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n. 6-2008 - © copyright |
LIVIA MERCATI
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Il giusto processo contabile
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Sull’ambito di applicazione dell’art. 111, Cost. – 3. Il ‘nuovo’ principio del giusto processo nella giurisprudenza della Corte costituzionale. - 4. Principali risultati raggiunti dalla giurisprudenza della Corte dei conti. – 5. Recenti indicazioni ‘metodologiche’ della Corte costituzionale. – 6. Osservazioni conclusive.
1) Premessa.
Nell’accingermi ad affrontare l’argomento che mi è stato assegnato devo iniziare con un ringraziamento ed una confessione. Il ringraziamento va al procuratore Chiappiniello per avermi invitata a parlare in questo convegno così ricco di spunti e suggestioni. La confessione è relativa al fatto che, nel momento in cui ho cominciato a riflettere sulla tematica del giusto processo contabile, ho avuto, come prima impressione, quella di trovarmi tra Scilla e Cariddi.
Per un verso, infatti, ricordavo le considerazioni svolte sullo stesso tema nel convegno celebrativo dei dieci anni di attività della Sezione umbra dal mio amico e collega Fabrizio Figorilli il quale, con l’elegante sensibilità del processualista, aveva già allora messo in evidenza tutti i punti più critici della problematica[1]. Per l’altro, l’ampiezza e lo spessore dell’argomento mi apparivano tali da poter ricomprendere pressoché tutti gli argomenti affidati, oggi, agli altri illustri relatori.
Da un lato, dunque, il rischio di ripetere cose già dette meglio e più autorevolmente di quanto io mi sentissi di poter fare; dall’altro quello di invadere lo spazio riservato ad altre relazioni.
Ho cercato, allora, di utilizzare in positivo quella prima sensazione, tentando di ricavare proprio dalla leggenda omerica suggerimenti utili per arrivare incolume in fondo a quella che mi appariva come una navigazione veramente difficile.
Narra Omero che fu la maga Circe a suggerire ad Ulisse la rotta meno pericolosa: costeggiando Scilla e filando via il più velocemente possibile egli avrebbe avuto quanto meno una possibilità di evitare Cariddi. Da qui ho tratto, come primo suggerimento, l’opportunità di seguire un percorso noto, perché già segnato dalla dottrina nelle sue tappe principali, percorso che prende le mosse dall’individuazione dell’ambito di applicazione dell’art. 111, Cost., passa per l’analisi delle peculiarità del processo contabile, analizza la fase preprocessuale, il potere sindacatorio ed arriva a dimostrare che, malgrado i positivi risultati dello sforzo interpretativo della giurisprudenza contabile, non è più rinviabile un profondo intervento riformatore[2].
Ricordo però, che, malgrado seguisse il suggerimento di Circe, Ulisse fu preso nel vortice di Cariddi; l’eroe omerico si salvò aggrappandosi ad un solido albero di fico posto appena fuori l’antro del mostro ed attendendo lì che il vortice risputasse fuori la sua zattera, sulla quale proseguì poi la navigazione verso l’isola di Ogigia.
Da questa parte del racconto ho desunto un ‘avviso’ per la mia ‘navigazione’ ed un ulteriore suggerimento: seguire una rotta già segnata non evita di incappare in un confuso vortice di diversi argomenti e dunque occorre trovare un appiglio solido per affrontarli senza esserne del tutto travolti.
Ciò significa, arrivando così a definire meglio l’oggetto, il metodo e le finalità della mia riflessione, che, data la perdurante assenza del tanto invocato intervento riformatore, ed, anzi, a fronte di alcune recenti innovazioni normative di difficile interpetazione[3], occorre rivolgersi innanzi tutto al dato costituzionale ed alla sua essenza, per poi verificarne le ricadute sul piano giurisprudenziale, al fine di mettere in luce se ed in che misura le problematiche emerse nel percorso che abbiamo definito già noto abbiano trovato in questi anni soluzioni compatibili con i principi del giusto processo.
2) Sull’ambito di applicazione dell’art. 111, Cost.
