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n. 4-2008 - © copyright |
VALERIO VALLEFUOCO
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Il giudizio sulla colpa per le società a prevalente partecipazione pubblica
Il concetto generale di gravità della colpa nelle società a partecipazione pubblica è da considerarsi relativo, nel senso che la stessa va valutata in relazione alla diversa natura delle funzioni, o mansioni, svolte dall’amministratore e dal dipendente della società pubblica e alla specificità del contesto organizzativo. La colpa è da considerarsi grave quando si discosta notevolmente dallo standard normale richiesto dal tipo di prestazione svolta. La giurisprudenza della Corte dei conti ha stabilito che la colpa grave generalmente si fonda sull'evidente e marcata trasgressione degli obblighi di servizio o di regole di condotta, che sia ex ante ravvisabile dal soggetto e riconoscibile per dovere di ufficio e si concretizzi nell'inosservanza del minimo di diligenza richiesto nel caso concreto o in una marchiana imperizia, superficialità e noncuranza, e non sussistano oggettive ed eccezionali difficoltà nello svolgimento dello specifico compito d'ufficio (così Corte conti, sez. Riunite, 21-05-1998, n. 23.) Inoltre alcune interessanti pronunzie di primo grado hanno più volte affermato che non ogni condotta diversa da quella doverosa implica colpa grave, ma soltanto quella caratterizzata da un comportamento connotato da notevole negligenza, imprudenza, imperizia posto in essere senza l'osservanza di quel livello minimo di diligenza che il caso concreto richiede, a seconda del tipo di attività e della particolare preparazione dell'agente (in tal senso Corte dei Conti, sez. Giurisdiz. Basilicata, 23-06-1998, n. 197 ) . Sempre i Giudici Contabili hanno stabilito n altri casi che ai fini della configurazione di ipotesi di responsabilità amministrativa sussiste colpa grave, in termini generali, allorché la condotta dell'agente sia connotata da una sprezzante trascuratezza dei propri doveri, resa ostensiva da un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza, ovvero a una particolare noncuranza degli interessi pubblici (conforme Corte dei Conti , sez. Giurisdiz. Veneto, 16-11-1994, n. 266). Sia la dottrina che la giurisprudenza ritiene che nel valutare la colpa il giudice deve porsi nella stessa situazione in cui si trovava il funzionario quando ha agito (c.d. giudizio ex ante). Inoltre, al giudice non è consentito giudicare una scelta discrezionale riservata all’amministrazione.
La limitazione della responsabilità alle ipotesi di dolo e colpa grave, introdotta con generalità dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639, che ha riformato la disciplina della responsabilità amministrativa, non deve indurre a ritenere che vi sia una particolare tolleranza nei confronti dei comportamenti scorretti e negligenti dei dipendenti pubblici. Il legislatore ha voluto, tenuto conto della complessità dell’azione amministrativa, limitare la responsabilità alle fattispecie più gravi addossando in parte sulla stessa amministrazione il rischio derivante da eventuali danni ad opera dei propri dipendenti. In linea generale, il funzionario può invocare a propria discolpa l’errore professionale scusabile (complessità di una normativa, oscillanti orientamenti della giurisprudenza… etc.) oppure una irrazionale situazione organizzativa addebitabile all’amministrazione in tal caso tali situazioni di fatto sono da considerasi delle esimenti dalla responsabilità amministrativa . In alcuni casi infatti i Giudici Contabili hanno precisato che il rischio, a fondamento del potere riduttivo, di cui si deve istituzionalmente far carico l'amministrazione pubblica in ordine ad aspetti organizzativi generali e/o specifici, non ricollegabili a comportamenti illeciti concorrenti dei vari livelli sovrapposti della sua struttura, che pongano il soggetto legato ad essa da rapporto di servizio in una posizione di maggiore probabilità di determinare una fattispecie dannosa, può derivare da una situazione oggettiva di disservizio organizzativo non imputabile ad altri soggetti responsabili ovvero da necessità organizzative imprescindibili (così Corte dei Conti, sez. Giurisdiz. Basilicata, 24-07-1997). In particolare dopo il mutamento di rotta della Cassazione del 2003 ormai è pacificamente ammessa la giurisdizione contabile per le società a partecipazione pubblica e