applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e la determinazione del piano dei costi e delle tariffe per l'esercizio finanziario 2007, nonché di tutti gli atti connessi:
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune con i relativi allegati;
vista la memoria difensiva e la documentazione prodotte dall'amministrazione resistente;
visti gli atti tutti di causa;
alla pubblica udienza del 19/3/2008, relatore il cons. Donadono, uditi gli avvocati presenti di cui al verbale di udienza.
FATTO
1. Con ricorso n. 5413/06 notificato il 29/7/2006 la Futura Immobiliare s.r.l., titolare dell'hotel omonimo, impugnava gli atti in epigrafe concernenti la determinazione delle tariffe per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani per l'anno 2006, deducendo:
- violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990 e del giusto procedimento, in quanto non sarebbe stata inviata la comunicazione di avvio del procedimento;
- difetto di motivazione e di istruttoria e violazione dell'art. 69 del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto non sarebbero enunciati i presupposti della determinazione sulle tariffe;
- violazione degli artt. 49 e ss. del d.lgs. n. 22 del 1997 e degli artt. 65, 68 e 69 del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto la tariffa fissata per gli esercizi alberghieri sarebbe sproporzionata rispetto a quella prevista per le abitazioni e parametrata sulla capacità reddittuale piuttosto che sulla capacità di produzione dei rifiuti, senza considerare il tasso di occupazione delle camere, né la presenza o meno di servizi di ristorazione, né il fenomeno della stagionalità, né l'incidenza di superfici adibite a servizi e non abitate;
- violazione degli artt. 68 e 69 del d.lgs. n. 507 del 1993, difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto la norma invocata contemplerebbe una sostanziale equiparazione delle tariffe per gli esercizi alberghieri e per le abitazioni private, in considerazione della analoga produzione di rifiuti, laddove gli atti impugnati avrebbero invece immotivatamente previsto una tariffa di otto volte superiore;
- violazione dell'art. 69 del d.lgs. n. 507 del 1993 e dell'art. 6 del regolamento comunale approvato con delibera commissariale n. 84 del 4/4/2007, in quanto la determinazione della tariffa non sarebbe sorretta da alcuna motivazione sul metodo applicato, né da alcuna istruttoria sulla quantità e qualità media ordinaria dei rifiuti producibili per unità di superficie a seconda della destinazione d'uso dei locali.
2. Con ricorso n. 3917/07 notificato il 25/6/2007, le società ricorrenti, esercenti attività alberghiere nel comune di Casoria, impugnavano gli atti recanti l'approvazione del regolamento per l'applicazione della tassa per lo smaltimento dei r.s.u. e la determinazione della tariffa per l'anno 2007, deducendo:
- violazione dell’art. 174 del Trattato dell'Unione Europea e dell'art. 178 del d.lgs. n. 152 del 2005, in quanto le tariffe relative agli esercizi alberghieri, commisurate alla superficie dei locali e delle aree, non sarebbero proporzionali ai rifiuti prodotti;
- violazione degli artt. 68 e 69 del d.lgs. n. 507 del 1993, difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto la norma invocata contemplerebbe una sostanziale equiparazione delle tariffe per gli esercizi alberghieri e per le abitazioni private, in considerazione della analoga produzione di rifiuti, laddove gli atti impugnati avrebbero invece immotivatamente previsto una tariffa di nove volte superiore;
- violazione dell'art. 69 del d.lgs. n. 507 del 1993 e dell'art. 6 del regolamento comunale approvato con delibera commissariale n. 84 del 4/4/2007, in quanto la determinazione della tariffa non sarebbe sorretta da alcuna motivazione sul metodo applicato, né da alcuna istruttoria sulla quantità e qualità media ordinaria dei rifiuti producibili per unità di superficie a seconda della destinazione d'uso dei locali.
3. Il Comune di Casoria si costituiva in entrambi i giudizi per resistere alle impugnative.
4. La domanda incidentale di sospensione proposta con il ricorso n. 5413/06 veniva respinta con ordinanza n. 2746 dell'11/10/2006, mentre quella proposta con il ricorso n. 3917/07 non veniva trattata essendo cancellata dal ruolo cautelare.