Prima di ragionare sull’ambito di applicazione dell’art. 111, Cost. è necessaria una precisazione terminologica, relativa all’uso della locuzione ‘processo contabile’: intendo compresi nella medesima i diversi tipi di processo che si svolgono innanzi alla magistratura contabile, tradizionalmente distinti in relazione al loro oggetto immediato: giudizi di conto, giudizi di responsabilità, giudizi pensionistici e giudizi ad istanza di parte[4]. La diversità delle corrispondenti strutture processuali, letta in relazione ai principi del giusto processo di cui al primo ed al secondo comma dell’art. 111, conduce ad effettuare quattro preliminari considerazioni:
i principi del giusto processo di cui al primo ed al secondo comma dell’art. 111 sono applicabili ad ognuno di questi tipi di processo. Anzi, ancor più significativamente, invece che parlare di ‘applicabilità’, occorre piuttosto, porsi direttamente nell’ottica della valutazione di compatibilità delle norme proprie di ognuna delle strutture processuali richiamate con i principi del contraddittorio tra le parti in condizione di parità, della terzietà e imparzialità del giudice, della ragionevole durata del processo assicurata dalla legge. E’ chiaro, peraltro, che l’oggetto del convegno ed i necessari limiti temporali entro i quali devo rimanere sbilanceranno la mia riflessione sul giudizio di responsabilità amministrativo-patrimoniale.
Da qui discende la seconda considerazione, derivante dall’ambivalenza di tale processo, definito come «un processo sostanzialmente penale che si svolge nelle forme del processo civile»[5]. Siffatta ambivalenza fa emergere il dubbio sulla possibile applicabilità anche dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 111, Cost., espressamente dedicati al processo penale. Sul punto, non ritengo sia sufficiente affermare che il processo di responsabilità amministrativa possiede natura e struttura parzialmente analoghe a quelle del processo penale, ergo carattere non civilistico in quanto anche sanzionatorio[6]. Mi sento invece di condividere l’opinione di chi indica la necessità della scelta fra due alternative: o si respingono tutte le connotazioni penalistiche, ed allora non si applicano quei commi e, per coerenza, si ritiene incompatibile con i primi due ogni caratteristica pubblicistica, quale, ad esempio, la titolarità pubblica dell’azione di responsabilità. Oppure i caratteri penalistici vengono accettati come precipitato del diritto vivente e allora non vi sarebbe ragione per ritenere inapplicabili quei principi fondamentali che fanno del processo in contraddittorio la sede naturale per la formazione della prova e che garantiscono un effettivo diritto di difesa del convenuto[7].
Poiché mi pare che, al momento, la problematica appartenga ad una fondamentale scelta di ‘politica della giurisdizione’, ritengo opportuno concentrarmi sulla definizione della portata dell’art. 111, Cost. primo e secondo comma, che costituisce la terza delle considerazioni già annunciate. Com’è noto, la novella costituzionale ha creato tra gli studiosi del processo civile una strana contrapposizione: alcuni ne hanno dato un’interpretazione minimalista, affermando che tutte le garanzie enunciate dalla prima parte del nuovo art. 111 Cost. erano già ricavabili dall’art. 24, secondo comma, Cost. e dall’art. 3, Cost. [8].
Altri ne hanno invece esaltato la portata innovativa, foriera di nuovi principi costituzionali, concretanti un nuovo modello processuale contrapposto alle preesistenti garanzie procedimentali minime costituzionalmente dovute[9].
Ricordando, peraltro, che, già prima della legge costituzionale n. 2 del 1999, la nozione di giusto processo era ben presente e vitale all’interno del nostro sistema costituzionale e che, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, era stata in più occasioni ravvisata nella norma di cui all’art. 24, secondo comma, Cost. (assicurante ex professo il diritto alla difesa) la garanzia dello svolgimento di un processo giusto[10], penso che si possa individuare, tra la posizione minimalista e quella massimalista, una via ‘intermedia’, che riconosce all’art. 111, comma 1, Cost., una funzione centrale nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, trattandosi di disposizione dalle indubbie potenzialità espansive[11].
Occorre allora individuare, ed è questa la quarta considerazione, quale sia il vero punto di origine di queste potenzialità espansive. Utilizzando la riflessione di un illustre studioso [12], si può affermare che, sebbene i nuovi due primi commi dell’art. 111 enuncino garanzie che si potevano già desumere dal testo originario, il nuovo testo dell’art. 111, 1° comma[13] dice qualcosa di più rispetto al passato laddove parla di giusto processo regolato dalla legge. Inoltre, l’affermazione costituzionale della ragionevole durata del processo consente di desumere direttamente dall’art. 111, 2° comma (e non in via indiretta dal combinato disposto degli artt. 24, 1° comma e 3, 2° comma o dell’art. 97, 1° comma) il valore anche costituzionale della efficienza nella disciplina del processo. In conclusione, diventa così possibile affermare che l’art. 111 cost., primo e secondo comma, impone sia una sintesi relazionale tra singole garanzie che la ricerca di un vero e proprio punto di equilibrio tra garanzie, effettività della tutela ed efficienza.