quindi si rende necessario esaminare se i concetti e gli istituti generali possano essere pedissequamente estesi anche a società commerciali che esercitano attività di impresa. Lo scrivente è ben cosciente che oggi, anche per il tramite della recente interpretazione giurisprudenziale, sussiste un sistema compiuto di garanzia della finanza pubblica, anche sul piano giudiziario, ma si permette di rappresentare (come per altro anche sostenuto ed argomentato nella Relazione del 2005 del P.G. della Sezione Giurisdizionale Lombardia , p. 17) che l’applicabilità nel settore delle società c.d. pubbliche, di un sistema particolare di perseguimento delle responsabilità che è tipico dell’attività amministrativa non può non tener conto dell’evidente contrasto e, quindi della necessità di trovare elementi di raccordo tra il principio di legalità che regola quest’ultima ed il principio di utilità dei risultati, proprio dell’attività imprenditoriale che invece il manager deve altresì perseguire. Si pone quindi all’attenzione degli operatori del diritto il problema quindi della compatibilità della giurisdizione contabile con il principio dell’autonomia degli amministratori delle società a partecipazione pubblica soprattutto nelle scelte imprenditoriali[1]. Pur conoscendo quindi la più recente giurisprudenza delle ecc.me Sezioni Unite si ritiene che in certi casi debba essere attentamente valutata la sussistenza della giurisdizione del Giudice contabile o almeno che si possa arrivare ad un giudizio sulla colpa diverso rispetto all’attuale orientamento. E’ ben evidente, infatti, che in certi e rilevanti casi le attività che sono oggetto dell’attenzione delle procure erariali sono poste in essere da parte di soggetti in rapporto di servizio con un soggetto che non è una amministrazione pubblica. In diversi casi infatti ed è il caso delle società pubbliche derivanti prima dalle c.d. privatizzazioni e poi operanti in regimi di liberalizzazione, infatti, si tratta di Società per azioni che svolgono ordinaria attività di impresa e come tale i suoi dipendenti non dovrebbero essere in nessun modo considerati legati alla pubblica Amministrazione da un rapporto di servizio o di impiego. Peraltro, ed a prescindere quindi dall’annoso dibattito sulla natura pubblica o privata di tali società operanti in concorrenza (dal punto di vista formale e sostanziale), ciò che più conta è che l’attività nel cui ambito si inscrivono le vicende che avrebbero originato l’eventuale danno erariale sono attività di impresa e come tali esulano da qualsiasi nesso con lo svolgimento dell’azione amministrativa di cui la responsabilità amministrativo-contabile è presidio di legalità ed efficienza. L’attività di impresa, peraltro, porterebbe ad escludere che le risorse impiegate per il suo svolgimento possano essere qualificate in modo diretto ed immediato come risorse oggettivamente pubbliche. Mancherebbe quindi almeno nel caso delle società con capitale pubblico operanti in mercati liberalizzati e talvolta quotate in borsa, nella specie, anche il presupposto della natura pubblica delle risorse finanziarie in relazione alle quali il danno patrimoniale alle finanze pubbliche viene individuato e in relazione alle quali viene avanzata la pretesa risarcitoria da parte delle procure erariali. Per tali ragioni lo scrivente seriamente dubita della sussistenza nella specie della giurisdizione contabile nei particolari casi citati. Infatti nessuno, sinora, tanto meno le sezioni Unite , e neanche la Corte dei Conti, ha mai affermato che la giurisdizione del giudice contabile debba estendersi su tutte indistintamente le società a partecipazione pubblica. Laddove l’attività delle società partecipata non consista nello svolgimento di un servizio pubblico, non sia cioè caratterizzata anche da un elemento funzionale, quale il soddisfacimento diretto dei bisogni di interesse generale, bensì si atteggi ad attività puramente imprenditoriale ed in concorrenza con altri operatori del settore, caratterizzata unicamente dal perseguimento di fini di lucro, amministratori e dirigenti si dovrebbero porre al di fuori della giurisdizione del giudice contabile. Anche la ormai famosissima sentenza Cass. civ., sez. Unite 22-12-2003, n. 19667 [2] si occupa di un Consorzio che gestiva acquedotti pubblici e quindi un pubblico servizio e si richiama chiaramente nelle sue articolate motivazioni alla figura dei c.d. organismi di diritto pubblico.
