Desidero innanzi tutto ringraziare Il Procuratore Generale della Corte dei conti, Presidente Furio Pasqualucci, il Procuratore Generale Aggiunto della Corte dei conti, Presidente Giuseppe Zotta, e il Presidente della Sezione Giurisdizionale dell’Umbria Lodovico Principato per avere accettato di presiedere questo Convegno. Rivolgo un ringraziamento a tutti coloro che hanno portato il saluto al convegno, ai relatori che hanno dato la loro disponibilità, a tutte le autorità politiche, civili, militari, al Prefetto di Perugia, dott. Enrico Laudanna, al Presidente dell’ANCI dell’Umbria, dott. Paolo Raffaelli, al rappresentante dell’Associazione Magistrati del Consiglio di Stato, Presidente Giancarlo Coraggio, ed al rappresentante dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti, Cons. Massimiliano Minerva.
Questo convegno si occupa dell’attività istruttoria del magistrato requirente, un argomento molto importante e molto delicato per l’attività della Corte dei conti, in ragione degli interessi pubblici coinvolti.
Mi preme ricordare che un convegno sul medesimo argomento fu già organizzato dalla Procura Regionale per la Regione Umbria nel maggio 2005.
Nel corso dei tre anni che ci separano da quella gradita occasione, alcuni problemi che erano sul tappeto sono stati definiti, ma altri non hanno trovato soluzione ovvero non hanno trovato una soluzione soddisfacente sul piano funzionale e ordinamentale.
Operativamente la Procura Regionale ha cercato di dare risposta alle istanze della collettività, assicurando il rispetto delle legittime posizioni giuridiche soggettive di tutti i soggetti interessati dall’azione requirente che la stessa svolge.
E’ a tutti noto che la posizione del Procuratore Regionale è molto delicata; esso è titolare di un’azione pubblica, da esercitare obbligatoriamente, il che equivale ad affermare che, in presenza di un minimo di fumus di fondatezza della fattispecie di danno denunciata, è tenuto ad effettuare apposite indagini al fine di accertare se sussistano gli elementi e le condizioni per esercitare legittimamente e fondatamente l’azione di responsabilità amministrativo-contabile di propria competenza.
Vi sono essenzialmente due esigenze da tutelare: da una parte vi è l’obbligo di indagare anche in considerazioni delle legittime aspettative di giustizia della collettività; dall’altra, invece, vi è la necessità e l’obbligatorietà di effettuare accertamenti rigorosi, puntuali, nel rispetto di tutte le garanzie dei potenziali responsabili del danno a carico del bilancio pubblico.
In ogni caso, è da evidenziare che il Procuratore Regionale non è tenuto a fornire la prova piena e inconfutabile della propria azione.
In tal senso, tra l’altro, si è espressa la recente giurisprudenza contabile, evidenziando che nel giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti (pur nella nuova conformazione dell’istituto della responsabilità amministrativa e contabile, quale emergente dalle novelle del 1994 e del 1996, nell’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 371 del 1998) il Procuratore Regionale, se non può essere sollevato dall’onere di produrre elementi di prova a sostegno della propria domanda nel modo più puntuale possibile, non è tuttavia tenuto, ai fini dell’ammissibilità e della validità della sua domanda, a fornire la “prova piena” ed inconfutabile del fondamento della sua azione.
Precisa detta giurisprudenza che in tal senso depone anche la posizione del giudice contabile, svincolato dalle deduzioni delle parti ai fini dell’acquisizione degli elementi di prova e, dunque, titolare del potere di integrare il materiale probatorio anche al di là delle allegazioni prodotte dalle parti; in tale direzione opera, ancora, il rilievo dell’obbligatorietà dell’azione di competenza del Procuratore Regionale, la quale determina che quest’ultimo debba proseguire la sua azione anche se gli elementi di prova a disposizione o acquisibili non sono pienamente sufficienti per il sicuro accoglimento della domanda, purché essi risultino assolutamente preclusivi, a suo giudizio, all’eventuale archiviazione dell’istruttoria.
Nella sostanza, il Procuratore Regionale, se non sussistono sicuri elementi per archiviare l’istruttoria, deve procedere con la propria azione amministrativo-contabile.
