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MARIO RAMPINI

La formazione della prova nella fase istruttoria del processo contabile


1. Disciplina sui poteri istruttori
1.1 Il tema della formazione della prova nel processo contabile comprende, sia la fase c.d. pre-processuale di indagine ad iniziativa del pubblico ministero, sia l’istruttoria da parte del Collegio.
Il sistema normativo vigente, al riguardo, si limita ad attribuire i poteri istruttori all'apparato giudiziale mediante l'utilizzo di espressioni talmente ampie e generiche da escludere in buona sostanza qualsivoglia limitazione, anche per il rinvio "aperto e dinamico" e, quindi, non immediatamente recettizio, al codice di procedura civile.
In particolare, gli articoli 73 e 74 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (approvato con R.D. 12 luglio 1934 n.1214) stabiliscono che "il Pubblico ministero può chiedere in comunicazione atti e documenti in possesso di autorità amministrative e giudiziarie e può inoltre disporre accertamenti diretti", mentre "la Corte può disporre l'assunzione di testimoni ed ammettere gli altri mezzi istruttori che ritenga necessari".
Il regolamento di procedura (R.D. 13 agosto 1933 n.1038, art.14 e 15) con riguardo alla istruzione probatoria stabilisce, a sua volta, che il "la Corte può richiedere all'amministrazione e ordinare alle parti di produrre gli atti ed i documenti che crede necessari alla decisione della controversia e può ordinare al Procuratore generale di disporre accertamenti diretti anche in contraddittorio delle parti" e "può inoltre disporre l'assunzione di testimoni ed ammettere gli altri mezzi istruttori che crederà del caso, stabilendo i modi con cui debbono seguire ed applicando, per quanto possibile, le leggi di procedura civile".
Inoltre l'art.26 dello stesso regolamento di procedura dispone che "Nei procedimenti contenziosi di competenza della Corte dei Conti si osservano le norme e i termini della procedura civile in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni del presente regolamento". Trattasi, come già fatto cenno, di un rinvio c.d. aperto e dinamico e quindi non immediatamente recettizio, giacché la disciplina di diritto processuale può trovare ingresso nel processo contabile solo in via residuale e previo giudizio di compatibilità.
Da ultimo sono stati individuati e precisati i poteri istruttori del P.M. contabile in aggiunta a quanto previsto dall'art.74 del t.u. del 1934 e precisamente:
- la possibilità di disporre audizioni personali, perizie e consulenze (art.5, comma 6, L. n.19/94);
- la possibilità di disporre il sequestro di documenti (art.5 comma 6, L. n.19/94);
- la possibilità di delegare adempimenti istruttori a funzionari delle pubbliche amministrazioni (art.2, comma 4, L.n.19 del 1994);
- la possibilità di disporre l'esibizione di documenti, oltre ispezioni e accertamenti diretti presso soggetti terzi (comprese le pubbliche amministrazioni) o beneficiari di provvidenze a carico di bilanci pubblici (artt.16, comma 3, del d.l. n.152/91, convertito in L. n.202/91 e 2, c. 4, L.n.19 del 1994).

 