DIRITTO
1. Preliminarmente va disposta la riunione dei giudizi, attesa la connessione dei ricorsi in esame.
2. Le impugnative riguardano gli atti con i quali il Comune di Casoria ha fissato la misura della tassa per i rifiuti solidi urbani (TARSU) per gli anni 2006 e 2007, istituita secondo le disposizioni dettate dal d.lgs. n. 507 del 1993.
I ricorrenti contestano essenzialmente che il prelievo preteso dal Comune per il servizio di smaltimento relativamente agli esercizi alberghieri è sproporzionato e non correlato rispetto alla produzione di rifiuti solidi urbani.
3. La normativa nazionale.
L'art. 58 del d.lgs. n. 507 del 1993, come modificato dall'art. 39 della legge n. 146 del 1994, prevede che per il servizio relativo allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani i comuni debbano istituire una tassa annuale, da disciplinare con apposito regolamento (approvato ai sensi dell'art. 68) e da applicare in base a tariffa (deliberata annualmente ai sensi dell'art. 69) con l'osservanza delle prescrizioni e dei criteri stabiliti dal medesimo decreto legislativo.
In particolare, secondo quanto stabilito dal successivo art. 62, il presupposto della tassazione è costituito dall'occupazione o dalla detenzione di locali ed aree scoperte nel territorio comunale. In base all'art. 65, l'ammontare della tassa è commisurato alla superficie imponibile ed ai coefficienti di produttività stimati secondo l'utilizzo dell'immobile, salva la possibilità per i comuni con popolazione inferiore a 35 mila abitanti di determinare le tariffe in base alla quantità e qualità dei rifiuti effettivamente prodotti.
Con l'art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, emanato in attuazione della normativa comunitaria, modificato dall'art. 1, co. 28, della legge n. 426 del 1998 e dall'art. 33 della legge n. 488 del 1999, è prevista la soppressione della tassa e l'introduzione di un diverso regime tariffario, regolato dal regolamento approvato con d.P.R. n. 158 del 1999, con un metodo normalizzato modulato per fasce di utenza e territoriali.
In particolare la tariffa, come corrispettivo del servizio, è composta da una quota fissa a copertura dei costi essenziali del servizio, determinata in base alle superficie degli immobili occupati o detenuti, e da una quota variabile rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti.
Il passaggio dalla tassa alla tariffa, cadenzato dall'art. 11 del d.P.R. n. 488 del 1999, è successivamente slittato di volta in volta per effetto delle modifiche introdotte alla citata disposizione transitoria dall'art. 31, co. 21, della legge n. 289 del 2002, dall'art. 4, co. 116, della legge n. 350 del 2003, dall'art. 1, co. 523 della legge n. 311 del 2004 e dall'art. 1, co. 134, della legge n. 266 del 2005.
La disposizione in questione, abrogata dall'art. 264 del d.lgs. n. 152 del 2006 con le decorrenze ivi stabilite, è ora recepita nell'art. 238 dello stesso decreto legislativo, recante il Codice dell'ambiente.
Nondimeno l'art. 1, co. 184, della legge n. 296 del 2006 ha disposto che nelle more della completa attuazione delle nuove norme in materia ambientale il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti adottato in ciascun comune per l'anno 2006 resta invariato anche per l'anno 2007.
4. La normativa comunitaria.
La direttiva n. 75/442/CEE del Consiglio, in materia di rifiuti, prevede all'art. 15, come modificato dall'art. 1 della direttiva n. 91/156/CEE, che il costo dello smaltimento deve essere sostenuto essenzialmente da chi produce i rifiuti, in applicazione al principio "chi inquina paga " enunciato anche nel preambolo della stessa direttiva.
Tale disposizione è riprodotta nell'art. 15 della vigente direttiva n. 2006/12/CE.