In questo senso sono utili le definizioni che sia la giurisprudenza europea che quella nazionale hanno dato dei c.d. organismi di diritto pubblico in tema di applicazione delle norme sulla c.d. evidenza pubblica . Anche in questo caso viene in nostro aiuto la normativa comunitaria. Infatti, mentre i Decreti legisltivi. n. 157 e 158 del 1995[3] si limitavano a prevedere che trai i soggetti aggiudicatori rientrano anche gli organismi di diritto pubblico comunque denominati, non fornendo tuttavia alcuna definizione al riguardo, le Direttive 92/50 e 93/38/CEE[4] definiscono ente di diritto pubblico ogni ente che sia 1) istituito allo scopo specifico di provvedere ad esigenze di pubblico interesse, che non abbiano carattere industriale o commerciale, 2) dotato di personalità giuridica, e 3) la cui attività è finanziata in via maggioritaria dallo Stato, dagli enti territoriali o da altri enti di diritto pubblico o la cui gestione è sottoposta al controllo di questi ultimi o il cui consiglio d'amministrazione, consiglio direttivo o consiglio di vigilanza è composto da membri, più della metà dei quali sia nominata dallo Stato membro, dagli enti territoriali o da altri enti di diritto pubblico. Appare quindi di tutta evidenza come il requisito principale del “carattere non industriale e non commerciale” sia ultroneo ed incompatibile con la natura chiaramente commerciale di alcune società a partecipazione pubblica privatizzate che operano in mercati ormai liberalizzati. Al riguardo, la Giurisprudenza sia comunitaria[5] sia nazionale[6] ha in tal senso più volte chiarito, - “qualora ce ne fosse stato ancora bisogno” - che i tre requisiti per aversi organismo di diritto pubblico devono essere tutti contemporaneamente presenti, essendo la mancanza anche di uno solo di essi impeditiva dell’attribuzione di tale status giuridico. Mancando anche uno dei requisiti non si può considerare che il soggetto possa essere considerato pubblico nel caso delle società in concorrenza queste normalmente comportano addirittura degli utili che vengono versati all’erario . L’attuale riconoscimento, da parte della Suprema Corte, della sussistenza della giurisdizione contabile in caso di danni causati a società a partecipazione pubblica dai propri amministratori, dirigenti o dipendenti non implica però un sindacato senza limiti da parte della Corte dei Conti circa l’opportunità di scelte, di natura imprenditoriale, di tali società, espressione di autonomia privata, costituzionalmente garantita (art.li 2, 41 e 42 Cost.). Infatti, anche nel caso in cui vengano convenuti in giudizio presso il giudice contabile gli amministratori o dipendenti degli stessi, si applica il divieto, posto al giudice contabile, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, di sindacabilità nel merito delle scelte discrezionali[7]. Inoltre sempre la Suprema Corte ha stabilito che “Il giudice contabile non può sostituire, senza una ragionevole motivazione, le sue scelte a quelle dell’amministrazione nell’esercizio del potere discrezionale ad essa istituzionalmente devoluto, con una valutazione ex post e senza adeguata comparazione fra i costi sostenuti ed i risultati perseguiti e/o conseguiti” (Cass. sez. un., sent. n. 6851 del 20 febbraio 2003[8]) e che il giudice contabile, pur potendo verificare la conformità a legge dell’attività amministrativa, compresa la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, può valutare “la non adeguatezza dei mezzi prescelti dal pubblico amministratore