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n. 4-2008 - © copyright |
FULVIO MARIA LONGAVITA
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La giurisdizione della Corte dei conti sugli amministratori e dipendenti delle S.p.a.
SOMMARIO: I) Impostazione del problema; II) Il dibattito suscitato da Cass. SS.UU. ord. n°19667/2003; III) Segue: Cass. SS.UU. sent. n°3899/2004; IV) Soluzioni diversificate per le società in house e per le partecipate; V) Tentativi di superare il “rapporto di servizio”: l’individuazione dell’autonoma categoria delle c.d. società pubbliche; VI) Segue: l’eccesso di potere finanziario; VII) Il recente intervento normativo dell’art. 16 bis della l. n°31/2008 di conversione d.l. n°248/2007; VIII) Considerazioni conclusive. |
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I) Impostazione del problema.
La giurisdizione per danni erariali della Corte dei conti, inizialmente concepita nei confronti delle sole persone fisiche, ovvero nei confronti dei “funzionari” (ex art. 13 del R.D. 1214/19349) ed “impiegati” pubblici (ex art. 82 del R.D. 2440/1923 ed art. 18 del DPR n°3/1957)[1], nel tempo è venuta ad estendersi anche ad organismi soggettivamente complessi, dotati o meno di personalità giuridica, quali le società e le associazioni.
Il processo di espansione ha comportato la risoluzione di non pochi problemi, quali quelli attinenti alla individuazione dei criteri rivelatori del “rapporto di servizio” tra l’organismo soggettivamente complesso e l’ente pubblico[2], ovvero quelli attinenti alla verifica dello stato soggettivo (dolo o colpa grave) rilevante per l’affermazione della responsabilità amministrativo-contabile, ovvero ancora quelli che hanno posto in dubbio che l’organismo soggettivamente complesso potesse rispondere in luogo dei suoi dipendenti ed amministratori, in relazione al carattere “personale” della responsabilità amministrativo-contabile [3].
Ulteriori e più specifici problemi, correlati anch’essi al carattere “personale” della responsabilità in discorso, hanno riguardato la legittimazione passiva del soggetto convenibile innanzi alla Corte dei conti, essendosi discusso se del danno cagionato dalla società dovesse rispondere la società stessa (unitariamente intesa), in relazione anche alle disposizioni dell’art. 1228 cc, o non piuttosto i suoi dipendenti ed amministratori. Le soluzioni adottate sono state molteplici e non sempre univoche ed omogenee: si è andato da quelle che hanno ipotizzato la legittimazione esclusiva della società[4], a quelle che hanno affermato la convenibilità delle persone fisiche che per essa avevano agito[5], nell’intento –in tale ultimo caso – di “indirizzare l’azione pubblica di responsabilità, al di là dello schermo societario, verso gli effettivi responsabili della società medesima, specie quando alla gestione di fatto si sia affiancata una concreta disponibilità, con maneggio di fondi pubblici” .[6]
Non sono mancate anche soluzioni di convenibilità congiunta della società e delle persone che per essa avevano agito, ma ciò “negli stretti ambiti patrimoniali fissati in citazione” per ciascuno di essi[7]. Soluzioni del genere sono state viste come “tentativi di contemperare e bilanciare al meglio le esigenze – a volte contrapposte– di risarcimento, e di tutela perciò del creditore danneggiato, con quelle di massima realizzazione della personalità della responsabilità” e di tutela perciò del danneggiante[8].
Anche per le associazioni non riconosciute, inoltre, si è affermato la giurisdizione della Corte dei conti, ovviamente sussistendo un rapporto di servizio con una P.A., e ci si è soffermati sul rapporto di solidarietà che intercorre tra il fondo comune, proprio dell’ associazione, e quello personale del soggetto che per essa ha agito, previsto dall’art. 38 cc, conformemente alla ridotta capacità patrimoniale dell’associazione, ovvero al regime di autonomia patrimoniale imperfetta che regola i rapporti tra l’Associazione stessa ed i soggetti che vi appartengono[9]. |
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II) Il dibattito suscitato da Cass. SS.UU. ord. n°19667/2003.
Il problema della legittimazione passiva della società e/o dei suoi amministratori e dipendenti, che storicamente è stato risolto in base al criterio del “rapporto di servizio”, come appena detto, ha subito un’amplificazione e un tentativo di soluzione diversa, a seguito della ordinanza delle SS.UU. Cass. n°19667/2003.
Con tale pronuncia, come noto, la Corte regolatrice ha superato il tradizionale criterio di riparto della giurisdizione -tra giudice contabile e giudice civile- per i danni arrecati agli enti pubblici economici dai suoi amministratori e dipendenti, basato sulla “natura” pubblica o privata dell’attività dalla quale deriva il danno stesso, ed ha attribuito l’intera materia alla Corte dei conti; tanto, considerando – si è precisato – che “l’ Amministrazione ormai svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato”.
Da tale ordinanza, la prevalente dottrina e giurisprudenza ha tratto argomento per affermare una sorta di “revirement” complessivo della Corte di Cassazione sulla giurisdizione della Corte dei conti sia nei confronti degli enti pubblici economici, che nei confronti delle società a partecipazione pubblica [10].
In realtà, sul piano motivazionale, l’ordinanza in commento offre spunti di grande suggestione per simili orientamenti[11].
In essa viene ripresa la nozione tradizionale di “materia di contabilità pubblica”, ex art. 103, comma 2, cost. [12], per affermare che ormai negli enti pubblici economici si ha la piena concorrenza del “requisito soggettivo”, della pubblicità dell’ente, con quello “oggettivo”, della natura pubblica delle risorse impiegate e dell’attività espletata non solo quando l’ente esercita pubbliche funzioni, ma anche quando esplica attività imprenditoriale, soggetta alle regole proprie del diritto privato [13].