2. La c.d. sindacatorietà come espressione della natura inquisitoria del processo contabile
Le scarne disposizioni sopra richiamate, nel loro complesso, risentono di un indirizzo caratterizzato dalla natura prettamente inquisitoria del processo di che trattasi e, come si può notare, la disciplina è carente di elementi di raccordo tra i diversi poteri attribuiti agli organi di giustizia e, soprattutto, tra questi ultimi ed i poteri che, in materia di acquisizione delle prove, debbono riconoscersi in capo al convenuto. Tutto ciò, del resto, è in linea con la struttura del processo contabile nel quale manca una fase istruttoria idonea a realizzare un vero e proprio contraddittorio tra la parte attrice e quella convenuta.
Per la verità, un minimo di contraddittorio viene realizzato attraverso l’istituto dell’invito a dedurre, mediante il quale il pubblico ministero, al termine dell’istruttoria (segreta e riservata) contesta al soggetto ritenuto responsabile il danno cagionato alla struttura pubblica, conferendo a quest’ultimo la possibilità di argomentare in senso contrario sia con atto scritto, sia mediante audizione personale, sia mediante la produzione di documenti.
Tuttavia il soggetto indagato rimane completamente escluso dalla attività di indagine anche e soprattutto con riguardo al compimento di quegli atti in ordine ai quali la sua partecipazione sarebbe auspicabile, non solo al fine del controllo sulla regolarità delle modalità di acquisizione della prova, ma anche per garantire la completezza dell’indagine.
Conclusivamente sul punto, la natura indisponibile dell’oggetto della cognizione giudiziaria, la natura inquisitoria del processo e l’atipicità dell’intera struttura processuale, costituiscono profili caratterizzanti il processo contabile che vengono spiegati sulla base dell'esigenza di rispondere alla peculiarità dell'interesse in gioco fortemente condizionato da connotazioni pubblicistiche, tanto che, tradizionalmente, si è sempre affermata la sussistenza di un potere di "sindacatorietà", da cui discende il potere di valutare in piena autonomia gli atti estranei alla propria giurisdizione, di chiamare in giudizio chiunque abbia preso parte alla fattispecie, di esercitare il potere riduttivo e, soprattutto, di esercitare il potere di acquisire le prove d'ufficio, da ciò traendo spunto per qualificare la sindacatorietà come una sorta di potere di extra petizione, con l’inapplicabilità dell’art.115 del c.p.c. (C.C., II, n.36 del 1995).
D’altra parte va dato atto che parte della la giurisprudenza, fin dagli anni settanta, pur affermando il potere del Collegio in ordine alla acquisizione di qualsivoglia mezzo di prova in aggiunta alle produzioni delle parti, ha tuttavia chiarito che l’integrazione d’ufficio è consentita solo in relazione a fatti obiettivi risultanti dagli atti del processo, escludendo pertanto la possibilità di provvedere in base a mere ipotesi (C.C., I, n.73 del 1970).
Pertanto il potere sindacatorio, nell’evoluzione giurisprudenziale, ha assunto in talune decisioni la connotazione di correttivo alla natura dispositiva tipica del processo civile, senza tuttavia travolgere le esigenze della difesa (C.C.,SS.RR.,n.500 del 1986), con la conseguenza che spetta al pubblico ministero contabile l’onere di provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità, ovvero mediante la prospettazione di indizi e principi di prova la cui definitiva verifica è rimessa al giudice (C.C., II, n.177 del 1998).
Quindi i poteri istruttori del giudice sono stati considerati come un temperamento alla rigidità della norma di cui all’art.2697 del codice civile nel senso che, fermo restando l’onere delle parti di provare quanto dedotto in giudizio, si è ritenuto che le stesse non fossero tenute a fornire piena prova, essendo sufficiente la deduzione di elementi di attendibilità in fatto e in diritto, lasciando poi al Giudice la decisione di acquisire ulteriori mezzi di prova se ed in quanto necessari alla decisione.

 