solo nell’ipotesi di assoluta ed incontrovertibile estraneità dei mezzi stessi rispetto ai fini”(Cass. sez. un. sent.ze n. 33 del 2001[9]; n. 1378 del 2006). Però, la Suprema Corte ha pure puntualizzato che, dal momento che la violazione dei criteri di economicità ed efficacia assume rilievo sul piano della legittimità dell’azione amministrativa, la verifica di quest’ultima non potrebbe prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti ed i costi sostenuti e circa la ragionevolezza dei mezzi impiegati in relazione ai fini perseguiti(Cass. sez. un. sent.ze n. 14488 del 29/9/2003 e n.7024 del 2006). La giurisprudenza contabile ritiene, poi, non rientranti nel limite di cui si discute scelte illegittime, antieconomiche, palesemente arbitrarie ed irrazionali (si vedano ad es. le sentenze Sezione I centrale n. 322 del 1999; Sezione III centrale n. 117, n. 122 del 2000, n. 1224, n. 9 e n. 2 del 2003; Sezione II centrale n. 40 del 2000; Sezione Lazio n. 2205 del 2002). Tali principi, espressi con riferimento al tradizionale ambito di giurisdizione del giudice contabile, non sembrano, sostanzialmente, contrastare con quelli formulati dalla giurisprudenza del giudice ordinario in merito alla responsabilità, per violazione dell’obbligo generico di diligenza, degli amministratori delle società di capitali nei confronti di queste ultime, anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 2392 c.c.. In proposito, la Cassazione con la sentenza n. 5718 del 2004 ha avuto modo di precisare che in tema di responsabilità degli amministratori di società per azioni private, occorre distinguere tra obblighi gravanti sugli amministratori che hanno un contenuto specifico e già determinato dalla legge o dall'atto costitutivo - tra i quali rientra quello di rispettare le norme interne di organizzazione relative alla formazione e alla manifestazione della volontà della società, - e obblighi definiti attraverso il ricorso a clausole generali, quali l'obbligo di amministrare con diligenza e quello di amministrare senza conflitto di interessi. Mentre per questi ultimi la responsabilità dell'amministratore deve essere collegata alla violazione del generico obbligo di diligenza nelle scelte di gestione, sicchè la diligente attività dell'amministratore è sufficiente ad escludere direttamente l'inadempimento, a prescindere dall'esito della scelta, rilevante a diversi fini, per gli obblighi specifici, costituendo la diligenza la misura dell'impegno richiesto agli amministratori, la responsabilità può essere esclusa solo nel caso, previsto dall'art. 1218 cod. civ., quando cioè l'inadempimento sia dipeso da causa che non poteva essere evitata nè superata con la diligenza richiesta al debitore[10]. In particolare è di aiuto all’interprete anche, la relazione al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 sulla riforma del diritto societario che con riferimento alle cognizioni tecniche chiarisce che "non significa che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria e in ogni settore della gestione della amministrazione della impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato e non di irresponsabile o negligente improvvisazione". Sempre sul tema è rilevante altra pronunzia di legittimità[11]ove la Corte ha anche precisato che all'amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 cod. civ. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità e circostanze di tali scelte), ma solo l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.