3) Il ‘nuovo’ principio del giusto processo nella giurisprudenza della Corte costituzionale
Se così è, se, cioè, la novella ha effettivamente introdotto un quid novi, la prima cartina di tornasole di questo cambiamento dovrebbe potersi rintracciare non solo nelle soluzioni offerte dalla Corte costituzionale sulla legittimità o meno delle norme processuali, ma soprattutto, nelle tecniche argomentative usate in relazione alla verifica di compatibilità delle medesime con i principi del giusto processo, palesandosi, con ciò, la necessità di uno screening delle sentenze che metta in paragone il periodo antecedente e quello successivo alla riforma dell’art. 111, Cost.[14].
Nell’evidente impossibilità di affrontare qui una ricerca così impegnativa, mi limito a riportare un caso recente, che mi è parso particolarmente emblematico. Si tratta della sentenza 8 gennaio 2007, n. 1, con la quale la Corte costituzionale ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale degli artt. 52, 53, 54 del regolamento di procedura dei giudizi innanzi alla Corte dei conti[15]. Si tratta, com’è noto, delle disposizioni che regolano il giudizio, cd. ad istanza di parte, che ha ad oggetto il denegato rimborso di quote inesigibili d’imposta, la cui regolamentazione procedurale non prevede la necessità della notifica del ricorso dell’atto introduttivo all’ente impositore, configurando il contraddittorio esclusivamente nei confronti del pubblico ministero contabile. Pur nella innegabile peculiarità della fattispecie, che si pone in una condizione di atipicità rispetto al processo di responsabilità amministrativa patrimoniale, merita attenzione il fatto che la Corte – con sentenza n. 65 del 1992 e con ordinanza n. 217 del 1992 – aveva dichiarato inammissibile e manifestamente inammissibile la questione, posta in relazione all’art. 24 Cost. Riteneva allora la Corte che l’art. 24 Cost. lasciasse comunque al legislatore un’ampia discrezionalità nello stabilire le norme di procedura da seguire in siffatto giudizio; ritiene oggi la Corte che il principio del contradditorio in condizioni di parità stabilito dall’art. 111, Cost. abbia radicalmente modificato il parametro di riferimento costituzionale, sottraendo alla discrezionalità del legislatore la scelta delle norme da seguire per la corretta instaurazione del contenzioso, con riferimento alla necessaria evocazione in giudizio di tutte le parti sostanziali del rapporto (e non dell’atto) sottoposto all’esame del giudice.
Mi sembra che il precipitato più rilevante di questa pronuncia, al di là della specifica questione risolta, sia, per l’appunto, l’accento che il giudice costituzionale ha messo sul principio della riserva di legge. Il giusto processo è regolato dalla legge sta a significare che tutti i principali aspetti del processo – e fra questi soprattutto i poteri istruttori e le modalità di svolgimento del contraddittorio – dovrebbero oggi trovare una adeguata definizione legislativa[16].
4) Principali risultati raggiunti dalla giurisprudenza della Corte dei conti
Che un’adeguata definizione legislativa dei principali aspetti del processo contabile ai fini del rispetto dei principi del giusto processo sia a tutt’oggi mancante è cosa nota a tutti. Anzi, si può ben dire che il legislatore abbia pasticciato molto, soprattutto con riferimento al cd. condono erariale ed al continuo inserimento di ipotesi che sembrano meramente sanzionatorie e che la Corte dei conti ha in parte potuto ricondurre all’interno del giudizio di responsabilità[17].