5. La questione interpretativa.
Ci si chiede se sia compatibile con il citato art. 15 della direttiva comunitaria e con l'evocato principio del "chi inquina paga" la normativa nazionale dettata dagli artt. 58 e ss. del d.lgs. n. 507 del 1993 e le norme transitorie che ne hanno prolungato la vigenza, per effetto dell’art. 11 del d.P.R. n. 488 del 1999, con le successive modificazioni, e dell'art. 1, co. 184, della legge n. 296 del 2006, con ciò determinando la sopravvivenza di un sistema di carattere fiscale, per la copertura dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti, procrastinando l'introduzione di un sistema tariffario nel quale il costo del servizio sia sostenuto dai soggetti che producono e conferiscono i rifiuti.
6. La suddetta questione è rilevante ai fini della decisione della causa in quanto l'impugnativa in esame riguarda determinazioni adottate in applicazione di disposizioni del diritto nazionale in materia di TARSU, che sembrano non coerenti con le norme del diritto comunitario.
7. La soluzione della questione interpretativa è pregiudiziale e va devoluta alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, in applicazione dell'art. 234 del Trattato CE, con sospensione nelle more del presente processo.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione prima, riuniti i giudizi, ritenuta la rilevanza e la serietà, rimette ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee la questione pregiudiziale indicata in motivazione e sospende il processo in corso fino alla pronuncia della Corte.
Resta riservata ogni altra decisione in rito, nel merito e sulle spese.
Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia comunicata alle parti ed inviata, unitamente alla copia degli atti di causa, alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio del 19 marzo e 23 aprile 2008, con l'intervento dei signori:
Antonio Guida - Presidente
Fabio Donadono - consigliere estensore
Carlo Dell'Olio - referendario
FRANCESCO ANGELINI
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Chi più inquina più paga?
1. La Corte di Giustizia delle Comunità europee deve tornare ad occuparsi delle disfunzioni del sistema italiano di smaltimento dei rifiuti.
Questa volta per via di una questione interpretativa pregiudiziale sollevata in relazione al regime di finanziamento del costo del servizio.
A meno di un mese dal deferimento dello Stato Italiano alla Corte di giustizia di Lussemburgo per l’emergenza rifiuti in Campania - avvenuto il 6 maggio da parte della Commissione europea che ha ritenuto inadeguate le misure assunte dall’Italia per fronteggiare il problema in una prospettiva a lungo termine - proprio il TAR Napoli ha, infatti, investito la predetta Corte della questione relativa alla compatibilità del sistema fiscale applicato nel nostro Paese per la copertura dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti con il principio comunitario del “chi inquina paga”.
2. I ricorrenti, esercenti attività alberghiere, hanno, infatti, impugnato, con due ricorsi successivamente riuniti, le determinazioni con le quali il Comune di Casoria ha fissato per gli anni 2006 e 2007 la misura della tassa per i rifiuti solidi urbani (TARSU), avendo valutato come sproporzionate e prive di un’effettiva valutazione della quantità di rifiuti prodotti le tariffe applicate agli esercizi alberghieri rispetto a quelle relative alle abitazioni private.
Gli atti comunali, secondo i ricorrenti, violerebbero sia le norme nazionali che i principi comunitari.
Secondo il primo ricorso la previsione a livello locale, non supportata da alcuna motivazione ed istruttoria, di tariffe a carico degli alberghi superiori di 8/9 volte rispetto a quelle stabilite per le unità abitative private, violerebbe gli artt. 68 e 69 del D.Lgs. n. 507 del 1993, che, invece, equiparerebbero sostanzialmente le due ipotesi.
La violazione della normativa comunitaria, individuata nell’art. 174 del Trattato dell’Unione Europea, e dell’art. 178 del D.Lgs. n. 152 del 2006, starebbe, invece, ai sensi del secondo ricorso, nella incompatibilità tra il metodo di calcolo della tariffa applicato nelle determinazioni del Comune di Casoria e l’effettiva quantità di rifiuti prodotta dalle strutture alberghiere.