Con specifico riferimento alla “forma giuridica” che può rivestire la P.A., inoltre, la Cassazione ha richiamato le disposizioni sulla trasformazione in S.p.a.. dell’Iri, dell’Eni, dell’Ina e dell’Enel (art. 15 del d.l. n°333/1992, convertito in l. n°359/1992) e quelle che consentono la gestione dei servizi pubblici locali mediante S.p.a. ed S.r.l. (art. 113 del d.lg. vo n°267/2000), soffermandosi anche sulla sentenza n°466/1993 della Corte Cost., che ha confermato la necessarietà del controllo della Corte dei conti sull’IRI e sugli altri organismi appena menzionati, pur dopo la loro trasformazione in S.p.a., almeno “fino a quando permanga una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato al capitale azionario di tali società”.
Nell’ottica di evidenziare ulteriormente la sostanziale indifferenza del sistema, in relazione alla veste esteriore assunta dalla P.A., la Cassazione ha richiamato anche la “giurisprudenza delle Sezioni Penali, le quali hanno più volte affermato che la trasformazione di Amministrazione pubbliche in enti pubblici economici e poi in società per azioni, non ne fa venir meno la natura pubblicistica” [14].
Nell’ordinanza in commento, inoltre, si è fatto riferimento al concetto di “impresa pubblica” (ex art. 2 della direttiva 80/723/CEE del 25/6/1980), sostanzialmente coincidente –si è precisato – con quella di “società derivate dalla finanza pubblica”, riferita ai ripetuti Iri, Eni, Ina ed Enel, e sono state richiamate anche le disposizioni dell’art. 7 della l. n°97/2001, che prevedono la trasmissione al procuratore regionale della Corte dei conti delle sentenze penali di condanna degli amministratori di enti pubblici ovvero “a prevalente partecipazione pubblica”[15].
Di rilievo anche la puntualizzazione secondo cui, investendo la giurisdizione della Corte dei conti l’area della responsabilità extracontrattuale, per danno ad ente diverso da quello di appartenenza, “il discrimen” tra la giurisdizione propria della Corte medesima e quella del giudice ordinario “risiede unicamente nella qualità del soggetto passivo e, dunque, nella natura delle risorse finanziarie di cui esso si avvale”.
L’ampiezza ed il respiro dei temi toccati dalla più volte menzionata ordinanza n°19667/2003, dunque, hanno indotto la prevalente dottrina e giurisprudenza a ritenere che il “ripensamento” sulla giurisdizione della Corte dei conti avesse investito anche le società partecipate, riconoscendo alle medesime una soggettività pubblica, in relazione alla natura pubblica delle risorse impiegate, tale da consentire di superare, mediante l’esercizio dell’azione risarcitoria della Procura contabile, l’intrinseco conflitto di interessi che intercorre tra gli amministratori di tali società e la società medesima, in ordine all’esercizio di un’eventuale azione risarcitoria innanzi al giudice ordinario da parte dei primi (o dei soci che li hanno scelti) per i danni provocati da loro stessi alla seconda .
Altra parte della dottrina, però, ha “frenato” sul punto, evidenziando come il “revirement” della Cassazione avesse riguardato i soli enti pubblici economici, oggetto specifico della ripetuta ordinanza, e non anche le partecipate pubbliche. E ciò considerando anche la successiva sentenza n°3899/2004 delle medesime SS. UU. della Cassazione[16]. |
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III) Segue: SS.UU. Cass. sent. n°3899/2004.
Con la sentenza n°3899/2004, in realtà, le SS.UU. della Cassazione hanno affermato la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dei dipendenti della So.Ge.Mi. – società partecipata in maniera pressoché esclusiva del Comune di Milano, per i danni risentiti dal Comune stesso da tangenti e irregolari esecuzioni contrattuali all’interno della menzionata società – non già in base all’ “innovativo indirizzo” di cui all’ordinanza n°19667/2003, ma in base al “tradizionale criterio” del “rapporto di servizio” intercorso tra la “suddetta società e l’ente territoriale”.
Sulla scorta di tale diverso criterio di collegamento, rispetto a quello adottato per gli enti pubblici economici, la dottrina appena citata ha sostanzialmente negato ogni efficacia espansiva delle motivazioni dell’ordinanza n°19667/2003 a soggetti diversi dagli enti pubblici economici.
Per tali enti, secondo la ripetuta dottrina, la Cassazione si è limitata a tener ferma la confluenza del requisito della soggettività pubblica, intrinsecamente propria degli enti stessi, con la loro attività imprenditoriale, ora ritenuta anch’essa a rilevanza pubblica, laddove prima era ritenuta meramente “privata” e, come tale, soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario, anche per gli aspetti attinenti ai danni provocati all’ente stesso, nell’esercizio dell’impresa, dai propri amministratori e dipendenti. Per le società partecipate, invece, la loro intrinseca soggettività è e resta privata, pur in presenza dei conferimenti pubblici e, quindi, della natura pubblica delle risorse impiegate, tanto che la giurisdizione della Corte dei conti si incardina, nei confronti dei loro dipendenti ed amministratori, soltanto quando è individuabile un eventuale “rapporto di servizio” con l’ “ente danneggiato”.
