Giustizia Amministrativa - on line
 
Giurisprudenza
n. 6-2008 - © copyright

 

GIURI

T.A.R. LIGURIA - GENOVA - SEZIONE II - Sentenza 11 aprile 2008 n. 543


1. Autorizzazione e concessione – Autorizzazione di polizia – Licenza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande – Regolarità edilizia dei locali – Presupposto per lo svolgimento dell’attività.

 

2. Autorizzazione e concessione – Autorizzazione di polizia – Licenza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande – Sospensione – Competenza ad adottare il provvedimento – Dirigenza.

 

3. Autorizzazione e concessione – Autorizzazione di polizia – Licenza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande – Sospensione – Natura del provvedimento.

1. Dall’art. 3, co. 7, l. 25.08.1991, n. 287 occorre dedurre che la regolarità edilizia dei locali in cui è esercitata l’attività di somministrazione di alimenti e bevande costituisce condizione per il legittimo esercizio della stessa, sicché il venir meno del presupposto dell’agibilità si riverbera su tutta la struttura con l’effetto di renderla assolutamente inutilizzabile per lo svolgimento delle attività umane cui risultava destinata.

 

2. La licenza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è qualificabile come autorizzazione di polizia e, in quanto tale, è soggetta alle misure cautelari e sanzionatorie (sospensione e /o revoca) previste, in generale, dall’art. 10 T.U.L.P.S. per il caso di abuso. Tra l’altro, con specifico riferimento alla licenza di somministrazione di alimenti e bevande, l’ipotesi di un provvedimento cautelare di sospensione dell’attività autorizzata è prevista dall’art. 17-ter T.U.L.P.S. Ad ogni modo è da escludere che un simile provvedimento sia atipico e costituisca espressione di un potere extra ordinem, sicché la competenza ad adottarlo non spetta al sindaco ex art. 54, co. 2, T.U.E.L., bensì al dirigente del settore commercio ex art. 107 T.U.E.L.

 

3. Il provvedimento di sospensione della licenza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande ex art. 17-ter, co. 3, T.U.L.P.S. non riveste natura sanzionatoria, bensì latamente cautelare: esso prelude, infatti, in mancanza di un sollecito adeguamento della situazione alle prescrizioni violate, ad un provvedimento di revoca della licenza stessa.


N. 00543/2008 REG.SEN.
N. 00862/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)



ha pronunciato la presente

SENTENZA



Sul ricorso numero di registro generale 862 del 2005, proposto da:
Immobiliare Santa Croce s.n.c. di Banchio Giovanni e Cugerone Nicoletta, rappresentata e difesa dagli avv.ti Emanuele Ottonello, Francesco Massa e Luca Saguato, con domicilio eletto presso lo studio degli ultimi due in Genova, alla via Corsica 21/18;

contro



Comune di Alassio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Simone Contri, con domicilio in Genova, alla via dei Mille n. 9, presso la segreteria del T.A.R.;
e con l'intervento di
S.E. Nunzio Alfredo D'Angieri nonché On. Diego Masi De Vargas Macciucca, in proprio e quale legale rappresentante della società Didinvest s.r.l., intervenienti ad opponendum, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Gaetano Armao e Piergiorgio Alberti, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Genova, alla via Corsica 2/11;

per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
dell’ordinanza dirigenziale 4.8.2005, n. 368, di immediata sospensione della validità dell’autorizzazione n. 1318 del 5.8.2004 per la somministrazione di alimenti e bevande (tipo b), nonché di chiusura al pubblico dell’esercizio.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Alassio;
Visto l’atto di intervento ad opponendum con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27/03/2008 l’avv. Angelo Vitali e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO



La società ricorrente, che gestisce un pubblico esercizio in Alassio, ha impugnato il provvedimento del dirigente comunale 4.8.2005, n. 368, di sospensione dell’autorizzazione n. 1318 del 5.8.2004 per la somministrazione di alimenti e bevande al pubblico e di immediata chiusura dell’esercizio, “fino all’intervenuta regolarizzazione dell’immobile sotto il profilo edilizio-urbanistico e paesaggistico nonché all’ottenimento dell’abitabilità del locale ex art. 24 del D.P.R. n. 380/2001”.
L’ordinanza impugnata è stata adottata a motivo dell’accertata realizzazione di opere in difformità dal titolo edilizio (il permesso di costruire n. 5/2004, cfr. il doc. 1 delle produzioni 29.8.2005 di parte resistente) e, soprattutto, della mancanza del requisito del certificato di agibilità ai sensi degli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380/2001, con conseguente situazione di pericolo per la pubblica incolumità.
A sostegno del gravame deduce sei motivi di ricorso, rubricati come segue.
1. Violazione e falsa applicazione della L. n. 287/1991, del D.P.R. n. 380/2001, degli artt. 5 e 86 del R.D. n. 773/1931 e della L. n. 626/1994. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990. Difetto di motivazione. Perplessità. Atipicità.
La varietà dei riferimenti normativi contenuti nell’ordinanza non consentirebbe di comprendere se essa sia espressione di un potere sanzionatorio ovvero se sia stata assunta a tutela della sicurezza e dell’incolumità pubbliche.
2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 2, D. Lgs. 267/2000. Violazione e falsa applicazione dell’art. 107 del D. Lgs. 267/2000. Incompetenza. Difetto di presupposto.
Trattandosi di un’ordinanza contingibile ed urgente, la competenza ad adottarla spettava al sindaco o, al più, al dirigente del servizio edilizia privata, giammai a quello del servizio commercio.
3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 54 comma 2 del D. Lgs. 267/2000. Difetto di presupposto. Contraddittorietà. Difetto di motivazione. Sviamento.
Difetterebbe lo stato di pericolo per la pubblica incolumità, non potendo questo desumersi - in via astratta - dall’esecuzione di modeste opere in difformità dal titolo edilizio o dalla mancanza del certificato di agibilità.
4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 9, 10 L. n. 287/1991. Violazione falsa applicazione degli artt. 5, 17-ter, 17-quater, 86 del R.D. n. 773/1931. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. n. 241/1990. Difetto di presupposto. Travisamento di fatto. Contraddittorietà. Sviamento.
Attesa la natura sanzionatoria dell’ordinanza impugnata, sussisterebbe la violazione delle disposizioni rubricate, che legittimerebbero la sospensione dell’attività soltanto per il tempo occorrente ad uniformarsi alle prescrizioni violate, e comunque per un periodo non superiore a tre mesi.
5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. n. 241/1990. Mancata comunicazione di avvio del procedimento.
La comunicazione 21.7.2005 ex art. 7 L. 241/1990 sarebbe incompleta, non avendo sollecitato alcun contraddittorio circa la sussistenza di concreti pericoli per la pubblica incolumità.
6. Violazione e falsa applicazione artt. 9 e 10 L. n. 241/1990. Difetto di motivazione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. n. 241/1990. Contraddittorietà. Travisamento. Difetto di presupposto.
Le memorie depositate dalla ricorrente non sarebbero state adeguatamente valutate.
Si è costituito in giudizio il comune di Alassio, instando per la reiezione del ricorso.
Sono altresì intervenuti in giudizio, ad opponendum, S.E. Nunzio Alfredo D'Angieri nonché l’On. Diego Masi De Vargas Macciucca, quest’ultimo in proprio e quale legale rappresentante della società Didinvest s.r.l., instando a loro volta per la reiezione del ricorso.
Con ordinanza 31.8.2005, n. 434 la Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
Alla pubblica udienza del 27 marzo 2008 il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione.

