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n. 6-2008 - © copyright

 

GIUSEPPE CAIA

La giurisdizione della Corte dei conti nel sistema amministrativo e della contabilità pubblica


1. La giurisdizione sulla responsabilità degli amministratori e dei dipendenti delle società a totale, prevalente o minoritaria partecipazione pubblica rappresenta una questione complessa e fortemente dibattuta, almeno dall'anno 2003 e cioè da quando la Corte di Cassazione ha mutato indirizzo, affermando la sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti sulla responsabilità amministrativa dei funzionari degli enti pubblici economici. Con la sentenza, sez. un. civ., 22 dicembre 2003, n. 19667, la Suprema Corte ha, infatti, superato la precedente impostazione, che escludeva la giurisdizione contabile per i danni arrecati con atti e comportamenti relativi alla gestione di impresa (cfr. Cass. civ., sez. un., 2 marzo 1982, n. 1202 e 12 giugno 1999, n. 334).
Questo mutamento di indirizzo ha fatto ritenere che lo stesso poteva (doveva) valere anche relativamente alle società con partecipazione pubblica ed ha dato luogo ad una rimarchevole giurisprudenza della Corte dei Conti, che nel volgere di pochi anni ha molto approfondito la questione, affermando con forza che la sua giurisdizione riguarda anche la responsabilità (amministrativa) rispetto a società a partecipazione pubblica (si v., per tutte, Corte Conti, sez. giur. Lombardia, 5 settembre 2007, n. 448; in realtà questo indirizzo ricostruttivo era stato già anticipato da Corte Conti, sez. giur. Lombardia, 17 febbraio 2000, n. 296).
Premettendo che il problema ricostruttivo è ora, in gran parte, risolto dal legislatore con l'art. 16-bis del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 come convertito in legge 28 febbraio 2008, n. 31 e senza qui soffermarsi sugli argomenti, molto estesi e certamente ricchi, che la stessa Corte dei Conti ha utilizzato per affermare la propria giurisdizione, debbo però notare che la Suprema Corte ha fornito sì suggestioni ma non chiare ed inequivocabili affermazioni nel senso che la giurisdizione contabile riguarda anche le società a partecipazione pubblica (oltre agli enti pubblici economici).
Ed infatti, la già citata decisione, che ha inaugurato il nuovo indirizzo, si riferiva solo agli enti pubblici economici e lo stesso deve dirsi per la più recente Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2007, n. 15458. Per parte loro le altre decisioni, sempre rese a sezioni unite (26 febbraio 2004, n. 3899; 3 maggio 2005, n. 9096 e 1 marzo 2006, n. 4511), si sono pronunciate su vicende che evocavano la figura delle società a partecipazione pubblica, ma affermando la giurisdizione della Corte dei Conti non già sulla base dello status bensì della ricorrenza nei casi di specie di un "rapporto di servizio" tra la società e l'Amministrazione, che notoriamente può invero sussistere anche riguardo ad un soggetto del tutto privato e senza nessuna partecipazione pubblica.
Pertanto, a mio avviso, la Suprema Corte non aveva affermato espressamente la giurisdizione della Corte dei Conti tenendo conto dello status di società a partecipazione pubblica. Poteva forse trattarsi di uno sviluppo logico dei ragionamenti fatti sugli enti pubblici economici e sul rapporto di servizio (per il quale – lo si ripete – è irrilevante la natura privatistica del soggetto affidatario o incaricato), ma era necessario auspicare un più consistente fondamento per la ricostruzione estensiva.
Questo fondamento è ora pervenuto con il citato art. 16-bis della recente legge.
Anche qui mi astengo da valutazioni di politica del diritto, ma osservo che l'intervento di una norma di legge è particolarmente significativo, in ragione della lettura che la Corte costituzionale ha fornito a proposito dell'art. 103, comma 2° Cost.
Infatti, questa sopravvenuta norma di legge rappresenta la interpositio legislatoris, che radica senza equivoci la giurisdizione della Corte dei Conti, alla quale è riservata la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica ma «secondo ambiti la cui concreta determinazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore» (cfr. Corte cost., 24 luglio 1998, n. 327 nonché – tra le altre – 20 novembre 1998, n. 371 e 7 luglio 1988, n. 773).
Se le indicazioni legislative non sono univoche e se rappresentano indizi o elementi di evoluzione del sistema, non si può con certezza affermare che sussiste una giurisdizione neppure quando (come in molti casi che riguardano società a partecipazione pubblica) il relativo riconoscimento potrebbe vantare ragioni di opportunità.