3. Secondo la ricostruzione fatta dal TAR Napoli, la questione si sostanzia nella legittimità o meno della sopravvivenza di un sistema fiscale nazionale essenzialmente incentrato su una tassa commisurata alla superficie imponibile dell’immobile ed ai coefficienti di produttività stimati secondo l’utilizzo che dell’immobile viene fatto piuttosto che su una stima effettiva dei rifiuti prodotti e conferiti.
Tale sistema, previsto dall’art. 65 del D.Lgs. n. 507 del 1993, è stato sostituito dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 22 del 1997 che, in applicazione della normativa comunitaria, ha previsto all’art. 49 un regime tariffario basato in parte sulla superficie degli immobili occupati o detenuti ed in parte su una quota variabile riferita alla quantità dei rifiuti fatti smaltire.
L’entrata in vigore del regime tariffario, cadenzato dall’art. 11 del D.P.R. n. 158 del 1999, è stato, tuttavia, fatto slittare di volta in volta attraverso successive modifiche del predetto articolo fino a quando il nuovo sistema è stato recepito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, il quale, in via transitoria, ha previsto la proroga per il 2007 del regime in vigore nel 2006 in ciascun comune, in attesa della completa attuazione delle nuove norme in materia ambientale.
Tale proroga, secondo il Tar, potrebbe configurare una violazione del principio comunitario del “chi inquina paga”, previsto dall’art. 15 della direttiva n. 75/442/CEE del Consiglio, in materia di rifiuti, e riprodotto nell’art. 15 della vigente direttiva n. 2006/12/CE.
4. In effetti, alla base della questione interpretativa pregiudiziale sollevata dal TAR Napoli vi è lo scontro tra un regime fiscale di copertura dei costi del servizio di smaltimento basato su un criterio di determinazione puramente presuntivo, in quanto legato alla superficie dell’immobile, con un sistema tariffario, previsto a livello comunitario e recepito dal legislatore nazionale, ancorato alla effettiva produzione di rifiuti da smaltire da parte del servizio comunale.
Come illustrato dall’ordinanza del TAR Napoli, infatti, la normativa fissata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, prevedeva all’art. 62 che presupposto per l’applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu) fosse l’occupazione o mera detenzione di locali ed aree scoperte e che, ai sensi dell’art. 65, l’importo venisse fissato annualmente da parte dei singoli comuni in relazione ai criteri, stabiliti dalla legge nazionale, della superficie dell’immobile e dei coefficienti di produttività stimati secondo l’utilizzo dell’immobile.
Quanto più ampia era la superficie dell’immobile, dunque, tanto maggiore risultava l’importo della Tarsu, a prescindere dalla effettiva quantità dei rifiuti prodotti e fatti smaltire al servizio pubblico locale.
L’applicazione di questo sistema, dunque, poteva effettivamente creare delle evidenti ed ingiustificate sperequazioni, non tenendo in dovuta considerazione il fatto che non necessariamente l’entità di rifiuti prodotta fosse direttamente proporzionale alla superficie dell’immobile abitata, come nel caso di strutture alberghiere utilizzate solo in alcune stagioni dell’anno o abitazioni di grandi dimensioni abitate da una sola persona o, addirittura, disabitate.
5. L’esigenza di ancorare la prestazione imposta a criteri di effettività e di rendere il servizio di smaltimento rifiuti progressivamente corrispondente a canoni di obiettività economica ha, dunque, condotto il legislatore, in applicazione di principi comunitari, a sostituire la Tarsu con la Tariffa di igiene ambientale (Tia).
Il cosiddetto decreto “Ronchi”, D.Lgs. n. 22 del 1997, ha, dunque, cercato di porre rimedio alla sproporzione tra l’ammontare del tributo richiesto e l’entità del servizio concretamente fornito nei confronti di ciascun utente, stabilendo all’art. 49 che presupposto per l’applicazione della tariffa fosse l’occupazione o la conduzione di locali od aree scoperta ad uso privato all’interno del comune ma che la tariffa venisse commisurata al costo del servizio ed alla quantità di rifiuti conferiti.
Il decreto ha previsto, tuttavia, una progressiva entrata in vigore della tariffa, in modo da porre i comuni nelle condizioni di adeguarsi al nuovo regime tariffario (art. 49, comma 5).