Era inevitabile, dunque, che in virtù della copiosa produzione giurisprudenziale dei giudici contabili, si formassero, sulle diverse tematiche già enucleate in apertura della presente riflessione, numerosi e non sempre univoci orientamenti. Faccio riferimento, rapidamente:
alla natura della cd. fase preprocessuale (in particolare all’applicabilità della sospensione feriale del termine per la presentazione delle deduzioni da parte del responsabile del danno (risolta positivamente dalla Corte dei conti, sezioni riunite, QM n. 1/2007 proprio in relazione all’art. 111 e 24) [18];
all’intervento iussu iudicis, che pone il non semplice problema della sostituzione del giudice al titolare dell’azione di responsabilità[19];
al cd. potere sindacatorio, in ordine al quale sono stati individuati almeno tre filoni giurisprudenziali: il primo, prevalente, in base al quale, seppure con svariate argomentazioni, la sindacatorietà del giudice contabile non è incompatibile con i principi del giusto processo; un secondo, minoritario, ascrivibile sostanzialmente alla sezione siciliana, in base al quale il potere sindacatorio del giudice contabile debba oggi «intendersi fortemente limitato, oltre che per effetto della riforma costituzionale del giusto processo, anche per la riforma del giudizio contabile che ha equiparato le posizioni della parte pubblica alla parte privata ed ha attribuito al p.m. contabile una gamma di poteri istruttori talmente ampi da escludere qualsivoglia intervento integratore da parte del giudice, finalizzato alla ricerca della prova, il cui onere non può non gravare su chi propone la domanda»; un terzo orientamento, intermedio, in base al quale l’art. 111, secondo comma, «comporta un ridimensionamento del c.d. principio sindacatorio, che va limitato all’esercizio di poteri istruttori ufficiosi, peraltro analoghi a quelli attribuiti dal c.p.c. al giudice ex art, 118 e 218», specificando che «il giudice contabile può intervenire solo al fine di integrare il materiale probatorio fornito dalle parti, con particolare riferimento alla acquisizione di quegli elementi probatori che non siano stati prodotti dalle stesse perché sottratti alla loro disponibilità»[20]: una sorta di richiamo al principio dispositivo con metodo acquisitivo proprio del processo amministrativo[21].
5) Recenti indicazioni ‘metodologiche’ della Corte costituzionale
E’ normale, allora, che entrino spesso in gioco le sezioni riunite della Corte, da un lato, e, dall’altro, che aumentino le questioni di legittimità portate innanzi alla Corte costituzionale che tuttavia, nella maggioranza dei casi, e proprio in relazione alla presenza di diversi orientamenti giurisprudenziali, si chiudono con pronunce di manifesta inammissibilità delle questioni proposte.
Mi sembra importante segnalare un esempio che ritengo significativo proprio perché riguarda l’ambito del potere sindacatorio del giudice contabile, in ordine al quale si è appena sottolineata la presenza di numerosi orientamenti tra loro contrastanti. Il Giudice delle leggi - chiamato a pronunciarsi con riguardo alla legittimità costituzionale dell’art. 14 del reg. proc., nella parte in cui consente al giudice contabile di ordinare al Procuratore (anche, secondo il diritto vivente) di integrare l’atto di citazione con riferimento ad alcuni profili della domanda, riguardanti l’elemento oggettivo del danno ed il nesso di causalità - con ordinanza 9 marzo 2007, n. 68, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione[22]. La Corte sottolinea che il giudice a quo ha evidenziato, in realtà, non un dubbio di costituzionalità, bensì una questione di mera interpretazione, così da utilizzare impropriamente il giudizio di legittimità costituzionale, che non è volto a fornire avalli alle interpretazioni dei giudici comuni, ai quali invece spetta scegliere, tra più interpretazioni possibili, quella conforme a Costituzione.
In altre parole, spetta all’interprete, che in questo caso è il giudice contabile, scegliere, ove siano date più interpretazioni non implausibili della norma, quella che (più) corrisponde al dettato costituzionale.
Ciò sta a significare che è essenziale, in un struttura così composita come quella del processo contabile, effettuare un’interpretazione costituzionalmente orientata che, a fronte della non unitarietà del modello processuale, inevitabilmente può giungere anche ad affermazioni interpretative di una certa audacia. Di questa opera interpretativa continua e paziente bisogna dare atto alla Corte dei conti, che nelle diverse sedi, utilizza, in sequenza, l’interpretazione estensiva, l’analogia legis, l’analogia iuris, fino a ricercare infine la risposta alla domanda avanzata direttamente nei principi generali dell’ordinamento.