In altri termini, secondo la dottrina in commento, la Suprema Corte non si è spinta ad affermare l’equiparazione tout court fra l’attività degli enti pubblici economici e quella delle società partecipate, in base all’eventuale natura sostanzialmente pubblica di quest’ ultime, correlata alla misura della partecipazione pubblica e – per converso – al grado di effettiva “privatizzazione” realizzata nel settore di intervento, ma ha preferito “l’ancoraggio della responsabilità amministrativa alla natura oggettivamente pubblica dell’attività o del servizio da esse svolto”, richiamando “il collaudato e pragmatico criterio di collegamento costituito dal rapporto di servizio tra la figura soggettiva privata e l’amministrazione o ente pubblico” [17]
Conseguentemente, mentre la responsabilità degli “amministratori e dipendenti degli enti pubblici economici” si inquadra perfettamente tra le “materie di contabilità pubblica”, ex art. 103 Cost., così che essi rispondono d’avanti alla Corte dei conti dei danni cagionati sia all’ente di appartenenza che ad altre amministrazioni o enti”, la responsabilità dei dipendenti ed amministratori delle società partecipate diventa responsabilità “erariale” solo quando la società stessa “operi nell’ambito di un rapporto di servizio con pubbliche amministrazioni per lo svolgimento di loro compiti istituzionali”. Al di fuori di tale rapporto di servizio, le società partecipate non sono soggette alla giurisdizione del giudice contabile, “benché finanziate da bilanci pubblici”, e ciò –si è anche precisato – “dovrebbe rendere insignificante la partecipazione maggioritaria o minoritaria dell’Amministrazione al capitale della società, con la conseguenza che tali figure in nulla differiscono, ai fini di cui si tratta, da tutti gli altri soggetti privati”[18]. |
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IV) Soluzioni diversificate per le società in house e per le altre società partecipate.
Il dibattito che è seguito alle due pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione (ordinanza n°19667/2003 e sentenza n°3899/2004), nella sua più intima essenza, si incentra dunque sulla possibilità di riconoscere o meno una soggettività (sostanzialmente) “pubblica” alle società partecipate, stante la loro natura (formalmente) “privata”.
La soluzione positiva, e quindi il riconoscimento della soggettività sostanzialmente pubblica alle società partecipate, comporterebbe una situazione identica a quella dell’ente pubblico economico, ed “il rapporto di servizio”, che effettivamente è alla base della giurisdizione della Corte di Cassazione nella sent. n°3899/2004 [19], non verrebbe più in rilievo come criterio di collegamento estrinseco, tra la società stessa e l’ente pubblico, ma unicamente come criterio intrinseco, di individuazione – nell’ambito della società – del responsabile dell’illecito, fermo restante il dovere del medesimo di rispondere anche dei danni risentiti dall’ente partecipante, per l’attività gestoria della società, in base alla regola generale posta, per “le amministrazioni ed enti diversi da quelli di appartenenza”, dall’art. 1, comma 4, della l. n°20/1994, nel testo modificato dall’art. 3 della l. n°639/1996.
Per vero, il problema non ha riguardato le società in house: le società, cioè, costituite con capitale interamente pubblico, per l’ espletamento di compiti e/o servizi dell’ente che le create, o che comunque hanno come clienti pressoché esclusivi gli enti-soci, portatori di interessi omogenei e non contrapposti tra loro e dai quali sono anche controllate [20] .
Le società in parola, in realtà, sono state considerate solo “formalmente private”, essendosi chiarito che nella sostanza esse presentano “i caratteri propri dell’ente strumentale, salvo quello di rivestire –appunto – la forma della società”[21] .
Per le società in questione, dunque, i criteri di collegamento della giurisdizione della Corte dei conti sono quelli tradizionali, analoghi ai criteri di collegamento relativi agli enti pubblici economici, basati sul requisito soggettivo della natura pubblica dell’organismo (formalmente privato) e su quello oggettivo della natura pubblica delle risorse impiegate, come d’altronde è “analogo”[22] il controllo sul perseguimento dei fini pubblici, da realizzare mediante l’azione delle società stesse, che il socio pubblico esercita su di esse .
Ciò comporta che l’azione erariale di danno dovrà essere esperita direttamente contro gli amministratori e dipendenti di tali società, sia –com’è ovvio – per i danni provocati alla società stessa e sia per quelli provocati all’ente pubblico-socio e/o all’ente pubblico non socio (con il quale ultimo le società in discorso possono anche venire in contatto, nell’espletamento di un’attività diversa, ma assolutamente marginale, rispetto a quella istituzionale), secondo la filosofia – in questo ultimo caso – del “danno ad ente diverso da quello di appartenenza”, ex art. 1, comma 4, della l. n°20/1994.
D’altro canto, anche nei casi di società a totale o pressoché totale capitale pubblico (come la So.Ge.Mi.) non ha senso, nel caso di azione erariale per danni provocati all’ente-socio, convenire la società (secondo la logica del “rapporto di servizio” che anima Cass. SS. UU. n°3899/2004), in luogo delle persone che per essa hanno agito, visto che il capitale sociale e, più in generale, l’intera partecipazione è del medesimo ente danneggiato che, perciò, dall’eventuale condanna della società non trarrebbe alcun vantaggio, avendo contribuito in maniera preponderante (se non esclusiva) a costituire i mezzi del relativo pagamento .
In casi del genere, è stato giustamente notato, “una eventuale condanna della società pubblica (realizzerebbe) una mera partita di giro e non un risarcimento effettivo”[23].
La funzione risarcitoria, del resto, presuppone, per il suo concreto esplicarsi, la piena autonomia (o meglio, la netta separazione) della capacità economico-patrimoniale del danneggiante, rispetto a quella del danneggiato, ex art. 2740 c.c.
La natura pubblica delle risorse che i soci pubblici conferiscono mediante la partecipazione, pertanto, mette in evidenza, anche per le non in house e in misura proporzionale alla partecipazione stessa, il limite logico-giuridico-economico di applicare – a fini di giurisdizione– alle società a partecipazione pubblica lo stesso schema logico di responsabilità erariale e lo stesso criterio di collegamento del “rapporto di servizio” che sono stati concepiti per le società (realmente ed integralmente) private; per le società, cioè, che svolgono un’attività economico–imprenditoriale del tutto “libera” e perseguono un loro scopo di lucro, con soldi propri e con rischio integralmente a loro carico.