Così stando le cose, la posizione del Procuratore Regionale non è semplice perché, se archivia l’istruttoria, corre il rischio di essere giudicato negativamente per non aver perseguito le ipotesi di danno (i cittadini si aspettano molto dall’attività del Procuratore Regionale e le richieste di notizie in ordine all’esito delle istruttorie ne sono una evidente dimostrazione); se, invece, cita in giudizio il presunto responsabile del danno e la Sezione Giurisdizionale perviene ad un’assoluzione, corre il rischio di essere criticato.
L’attività del Pubblico Ministero contabile incontra difficoltà operative. Nonostante la disponibilità delle forze dell’ordine, non è, infatti, sempre possibile effettuare le indagini che il caso richiede a causa dell’esiguo tempo rimasto a disposizione per il ritardo con il quale sono inoltrate alla Procura Regionale le denunce di danno, nonché per le difficoltà delle forze dell’ordine di corrispondere celermente alle richieste di indagini per l’elevato numero di deleghe istruttorie conferite.
Sull’efficienza operativa della Procura Regionale incidono anche le vacanze di organico sia nell’ambito della magistratura che in quello del personale amministrativo.
Se si vogliono raggiungere i migliori risultati, non è certo possibile prescindere dalla valutazione dei mezzi a disposizione per l’espletamento dell’attività requirente.
Entrando nel merito dell’attività istruttoria del pubblico ministero contabile, è necessario evidenziare che i termini previsti per il deposito delle deduzioni e per l’emissione dell’atto di citazione, in molti casi, non consentono un corretto espletamento dell’attività preprocessuale.
Il termine per il deposito delle deduzioni non sempre è congruo perché il convenuto possa predisporre correttamente la memoria di deduzioni, nonché reperire la documentazione necessaria alla sua difesa.
Purtroppo, il legislatore ha previsto un termine minimo di 30 giorni, che il Pubblico Ministero non sempre è nelle condizioni di aumentare al momento in cui predispone l’atto d’invito a dedurre, tenuto, tra l’altro, conto che la realtà preprocessuale spesso si definisce nei suoi esatti contorni solo dopo il deposito delle deduzioni e le audizioni.
All’atto della notifica dell’invito a dedurre, se vi sono esigenze particolari a conoscenza del Pubblico Ministero, di solito è fissato un arco temporale maggiore di 30 giorni, altrimenti il termine è quello minimo fissato per legge.
E’ da notare che il termine per il deposito delle deduzioni attiene alla sfera privata del convenuto, alle sue esigenze personali con riferimento alla condotta illecita posta in essere in relazione alla fattispecie di danno, circostanze quasi sempre sconosciute al magistrato requirente.
Sulla base della normativa vigente in materia, una volta fissato nell’invito a dedurre il termine di 30 giorni, non è più possibile far lievitare detto termine da parte del Pubblico Ministero che, a sua volta, deve rispettare il termine successivo di 120 giorni previsto per l’emissione dell’atto di citazione.
D’altronde, non è solo il termine iniziale di 30 giorni che appare insufficiente, ma in alcune ipotesi anche quello successivo di 120 giorni, poiché il magistrato requirente, in questo limitato arco temporale, deve esaminare le deduzioni depositate con l’allegata documentazione, sentire in audizione gli invitati che ne facciano richiesta o, se lo ritiene necessario, su sua iniziativa, nonché effettuare le ulteriori indagini richieste dalla situazione venutasi a creare dopo le su indicate attività.
Su tale ultimo aspetto è necessario sottolineare che l’attività istruttoria posta in essere dopo la notifica dell’invito a dedurre è molto intensa, a differenza di ciò che lascia intendere la disposizione di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 19 del 14.1.1994, la quale prevede l’emissione di detto atto preprocessuale prima di diramare l’atto di citazione, ossia quando l’istruttoria è terminata.
Nella realtà, in molti casi, dopo l’invito, la situazione cambia completamente.
Quindi, rispetto alle previsioni del legislatore la disposizione di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 19 del 14.1.1994 ha avuto e ha una applicazione molto più ampia e penetrante e ciò nell’interesse di tutte le parti interessate alla fase preprocessuale del giudizio contabile, compreso il magistrato requirente.
Di solito, per venire incontro al convenuto, il magistrato requirente concede una proroga del termine fissato per il deposito delle deduzioni, ma tale proroga è disposta a suo carico, nel senso che la dilazione andrà ad incidere in decurtazione del termine di 120 che ha a disposizione per l’emissione dell’atto di citazione.