DIRITTO



Il ricorso è infondato.
Giova premettere, in punto di fatto, che la realizzazione, da parte della società ricorrente, di opere in difformità dall’originario titolo edilizio (il permesso di costruire n. 5/2004, cfr. il doc. 1 delle produzioni 29.8.2005 di parte resistente) e – soprattutto - la mancanza del requisito del certificato di agibilità dei locali ai sensi degli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380/2001, sono pacifiche e non contestate.
Le opere stesse - o, quantomeno, parte delle stesse - sono state infatti oggetto del provvedimento dirigenziale 15.6.2006, n. 58 (doc. 1 delle produzioni 6.3.2008 di parte ricorrente), di variante in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/01.
Ciò posto, il provvedimento impugnato ha contestato alla società ricorrente la violazione dell’art. 3 comma 7 della legge 25.8.1991, n. 287, a mente della quale “le attività di somministrazione di alimenti e di bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienica-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d'uso dei locali e degli edifici, fatta salva l'irrogazione delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate”.
Tale disposizione ha coordinato il profilo urbanistico-edilizio e quello più propriamente commerciale, stabilendo che (anche) la regolarità edilizia dei locali in cui è esercitata l’attività di somministrazione di alimenti e bevande costituisce condizione per il legittimo esercizio della stessa, sicché “il venir meno del presupposto dell’agibilità, e cioè della corrispondenza del manufatto realizzato al progetto iniziale, si riverbera su tutta la struttura con l’effetto di renderla inutilizzabile, per intero, per lo svolgimento delle attività umane cui risultava destinata” (T.A.R. Valle d’Aosta, 12.12.2002, n. 126; cfr. anche T.A.R. Veneto, III, 2.11.2004, n. 3839 e la giurisprudenza ivi richiamata; recentemente, con riguardo ad un provvedimento di rifiuto del rinnovo della licenza di somministrazione di alimenti e bevande per mancanza del certificato di agibilità, Cons. di St., V, 19.9.2007, n. 4880; cfr. anche T.A.R. Lombardia-Brescia, 1.6.2007, n. 479).
Venendo ai singoli motivi di ricorso, essi sono infondati e debbono rigettarsi, per le seguenti motivazioni.
1. La motivazione dell’atto impugnato, indicando puntualmente in punto di fatto la riscontrata realizzazione di opere in difformità dal titolo edilizio (all’uopo richiamando l’esito di alcuni sopralluoghi disposti dall’ufficio tecnico comunale) e la mancanza del certificato di agibilità, nonché, in punto di diritto, la violazione dell’art. 3 comma 7 della legge n. 287/1991, appare congrua e conforme ai dettami di cui all’art. 3 comma 1 della legge n. 241/1990.
Né - secondo il noto principio utile per inutile non vitiatur - la citazione di ulteriori fonti normative ritenute non pertinenti vale a rendere perplessa la motivazione dell’atto.
2. La licenza di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è qualificabile come autorizzazione di polizia e, in quanto tale, è soggetta alle misure cautelari e sanzionatorie (sospensione e/o revoca) previste, in generale, dall'art. 10 T.U.L.P.S. per il caso di abuso (T.A.R. Campania-Salerno, I, 2.11.2005, n. 2401; nello stesso senso cfr. T.A.R. Lombardia, IV, 12.7.2004, n. 3096).
Con specifico riferimento alla licenza per la somministrazione di alimenti e bevande, analogo provvedimento cautelare di sospensione dell’attività autorizzata (per il tempo occorrente ad uniformarsi alle prescrizioni violate, e comunque per un periodo non superiore a tre mesi; cfr., sul punto, infra) è poi previsto dall’art. 17-ter del R.D. 18.6.1931, n. 773 (richiamato dall’art. 10 comma 3 della legge n. 287/1991) per il caso di violazione delle prescrizioni.
Dunque, il provvedimento impugnato non è “atipico” e non costituisce espressione di un potere extra ordinem, sicché deve escludersi la competenza ad adottarlo in capo al sindaco, ex art. 54 comma 2 del D. Lgs. n. 267/2000.
E trattandosi della sospensione di una licenza di somministrazione di alimenti e bevande, è evidente che la competenza a provvedere spettasse - ex art. 107 D. Lgs. n. 267/2000 - al dirigente e, segnatamente, al direttore del settore commercio.
3. Escluso - per tutto quanto detto al punto precedente - che il provvedimento impugnato costituisca esercizio di un potere extra ordinem, deve escludersi altresì che presupposto necessario del provvedimento impugnato fosse uno stato di pericolo attuale ed imminente per la pubblica incolumità, da fronteggiarsi nelle forme dell’ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54 comma 2 del D. Lgs. n. 267/2000.
Il duplice presupposto di fatto assunto a base del provvedimento consiste infatti nella (incontestata) realizzazione di opere in difformità dal titolo edilizio e nella (parimenti incontestata) mancanza del certificato di agibilità: ciò che è sufficiente per disporre, sulla base di norme già esistenti nell’ordinamento, la sospensione della licenza in via cautelare, senza che fosse necessaria anche la ultronea dimostrazione di un pericolo attuale e concreto per la pubblica incolumità.
Del resto, dal contesto del provvedimento (e, segnatamente, dal capoverso: “CONSIDERATO, pertanto, necessario disporre la sospensione dell’autorizzazione n. 1318 del 05/08/2004, per la somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, tipologia B (bar) in quanto condotta in locale non agibile, pertanto in difformità delle previsioni normative dell’art. 3, comma 7, della Legge n. 287/1991, nonché in situazione di pericolo per la pubblica incolumità”) risulta chiaro che la prospettazione di una situazione di pericolo è stata dedotta ad abundantiam, sicché anche in tal caso deve concludersi che essa non vale ad inficiare la legittimità del provvedimento (utile per inutile non vitiatur).