Molti comuni, dunque, visto il costante rimando operato per via legislativa del termine ultimo per il passaggio al nuovo sistema di tariffazione, hanno continuato ad applicare la Tarsu.
Il regime tariffario previsto dal decreto “Ronchi” è stato poi recepito dall’art. 238 del nuovo Codice dell’ambiente, D.Lgs. n. 152 del 2006, il quale, pur abrogando espressamente l’art. 49, ne ha sostanzialmente riproposto l’impostazione in relazione al presupposto di applicazione della tariffa ed ai criteri di calcolo, i quali vengono commisurati “alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati” con apposito regolamento ministeriale.
L’art. 238, tuttavia, ha fatto salva, al comma 11, la disciplina vigente fino all’emanazione del suddetto regolamento ed agli adempimenti necessari per l’applicazione locale della nuova tariffa.
La situazione normativa a livello locale è, dunque, stata congelata in attesa dell’adozione delle previsioni attuative della Tia, procrastinandosi la sopravvivenza del doppio regime fino alla sua definitiva unificazione secondo il regime tariffario previsto dal nuovo Codice dell’ambiente.
I comuni ancora legati all’applicazione del regime fiscale previsto dal D.Lgs. n. 507 del 1993, pertanto, potranno continuare ad applicarlo, così come verrà fatta salva la normativa prevista dal codice “Ronchi” per quei comuni che vi avessero optato prima dell’entrata in vigore del Codice dell’ambiente.
La confusione normativa determinata dalla stratificazione dei provvedimenti legislativi è stata, peraltro, ulteriormente alimentata da due recenti interventi normativi i quali da una parte, con la Finanziaria 2007, Legge n. 296 del 2006, hanno, agli artt. 183 e 184, esteso i criteri di determinazione della vecchia Tarsu al computo della Tia ed esteso a tutto il 2008 il suddetto regime transitorio e, dall’altra, con l’art. 7 del D.L. n. 61 del 2007 imposto ai soli comuni della Campania l’immediata adozione di misure urgenti affinché sia la Tarsu che la Tia siano determinate, a partire dal 1° gennaio 2008 e per cinque anni, in modo da garantire la copertura integrale dei costi del servizio di gestione dei rifiuti.
6. Dato il presente quadro normativo, dunque, non stupisce che i giudici del TAR Napoli abbiano chiesto l’ausilio della Corte di Giustizia europea per sapere se la persistente applicazione di un sistema legato a criteri del tutto svincolati da principi di effettività potesse considerarsi conforme al principio comunitario del “chi inquina paga”, applicato al costo dello smaltimento dei rifiuti sin dall’art. 15 della direttiva n. 75/442/CEE del Consiglio, riprodotto nell’art. 15 della vigente direttiva n. 2006/12/CE.
D’altra parte, le disfunzioni del sistema italiano di raccolta e smaltimento dei rifiuti, di cui la determinazione della tariffa ne costituisce solo un aspetto, sono costantemente state all’attenzione della Commissione europea e della Corte di Giustizia.
Basti ricordare che risultano attualmente pendenti ben 13 procedure d’infrazione a carico dello Stato Italiano in materia di rifiuti, di cui ben cinque relative alla violazione della direttiva n. 75/442 - una di esse giunta al parere motivato della Commissione ex art. 228 - e due in merito alla nuova direttiva 2006.
In considerazione della situazione sensibilmente morosa della legislazione italiana nei confronti del rispetto della normativa comunitaria in materia di rifiuti, dunque, non deve (forse) considerarsi casuale l’atteggiamento di apertura dimostrato nell’ordinanza in questione da parte del giudice amministrativo relativamente all’applicazione del principio comunitario del “chi inquina paga” – nella sua veste, in questo caso, del principio “chi più inquina più paga” – rispetto a precedenti esempi di chiusura (cfr. Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, sent. n. 905 del 2000). |
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(pubblicato il 10.6.2008) |
AMEDEO BARLETTA
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Sul rinvio pregiudiziale del TAR Campania in materia di rifiuti
1. Quando Ronald H. Coase sviluppo la sua teoria nell'articolo degli anni ’60 titolato The Problem of Social Cost, che gli valse il Premio Nobel per l'economia nel 1991, il problema dei rifiuti in Campania, che avrebbero condotto alla sciagurata emergenza lunga ben 15 anni e tutt’ora in corso, era ben lungi dal porsi.