D’altro canto, l’interpretazione finalistica delle norme, nell’ordinamento processuale, è una regola, per il carattere strumentale dell’ordinamento processuale medesimo, ben consacrato, come è noto, all’art. 156 del Codice di procedura civile. Ne consegue che, in questa materia, non potrebbe essere accettabile né un’interpretazione che si riduca ad uno sterile tecnicismo, che imponga, cioè il rispetto di armonie astratte non funzionali allo scopo del processo, che è l’effettività della tutela, né un’interpretazione esasperatamente letterale che sia volta a fare esplodere il sistema, evidenziando, cioè, le contraddizioni intrinseche e le disarmonie piuttosto che tendere a superarle[23].
6) Osservazioni conclusive.
Riprendendo, ora, la metafora iniziale si può affermare che Ulisse sia riuscito in qualche modo a salvarsi ed a risalire sulla sua zattera.
Tuttavia, in un ordinamento che, quale quello attuale, mi sembra ben lungi dal produrre la tanto auspicata riforma del processo contabile[24], il criterio della ‘interpretazione costituzionalmente compatibile’, insieme ad alcuni «punti fermi» che sembrano ormai solidamente raggiunti[25], possano consentire un buon ‘galleggiamento’, ma, certo, non sono idonei a proseguire la navigazione lungo una rotta che sia pienamente compatibile con i principi del giusto processo. Per di più, il rispetto di questi ultimi rimane un fatto interno alla giurisdizione contabile, posto che il sindacato giurisdizionale sulle pronunce della Corte dei conti è ammesso solo «per verificare che il giudice contabile non abbia emanato un provvedimento non riconducibile a quelli che, in astratto, ha il potere di emanare ovvero non abbia travalicato i limiti della c.d. “riserva di amministrazione”»[26].
E’ da chiedersi, allora, se l’interpretazione costituzionalmente compatibile sia sufficiente a risolvere i numerosi problemi rimasti ancora aperti, tra i quali: l’individuazione del dies a quo del termine prescrizionale che, soprattutto nei casi di occultamento doloso del danno, incidono sulla ragionevole durata dei tempi di perseguibilità; la possibile presenza, pur in assenza del vincolo del giudicato, del «vincolo dell’accertamento dei fatti materiali spesso avvenuto in un giudizio cui è rimasto estraneo il funzionario verso cui si procede in rivalsa»; la totale estraneità dal processo contabile dell’amministrazione danneggiata[27].
In attesa delle indicazioni del legislatore, non resta dunque che cercare, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, altre indicazioni ‘di sistema’.
Emerge, allora, che «non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità di regolamentazione tra diversi tipi di processo»[28] e che «le soluzioni per garantire un giusto processo non devono seguire linee direttive necessariamente identiche»[29]; in definitiva, ciò sta a significare che il diritto processuale non può non atteggiarsi in forme diverse a seconda dei diritti che si vogliono tutelare ed è, fisiologicamente, un diritto disuguale. Ma emerge, con altrettanta forza, che ciascuna delle diverse forme previste per l’attuazione del contraddittorio e per l’esercizio dei diritti di azione e di difesa deve, oltre che possedere un’intrinseca ragionevolezza, essere preventivamente conosciuta dalle parti, affinché l’uguaglianza e la parità siano effettive e non affidate alla buona volontà del giudicante[30].
In conclusione, l’espressione «regolato dalla legge», da cui ha preso le mosse questa riflessione, sembrerebbe imporre una revisione di tutte quelle ipotesi nelle quali la tutela dei diritti sia integralmente affidata - come avviene nel processo contabile - prevalentemente alla elaborazione giurisprudenziale, apparendo comunque irrinunciabile che sia almeno garantita la preventiva conoscenza del meccanismo procedimentale; esiste, in altre parole, un significato minimo della espressione che deve essere riferito alla esigenza di una preventiva determinazione dei modi e delle forme di svolgimento del processo, compiuta non solo nell’ottica dell’effettività della tutela del convenuto, ma anche in quella della complessiva efficienza dello strumento rispetto alla eterogeneità degli interessi coinvolti[31]. |
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[1] V. F. FIGORILLI, Il giusto processo contabile, in La giurisdizione contabile. Dieci anni di attività della Corte dei conti in Umbria, Atti del Convegno di Perugia, 29-30 ottobre 2004, a cura di M.L. Campiani e L. Principato, Napoli, 2006, 121 ss.
[2] E’ questo il percorso seguito, ad esempio, da P. SANTORO, Il giusto processo contabile, in Foro amm. – Cons. St., 2002, II, 554 ss.