2. Per questi motivi, prima dell'art. 16-bis della recente legge, non erano sufficienti le indicazioni degli artt. 7 e 3 della legge 27 marzo 2001, n. 97 e dell'art. 1, ult. comma della legge 14 gennaio 1994, n. 20, rispettivamente a proposito degli «enti a prevalente partecipazione pubblica» e delle «amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza».
Si trattava, certamente, di elementi non irrilevanti, ma che dovevano confrontarsi con indizi di segno contrario alla riferibilità della responsabilità amministrativa, di cui conosce la Corte dei Conti, pure agli amministratori e dipendenti delle società a partecipazione pubblica.
Quali indici di segno contrario, si registravano: a) la riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 febbraio 2003, n. 6, di conferma della unitarietà del regime dei doveri e della responsabilità degli amministratori di società regolate dal Codice civile senza al riguardo distinguere tra società del tutto private e società con partecipazione pubblica (ipotesi della quale viene pure espressamente riconosciuta la sussistenza: cfr. art. 2449, ove peraltro si afferma che gli amministratori e i sindaci nominati nel modo facoltizzato da tale norma «hanno [gli stessi] ... diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea »); b) l'art. 1, comma 1-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, a mente del quale «La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente», con la conseguente ricavabilità della sottoposizione al diritto comune delle vicende di una società, seppure al relativo contratto associativo partecipino enti pubblici; c) l'art. 1, comma 1° della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nella parte in cui fa riferimento alle «scelte discrezionali» dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica, considerando che il concetto di discrezionalità presenta un ben preciso significato tecnico, contrapposto a quello di autonomia (privata), e si rapporta ai soli enti propriamente pubblici non essendo invece conosciuto dal Codice civile, che è il sistema in forza del quale vengono costituite e funzionano le società attraverso – appunto – una serie di atti di autonomia privata (civilistica); d) la distinzione tra generi di persone giuridiche che emerge dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sulla "responsabilità amministrativa" (ma in un significato e con un valore affatto diverso da quello di cui alle norme di legge sulla Corte di Conti) delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, considerando che lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli «altri enti pubblici non economici» sono sottratti da tale disciplina sulla responsabilità che è posta per gli enti – tra l'altro – in parallelo ed in coordinamento con le forme (civilistiche) di responsabilità dei soggetti fisici che negli enti operano; e) la sentenza della Corte di Giustizia CE 6 dicembre 2007, in cause C-463/04 e 464/04, che ha considerato incompatibili con le libertà economiche garantite dal Trattato quelle discipline che fissano regimi differenziati, in funzione di interessi pubblici, in deroga alla disciplina ordinaria di funzionamento delle società.
Per affermare la giurisdizione contabile a proposito della responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti delle società a partecipazione pubblica, sarebbe stato – casomai – più convincente un argomento di taglio generale legato alla vicenda che ha interessato molte tra le società qui considerate. Mi riferisco alla circostanza che, assai spesso, le società a partecipazione pubblica rinvengono dalla trasformazione di preesistenti enti pubblici: essendo la trasformazione un fenomeno di continuità, senza cesura tra il soggetto preesistente e quello rinveniente, ci si sarebbe potuti legare a ciò per affermare che la giurisdizione della Corte dei Conti si doveva ritenere tuttavia confermata anche di fronte alla acquisita veste formale privatistica della società. E' peraltro evidente che questo argomento avrebbe una valenza limitata ai casi in cui la figura soggettiva, originariamente, non fosse stata costituita in veste di società.