E’ noto infatti che, qualora la motivazione di un provvedimento si basi su più presupposti (nel caso di specie, la carenza dell’agibilità e la situazione di pericolo per la pubblica incolumità), il venir meno di uno solo di essi non determina, per ciò solo, l’illegittimità dell’atto.
Donde l’infondatezza della censura volta a dimostrare che la mancanza del certificato di agibilità non comporterebbe ex se un pericolo per la pubblica incolumità: essendo – come detto - sufficiente la mancanza del certificato di agibilità per disporre legittimamente la sospensione della licenza di somministrazione di alimenti e bevande, si tratta di un’argomentazione in sé condivisibile, ma che nella fattispecie prova troppo.
4. Con il quarto mezzo di gravame la ricorrente lamenta che, attesa la natura sanzionatoria dell’ordinanza impugnata, sussisterebbe la violazione delle disposizioni rubricate (segnatamente, degli artt. 10 L. 287/1991 e 17-ter e quater R.D. n. 773/1931), che legittimerebbero la sospensione dell’attività soltanto per il tempo occorrente ad uniformarsi alle prescrizioni violate, e comunque per un periodo non superiore a tre mesi.
Anche tale censura è infondata, in quanto parte da un presupposto erroneo.
Il provvedimento di sospensione della licenza ex art. 17-ter comma 3 del T.U.L.P.S. non riveste infatti natura sanzionatoria, bensì latamente cautelare: esso prelude infatti, in mancanza di un sollecito adeguamento della situazione alle prescrizioni violate, ad un provvedimento di revoca della licenza di polizia per abuso della stessa ex art. 10 T.U.L.P.S. (senz’altro applicabile alla licenza di somministrazione di alimenti e bevande, cfr. T.A.R. Campania-Salerno, n. 2401/05 e T.A.R. Lombardia, n. 3096/04, citate supra).
Esso – per altro verso - appare espressione di una potestà di natura cautelare, propedeutica ad un atto di ritiro dell’autorizzazione, che in generale (id est, a prescindere dalle singole materie per le quali esso sia – come nel caso di specie - già previsto e disciplinato) l’ordinamento ricononosce alla pubblica amministrazione ex art. 21-quater comma 2 L. n. 241/1990.
Orbene, è pacifico in causa che la ricorrente non fosse in possesso del certificato di agibilità dei locali nei quali gestiva l’attività di sommistrazione di alimenti e bevande, avendo eseguito alcune opere in difformità dal titolo edilizio n. 5/2004 rilasciatole per la ristrutturazione dei locali in questione.
A fronte di ciò appare ininfluente, in questa sede, indagare circa l’entità delle difformità contestate e circa la loro sanabilità dal punto di vista edilizio e paesaggistico: nel momento in cui le ha concretamente poste in essere, infatti, la ricorrente si è scientemente posta nella condizione di non conseguire, all’esito delle stesse, il certificato di agibilità dei locali (che - come è noto - postula ex art. 25 comma 1 lettera b la conformità dell'opera rispetto al progetto approvato).
Per il resto, posto che le riscontrate difformità dal titolo edilizio costituiscono soltanto uno dei due presupposti dell’atto, l’avvio della procedura di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 per la sanatoria dell’abuso edilizio non vale certo a bloccare l’esecuzione dell’ordine di sospensione ex art. 17-ter comma 3 ultimo periodo T.U.L.P.S., non potendo essa, in ogni caso, surrogare l’esistenza di un valido ed efficace certificato di agibilità, nel caso di specie pacificamente mancante.
5. Palesemente infondato è il quinto motivo di ricorso.
Risulta agli atti che, con nota 21.7.2005 (doc. 4 delle produzioni 29.8.2005 del comune di Alassio), l’amministrazione resistente ha comunicato l’avvio del procedimento di sospensione della licenza, rappresentando la medesima situazione (la realizzazione di opere in difformità dal titolo edilizio e la mancanza del certificato di agibilità) successivamente assunta a fondamento del provvedimento impugnato.
6. Parimenti infondato è il sesto ed ultimo motivo di ricorso.
Per costante giurisprudenza, infatti, “l'obbligo di prendere in considerazione gli scritti defensionali del privato ai sensi dell'art. 10 L. n. 241 del 1990 non comporta la necessità di una puntuale confutazione delle argomentazioni svolte dalla parte privata, dovendosi valutare la sufficienza della motivazione in relazione all'ampiezza dei poteri affidati all'amministrazione, tenendo conto che ciò che rileva ai fini di legittimità è la congruità della decisione e della motivazione in rapporto alle risultanze istruttorie complessivamente acquisite” (così, per tutte, T.A.R. Campania-Napoli, I, 5.5.2006, n. 3976).
Già si è detto, del resto, che la sanabilità dell’abuso edilizio non può comunque validamente surrogare l’esistenza del certificato di agibilità.
Con riguardo al comune di Alassio le spese seguono come di regola la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono invece giusti motivi per compensare integralmente le spese di giudizio con i soggetti intervenienti ad opponendum.

P.Q.M.



Rigetta il ricorso
Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del comune di Alassio, delle spese di giudizio, che si liquidano in € 2.500,00 (duemilacinquecento).
Compensa integralmente le spese di giudizio con gli intervenienti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 27/03/2008 con l'intervento dei Magistrati:
Enzo Di Sciascio, Presidente
Luca Morbelli, Referendario
Angelo Vitali, Referendario, Estensore DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/04/2008


Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico Stampa il documento