E’ da evidenziare che la situazione è leggermente migliorata con la sentenza n. 1 del 15.2.2007. Con tale pronuncia le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno, infatti, statuito che la sospensione feriale prevista dall’art. 1 della legge n. 742 del 1969 si applica anche al termine, non inferiore a 30 giorni, assegnato dal Procuratore Regionale al presunto responsabile per il deposito delle deduzioni ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 19 del 14.1.1994 già citato.
Ovviamente, il p.m. nel porre in essere le attività connesse alla fase preprocessuale deve sempre tener conto del termine di prescrizione e, in questo senso, certo non aiuta il tentativo del legislatore di limitare in qualche occasione l’azione requirente.
A tale riguardo si richiama il comma 1343 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 - mai entrato in vigore in virtù di una successiva disposizione di legge – il quale prevedeva che il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità decorresse dalla realizzazione della condotta produttiva di danno e non da quando si è verificato il fatto dannoso, ponendo in tal modo nel nulla moltissime ipotesi pregiudizievoli per l’erario.
Al fine di indirizzare l’azione amministrativa in modo corretto e conforme al diritto positivo vigente il Procuratore Regionale ha inviato alle Amministrazioni diverse note riguardanti specifiche fattispecie di danno, con le quali è stato richiamato l’obbligo di denuncia di danno posto a carico dei soggetti preposti ai settori di interesse pubblico, come da disposizioni di legge vigenti e da atto di indirizzo di coordinamento del Procuratore Generale della Corte dei conti.
Le note inviate sono state accettate dalle Amministrazioni interessate con manifestazioni di disponibilità, tradottesi nell’invio di un consistente numero di denunce di danno riguardanti i settori e le fattispecie segnalate.
Devo dire con soddisfazione che le Amministrazioni collaborano attivamente con la Procura consentendo in tale modo il recupero, prima dell’instaurazione dei giudizi di responsabilità, di consistenti somme di denaro, come si evince dalle relazioni redatte in occasione dell’inaugurazione degli ultimi anni giudiziari.
In questa ottica è stata chiesta alle Amministrazioni una collaborazione sempre maggiore al fine di garantire una migliore salvaguardia delle risorse pubbliche nell’interesse della comunità locale e nell’interesse delle stesse Amministrazioni che con l’azione della Procura Regionale potrebbero ottenere, in funzione di prevenzione, una più puntuale esecuzione dell’azione amministrativa, conseguendo una razionalizzazione della spesa pubblica e una più proficua utilizzazione delle risorse finanziarie disponibili.
Sempre con riferimento all’obbligo di denuncia è da annotare che le forze di polizia sono tenute a segnalare le fattispecie di danno acquisite anche durante l’espletamento di altre attività investigative, prive, ovviamente, degli elementi probatori riferibili ad altre magistrature, al fine di consentire al p.m. contabile di disporre apposita delega istruttoria per l’accertamento degli elementi costitutivi dell’azione di responsabilità.
La mancata denuncia al p.m. contabile giustificata dalla necessità della previa acquisizione del nulla osta della magistratura penale, prospettata da una forza di polizia, non può ritenersi, dunque, sorretta da alcuna norma di legge (l’art. 3 del c.p.p. è stato abrogato). A tal fine rilevanza alcuna può essere, altresì, riconosciuta all’adozione di circolari interne, le quali non vincolano l’attività requirente del giudice e non esimono i militari dagli obblighi previsti dalla normativa vigente. Ne consegue che l’omissione della denuncia di danno necessariamente comporta la responsabilità degli stessi militari in tutte le ipotesi in cui debba ritenersi maturata la prescrizione dell’azione di responsabilità a carico dei diretti responsabili.
In presenza dell’accertamento di un fatto materiale, appare, infatti, incontestabile che i militari siano tenuti a comunicare ad ogni magistratura gli elementi riferibili a ciascuna di essa, senza alcun pregiudizio dell’attività requirente penale, nel rispetto della separazione dei giudizi e in osservanza degli artt. 651 e segg. del c.p.p., attinenti ai rapporti tra il processo penale e quello civile o amministrativo di danno.
In ogni caso, il problema è stato risolto con il buon senso dimostrato dalla forza di polizia che aveva sollevato la questione.