Anche, alcune pronunzie di merito[12] hanno chiarito che ai fini della responsabilità degli amministratori verso la società per atti di gestione, non è sufficiente dar prova dell'inadempimento degli amministratori, ma, trattandosi di scelte gestionali rientranti nella discrezionalità di questi ultimi, è necessario dimostrare la negligenza nella conduzione di tali scelte. In altri casi infatti i giudici ordinari[13] ma anche la Suprema Corte[14] hanno, più volte, confermato l’insindacabilità dell’opportunità delle scelte imprenditoriali di gestione effettuate dagli amministratori delle suddette società, mettendo in evidenza, innanzitutto, come il risultato, anche negativo, della gestione può essere irrilevante, dipendendo dallo svolgersi delle diverse variabili economiche, così come il successo o l’insuccesso di un’operazione. Applicando tali indirizzi giurisprudenziali consolidati del diritto societario, potrebbe essere sindacata dal giudice contabile una scelta imprenditoriale di amministratori di società a partecipazione pubblica, che si presuma dannosa, esclusivamente con valutazione ex ante (e non ex post in base al risultato ottenuto), attraverso l’esame rigoroso, alla luce delle regole tecniche applicate ed applicabili alla fattispecie, della congruità del processo decisionale. In definitiva, la giusta considerazione di tali principi, unitamente alla necessaria verifica, in concreto, con una istruttoria completa anche di una consulenza tecnico aziendale sulla sussistenza di almeno una colpa grave, potrebbero ritenersi un’efficace garanzia contro eventuali possibili indebite ingerenze dei giudici nelle autonome scelte di gestione degli amministratori o dipendenti degli enti in discorso.
Da ultimo non si può non evidenziare la novità normativa introdotta nel Testo del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 302 del 31 dicembre 2007), coordinato con la legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31 (in questo stesso S.O., alla pag. 5) recante: "Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria".(GU n. 51 del 29-2-2008 - Suppl. Ordinario n. 47). In particolare l’Articolo 16-bis del decreto convertito sulla Responsabilità degli amministratori di società quotate partecipate da amministrazioni pubbliche sancisce che per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario. Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In questo caso sembra che il legislatore preoccupato della c.d. fuga verso il diritto pubblico delle giurisdizioni per evitare che le scelte imprenditoriali delle grandi società privatizzate operanti in mercati liberalizzati possano subire il controllo successivo da parte delle Sezioni Giurisdizionali Contabili che potesse ingessare i processi decisionali (creando comunque dei danni in termini di competività) di tali società si sia affrettato con provvedimento normativo ad escluderle dalla giurisdizione contabile. Quindi la strada che oggi si pone di fronte agli operatori del diritto può comportare o una autolimitazione della giurisdizione solo su ipotesi di omesso esercizio da parte degli organi societari preposti ad una azione civile di responsabilità nei confronti degli amministratori, oppure un sindacato circoscritto al dolo ed alla colpa grave con esclusione rigorosa di valutazione di scelte imprenditoriali oppure continueranno i ricorsi alla corte di Cassazione sia per carenza di giurisdizione in ordine ai requisiti soggettivi od oggettivi del sindacato (almeno per le società pubbliche operanti in concorrenza), ovvero il ritorno alla giurisdizione ordinaria così per altro sta già avvenendo da parte del legislatore che sta invertendo la rotta intrapresa da parte del potere giurisdizionale. Di contro qualora ci si trovi di fronte a società a totale partecipazione pubblica operanti in regime di monopolio anche attraverso i c.d in house providing le stesse sarebbero da considerarsi invece delle mere articolazioni funzionali della P.A. come tali i criteri distintivi sopra descritti riferibili alle società in concorrenza non sarebbero applicabili e pertanto il controllo giurisdizionale contabile in tal senso dovrebbe poter essere quello tradizionale attualmente esercitato dalla Corte dei Conti. |
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[1] L’argomento è stato altresì trattato specificamente anche dalla relazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti del 2008 a cui questa relazione ha attinto alcuni passaggi significativi ad adiuvandum delle tesi sostenute.