3. In definitiva, a me sembra che, prima dell'art. 16-bis della recente legge, gli argomenti a favore e quelli contrari alla configurabilità di una giurisdizione della Corte di Conti per la responsabilità degli amministratori e dipendenti delle società qui considerate fossero tutti ben presenti e prospettabili, con la conseguenza di un quadro ricostruttivo non univoco.
A ciò si aggiunga che predicare la sussistenza della giurisdizione contabile anche con riguardo alle società a partecipazione pubblica motivando l'affermazione con la sussistenza di un "rapporto di servizio" con l'Amministrazione partecipante non rappresenta un argomento persuasivo, perché non idoneo a coprire tutte le fattispecie. Difatti, il rapporto di servizio – se sussiste – intercorre tra l'Amministrazione pubblica e la società, ma non tra l'Amministrazione ed il "funzionario" della società. E' infatti difficile poter sostenere che la società costituisce una semplice entità organizzativa (interna) dell'Amministrazione intesa nel suo complesso, non distinguibile nell'ambito degli apparati di quest'ultima e da dover considerare unitariamente; ciò potrebbe forse sostenersi per le società in house providing ma non certo per tutte le società a partecipazione pubblica. Del resto, il carattere «personale» (art. 1, comma 1° della legge n. 20 del 1994) della responsabilità amministrativa non permette di intravedere un rapporto di servizio in senso sostanziale che venga a "transitare" dalla società (legata all'Amministrazione) ai suoi amministratori o dipendenti.
Da quanto ho cercato di esporre, mi sembra di poter valutare l'art. 16-bis del decreto-legge n. 248 del 2007, come convertito in legge n. 31 del 2008, quale elemento decisivo – a differenza dei precedenti – per ritenere sussistente la giurisdizione della Corte di Conti in ordine alla responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti di molte delle società a partecipazione pubblica.
Questa norma sancisce l'esclusiva giurisdizione del giudice ordinario per determinate fattispecie ivi puntualmente descritte e dunque implicitamente, ma altrettanto inequivocabilmente, fornisce una lettura del sistema nel senso che per gli altri casi, relativi ad altre società a partecipazione pubblica, la giurisdizione contabile, invece, sussiste.
La ragione di questa indicazione legislativa si può ritrovare nell'evoluzione del sistema e nella dimensione crescente che è stata assunta dalla partecipazione pubblica in società di capitali. L'estensione del fenomeno dimostra che, spesso, le società partecipate non sono un semplice caso di applicazione della capacità privatistica della Pubblica Amministrazione per lo svolgimento di un'attività economica, ma rappresentano invece il ricorso ad un modello organizzativo tipizzato dalla legislazione amministrativa e che presenta solo nella forma un carattere privatistico.
Oltre alle figure delle società partecipate "di diritto singolare", perché contemplate da una specifica legge-provvedimento che ne disciplina la costituzione, i compiti e l'azione, si devono considerare le figure delle società "strumentali" o "funzionali" la cui azione e le cui condizioni di operatività sono tipizzate dalla legislazione amministrativa in modo da poterle (doverle) ricondurre a moduli organizzativi della Pubblica Amministrazione, diversificati dai tradizionali e storici uffici pubblici ma ancor più distanti da quelle (normali) società che non rinvengono altra disciplina di riferimento se non quella del Codice civile e delle altre leggi di diritto privato.
Una norma che si riferisce, riassuntivamente, alle società "strumentali" o "funzionali" operanti come moduli organizzativi di rilevanza pubblicistica è rappresentata dall'art. 13 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in legge 4 agosto 2006, n. 248 e successivamente modificato dall'art. 1, comma 720° della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il cui comma 1° così dispone: «Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza [il corsivo è nostro], devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti».