3. Cenni sul giusto processo
In linea di principio il Giudice, attraverso l’esercizio autonomo di poteri istruttori, introduce nel processo nuovi elementi di prova e ciò si risolve in un'attività che si pone come deroga al potere dispositivo delle parti che soggiacciono al fondamentale principio sull'onere della prova stabilito dall'art.2697 del c.c.. Tutto ciò, indubbiamente, si riflette sui principi introdotti dall’art.111 Cost. (come riformulato per effetto della L. cost. n.2 del 1999) secondo cui il processo deve svolgersi nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, avanti ad un giudice terzo ed imparziale
Le linee tendenziali della giurisprudenza, in via prevalente, sembrano escludere che il potere sindacatorio possa porsi in contrasto con l’art.111 Cost., laddove il Giudice rimanga nell’ambito dei fatti contestati dal procuratore regionale e quindi senza ampliare il petitum e la causa petendi (C.C., II, n.78 del 2005).
In quest’ottica il potere sindacatorio avrebbe la funzione di consentire al Giudice di accertare la verità dei fatti (C.C., III, n.244 del 2003) e ciò costituirebbe un vantaggio anche e soprattutto per il convenuto il quale non è dotato dei poteri autoritativi del pubblico ministero (Sez.Puglia n.578 del 2001).
Senza dover qui ripercorrere il panorama giurisprudenziale, va pure dato atto di alcune decisioni che tendono a ridurre drasticamente il potere sindacatorio del giudice (Sez. Sicilia n.148 del 2001) e che ritengono detto potere esercitabile in analogia agli articoli 118 e 218 del c.p.c. (C.C., III, n.137 del 2003).
Per quanto concerne, in particolare, la formazione della prova la giurisprudenza sembra concorde nell’escludere l’applicabilità al processo contabile delle norme di cui ai commi 3 e 4 dell’art.111 Cost., giacché le stesse si riferiscono esclusivamente al processo penale (C.C., I, n.281 del 2004 e II, n. 215 del 2004).
Al riguardo, partendo dall’ultimo profilo considerato, in disparte le considerazioni che verranno di seguito esposte in ordine all'attività di indagine del pubblico ministero, effettivamente non pare ragionevolmente sostenibile la tesi sull’applicabilità diretta al processo che qui interessa dei principi costituzionali (commi 3 e 4 dell’art.111) sulla formazione della prova e sulle garanzie a tutela dell'imputato, e ciò per il semplice fatto che le relative norme sono espressamente dirette al processo penale.
Quanto invece ai primi due commi dell'art.111, con specifico riferimento ai poteri istruttori che l'ordinamento attribuisce al Collegio giudicante, vale la pena di sottolineare che il principio sulla “terzietà” postula una sua posizione funzionale del tutto autonoma rispetto alle parti e ciò deve tradursi in una “imparzialità” intesa come equidistanza rispetto agli interessi di cui le parti stesse sono portatrici.
Pertanto, tenendo conto che gli anzidetti principi sono correlati alla positiva affermazione del precetto sulla “parità delle parti”, è evidente che la nuova disciplina costituzionale ha posto le basi per una profonda rivisitazione del processo contabile, anche e soprattutto in materia di formazione della prova nella fase decisoria.
Sarebbe infatti auspicabile escludere poteri autonomi del Collegio giudicante prevedendo invece una fase istruttoria quale sede di formazione della prova in contraddittorio tra le parti.
Né, in materia, alcun contributo sembra essere stato offerto dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza n.68 del 9.3.2007 con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell'art.14 del regolamento n.1038 del 1933, rilevando che il giudice a quo " nell'adeguarsi ad un supposto e da lui non condiviso "diritto vivente"...non ha preso il considerazioni altri orientamenti della giurisprudenza ...così omettendo di esplorare la possibilità di pervenire, in via interpretativa, alla soluzione che egli ritiene conforme a Costituzione".
Per la verità c'è chi ha ritenuto di poter leggere tale ordinanza nel senso di un preciso segnale sulla necessità di una interpretazione evolutiva delle norme disciplinanti i poteri istruttori in relazione ai principi introdotti dall'art.111 Cost., proprio anche in relazione agli orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia.
Ma non pare che siffatta interpretazione possa giustificarsi, tenendo conto che laddove il giudice remittente, anziché porre un dubbio di costituzionalità si limita a porre una questione di semplice interpretazione, la Corte è rigorosa nel mantenere i limiti del proprio giudizio (v. anche ordinanza n.64 del 2006).

 