La disomogeneità intrinseca delle ipotesi societarie messe a confronto impone soluzioni diversificate, a fini di responsabilità erariale e di connessa giurisdizione della Corte dei conti, che tengano anche conto dell’entità della partecipazione pubblica[24].
In questa ottica, appare anche opportuno concettualmente isolare e distinguere la “privatizzazione”, intesa quale strumento privatistico di una più efficiente gestione di un servizio pubblico a vantaggio dell’utenza, dalla “dismissione”, quale fenomeno che si verifica quando la P.A. ritiene che una determinata attività, avente carattere imprenditoriale, non costituisca più pubblico servizio, o comunque non sia più soggetta a preminenti interessi pubblici, e viene perciò collocata sul mercato, quale “attività libera”[25]. In ipotesi di “dismissione”, è stato giustamente notato, “la quota (pubblica) è detenuta temporaneamente, ai soli fini del collocamento sul mercato (e) non pare configurabile la giurisdizione della Corte dei conti”[26], salvo –direi – che per i danni che potrebbero derivare all’ente-socio dalle stesse operazioni di collocamento, magari per una “svendita” della quota pubblica.
Ad ogni buon conto, il criterio di collegamento estrinseco del “rapporto di servizio” tra società ed ente danneggiato (sia esso l’ente-socio ovvero un ente terzo), su cui poggiano le pronunce della Cassazione sulla giurisdizione, lo si ripete, porta a convenire in giudizio la società come tale e non i dipendenti e/o gli amministratori che per essa hanno agito[27], esattamente come avviene per “tutti gli altri soggetti privati che, in quanto parti di un rapporto di servizio con un’ amministrazione, abbiano recato danno ad essa”[28] .
Con pronunce degne della massima attenzione, la Cassazione è giunta anche a riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti direttamente nei confronti di amministratori e dipendenti di società legate alla P.A. da un rapporto di servizio, e si è spinta finanche ad ammettere l’astratta legittimazione passiva di entrambi i soggetti, ossia della società e del suo dipendente [29], ma ciò è avvenuto in base all’ individuazione di un rapporto di “servizio di fatto” del dipendente della società con la P.A., ulteriore rispetto a quello di collegamento della società con l’ente[30], ovvero in base alla individuazione di “specifici rapporti di legittimazione pubblici, all’interno della società”[31], che in qualche modo “doppiano” quello esterno tra la società e l’ente.
D’altronde, come accennato sub precedente paragrafo I), la stessa Corte dei conti ha affermato la propria giurisdizione sui soggetti che in concreto avevano agito per le persone giuridiche private, formalmente in rapporto di servizio con la P.A., quante volte ha potuto individuare un secondario rapporto di “servizio di fatto” tra l’agente medesimo e la P.A.[32], spinta dall’esigenza di armonizzare il carattere “personale” della responsabilità amministrativa con la tutela delle ragioni risarcitorie dell’ente danneggiato.
Ebbene, nelle società in house –come evidenziato poc’anzi – una simile esigenza di “armonizzazione” non rileva, mentre nelle altre partecipate rileva in relazione all’entità della partecipazione stessa, la quale –a sua volta– dipende (o dovrebbe dipendere) dalla rilevanza dell’interesse pubblico alla gestione privatizzata del servizio o comunque dalla rilevanza degli interessi pubblici che presidiano la particolare attività imprenditoriale esercitata, dovendosi escludere una partecipazione che non abbia alcuna attinenza con i fini pubblici perseguiti dall’Ente-socio, tale da degradare a mero finanziamento di un’attività imprenditoriale privata[33]. |
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V) Tentativi di superare il “rapporto di servizio”: l’individuazione dell’autonoma categoria delle c.d. società pubbliche.
L’orientamento diversificato della Cassazione sugli enti pubblici economici e sulle partecipate (ex SS.UU. n°19667/2003 e n°3899/2004), si è andato consolidando in ulteriori pronunce.
E così, quanto agli enti pubblici economici, è divenuta costante, nella giurisprudenza della Corte Regolatrice, l’affermazione che “il discrimen tra la giurisdizione ordinaria e quella contabile risiede unicamente nella qualità del soggetto passivo (requisito soggettivo) e, quindi, nella natura (requisito oggettivo) delle risorse finanziarie di cui esso si avvale, (così che) è l’evento verificatosi in danno ad un’ Amministrazione pubblica il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile e non più il quadro di riferimento, diritto pubblico o privato, nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso”[34].
Quanto invece alle partecipate, la Cassazione si è tenuta ancorata al “rapporto di servizio” nel riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti, in una delle sue varie forme di manifestazione, quale “rapporto contabile”[35], ovvero di “espletamento (da parte della società) di attività istituzionalmente spettante all’Amministrazione”[36], magari sottostante anche alla semplice concessione di un contributo, volto a realizzare “un programma imposto dalla P.A.”[37].
Non sono tuttavia mancati spunti per tentare una costruzione dogmatico-generale dell’autonoma categoria delle “società pubblica”.
La Stessa Corte di Cassazione, in realtà, ha avuto modo di chiarire che “la qualificazione di un ente come società di capitali non è di per sé sufficiente ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ente stesso”, così da doversi “procedere ad una valutazione concreta in fatto, caso per caso”[38].
Parte della dottrina, è giunta finanche a prefigurare un parallelo principio di distinzione tra “funzioni di indirizzo politico e di gestione”, rispetto a quello degli enti locali, da applicare alle “società pubbliche”[39].