Ovviamente, il requirente contabile deve sempre tenere presenti eventuali esigenze di riservatezza, al fine di non pregiudicare le indagini penali in corso.
Ad ogni modo, mi preme evidenziare che il coordinamento con il giudice penale è pienamente operante ed è improntato alla massima disponibilità e reciproca collaborazione.
Continuando sul piano operativo, appare opportuno evidenziare che nella formulazione dell’art. 5 della legge n. 19/1994 è assente la previsione della facoltà dell’indagato, una volta ricevuto l’invito a dedurre, di prendere visione ed estrarre copia della documentazione relativa alle indagini, depositata presso la segreteria della Procura Regionale.
A tale riguardo il possibile accesso generalizzato al fascicolo istruttorio è stato escluso dalla prevalente giurisprudenza contabile che ha precisato, sul piano degli effetti del diniego di accesso agli atti, che tale comportamento della Procura non determina l’inammissibilità dell’atto di citazione, se non quando si tratti di documenti espressamente richiamati nell’invito a dedurre che ne integrino il contenuto minimo necessario.
Va, pertanto, garantita la possibilità per il convenuto di prendere conoscenza di tutta la documentazione richiamata nell’invito a dedurre, pena il detrimento del suo inviolabile diritto di difesa.
Sotto questo ultimo aspetto si è cercato di fornire alle parti anche materiale istruttorio informatico, tipo C.D., nonostante la Procura Regionale sia sprovvista di idonea strumentazione tecnica per fornire una tale tipologia di servizi.
Si tratta, comunque, di un diritto di accesso, dal punto di vista oggettivo, limitato e parziale.
A sostegno del richiamato orientamento giurisprudenziale va ricordato anche il D.P.C.M. 10 marzo 1999 n. 294, il quale - nel recare le “norme per la disciplina delle categorie di documenti in possesso degli organismi di informazione e di sicurezza sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'articolo 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, tenuto conto anche delle modifiche apportate dalla legge n. 15 del 2005” - individua tra i documenti inaccessibili per motivi di riservatezza di terzi i rapporti alla Procura Generale ed alle Procure Regionali della Corte dei conti e richieste o relazioni, ove siano individuabili soggetti perseguibili di responsabilità amministrativa e penale in pendenza dei relativi procedimenti.
Fin’ora non è stato ravvisato alcun sospetto di incostituzionalità nelle norme che, nel disciplinare l'invito a dedurre, omettono di garantire l'accesso agli atti istruttori, in quanto da tale atto non derivano conseguenze di natura decisoria che possano condizionare l'esito del giudizio, ben potendo il convenuto in sede giudiziale svolgere le proprie difese dopo avere preso visione di tutti gli atti di causa.
Sotto quest’ultimo aspetto, è da segnalare che il Pubblico Ministero contabile ha l’onere di depositare in sede di instaurazione del giudizio tutti gli elementi probatori acquisiti, compresi quelli favorevoli al convenuto, al fine di garantire compiutamente il diritto di difesa. Tale onere è connesso alla natura pubblica e obbligatoria dell’azione requirente, esercitata dal Pubblico Ministero nell’interesse generale dell’ordinamento a tutela della collettività.
E’ da evidenziare che sia il deposito delle deduzioni che l’audizione richiesta al magistrato requirente dal soggetto invitato sono atti personali che non richiedono la presenza del difensore.
Per detti atti non esiste alcuna indicazione di tipo normativo, per cui il modus operandi scaturisce dalla prassi e dal buon senso dei singoli Pubblici Ministeri, i quali possono consentire o meno la presenza del difensore e possono dare o non dare atto nel verbale di audizione dell’assistenza tecnica al presunto responsabile.
Personalmente ritengo che la presenza del difensore nella fase dell’invito ed in sede di audizione personale richiesta dal magistrato requirente o dall’invitato debba essere garantita e sia molto utile al fine di mantenere l’istruttoria in un alveo processuale corretto e rispettoso del diritto di difesa del presunto responsabile di danno erariale.
Sulla base della normativa vigente le deduzione depositate dovrebbero essere sottoscritte solo dal presunto responsabile, ma nel caso in cui siano presentate dal difensore è da ritenere che esse possono essere valutate dal pubblico ministero senza alcuna preclusione.
A mio giudizio deve, infatti, prevalere il diritto di difesa, mentre esasperazioni degli aspetti formali debbono essere indiscutibilmente evitati.