4. Natura dell’azione di responsabilità
L'atipicità strutturale e funzionale del processo di che trattasi, ove confluiscono eterogenei elementi propri di altri processi, ha dato luogo ad un vasto dibattito sulla sua natura con orientamenti assai differenziati, giacché, se da un lato vengono messe in evidenza le analogie con il processo penale (specie con riguardo alla fase di indagine del pubblico ministero), dall'altro vengono anche sottolineati elementi di affinità con il processo amministrativo (con riferimento, anzitutto, ai poteri istruttori del Collegio giudicante).
Infatti si è parlato di “processo penale che si svolge nelle forme del processo civile”, ovvero chi ha sottolineato l'applicabilità, nella fase istruttoria del giudicante, del principio "dispositivo con metodo acquisitivo” elaborato al fine di spiegare i poteri istruttori del giudice amministrativo.
In merito, non mi sembra corretto, né utile il tentativo di elaborare nozioni descrittive di carattere generale, giacché, il processo in esame, complessivamente considerato alla luce del diritto positivo vigente, è caratterizzato da una sua tipica struttura affatto diversa da ogni altra esperienza.
In particolare debbo osservare che, punto centrale della questione, è che il processo che qui interessa, sotto il profilo giuridico, altro non rappresenta che una procedimento finalizzato all’esercizio di un'azione di risarcitoria ove la condotta del convenuto va valutata, a tal fine, in forza delle norme e principi di diritto comune (con i correttivi apportati dalla normativa di settore: ad es. la limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave e dolo ed il potere riduttivo da parte del giudicante).
Vero è che la titolarità dell'azione spetta solo al P.M. contabile, il quale deve necessariamente procedere qualora ne sussistano i presupposti, ma ciò non sembra sufficiente per disconoscere la natura civilistica dell’azione.
Semmai si tratta di considerare separatamente l'attività di indagine del requirente la quale effettivamente presenta connotazioni di analogia con il potere di indagine del processo penale.
Ma ciò non consente, unitamente alla limitazione delle ipotesi di colpa e al potere riduttivo, di mettere in discussione la natura essenzialmente civilistica dell'azione a partire dal deposito dell'atto di citazione in giudizio.
Stando così le cose e posto che in definitiva l'oggetto del giudizio è quello tipicamente civilistico di accertare la sussistenza del danno erariale e di individuarne il responsabile, non sembra si possa contestare l'applicabilità del principio sull'onere della prova (art.2697 c.c.). Con la conseguenza che il pubblico ministero, per ottenere l'accoglimento della domanda giudiziale di condanna al risarcimento del danno ingiusto (ossia contra ius), deve dimostrarne la sussistenza e l’entità, il nesso di causalità tra la condotta del convenuto e l'evento dannoso, nonché la sussistenza dell'elemento psicologico.

 