In realtà, alcuni hanno ritenuto di poter enucleare l’autonoma categoria delle “società pubbliche”, muovendo dalla nozione, di origine comunitaria, dell’ “organismo di diritto pubblico”(ex art. 2, comma 7, della l. n°109/1994)[40]. Per tal via, dovrebbero essere considerate pubbliche tutte le società che rivestono le caratteristiche generali dell’“organismo di diritto pubblico”.
In aggiunta al cennato criterio, per vero, la giurisprudenza ha introdotto anche il criterio della natura del controllo, ravvisando un indice di “pubblicità” della società nel “controllo concomitante da parte di un consigliere della Corte dei conti”, ex art. 12 della l. n°259/1958[41].
Altri, invece, hanno fatto ricorso alla nozione di “impresa pubblica”, di derivazione anch’essa comunitaria[42], almeno –si è precisato–per tutte le società nelle quali manca il “requisito teleologico negativo” che caratterizza “l’organismo di diritto pubblico”, costituito dalla precipua finalità di “soddisfare bisogni di interesse generale, aventi carattere non industriale e commerciale”[43].
In sostanza, secondo questa parte della dottrina, pure condivisa dalla giurisprudenza[44], nell’impresa pubblica “si prescinde dal fine perseguito, a differenza di quanto previsto per l’organismo di diritto pubblico, e si riconosce valenza decisiva al legame tra l’impresa e la P.A. dominante” [45], così che le “società pubbliche”, sono quelle nelle quali si può individuare una posizione dominate della P.A. .
Sul versante opposto, altra parte della dottrina, ha mosso critiche alle “forzature (del) ragionamento pan-pubblicistico della giurisprudenza” ed ai tentativi di creare un’autonoma categoria di società pubblica. Al tal fine, sono state richiamate le sentenze della Corte cost. n°641/1987, n°385/1996 e n°371/1998, per evidenziare che “l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione in materia di contabilità pubblica non è assoluta, ma presenta soltanto i caratteri della tendenziale generalità, in quanto essa è sì suscettibile di espansione in via interpretativa, ma sempre che sussistano i presupposti soggettivi e oggettivi della responsabilità per danno erariale, occorrendo apposite qualificazione legislative e puntuali specificazioni non solo rispetto all’oggetto, ma anche rispetto ai soggetti” [46].
Evidente, in tale dottrina, il riferimento al mai del tutto sopito problema della portata immediatamente percettiva dell’art. 103, comma 2, Cost. ed al correlato aspetto della necessaria interpositio legislatoris, per il quale rientra “nella più ampia discrezionalità del legislatore attribuire o meno alla giurisdizione della Corte dei conti le ipotesi di responsabilità amministrativa”[47] [48].
In realtà, come notato anche di recente, la “disciplina societaria contenuta nel codice civile mette in luce che non sono previste, per le società costituite da enti pubblici, regole di gestione o funzionamento peculiari, se non che ad alcuni limitati effetti, in relazione alla nomina degli amministratori : artt 2449 e 2450 cc” [49]. |
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VI) Segue: l’eccesso di potere finanziario.
Le ragioni di fondo che hanno ispirano le dottrine sulle c.d. “società pubbliche”, per vero, muovono non tanto dagli aspetti strutturali delle società stesse, quanto da quelli funzionali, legati al fine perseguito dalle società medesime ed alla natura pubblica delle risorse impiegate.
Il criterio della natura pubblica del danaro e delle finalità perseguite, in effetti, sembra –a prima vista – essersi posto alla base della fondamentale ordinanza SS.UU. Cass 1/3/2006, n°4511, secondo cui: “il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è ormai spostato dalla qualità del soggetto, che ben può essere un privato od un ente pubblico economico, alla natura del danno e degli scopi perseguiti”.
Per tal via, hanno chiarito le SS. UU., “ove il privato, per sue scelte, incida negativamente sul modo di essere del programma imposto dalla P.A., alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, egli realizza un danno all’ente pubblico, anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano”.
Salutata da una parte della dottrina come “approdo ad un criterio oggettivo di incardinazione della giurisdizione contabile fondata sulla natura pubblica delle risorse finanziarie[50], ovvero come “statuto della fattispecie di responsabilità amministrativo-contabile”[51], l’ ordinanza in discorso, secondo parte della giurisprudenza[52], non si spinge fino al punto di superare il criterio del “rapporto di servizio”. E ciò tanto più se letta “in combinato” con la successiva sentenza 20/10/2006, n°22513, resa anch’essa in materia di contributi pubblici erogati a privati, nella quale si evidenzia l’intima correlazione – nella vicenda allora esaminata – tra la contribuzione pubblica ed il sottostante rapporto di servizio, per il quale il privato veniva chiamato a svolgere, “in vece della P.A.”, un compito “proprio” della P.A. medesima[53].
In realtà, il concetto di rapporto di servizio espresso dalla Cassazione nell’ultima delle citate pronunce, si colloca ai livelli di una mera “relazione funzionale” – come precisa la pronuncia stessa – e sostanzialmente avalla la linea giurisprudenziale, avviata dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per il Molise con le sentenze n°234/2002 e n°263/2002[54], volta a considerare, ai fini della giurisdizione della Corte dei conti, “non tanto la qualificazione pubblica del soggetto convenuto in giudizio, quanto la qualificazione oggettivamente pubblica delle risorse finanziarie gestite dal convenuto, per lo svolgimento di compiti propri dell’ente erogatore” del finanziamento.
Il riferito indirizzo giurisprudenziale, ripreso dalla dottrina, ha portato a teorizzare la figura dell’ “eccesso di potere finanziario”, quale criterio di collegamento ulteriore, rispetto a quello tradizionale del “rapporto di servizio”, per la giurisdizione della Corte dei conti[55].