[3] Cfr., ad esempio, l’art. 1, commi 231-233, l. n. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006), sulla definizione dell’appello contabile ad istanza di parte, o, come ormai comunemente si afferma, sul cd. ‘condono erariale’, disposizioni sull’interpretazione delle quali si sono pronunciate non solo le Sezioni riunite della Corte dei conti (cfr. n. 3/QM/2007, in www.corteconti.it), ma anche, e più volte, la Corte costituzionale (cfr., da ultimo, Corte cost., ord. 30 aprile 2008, n. 123, in www.lexitalia.it, n. 5/2008). Fortemente critico nei confronti delle richiamate disposizioni è A. CHIAPPINIELLO, “Condono erariale”, in Riv. Corte dei conti, n. 6/2006, 340; per l’analisi degli indirizzi giurisprudenziali in materia, v. S. IMPERIALI, La definizione dell’appello contabile ad istanza di parte e le sentenza della Corte costituzionale n. 183 e 184 del 2007 e delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 3/QM del 2007, in www.amcorteconti.it; C. PINOTTI, La definizione del processo d’appello contabile su richiesta della parte, tra difficile inquadramento sistematico e dubbi di costituzionalità: prime riflessioni, in www.rivistacorteconti.it, n. 1/2006; L. VENTURINI, Il giudizio di responsabilità amministrativa a carico dei dipendenti e degli amministratori pubblici, in Giorn., dir. amm., 2007, 969 ss.). O, ancora, l’ipotesi sanzionatoria che la legge collega, in modo apparentemente automatico, alla violazione delle norme poste a vietare l’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento (cfr. art. 30, comma 15, l. 27 dicembre 2002, n. 289 - legge finanziaria per il 2003) e che invece è stata ricondotta dalla giurisprudenza contabile ad un vero e proprio giudizio di responsabilità amministrativa (cfr. Corte dei conti, Sez. riun., n. 12/QM/2007, ma anche Corte dei conti, sez. giursd. Umbria, 8 maggio 2007, n. 128/E.L./2007, entrambi in www.corteconti.it).
[4] Riprendendo la distinzione proposta da F. SAITTA, L’appello nel processo contabile. I. Profili sistematici, Napoli, 1999, 48 ss. in relazione alla diversità dell’oggetto del processo contabile. Sull’applicabilità dei principi del giusto processo al giudizio di conto cfr., fra gli altri, M. ORICCHIO, Il giudizio di conto ed i principi del giusto processo. Rapporti tra giudizio di conto e quello di responsabilità, in www.amcorteconti.it, sottolinea che, essendo il giudizio di conto sostanzialmente un’attività di controllo generalizzato difficilmente compatibile con i principi del “giusto processo”, forse potrebbe essere più propriamente allocato presso le sezioni di controllo.
[5] M. RISTUCCIA, Applicabilità dei principi del giusto processo al giudizio contabile, in Riv. Corte dei conti, 2000, n. 1, IV, 200.
[6] Così P. MADDALENA, Il principio del giusto processo e la graduazione della colpa nella responsabilità amministrativa, in Cons. Stato, 2000, II, 2068
[7] P. SANTORO, Terzietà del giudice e poteri sindacatori nel processo contabile, in Riv. Corte dei conti, 2001, 4, 238; F. SAITTA, L’istruttoria nel processo contabile nello spirito del novellato art. 111 della Costituzione, ivi, 2005, 6, 355.
[8] S. CHIARLONI, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il processo civile, in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di M.G. Civinini e C.M. Verardi, Milano, 2001, 13 ss.; nello stesso senso A. DIDONE, La Corte costituzionale, la ragionevole durata del processo e l’art. 696 c.p.c., in Giur. it., 2000, 1127, 1128-1129
[9] V., ad es., G. COSTANTINO, Il giusto processo di fallimento, in La tutela dei crediti nel giusto processo di fallimento, a cura di A. Didone e P. Filippi, Milano, 2002, 16.
[10] V., ad esempio, F.A.CAPPELLETTI, Diritto di azione e di difesa e funzione concretizzatrice della giurisprudenza costituzionale (Art. 24 Costituzione e “due process of law clause”), in Giur. cost., 1961, 1284, 1286 ss.; Corte cost., 31 maggio 1996, n. 177, in Foro it., 1996, I, 2278.
[11] G. VIGNERA, Il “giusto processo” nell’art. 111, comma 1, Cost.: nozione e funzione, in www.ambientediritto.it/dottrina.