Il geniale economista della scuola di Chicago non immaginava di certo che la sua celeberrima teoria, sintetizzabile nel brocardo moderno: “chi inquina paga”, potesse essere chiamata in causa da un Tribunale napoletano al fine di legittimare uno sconto in materia di tassa sui rifiuti, a seguito del ricorso promosso da alcuni albergatori partenopei.
Secondo Ronald Coase attraverso il mercato ed i suoi automatismi si sarebbe potuto giungere ad una più efficiente gestione (nel senso di una migliore garanzia del benessere sociale rispetto a quanto non possa determinarsi attraverso l’imposizione di regolamentazioni di provenienza statale) delle risorse naturali e della questione concernente la produzione di inquinamento.
Naturalmente le politiche che con il Protocollo di Kyoto del 1997 hanno assunto, a livello globale, come fondamento il principio del “chi inquina paga” non sono proprio ciò che Coase aveva in mente quando pensò al suo ‘modello’ di gestione delle risorse naturali e di garanzia del benessere sociale.
2. Veniamo alla vicenda napoletana. Un gruppo di operatori economici, essenzialmente albergatori della provincia di Napoli, ha deciso di ricorrere al giudice amministrativo per vedere dichiarata la illegittimità delle norme che presiedono alla determinazione della TARSU, Tassa sui rifiuti solidi urbani. In estrema sintesi, e per quanto riguarda il rinvio pregiudiziale operato dai giudici napoletani con l’ordinanza del 26 maggio 2008, si contesta il carattere tributario dell’onere relativo allo smaltimento dei rifiuti, secondo il presupposto che il diritto comunitario, e nello specifico il suddetto principio “chi inquina paga”, non consentano la permanenza di “un sistema di carattere fiscale per la copertura dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti, procrastinando l’introduzione di un sistema tariffario”.
Il giudici del Tribunale amministrativo per la Campania prendono come parametro per la valutazione della legittimità comunitaria delle norme interne in materia di TARSU l’articolo 15 della direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, oggi contenuto nella direttiva che ha operato un generale recasting della materia, la n. 2006/12/CE. Secondo l’articolo 15:
“Articolo 15
Conformemente al principio "chi inquina paga", il costo dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto:
a) dal detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore o ad una impresa di cui all'articolo 9; e/o
b) dai precedenti detentori o dal produttore del prodotto causa dei rifiuti.”
Secondo il considerando 14 della stessa direttiva, nella versione 2006/12/CE:
“(14) La parte dei costi non coperta dal recupero dei rifiuti dovrebbe essere ripartita secondo il principio "chi inquina paga".
Appare a questo punto evidente, anche dalla lettura delle altre disposizioni della direttiva e dallo spirito della proposta della Commissione, come l’obiettivo dell’ordinamento comunitario, anche attraverso l’introduzione di un principio di questo genere, sia quello di contribuire, attraverso la definizione di strumenti normativi diversi da quelli tradizionalmente usati e fondati sulla mera fiscalità generale, alla riduzione ed ad una più razionale gestione dei rifiuti.
Tale riduzione della quantità e qualità dei rifiuti, nonché una loro più razionale gestione, possono solo discendere da una tariffazione elastica della produzione dei rifiuti stessi che sia in grado di premiare comportamenti virtuosi tesi a ridurre quantità e dannosità della produzione di rifiuti.
Una tassazione anelastica, dunque, che non vari a seconda del variare della produzione di beni di cui disfarsi, non appare idonea a rispettare lo spirito e la lettera della norma europea.