5. I poteri acquisitivi del Giudice contabile
Per tutto quanto premesso l’indagine in ordine alla istruttoria del processo contabile va effettuata sulla base del diritto positivo vigente e con i limiti propri della descritta natura dell’azione ricavabili dalle norme di diritto comune, nonché dei principi costituzionali sul giusto processo.
Occorre, quindi, valutare la portata dei poteri acquisitivi normativamente conferiti al Collegio che, come già detto, in forza dell'art.15 del regolamento di procedura può acquisire le prove che "crederà del caso" ovvero che "riterrà più opportune" (art.73 T.U.).
Il tenore letterale delle norme, in sé considerate, sembra consentire l'esercizio di un potere pressoché illimitato in tema di acquisizione delle prove, addirittura prescindendo da quelle offerte dal P.M. o dal convenuto.
In particolare le disposizioni ricordate, per come vennero a suo tempo formulate, potrebbero consentire il sostanziale rinnovo dell'attività istruttoria, tanto da prescindere dall’attività probatoria posta a base della citazione in giudizio, sia sotto il profilo oggettivo, quanto sul piano soggettivo.
Ma, come già detto, siffatta impostazione, non è proponibile, per una pluralità di ragioni che impongono una interpretazione ed applicazione delle norme considerate in senso ben più restrittivo.
In primo luogo, in un processo che si attiva sulla base di domanda, il Giudice è necessariamente soggetto al limite proprio dell’atto introduttivo e ciò esclude la possibilità di determinare, attraverso l’attività istruttoria, una mutatio libelli.
In secondo luogo, le norme costituzionali sul giusto processo (anche prendendo in considerazione solo i primi due commi dell’art.111), sembrano imporre il rispetto del principio sull’onere della prova (che costituisce comunque il cardine giuridico su cui poggia l’azione di responsabilità ex art.2697 c.c.), e degli artt.115 e 210 c.p.c., non consentendo al Collegio, in linea di principio, di ricercare in via autonoma la prova di fatti.
Ciò è tanto più vero allorquando i fatti posti a base dell'istruttoria non trovino riscontro agli atti del giudizio.
Più delicata è la questione concernente il potere acquisitivo del Giudice in presenza di fatti allegati dalle parti ma non sorretti da elementi probatori o provati in modo incompleto.
In siffatta ipotesi non pare pienamente convincente l’applicazione del principio “dispositivo con metodo acquisitivo” proprio del processo amministrativo (nel senso che il Giudice può provvedere in via istruttoria allorquando il ricorrente ha già fornito un principio di prova), ovvero richiamarsi ai poteri istruttori spettanti al Giudice del lavoro, giacché, la parziale deroga sulla terzietà del giudicante è giustificata da una peculiare posizione delle parti, non rinvenibile nel processo contabile.
Infatti nel processo amministrativo il principio anzidetto è stato introdotto in epoca in cui sussisteva la materiale impossibilità per il cittadino di ottenere dall’Amministrazione pubblica, non solo tutti gli atti del procedimento, ma finanche il provvedimento impugnato. Tale esigenza è oggi molto affievolita per effetto del diritto di accesso introdotto dalla legge n.241 del 1990, tanto che il problema dell’esercizio di poteri istruttori autonomi, alla luce dei principi introdotti dai primi due commi dell’art.111 Cost., dovrebbe porsi anche con riguardo al tale processo.
Nel processo del lavoro, invece, la disciplina speciale è giustificata dalla esigenza di tutela della parte ritenuta oggettivamente più debole allorquando si determina un contenzioso giudiziale, tenendo conto anche che la normativa sul diritto di accesso non è applicabile con riguardo ai soggetti giuridici e fisici privati.
Nel processo contabile la Procura regionale dispone di tutti i poteri acquisitivi, sia per via consensuale, sia per atti autoritativi anche mediante delega e, conseguentemente, una volta compiute tutte le indagini ritenute necessarie è lo stesso pubblico ministero che si assume la responsabilità della chiamata in giudizio mediante un impianto motivazionale assistito dal necessario supporto probatorio. Se la prova non è raggiunta la domanda deve essere respinta.