[12] A. PROTO PISANI, Le tutele giurisdizionali dei diritti. Studi, Napoli, 2003, 656.
[13] A differenza dell’art. 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamata dall’Assemblea Generale delle N.U. il 10 dicembre 1948, dell’art. 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, siglata a Roma il 4 dicembre 1950, e dell’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, approvato dall’Assemblea Generale delle N.U. il 16 dicembre 1966. Per l’analisi della giurisprudenza della Cedu in materia di processo equo, Cfr., M. PACINI, Il diritto ad un processo equo, in Giorn. dir. amm., 2007, 601 ss.
[14] Nell’evidente impossibilità di effettuare in questa sede un’analisi approfondita dei singoli principi così come definiti ed applicati dalla Corte costituzionale nell’ambito delle ‘giurisdizioni amministrative’, ivi compresa quella contabile, si rinvia a M. RENNA, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di giurisprudenza costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo amministrativo tra autonomia e “civilizzazione”, in Diritto amministrativo e Corte costituzionale, a cura di G. Della Cananea e M. Dugato, Collana Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana, Napoli, 2007, 505 ss.; più in particolare, sul tema dell’indipendenza e della imparzialità strutturale, op. ult. cit. 515-525 e sul tema della indipendenza ed imparzialità funzionale, op. ult. cit., 525-528.
[15] In www.cortecostituzionale.it.
[16] Afferma A. PROTO PISANI, op. cit., 657 ss.: Non si può «liquidare come irrilevante questa espressione e dire che sarebbe perfettamente in regola con la riserva di legge (che certo la norma prevede) una disciplina del processo rimessa nella sua massima parte dal legislatore al potere discrezionale, conformativo del giudice [ … ] Esiste identità tra giusto processo regolato dalla legge e cognizione piena, cioè predeterminazione legale delle forme e dei termini, nonché corrispondenti poteri, doveri e facoltà processuali delle parti e del giudice relativi: a) alle allegazioni in punto di domande, eccezioni, fatti che ne costituiscono il fondamento (163, 167, 183, 184, 345 rito ordinario e 414, 416, 420, 437 rito lavoro); b) ai meccanismi di conoscenza del fatto: quindi tipicità dei mezzi di prova precostituiti e costituendi, predeterminazione delle modalità di assunzione delle prove nel processo nonché dei soggetti su iniziativa dei quali le prove possono essere acquisite al processo (2697-2739 c.c.; 115-118; 191-266, 421 c.p.c.); c) ai termini a difesa delle parti nella fase introduttiva del processo, nel corso del suo svolgimento, nella fase decisoria (163 bis, 415, 5° e 6° co., 181, 189, 208, 244, 420, 6° e 7°, 190, 429, 2° co., cpc). [ … ]. Quindi cognizione piena = predeterminazione legale delle forme e dei termini dell’intero processo (e non solo generica previsione della convocazione delle parti, della loro facoltà di prova, dell’obbligo di motivazione, della congruità dei termini per impugnare; né, tantomeno, solo svolgimento in concreto del processo secondo prassi rispettose del contraddittorio) controllabilità in iure della massima parte del processo di formazione del convincimento del giudice».
[17] Cfr., supra, quanto affermato alla nota n. 3.
[18] Cfr., sul punto, la Relazione introduttiva del Procuratore regionale della Corte dei conti, Agostino Chiappiniello, all’odierno Convegno. Alcuni dei problemi di compatibilità tra la fase preprocessuale e l’art. 111, Cost. sono stati analizzati da A. LOIODICE, Il giusto processo nella fase preprocessuale, in Amm. cont., 2002, 36 ss. La Corte costituzionale, con sentenza 4 dicembre 2002, n. 513 (in Giur. cost., 2002, 4248 ss.) ha affermato che le esigenze di rispetto del contraddittorio sono pienamente operanti anche rispetto alle fasi procedimentali preparatorie. Sul punto G. FARES, Prime applicazioni dei principi del giusto processo al giudizio di responsabilità amministrativa, in Giur. cost., 2003, 1083 ss.; S. RAIMONDI, Il giusto processo contabile, in Amm. cont., 2002, 29 ss. e sp. 31.
[19] V. S. IMPERIALI, L’ordinanza della Corte costituzionale n. 261 del 2006 e l’intervento iussu iudicis nel giudizio di responsabilità amministrativa, in www.amcorteconti.it.