[2] In cui la Cassazione inaugura il suo nuovo corso interpretativo sancendo che sono attribuiti alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativa, per fatti commessi dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (restando invece per tali enti esclusa la responsabilità contabile), essendo irrilevante il fatto che detti enti - soggetti pubblici per definizione, istituiti per il raggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura - perseguano le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. (Nella specie, il giudizio di responsabilità per danno erariale era stato promosso dal procuratore regionale della Corte dei conti nei confronti del presidente e degli altri componenti del consiglio di amministrazione nonchè di dipendenti del Consorzio comprensoriale del Chietino per la gestione di opere acquedottistiche - istituito tra vari Comuni ai sensi dell'art. 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142 - per fatti attinenti allo svolgimento di un'operazione finanziaria dell'Ente, e dunque all'attività imprenditoriale dello stesso).
[3] Art. 2, comma primo, lett.a), Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158: “Sono soggetti aggiudicatori: a) le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, gli enti territoriali e locali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico comunque denominati e loro associazioni;…”.
[4] Titolo I, Art. 1, n. 1), Direttiva 93/38/CEE del Consiglio delle Comunità Europee del 14 giugno 1993: “Ai fini della presente direttiva, … si considera ente di diritto pubblico ogni ente: - istituito allo scopo specifico di provvedere ad esigenze di pubblico interesse, che non abbiano carattere industriale o commerciale, - dotato di personalità giuridica, e - la cui attività è finanziata in via maggioritaria dallo Stato, dagli enti territoriali o da altri enti di diritto pubblico o la cui gestione è sottoposta al controllo di questi ultimi o il cui consiglio d'amministrazione, consiglio direttivo o consiglio di vigilanza è composto da membri, più della metà dei quali sia nominata dallo Stato membro, dagli enti territoriali o da altri enti di diritto pubblico”.
[5] Vedasi su tutte, Corte Giustizia Comunità Europee, sez. V 10-05-2001, cause riunite C-223/99, C-260/99 - Avv. gen. S. Alber - Agorà Srl contro Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano e Excelsior Snc di Pedrotti Bruna & C. contro Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano e contro Ciftat soc. coop. a r.l.: “Secondo il disposto dell'art. 1, lett. b), secondo comma, della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, un ente, avente ad oggetto lo svolgimento di attività volte all'organizzazione di fiere, di esposizioni e di altre iniziative analoghe, che non persegue scopi lucrativi, ma la cui gestione si fonda su criteri di rendimento, di efficacia e di redditività e che opera in un ambiente concorrenziale, non costituisce un organismo di diritto pubblico”.
[6] Vedasi su tutte, Cass. civ., sez. Unite 04-04-2000, n. 97 - Pres. Vela A - Rel. Preden R - P.M. Dettori C (parz. diff.) - Arca G.P.A. SpA c. Nikols Sedgwich Srl “In relazione alla disciplina in materia di appalti di servizi dettata dalla direttiva comunitaria 92/50 e dal D.LGS. n. 157 del 1995 di attuazione della medesima, l’Ente autonomo Fiera internazionale di Milano non costituisce amministrazione aggiudicatrice a norma dell'art. 2 del D.L. n. 157/1995, in quanto, esclusa la sua riconducibilità alla categoria degli enti pubblici non economici - avendo, invece, come ente fieristico, natura giuridica di ente pubblico economico, perché, pur perseguendo finalità di interesse generale, senza scopi speculativi e con l'ingerenza della pubblica amministrazione, opera nel settore della produzione o scambio di beni o servizi mediante un'organizzazione di tipo imprenditoriale e dietro corrispettivi diretti al recupero dei costi - non può neanche ritenersi provvisto di tutti gli elementi previsti dall'art. 1, lettera b), della direttiva 92/50 riguardo alla figura di “organismo di diritto pubblico”, poiché difetta il requisito del carattere "non industriale o commerciale" dei bisogni di interesse generale al cui soddisfacimento l’ente opera, alla luce dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza comunitaria (sentenze della Corte di giustizia 15 gennaio 1998, in causa 44/96, e 10 novembre 1998, in causa 360/96). (Nella specie la S.C., confermando la impugnata decisione del Consiglio di Stato, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario riguardo all'impugnativa da parte di un terzo dell'atto di affidamento di un servizio, precisando che, ove fosse stata configurabile anche sotto il profilo soggettivo la rilevanza comunitaria dell'appalto, per ragioni temporali avrebbe trovato applicazione la disciplina processuale di cui agli artt. 12 e 13 della legge n. 142 del 1992, richiamati dall'art. 30 del D.LGS. n. 157 del 1995)”.