Al fine di offrire un quadro il più possibile completo, nel rispetto dei limiti imposti dall’occasione, appare importante segnalare la tendenza del legislatore ad affiancare alla responsabilità amministrativa di natura risarcitoria, ipotesi e fattispecie di responsabilità di tipo sanzionatorio.
Tra le ultime norme sanzionatorie emanate si richiamano il comma 15 dell’art. 30 della legge n. 289 del 27.12.2002 (legge finanziaria 2003) concernente indebitamenti utilizzati per spese correnti e non per spese di investimento (è prevista una sanzione da cinque a venti volte l’indennità di carica percepita al momento della commissione del fatto), il comma 44 dell’art. 3 della legge n. 244 del 24.12.2007 (legge finanziaria 2008) in materia di tetto al trattamento economico onnicomprensivo (sanzione pari a dieci volte la somma illecitamente consentita ed erogata) e il comma 59 dell’art. 3 della medesima legge finanziaria 2008, riguardante la nullità dei contratti di assicurazione stipulati in favore degli amministratori per le conseguenze derivanti da condotte illecite poste in essere ai danni dello Stato o altri enti pubblici (sanzione pari a dieci volte il premio stabilito nel contratto di assicurazione).
I poteri del Pubblico Ministero contabile sono stati ampliati dal comma 174 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23.12.2005 (legge finanziaria 2006), il quale ha previsto che al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali il Procuratore Regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dal codice di procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale.
Bisogna evidenziare che al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione vi è stata incertezza in ordine alla giurisdizione sulle nuove azioni attribuite al Procuratore Regionale.
In particolare, non era pacifico se la materia rientrasse o meno nella giurisdizione del giudice contabile.
Tale incertezza è venuta meno in virtù della sentenza n. 22059 del 2007 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nell’ambito della quale ha trovato riconoscimento la giurisdizione del giudice contabile.
La Suprema Corte, con detta sentenza, ha statuito che la devoluzione alla giurisdizione della Corte dei conti delle controversie di cui all’art. 1, comma 174, della Legge n. 266 del 23.12.2005 “ è coerente con il suo scopo, esplicitato nel fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali: tutela che indubitabilmente compete alla Corte dei conti apprestare, per le azioni di accertamento e di condanna, e che ugualmente deve ritenersi esserle stata affidata per quelle a tutela del creditore e per i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in quanto rispetto alle prime hanno carattere accessorio e strumentale”.
Ha puntualizzato ancora la Corte di Cassazione che, peraltro, la giurisdizione relativa al sequestro conservativo - che è un mezzo simile a quelli disciplinati dal comma 174 dell’art. 1, della Legge n. 266 del 2005 - è già riservata al giudice contabile ai sensi della normativa vigente in materia (art. 48 del regolamento di procedura per i giudizi davanti alla Corte dei conti e dell’art. 5 della Legge n. 19 del 14 gennaio 1994).
Appare opportuno segnalare che, per dare un carattere armonioso ed unitario alla materia, sarebbe auspicabile che il legislatore in futuro attribuisse alla Corte dei conti anche la giurisdizione in materia di esecuzione delle sentenze di condanna emesse dal giudice contabile, al momento spettante alla giurisdizione del giudice ordinario.
Sempre in tema di ampliamento della giurisdizione è necessario segnalare che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 4511 del 2006, ha attribuito alla Corte dei conti la giurisdizione nei confronti del privato che, per sue scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla Pubblica Amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, realizzando - in tutti i casi di sviamento delle finalità perseguite - un danno per l’ente pubblico, rilevante anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento.
In controtendenza all’ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti si deve ricordare il c.d. “condono erariale” previsto dalla legge finanziaria 2006.
Al riguardo, si deve sottolineare che il ricordato potenziamento dei poteri del pubblico ministero contabile, tendente a garantire la corretta utilizzazione delle risorse pubbliche e, quindi, a realizzare una sana e buona amministrazione della cosa pubblica, non è stato seguito dal legislatore, se non altro per coerenza giuridica, con le disposizioni di cui ai commi 231, 232 e 233 della medesima legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), le quali stabiliscono che “con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge finanziaria, i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente Sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non superiore al 30%”.