In pratica, muovendo dalla considerazione che “generalmente l’erogazione di pubbliche risorse …. è finalizzata al perseguimento di un particolare interesse pubblico, previsto dalle legge istitutiva del contributo o del finanziamento o del sussidio”, secondo l’indirizzo dottrinario in commento, la violazione dei doveri “correlati alla finalizzazione vincolata delle risorse stesse” ingenera responsabilità in chi ha ricevuto il contributo, per eccesso di potere finanziario, da intendere come “deviazione dell’impiego delle pubbliche risorse dal fine tipico e dall’interesse pubblico previsto dalla legge per il caso di specie”[56].
In sostanza, secondo tale orientamento, la distrazione delle risorse pubbliche dal fine per il quale erano state erogate, vanifica l’erogazione stessa, con danno per l’ente che ne ha sostenuto il relativo peso economico, in quanto spesa (divenuta) inutile.
Ora, il riferito indirizzo ha senz’altro il merito di aprire nuovi orizzonti alla responsabilità amministrativo contabile, orientandola verso il più ampio scenario della “responsabilità finanziaria”[57], ma non risolve il problema, proprio delle società “pubbliche”, di convenire direttamente in giudizio i soggetti che per essa hanno agito e non la società come tale, secondo il paradigma delle società “private” [58]. |
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VII) Il recente intervento normativo dell’art. 16 bis del d.l. n°248/2007, in l. n°31/2008.
Nel delineato contesto dottrinario-giurisprudenziale, improntato al sostanziale riconoscimento generalizzato della giurisdizione della Corte dei conti sulle società partecipate[59], è intervenuto l’art. 16 bis del d.l. n°248/2007 (c.d. “milleproroghe”), convertito in l. n°31/2008, il quale prevede che : per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario”.
L’articolo, che fa comunque salvi “i giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione”, è stato oggetto di critiche, sia da parte di chi, muovendo da una già conseguita giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli amministratori e dipendenti delle società “pubbliche”[60], ha visto nell’intervento legislativo in discorso una riduzione di tale giurisdizione, e sia da parte di chi, muovendo –all’opposto – da un riconoscimento operato solo adesso (con l’art. 16 bis) e finora “solo vagamente ipotizzato dal giudice regolatore”, ha considerato il criterio (delimitativo di giurisdizione) prescelto dall’articolo stesso (S.p.a.. quotate, con partecipazione inferiore al 50%) “del tutto empirico e irragionevole”, seppur ispirato dalla “comprensibile preoccupazione di sottrarre al giudizio della Corte dei conti le società aventi le predette due caratteristiche”[61].
Al di là del dibattito aperto dall’art. 16 bis e delle nuove, possibili prospettive che esso lascia intravedere, è tuttavia abbastanza chiaro fin da ora – sul piano strettamente giuridico – l’importanza che l’articolo riveste, ai fini della regolamentazione della giurisdizione in materia di responsabilità erariale delle società a partecipazione pubblica, potendo anche essere inquadrato nell’ambito di quella interpositio legislatoris che si correla al concreto operare dell’art. 103, comma 2, Cost., da alcuni ritenuta ancora necessaria, come ricordato in precedenza.
In questa ottica, può dirsi che l’art. 16 bis ha riconosciuto “soggettività pubblica” alle società costituite e/o partecipate da pubbliche amministrazioni, quanto meno ai fini dell’assoggettamento diretto degli amministratori e dipendenti delle stesse alla giurisdizione della Corte dei conti, sia per i danni provocati alle società di appartenenza, sia per i danni arrecati agli enti di riferimento e/o a qualsivoglia altra amministrazione pubblica, ex art.1, comma 4, della l. n°2071994, come sostituito dall’art. 3, comma 1, lettera c-bis), della l. n°639/1996.
In sostanza, come correttamente si è osservato in dottrina, l’art. 16 bis ha in pratica superato il “tradizionale criterio del rapporto di servizio” che, ove ipotizzabile per le partecipate, avrebbe comportato la loro responsabilità “per danno erariale nei confronti dell’azionista pubblico” ed ha perciò riqualificato soggettivamente le partecipate stesse, ponendole non più tra i “soggetti danneggianti”, ma tra i “danneggiati”[62].
Una simile riqualificazione soggettiva, invero, appare del tutto coerente con la dinamica e la funzione risarcitoria (ma anche sanzionatoria[63]) della responsabilità amministrativo-contabile che, come detto al precedente paragrafo IV), presuppone –nel suo concreto esplicarsi– la netta separazione del patrimonio del danneggiante, rispetto a quello del danneggiato.
Interessante notare come l’art. 16 bis abbia pure formato oggetto di una certa qual discussione parlamentare, compatibile con i tempi di conversione del decreto legge, così che tra gli emendamenti proposti e non ritirati, come invece è avvenuto per il 16-bis 100, vi sono anche quelli respinti, come gli emendamenti nn.101-102 [64].
In particolare, mentre il primo (101) prevedeva semplicemente la soppressione dell’art. 16 bis, il secondo (102), nel dare la nozione di “impresa pubblica”, prevedeva la giurisdizione della Corte dei conti limitata agli “amministratori” delle imprese stesse, ponendo la regola generale della loro responsabilità secondo le “norme del diritto civile, a condizione che il medesimo fatto non integr(asse) danno erariale”[65].
La formulazione adottata dalla legge di conversione, invece, ha optato: a) per una sfera più ampia di soggetti convenibili, ponendo accanto agli “amministratori” anche i “dipendenti” della società pubblica, e b) per una più ampia nozione di “società pubblica”, che certo evita discussioni sulla individuazione delle società in concreto sottoposte alla giurisdizione erariale. |
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VIII) Considerazioni conclusive.