Per contro il convenuto, se da un lato detiene ogni potere di critica della documentazione probatoria offerta dal pubblico ministero, dall’altro può introdurre agli atti del processo ogni elemento probatorio ritenuto necessario, anche mediante accesso ai documenti giacenti nelle pubbliche amministrazioni.
Resta fermo che, in quest’ultimo caso, nell’ipotesi di impossibilità di acquisire taluni documenti, il convenuto può chiederne l’acquisizione direttamente al Collegio giudicante il quale, valutata la rilevanza della richiesta, provvede mediante istruttoria (ex art.210 c.p.c.).
La giurisprudenza, pur con varie oscillazioni, per quanto più sopra rilevato, sembra invece orientata nel senso di riconoscere al Collegio un ampio potere acquisitivo sempre, tuttavia, nei limiti dei fatti allegati dalle parti o a richiesta di queste ultime. Il che pone problemi di compatibilità con i principi di cui al secondo comma dell’art.111 Cost..
In merito va comunque rilevato che, allo stato, per quanto concerne l’acquisizione di prove documentali, il potere acquisitivo del Giudice, viene di norma esercitato in modo da consentire comunque il contraddittorio tra le parti.
Ben altro discorso va fatto con riguardo alla prova testimoniale.
La prova documentale costituisce elemento cardine del processo contabile mentre quella testimoniale è, invece, pressoché inesistente.
La dialettica processuale, infatti, è tutta incentrata sui documenti acquisiti agli atti e cioè su elementi formati al di fuori del processo.
Nessuna preclusione normativa sussiste in ordine alla acquisizione delle prove testimoniali che ben potrebbero essere ammesse con le modalità e forme previste dal codice di procedura civile. E, giova precisarlo, in taluni casi, specie per quanto concerne la prova sulla colpa grave, sulle cause di giustificazione ovvero per quanto concerne fatti che potrebbero giustificare l’esercizio del potere riduttivo, la testimonianza potrebbe essere un utile strumento a disposizione del convenuto.
Inoltre la prova testimoniale potrebbe essere anche utilmente utilizzata per l’accertamento di fatti idonei ad integrare o interpretare gli atti già acquisiti.
La realtà, tuttavia, è che si è consolidata una prassi di sostanziale rifiuto della prova testimoniale anche se l’evoluzione dell’ordinamento verso un superamento del rigido formalismo tradizionale avrebbe dovuto condurre ad un’inversione di tendenza.
In sintesi, sotto il profilo che qui interessa, va rilevato che il Giudice contabile, sostanzialmente si comporta come il Giudice amministrativo. Sennonché, mentre nel giudizio generale di legittimità degli atti amministrativi effettivamente la prova dei fatti è, di norma, quella che emerge dagli atti del procedimento oggetto di cognizione, altrettanto non può dirsi nel processo contabile, ove indubbia rilevanza assume il comportamento del soggetto convenuto sotto i profili dianzi indicati e che, non di rado, può essere provato solo mediante l'audizione di persone interessate o a conoscenza dei fatti. Ed il ragionamento vale non solo per l'esigenza di una effettiva garanzia processuale in favore del convenuto, ma a ben guardare vale anche per l'opposta esigenza dell'organo requirente il quale, proprio attraverso la prova di meri comportamenti, può utilmente giustificare l'azione di responsabilità.
Del resto nella pratica, frequentemente, le indagini del pubblico ministero si risolvono nell’acquisizione di dichiarazioni rese in sede di audizione diretta o delegata, ovvero mediante acquisizione di verbali di sommarie informazioni in sede di indagine penale e, sulla base di queste, talvolta, si pretende in citazione di provare la responsabilità del convenuto o, quantomeno, fornire una connotazione della sua colpa.
Ebbene, fermo restando che tali dichiarazioni non possono ragionevolmente assumere veste di prova testimoniale, ciò nondimeno le stesse, sono destinate ad influire, direttamente o indirettamente, sul convincimento del Giudice, quantomeno come prova c.d. presuntiva, specie laddove si sia in presenza di indizi documentali sulla sussistenza del fatto.
Quindi, in definitiva, sotto il profilo ora considerato la parte convenuta viene a trovarsi in una posizione di evidente svantaggio che, per effetto del sistema positivo vigente può essere superata solo mediante l'escussione dei testi avanti il Collegio con le garanzie del contraddittorio.