[20] Le frasi tra virgolette sono di F. SAITTA, L’istruttoria del processo contabile nello spirito del novellato art. 111 della Costituzione, in Riv. Corte dei conti, 2005, 6, IV, 345 ss. e spec. 352; nell’impossibilità di effettuare una ricognizione completa della copiosa produzione dottrinale in materia di potere sindacatorio si rinvia a G. ALBO, Il potere sindacatorio del giudice contabile nel giudizio di responsabilità amministrativa: dalla tradizione, al “giusto processo” dell’articolo 111 della Costituzione, in www.amcorteconti.it ed alle indicazioni bibliografiche ivi contenute. La tematica implica anche quella della ‘giusta azione’ nel processo contabile; sul punto, cfr. G. COSTANTINO, L’azione processuale contabile nell’assetto del giusto processo, in Amm. contabilità, 2002, 1 ss.; A. CIARAMELLA, Il «giusto» processo contabile come effetto di una «giusta» citazione in giudizio, in Riv. Corte dei conti, 2000, 1, IV, 227 ss.
[21] La tematica del giusto processo contabile potrebbe essere di essere meglio approfondita proprio ‘in parallelo’ con quella del giusto processo amministrativo; nell’impossibilità di effettuare, qui, un siffatto tipo di analisi, sembrano comunque indispensabili alcuni fondamentali riferimenti bibliografici: A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca dello Stato di diritto – Per una giustizia “non amministrativa”, Milano, 2005; A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, VII ed., Torino, 2008, 93 ss., F. G. SCOCA, I principi del giusto processo, in Giustizia amministrativa, II ed., Torino, 2006, 141 ss.
[22] In www.cortecostituzionale.it; così come le analoghe ordinanze n. 299, n. 114, n. 64 e n. 28 del 2006; n. 420 e n. 306 del 2005.
[23] E ciò soprattutto se si considera la tendenza ‘espansiva’ della giurisdizione della Corte dei conti, la quale dovrebbe poter avvenire «in un quadro processuale e costituzionale praticabile» (cfr. S. RISTUCCIA, D. VISCOGLIOSI, Giurisdizione della Corte dei conti e giusto processo secondo Costituzione: un puzzle in componibile?, in queste istituzioni, n. 144/2007, 71 ss. e spec. 87).
[24] Sulle cui possibili linee si rinvia a G. VERDE, Il giudizio di responsabilità amministrativa: lineamenti di una riforma alla luce dei principi del giusto processo, in Atti del Convegno di Varenna 2005, Milano, 2006, 233 ss.; M. SCIASCIA, Le garanzie nel processo contabile tra insufficienze legislative ed incertezze giurisprudenziali, in www.amcorteconti.it.
[25] I «punti fermi» ai quali si fa riferimento nel testo sono quelli individuati da P. SANTORO, La Corte costituzionale ed il giusto processo contabile, in Foro amm.- Cons. St., 2007, 799 ss. e sp. 808-811.
[26] Cass., sez. un., 25 gennaio 2006, n. 1378, in www.lexitalia.it, n. 1/2006.
[27] P. SANTORO, La Corte costituzionale ed il giusto processo contabile, cit., 811-812.
[28] Corte cost., 28 luglio 2000, n. 401, in www.cortecostituzionale.it.
[29] Corte cost., 15 ottobre 1999, n. 387, in www.cortecostituzionale.it.
[30] G. COSTANTINO, La tutela giurisdizionale dei diritti al trattamento dei dati personali, in www.privacy.it.
[31] «In riferimento al processo contabile e, in particolare, a quello per danno erariale, la Novella costituzionale sembra aprire la strada ad una valutazione complessiva delle efficienza dello strumento: si tratta di mettere a confronto il numero delle azioni con quello delle condanne, l’ammontare dei danni richiesti con quello dei danni liquidati, quest’ultimo con le somme effettivamente recuperate all’erario e con l’ammontare delle spese liquidate dalle amministrazioni in favore dei convenuti vittoriosi [ … ] appare corretto ritenere che il combinato disposto dell’art. 97 con il novellato art. 111 Cost., imponga di verificare l’efficienza del processo contabile in riferimento ai costi ed ai benefici economici per l’erario. Il che, evidentemente, apre prospettive non immediatamente valutabile, ma, almeno, meritevoli di attenzione» G. COSTANTINO, L’azione processuale contabile nell’assetto del giusto processo, cit., 28. |
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(pubblicato il 10.6.2008) |
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