L’art. 16 bis della l. n°33/2008, in realtà pone una regolamentazione della materia della responsabilità dei dipendenti ed amministratori delle società pubbliche per più aspetti inappagante, in relazione anche ai criteri adottati per la “sottrazione–affermazione” della giurisdizione della Corte dei conti su tale materia [66]. Se, infatti, può dirsi che l’articolo in questione ha esaustivamente risolto per il futuro – salvo l’esito positivo di questioni di costituzionalità già ipotizzate su di esso – il problema dei rapporti della giurisdizione della Corte dei conti con quella del Giudice Ordinario relativamente alle quotate minoritarie, optando per la giurisdizione esclusiva di quest’ultimo Giudice, non offre invece una pari, esaustiva soluzione per le altre “società pubbliche”. Per tali società, in effetti, le ipotesi teoriche, emerse ad una “prima lettura” dell’art. 16 bis, sono state le più varie[67].
Relativamente alle partecipate maggioritarie, si è pensato ad una giurisdizione esclusiva[68] a favore della Corte dei conti simmetrica a quella del giudice ordinario per le quotate minoritarie; ma si è anche pensato ad una giurisdizione concorrente, analoga a quella che si realizza nell’ipotesi di costituzione di parte civile della P.A. nel processo penale, ferma restando comunque la giurisdizione del Giudice Ordinario per i danni al socio privato.
Relativamente alle partecipate minoritarie, invece, il problema della giurisdizione è stato legato alla funzionalizzazione della partecipazione stessa alla gestione della società.
In questa ottica, la partecipazione minoritaria con “quota di controllo”, che influenza la gestione della società, giustificherebbe – si è detto – la giurisdizione della Corte dei conti, in relazione alla tutela degli interessi pubblici perseguiti con la partecipazione stessa e comporta problematiche analoghe alla partecipazione maggioritaria, relativamente ai rapporti con la giurisdizione del giudice ordinario. La partecipazione minoritaria senza alcuna influenza di gestione, invece, si risolverebbe in un mero apporto di capitale all’attività economico-imprenditoriale “libera” della società e non giustificherebbe la giurisdizione della Corte dei conti, ferma tuttavia restando “la responsabilità in capo ai dipendenti dell’amministrazione che hanno disposto la partecipazione, almeno per il danno consistente nella immobilizzazione finanziaria del danaro pubblico distratto dai fini istituzionali, quale spesa che esula dalle competenze dell’ amministrazione medesima”[69]. E ciò, sempreché la partecipazione minoritaria stessa non la si volesse configurare come un “contributo”[70], nella quale ipotesi –direi– si dovrebbe ulteriormente distinguere se trattasi di mero contributo “a fondo perduto” o non piuttosto di un contributo funzionalizzato alla realizzazione di programmi propri della P.A., con conseguente giurisdizione –in tal caso – della Corte dei conti, in ipotesi di sviamento del contributo stesso dai fini del programma (ex Cass. SS.UU. ord. n°4511/2006 e sent. n°22513/2006).
Ad ogni buon conto, l’art. 16 bis sembra inserirsi anch’esso nel solco di una controtendenza alla spinta verso la gestione in forma societaria dei “servizi a rilevanza economica ed imprenditoriale …. (che) era venuta da talune leggi finanziarie”, in relazione al ruolo che “la esternalizzazione delle attività giocava sulle modalità di costruzione delle grandezze finanziarie, rilevanti –a loro volta– ai fini del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità”[71].
Una siffatta controtendenza, si è precisato, si pone alla base anche delle “disposizioni emanate nella più recente legislazione, ed in particolare in quella inserita nella finanziaria per il 2007, intesa a contenere i costi derivanti dalla esternalizzazione (art. 1, commi 725-730), ed ancora più nella normativa introdotta con la legge finanziaria per il 2008 (ex art. 3, commi 27-35), ….. il cui punto fondamentale è (rappresentato dal fatto) che gli enti pubblici possono costituire società o partecipare o continuare a partecipare ad esse solo se questa forma è strettamente necessaria al perseguimento dei propri interessi istituzionali” [72] .
Alla base di tali “spinte” e “controspinte”, può forse leggersi: da un alto, la volontà della “progressiva restituzione al mercato delle attività economiche (presenti) nel campo dei servizi pubblici imprenditoriali”[73], in linea con le norme del diritto comunitario, volte a regolare la libertà del mercato stesso e la concorrenza nei settori dei servizi e degli appalti[74]; dall’altro lato, l’esigenza di evitare sprechi e di modulare le modalità di resa del servizio alla migliore cura possibile dell’interesse pubblico attribuito all’ente, in conformità alle norme del diritto interno.
Il riconoscimento normativo della giurisdizione della Corte dei conti sugli amministratori e dipendenti delle società pubbliche, dunque, si inserisce nel delineato sistema di “spinte e controspinte” ed è auspicabile che venga esercitata in maniera accorta, prudente ed avveduta, così da salvaguardare tutti i valori in campo: sia quelli a maggior rilievo comunitario, che quelli a maggiore rilievo interno.