4. L'evoluzione del sistema amministrativo e la presenza di siffatte e peculiari figure societarie rende, dunque, conto di una norma come l'art. 16-bis della recente legge. La norma recita: «Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario. Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Del resto, la Corte costituzionale nella sent. 1 febbraio 2006, n. 29 ha avuto occasione di rilevare che «una società ..., per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata, può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici». Questa affermazione sembra rivestire un carattere generale, non dipendente cioè dal tipo di attività che la società svolge: le società "a capitale interamente pubblico" potrebbero cioè essere viste come "modulo organizzativo pubblicistico" indipendentemente dal fatto che svolgano una normale attività di impresa ovvero le attività "strumentali" o "funzionali" di cui si è detto sopra. In questo caso, la ragione della irrilevanza dell'attività potrebbe dunque risiedere nel fatto che – offrendo l'ordinamento varie ipotesi di possibile costituzione di veri e propri enti pubblici con carattere associativo o consortile – non si giustificherebbe l'alternativa societaria qualora i partecipanti siano solo Amministrazioni pubbliche: l'utilizzo dello strumento societario potrebbe essere inteso come un'alternativa non necessaria e motivata da intenti meramente derogatori ovvero elusivi di regimi altrimenti doverosamente applicabili. Da ciò deriverebbe l'affermazione del persistente regime pubblico.
Pertanto, si può dire che l'art. 16-bis in esame è espressione di una razionale indicazione legislativa nella parte in cui, in via indiretta ma chiara, riconduce alla giurisdizione della Corte dei Conti la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti delle società a capitale interamente pubblico (indipendentemente dal tipo di attività svolta) e delle società partecipate "strumentali" o "funzionali" perché tipizzate dalla legislazione pubblicistica quanto alla figura ed alle relazioni con la Pubblica Amministrazione.
Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati con partecipazione pubblica, anche indiretta, inferiore al 50 per cento nonché per le loro controllate, la scelta espressa dal medesimo art. 16-bis, di ricondurre la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti alla esclusiva cognizione del giudice ordinario, è parimenti razionale e corretta, e può essere vista come applicazione del criterio enunciato da Corte cost., 28 dicembre 1993, n. 466, che limitava la natura "differenziata e speciale" delle società sorte dalla trasformazione di enti pubblici alla situazione transitoria della partecipazione esclusiva o maggioritaria della Pubblica Amministrazione.
Vi è però una ulteriore tipologia di società partecipata dagli enti pubblici, tipologia variegata al proprio interno, talora quotata in borsa ma con capitale pubblico ancora maggioritario e talora non quotata ma con capitale non interamente pubblico.
In questi casi, non si possono ignorare il modus operandi e gli scopi della società: se l'attività è oggettivamente amministrativa si ricade nell'anzidetta categoria delle società "strumentali" o "funzionali" ed altresì tipizzate da norme non civilistiche; se, viceversa, l'attività è normalmente economica ed imprenditoriale, ci si deve chiedere se l'art. 16-bis, che presenta un precetto espresso (per le società quotate ivi descritte) ed un contenuto dispositivo indiretto o implicito, debba o possa essere inteso come la chiara conferma che tutte le società con partecipazione pubblica, con la sola esclusione di quelle per le quali espressamente dispone, vedono i loro amministratori e dipendenti soggetti alla giurisdizione della Corte dei Conti.
Forse, la soluzione del problema richiede una distinzione all'interno delle varie ipotesi di società partecipate dalle Amministrazioni pubbliche. Qualora le società non siano a capitale interamente pubblico e non siano altresì oggetto di nessun trattamento differenziato (rispetto alle normali società detenute da privati) sotto il profilo degli affidamenti di appalti e incarichi pubblici e sotto quelli del regime tributario, della contabilità, della concessione di contribuzioni o agevolazioni ed, in genere, dello svolgimento dell'attività di impresa, meriterebbero di essere sottoposte ad un regime del tutto paritario rispetto alle altre società, indipendentemente cioè dalla partecipazione.
Se si volesse, invece, giungere ad una conclusione differente, occorrerebbe stabilire regole di coerenza ordinamentale a partire dal tema del rapporto tra responsabilità amministrativa e responsabilità secondo la disciplina codicistica delle società. Non è infatti logico che vi sia la sottoposizione a due forme di responsabilità per i medesimi soggetti in ragione dei medesimi fatti (perché entrambe le azioni hanno caratteristica e finalità risarcitoria).
A prescindere dai problemi, qui da ultimo accennati, non si può omettere un'osservazione suggerita dall'art. 3, comma 27° e seguenti della legge finanziaria 2008 [«27. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nè assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E'sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza. // 28. L’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27. // 29. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27»].
Se queste norme saranno concretamente applicate si dovrebbe ridurre il numero delle ipotesi di partecipazione delle Amministrazioni pubbliche a società di capitali: laddove le attività da svolgere siano oggettivamente amministrative non si vede perché non possano essere utilizzati propriamente strumenti di diritto pubblico (accordi, consorzi, etc.); laddove invece le attività siano realmente imprenditoriali e svolte in condizioni di parità tra gli operatori economici potrebbe essere sufficiente un regime (anche sul piano della responsabilità) di tipo civilistico.
Non si può infatti dimenticare che per le stesse società disciplinate dal Codice civile esistono rigorose norme a garanzia degli interessi della collettività (si pensi alla disciplina del ricorso al mercato del capitale di rischio e sui mercati regolamentati).
La giurisdizione della Corte di Conti, per il suo rilievo costituzionale e per i valori ordinamentali ai quali è finalizzata, merita una attenzione ed una salvaguardia che debbono poggiare su fondamenti giuridici sicuri e coerenti, onde garantire un esercizio della funzione libero da eventuali critiche di carattere strumentale sicché – a mio avviso – è assai preferibile che il legislatore adotti soluzioni di chiarezza lungo la linea inaugurata con l'art. 16-bis del decreto-legge n. 248 del 2007.
Per concludere, e come sintesi efficace, mi sembra molto utile ricordare l'incisiva precisazione di uno dei Maestri del nostro Diritto amministrativo: la materia della contabilità pubblica «sta alla Corte dei Conti come la tutela degli interessi legittimi sta al Consiglio di Stato» (E. Cannada Bartoli, Materie di contabilità pubblica e giurisdizione della Corte dei Conti, in Foro amm., 1967, II, pag. 61).

 

(pubblicato il 10.6.2008)

 

 
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