Il punto qualificante per la norma comunitaria non appare, in sostanza, la scelta tra il modello del tributo o della tariffa - sebbene sia chiaro che un sistema tariffario appaia più coerente con lo spirito comunitario (ma ancor di più un sistema competitivo e di mercato!) - bensì la previsione di meccanismi maggiormente connessi alla effettiva produzione di rifiuti ed in grado di determinare processi premiali in favore di chi produce meno e gestisce meglio i processi produttivi, anche attraverso il riciclo ed il riutilizzo dei rifiuti stessi.
Di conseguenza all’ordinamento comunitario non interessa tanto il nomen della imposizione, se dunque questa sia da definire tassa o tariffa, ma quanto in concreto viene previsto dall’ordinamento e dunque il fatto che tale imposizione sia effettivamente e direttamente correlata con la produzione di rifiuti, e che il sistema di pagamento sia idoneo ad incentivare pratiche virtuose tra i cittadini e gli operatori commerciali, in modo da indurre una riduzione della quantità dei rifiuti prodotti o quanto meno un loro più razionale trattamento.
Invero, il legislatore italiano ha provveduto ad adeguare, con l’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 più volte oggetto di successivi interventi e modifiche - seppur in modalità non sempre e da tutti ritenute soddisfacenti - l’ordinamento interno, introducendo un sistema di tipo tariffario e dunque prevedendo una quota variabile rapportata alla quantità di rifiuti conferita.
Tale sistema non è però mai entrato in vigore, essendo stato più volte oggetto di rinvii attraverso proroghe della previgente disciplina, che si sono protratte fino a tutto il 2007.
Detta normativa, introdotta con il dlgs n. 507 del 1993 e nello specifico dagli artt. 58 e ss., prevede solo marginali adattamenti in funzione della quantità dei rifiuti conferiti, apparendo dunque meno idonea e non pienamente rispettosa del principio affermato nella legislazione comunitaria. A ciò va però aggiunto che una valutazione più approfondita non può prescindere da una analisi complessiva delle norme, inclusi i regolamenti comunali che nel dettaglio disciplinano le modalità di definizione delle somme imponibili a copertura del servizio di smaltimento.
Appare dunque difficile che la Corte di giustizia possa intervenire in maniera definitivamente tranciante sulla questione sottoposta, se non limitandosi ad indicare la via da seguire.
3. Va in chiusura notato come la stessa questione pregiudiziale non sia correttamente formulata, almeno secondo i canoni delineati dalla giurisprudenza comunitaria. Si tratta però di un’imprecisione sovente riscontrabile nei rinvii effettuati dai giudici nazionali, rispetto alla quale la Corte comunitaria è sempre apparsa assai indulgente, nonostante i richiami operati dalle difese statali.
Non compete infatti alla Corte di giustizia delle Comunità europee fornire un giudizio di compatibilità diretta di una norma interna rispetto al parametro comunitario.
Il giudice comunitario non è giudice delle norme originate nell’ordinamento interno, essendo la propria competenza limitata alla interpretazione del diritto comunitario nel rispetto del principio di autonomia delle scelte del legislatore nazionale, sistematicamente ribadito dal giudice di Lussemburgo (v. sentenze 9 settembre 2003, causa C 151/02, Jaeger, Racc. pag. I 8389, punto 43, e 23 marzo 2006, causa C 237/04, Enirisorse, Racc. pag. I 2843, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).
Ai giudici del Lussemburgo spetta tutt’al più fornire la corretta interpretazione della disposizione comunitaria, definendo il parametro di valutazione della norma nazionale; valutazione che può solo spettare, in maniera vincolante, al giudice interno (di merito o costituzionale).
Dunque alla Corte di giustizia toccherà innanzitutto riformulare la questione sollevata dal Tribunale amministrativo partenopeo affinché la stessa Corte possa correttamente pronunciarsi sull’interpretazione della normativa comunitaria e al più sulla circostanza che questa consenta agli ordinamenti interni l’introduzione di norme nazionali tese determinare una imposizione tributaria in capo ai soggetti produttori di rifiuti che sia scollegata da valutazioni che prendano in considerazione le quantità effettivamente prodotte e conferite ai servizi di smaltimento. |
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(pubblicato il 10.6.2008) |
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