Le disposizioni in commento, derogando alla disciplina ordinaria sulla responsabilità amministrativa, hanno assestato un duro colpo alla funzione di deterrenza della giurisdizione contabile nei confronti di chi é nelle condizioni di procurare un danno alle pubbliche finanze.
E’ evidente che la sanatoria in questione potrebbe indurre, per il futuro, i soggetti investiti di pubbliche funzioni a porre in essere comportamenti non diligenti, ovvero ad appropriazioni di ingenti somme di denaro, dal momento che essi potrebbero confidare anche per il futuro in una norma similare, anche se il giudice contabile non ha ritenuto applicabile il condono erariale ai casi più gravi.
Ad ogni modo, le norme richiamate sono state dichiarate legittime dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 392 del 2007 (confermativa della precedente sentenza n. 183 del 2007 della stessa Corte Costituzionale).
Con la su indicata sentenza il giudice delle leggi ha statuito che le norme in questione non producono alcun ingiustificato ed automatico effetto premiale, in quanto l’operatività delle disposizioni denunciate presuppone una valutazione di merito, da parte del giudice contabile, sul fatto che l'esigenza di giustizia possa ritenersi soddisfatta a mezzo della procedura accelerata, sicché alla definizione in appello non può accedersi in presenza di dolo del condannato o di particolare gravità della condotta posta in essere.
Bisogna sottolineare che l’applicazione di queste disposizioni non è pacifica e su di esse sono state sollevate ulteriori questioni di costituzionalità concernenti, in particolare, l’ammissibilità del condono in presenza dell’appello del Procuratore Regionale, il condono per le maggiori condanne statuite in sede di appello e la proponibilità del condono per i convenuti assolti in primo grado e condannati in sede di appello.
Per quanto attiene alla definizione delle istruttorie la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 261 del 2006, ha statuito la legittimità costituzionale delle norme che attribuiscono al pubblico ministero contabile il potere di archiviazione.
Ha precisato la Corte Costituzionale che – “essendo l'archiviazione, in alternativa alla citazione, l'atto con cui può concludersi l'attività di indagine del pubblico ministero prima del processo - ogni questione relativa all'assenza di un controllo esterno del giudice sulla legittimità dell'inazione del pubblico ministero ovvero concernente la motivazione, il deposito e la comunicazione dell'atto di archiviazione si colloca in una fase anteriore al giudizio di responsabilità, che si apre con l'atto di citazione emesso dal pubblico ministero”. Detta fase non avendo contenuto decisorio non concretizza alcuna lesione a danno dei potenziali convenuti del giudizio di responsabilità.
Sempre in tema di giurisdizione è da segnalare che la giurisdizione della Corte dei conti sugli enti pubblici economici e le Società per azioni affermata con numerose sentenze della Corte di Cassazione, nella sua funzione di magistratura regolatrice dei confini tra le diverse magistrature, è stata parzialmente ridotta con l’art. 16 bis della legge n. 31 del 28 febbraio 2008.
In particolare la nuova disposizione prevede che “per le Società per azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario.”
La disposizione desta qualche perplessità poiché in un momento in cui tutta la legislazione, compresa quella riguardante l’ultima legge finanziaria, è improntata al contenimento della spesa pubblica ed al rigoroso controllo della corretta utilizzazione delle risorse disponibili, appare veramente singolare sottrarre alla giurisdizione della Corte dei conti una fetta cospicua di fondi pubblici.
Tra l’altro, è noto che negli ultimi anni i bilanci di tutte le amministrazioni, nessuna esclusa, sono stati oggetto di consistenti riduzioni di stanziamenti a causa della insufficienza dei mezzi finanziari disponibili, per cui la norma richiamata appare incomprensibile.
Con riferimento alla percentuale azionaria al di sotto del 50% prevista dalla nuova disposizione, in presenza della quale il legislatore ha sottratto alla Corte dei conti la giurisdizione sulle Società, appare opportuno sottolineare che nell’epoca contemporanea - caratterizzata dall’esistenza di molte Società per azioni con capitale sociale collocato sul mercato diffusamente e, quindi, ampiamente frammentato - il controllo societario, come l’esperienza dimostra, può essere ottenuto con una percentuale di capitale molto più bassa del 50%, per cui sarebbe necessario, quanto meno, porsi il problema del controllo di fatto e concreto che in determinati casi si viene a realizzare. |