 

6. Le indagini del pubblico ministero
I profili ricostruttivi delle problematiche sulla formazione della prova nel processo contabile toccano probabilmente il livello più alto di difficoltà per quanto concerne l'istruttoria pre-processuale del pubblico ministero contabile.
Al riguardo va ricordato che, in aggiunta ai poteri istruttori attribuiti a tale organo dall'art.74 del T.U., la legge 14.1.1994 n.19 ha attribuito al medesimo organo il potere di procedere ad ispezioni presso le pubbliche amministrazioni, presso terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a carico di bilanci pubblici; il potere di sequestro di documenti, il potere di audizione personale; il potere di delegare incombenti istruttori a funzionari delle pubbliche amministrazioni; il potere di avvalesi di consulenti tecnici e il potere di disporre perizie e consulenze.
L'attività di indagine del pubblico ministero contabile, anzitutto, è determinata dalla c.d. notitia damni in ordine alla quale segue l'esercizio dei poteri sopra ricordati, limitatamente all'oggetto della notizia, essendo preclusa un'indagine istruttoria in assenza di elementi concreti e specifici e, quindi, su generiche ipotesi e per un rilevante periodo di tempo, giacché in tal modo si perverrebbe all'esercizio di una vera e propria attività di controllo che travalica ampiamente i poteri dell'organo (C.Cost. n.104/1989).
La dilatazione dei poteri istruttori nel senso descritto viene giustificata sulla base dell'esigenza di esercitare un effettivo ed efficace controllo sulla regolarità della spesa pubblica.
Quindi, se non sembra si possa discutere intorno alle obiettive ragioni che hanno giustificato l'emanazione della più recente disciplina legislativa, nondimeno sussistono perplessità circa l'aderenza della stessa alle esigenze del giusto processo quale emerge dall'art.111 Cost. .
Con specifico riguardo al potere di indagine del pubblico ministro contabile è indubbia l'analogia con la corrispondente attività svolta in ambito penalistico e viene spontaneo chiedersi perché le esigenze di tutela dell'indagato penale non siano state estese anche all'indagato contabile.
Non è certo per la rilevanza dell'interesse in gioco, in quanto il perseguimento dei reati è attività non certo di minore importanza rispetto a quella di accertamento della responsabilità di chi ha danneggiato lo Stato o gli enti pubblici.
Più probabilmente le scarne disposizioni che hanno introdotto i poteri istruttori del pubblico ministero contabile altro non rappresentano che l'intento di mantenere il carattere squisitamente inquisitorio della funzione di indagine in quanto di maggiore efficacia al fine della ricerca della verità, concorrendo anche una precisa volontà di non intervenire significativamente nella struttura del processo contabile.
Allo stato il diritto positivo vigente, comunque, non consente di pervenire ad una effettiva equiparazione di garanzie tra l'indagato penale e l'indagato contabile, giacché pare insuperabile la lettera della norma costituzionale (commi 3 e 4 dell'art.111) la quale si riferisce espressamente al processo penale, tenendo anche conto che, contrariamente argomentando, si dovrebbe riscrivere tutta la fase procedimentale concernente le indagini del pubblico ministero.
Ma, in disparte le questioni che concernono l'inapplicabilità delle norme dichiaratamente rivolte a tutelare il soggetto accusato di reato, rimane pur sempre che il secondo comma dell'art.111 enuncia positivamente principi di grande rilevanza che non possono non incidere anche sulla fase di indagini del pubblico ministero contabile la quale, rigorosamente informata al sistema inquisitorio, è caratterizzata da pregnanti poteri autoritativi, dalla unilateralità e dall'assenza di qualsivoglia forma di controllo del Giudice.
E' opinione corrente che l'esigenza di accertare la verità può essere soddisfatta solo mediante l'azione del pubblico ministero contabile che concentra nelle sue mani tutti i poteri nella ricerca delle fonti di prova e, ogni limitazione in tal senso, verrebbe a determinare una limitazione all'accertamento della verità. Per le stesse ragioni viene affermata la necessità della segretezza dell'indagine giacché la previa conoscibilità porterebbe all'inquinamento delle prove.
Conseguentemente, in linea con tale impostazione, nessuno spazio per il contraddittorio viene riconosciuto nella fase di indagine, mentre, una forma embrionale di contraddittorio si realizza al termine delle indagini mediante l'istituto dell'invito a dedurre.
Trattasi di esigenze comprensibili, ma che ben possono essere tutelate senza per questo mortificare le esigenze del contraddittorio, posto che, in definitiva i risultati dell'indagine sono destinati a confluire negli atti processuali e, quindi, a concorrere alla formazione del convincimento del giudice.
Molteplici sono i rilievi che possono essere fatti con riguardo alla fase di indagine.
In primo luogo va osservato che il pubblico ministero contabile, allorquando attiva l'azione di responsabilità mediante notifica dell'atto di citazione, produce in giudizio gli elementi probatori che ritiene utili ai fini dell'accoglimento della domanda.