[7] Per la Corte di Cassazione quest’ultimo riguarda i limiti esterni della giurisdizione contabile e, perciò, è verificabile dal Giudice di legittimità, ai sensi dell’art. 111, III co., della Cost. e 360 n. 1 c.p.c.
[8] La Corte dei Conti, nella sua qualità di giudice contabile, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell'ente pubblico; ma, per non travalicare i limiti esterni del suo potere giurisdizionale, una volta accertata tale compatibilità, non può estendere il suo sindacato all'articolazione concreta e minuta dell'iniziativa intrapresa dal pubblico amministratore, la quale rientra nell'ambito di quelle scelte discrezionali di cui la legge stabilisce l'insindacabilità (art. 1, primo comma, della legge 14 gennaio 1984, n. 20, nel testo di cui all'art. 3 del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639), e può dare rilievo alla non adeguatezza dei mezzi prescelti dal pubblico amministratore solo nell'ipotesi di assoluta ed incontrovertibile estraneità dei mezzi stessi rispetto ai fini (nella fattispecie, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio, dichiarando il difetto di giurisdizione, la sentenza della Corte dei Conti, con la quale si era ritenuta estranea ai fini istituzionali dell'Agenzia spaziale italiana la partecipazione ad alcune manifestazioni, in quanto costituenti attività meramente autoreferenziali o, comunque, genericamente divulgative di informazioni sull'ente, senza tener conto che, ai sensi dell'art. 2 della legge 30 maggio 1988, n. 186, istitutiva dell'Agenzia, è compito della stessa promuovere la diffusione e l'utilizzazione delle conoscenze derivanti dalle attività spaziali).
[9] Sulla base dello stesso principio, Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2001, n. 33, in Foro it. 2001, I, 1171, con nota di D'Auria, in una fattispecie relativa alla spesa sostenuta dal Comune di Milano ai fini della presenza anche di alcuni giornalisti italiani ad una mostra sul disegno industriale italiano organizzata nel 1983 in Cina, nella città di Shanghai, nell'ambito di un patto di gemellaggio, ha in particolare ritenuto controvertibili e inerenti al merito delle scelte amministrative i rilievi della sentenza impugnata - annullata senza rinvio - circa la non riconducibilità della partecipazione di detti giornalisti ai fini perseguibili dall'ente pubblico, se si considera l'esigenza di pubblicizzare l'iniziativa anche nel territorio nazionale e, segnatamente, nel mondo industriale e commerciale milanese.
[10] (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, pur riconoscendo che un amministratore aveva violato lo specifico obbligo di rispettare le norme interne di organizzazione, ne aveva tuttavia escluso la responsabilità sulla base di una ritenuta assenza di colpa, argomentata con il riferimento all'esistenza di prassi societarie illegittime o al rilascio di una delega da un soggetto non legittimato).
[11] Cass. 28 aprile 1997, n. 3652.
[12] Corte d'Appello Milano, 03-03-2004.
[13] Trib. Milano 18 maggio 1992, 14 settembre 1992 e 2 marzo 1995; App. Milano, 5 febbraio 1994; App. Genova 5 luglio 1988.
[14] Cass. civ. n. 2359 del 1965, n. 280 del 1982, n. 6278 del 1990, Cass. 3652 e 2934 del 1997. |
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(pubblicato il 21.4.2008) |
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