L'insussistenza dell'obbligo di depositare in giudizio tutti gli atti e mezzi istruttori acquisiti, nonché del diritto di accesso da parte del convenuto, determina una evidente disparità di trattamento delle parti.
Infatti il pubblico ministero, mediante l'esercizio dei poteri che la legge conferisce all'organo, è in condizioni di acquisire autoritativamente ogni elemento di prova senza limitazioni di sorta, mentre, ovviamente, analoga facoltà non è concessa al convenuto.
Ne consegue che, la mancata previsione dell'obbligo di deposito di tutti gli elementi acquisiti nell'esercizio dei poteri istruttori, determina un chiaro svantaggio processuale in capo al convenuto il quale deve limitarsi a contrastare le sole prove che il pubblico ministero ha prodotto, senza avere la possibilità di verificare, sulla base di esame di tutto il complesso delle risultanze istruttorie, l'eventuale sussistenza di elementi di prova a lui favorevoli.
In merito va osservato che il soggetto indagato non può utilizzare lo strumento dell'accesso offerto dalla legge n.241 del 1990 in quanto non si tratta di atti formati da uffici amministrativi (TAR Lazio, I, n.955 del 1999). Tuttavia la giurisprudenza riconosce un diritto di accesso, quantomeno con riguardo ad atti la cui conoscenza consente di escludere o ridurre la responsabilità (C.C., I, n.13 del 2001) ed il mancato rilascio dei documenti richiesti, nei limiti indicati, può determinare l'inammissibilità della successiva citazione in giudizio (Sez. Lombardia n.480 del 1999).
In secondo luogo, altro elemento di disparità è dato dalla incompiutezza del contraddittorio che si realizza con l'invito a dedurre, previsto dall'art.5 comma 1 della L. n.19/94 che assolve alle funzioni di consentire al soggetto invitato di svolgere le proprie difese onde evitare la citazione in giudizio e di interrompere i termini prescrizionali (SS.RR. n.1 del 2004).
In tale contesto la difesa del convenuto, può contrastare la rilevanza o sussistenza degli elementi a carico che il pubblico ministero ha ritenuto di esternare, ma quest'ultimo, non soggiace all'obbligo di motivare in ordine alle argomentazioni contenute nelle deduzioni.
Sotto tale profilo non v'é chi non veda come la fase di valutazione e decisione conseguente all'invito a dedurre (ossia se procedere o meno all'archiviazione) è rimessa all'unilaterale apprezzamento del pubblico ministero, in assenza di qualsivoglia obbligo motivazionale.
Per altro verso, quella che dovrebbe costituire una fase realizzativa del contraddittorio, in realtà non di rado si risolve addirittura in un pregiudizio per la difesa del convenuto in quanto le deduzioni contrarie agli addebiti formulati nell'invito a dedurre sovente consentono al pubblico ministero di rimediare, in sede di formulazione della citazione in giudizio, ad incongruenze, errori e quanto altro, o, addirittura di modificare parzialmente l'impianto argomentativo a sostegno della colpevolezza.
Ed è per l'esperienza maturata in tal senso che la strategia difensiva viene talvolta limitata al semplice contrasto delle argomentazioni addotte nell'invito a dedurre, riservando alla successiva fase processuale tutte le altre eccezioni in rito e produzione di elementi probatori a difesa.
Altro profilo di disparità va ravvisato nella esclusione della possibilità, in capo al soggetto indicato come responsabile nell'invito a dedurre, di realizzare un contraddittorio in ordine alla richiesta del pubblico ministero di proroga del termine delle indagini che viene decisa dalla Sezione giurisdizionale in camera di consiglio (il termine è di 120 giorni dalla presentazione delle deduzioni, escluso il periodo feriale, SS.RR. n.7 del 2003).
Per la verità in passato si era formato un indirizzo favorevole a tale forma di contraddittorio che, tuttavia, si è poi consolidato nel senso opposto sulla base del rilievo sulla insussistenza della necessità del contraddittorio con riguardo ad una fase di attività pre-processuale; contraddittorio che, semmai, sarà garantito nella eventuale successiva fase di giudizio (C. Cost. n.513 del 2005).

 

Considerazioni conclusive
La breve indagine compiuta mette in evidenza la necessità di una disciplina organica volta a regolare le varie fasi del processo contabile operando un giusto bilanciamento tra l'interesse pubblico da perseguire e le imprescindibili esigenza di difesa dei soggetti chiamati a rispondere per danno erariale.
Infatti l'evidente atipicità della struttura del processo che qui interessa non consente di colmare lacune normative di rilevante portata.
Il ricorso all'analogia o all'estensione di principi propri di altri processi cui ha fatto ricorso la giurisprudenza e la dottrina non pare abbia dato risultati pienamente soddisfacenti, giacché, nonostante gli sforzi compiuti per adeguare il processo alle esigenze del contraddittorio tra parti in regime di parità avanti un giudice terzo ed imparziale, il processo stesso rimane ancora di natura essenzialmente inquisitoria.

 

(pubblicato il 21.4.2008)

 

 
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