In questa ottica, e senza pensare di esaurire le considerazioni in proposito, mentre è da escludere la configurabilità di un sindacato del giudice contabile sulla opportunità delle scelte di natura imprenditoriali, stante anche il divieto di un analogo sindacato sul merito delle scelte amministrative, ex art. 1, comma 1, della l. n°20/1994[75], è invece da condividere l’idea che l’azione erariale di danno non si sostituisca, ma si affianchi alle “azioni di responsabilità sociale, intentate ai sensi del codice civile, attese le diversità dei presupposti e delle finalità delle due azioni”, così da svilupparsi con esse (azioni civili) in termini di concorrenza, salvo il limite –di mero fatto e comune ad entrambe – del già conseguito, integrale ristoro[76]. Ciò costituisce, oltretutto, un evidente ampliamento della capacità valutativa del complesso fenomeno societario pubblico, con positivi riflessi pure in termini di maggiore sensibilità nell’affrontare e risolvere le eventuali criticità del servizio pubblico (gestito dalla società), da considerare anche sotto i profili del “danno da disservizio” e/o da “asservimento del servizio” (ad una parte soltanto dell’utenza), ovvero nel valutare i vistosi scostamenti dai prezzi di mercato nelle compravendite della società, da considerare anche in termini di “danno da tangente”.
Peraltro, nei casi concreti in cui la Corte dei conti ha ritenuto parte danneggiata la società come tale (e non l’Ente-socio), si è mostrata una certa tendenza a non limitare l’importo del danno alla sola quota di partecipazione pubblica, osservando che la quota stessa rende pubblica la società “in toto e non solo in parte qua, sicché il risarcimento del danno erariale arrecato (va a beneficio della società e) deve essere totale e non meramente parziale”[77].
Né – si è chiarito – una simile condanna “in toto” lede il principio di uguaglianza tra soci, a favore dei soci privati che fruirebbero degli effetti dell’azione erariale conservando integri i poteri di azione previsti a loro favore dal codice, atteso che “la maggior tutela prevista per gli azionisti privati, non si sostanzia in un'irragionevole disparità di trattamento, ma bilancia i minori poteri dei medesimi azionisti privati statutariamente posti in una posizione minoritaria (di controllo) all'interno della compagine sociale”[78]. Del resto, si è soggiunto, “ove l'esito di una delle due azioni (quella proposta innanzi al giudice civile e quella proposta innanzi al giudice contabile) dovesse comportare la piena soddisfazione delle ragioni degli azionisti, si porrebbe non una questione di giurisdizione, ma una questione afferente ai limiti della proponibilità della domanda avanti al giudice adìto per secondo, sotto il profilo dell'eventuale pericolo di violazione del principio del ne bis in idem”.
Problema ulteriore e diverso, invece, è quello della proponibilità di un’actio pro societate, ex art. 2392 cc e/o pro socio, ex 2395,da parte del P.M. contabile.
Sulla prima si registra una posizione dottrinaria nettamente negativa, in relazione anche al fatto –si è rilevato– che “una azione rimessa all’iniziativa del pubblico ministero e non lasciata all’ apprezzamento dei soci si tradurrebbe in un evidente svantaggio, anche in termini di analisi costi/benefici, ponendo la stessa ed i suoi amministratori in una condizione di incertezza nelle regole dell’agire, del tutto incompatibile con la missione imprenditoriale dell’organismo”[79]. Tanto, senza considerare che comunque “la proposizione dell’azione sociale di responsabilità può essere non indolore per la società, che potrebbe esserne screditata sul mercato e da ciò ulteriormente danneggiata”[80].
Sulla seconda, invece, si registrano maggiori oscillazioni e, quindi aperture, essendosi sostenuta finanche “la piena ammissibilità della proposizione dell’azione del P.M. contabile d’avanti al giudice ordinario” [81].
In ogni caso, è pacifica la sussistenza di una autonoma forma di responsabilità erariale, per culpa in vigilando, degli amministratori dell’Ente-socio che tralascino di esercitare le azioni codicistiche, e segnatamente l’ “azione sociale di responsabilità” (ex art. 2393 cc), nei confronti degli amministratori della società, per mala gestio [82].
In conclusione, la giurisdizione della Corte dei conti sulle società pubbliche, da modulare – se del caso – anche mediante ulteriori, appositi interventi normativi, stante la complessità e la scivolosità della materia e l’intrinseca inidoneità della sola giurisprudenza a ricondurre –almeno a breve – la stessa “a sistema”, deve poter costituire una garanzia in più di sana gestione della società, e non piuttosto un appesantimento dell’azione della società stessa che, come tale, finirebbe fatalmente per “scoraggiare gli investitori dall’acquisire le partecipazioni”[83]. |
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[1] Salvo, ovviamente, gli esattori e tesorieri, che dovevano necessariamente essere delle società.
[2] V. relativamente ai criteri individuati dalla Giurisprudenza:
a) il criterio basato sul “rapporto contabile”, per il servizio di cassa, ex. Cass. SS.UU. n.3375/1989, n. 6177/1983, n. 2/1980 e n. 363/1969;
b) il criterio basato sul “rapporto concessorio” a favore di una società di costruzione, ex Cass. SS. UU. sent. n°12221/1990;
c) il criterio basato sull’ “inserimento nel processo di formazione ed attuazione della volontà della P.A.” di una società commerciale, alla quale era stato affidata la verifica tecnico-contabile (in sede istruttoria, prima, e poi di controllo) dei progetti di ricostruzione post terremoto dell’Irpinia del 1980, ex Cass. SS.UU. sent. n°9751/1994 ,
d) il criterio basato sulla “gestione di fondi pubblici” ad un “ente privato” per il perseguimento di finalità pubbliche (gestione di corsi professionali finanziati dalla P.A.), ex Cass. SS. UU.. sent. n°11309/1995;
[3] V. Cass. SS.UU. sent. n°123/2001, nonché Corte conti, Sez. Giur. Siciliana n°390/1998 e Sez. I^ Giur. Cont. N°178-A/1999:
[4] V. sent. n°178-A/1999 citata nella nota precedente.
[5] V. Sez. Giur. Molise sent. N°64/1998.
[6] V. ancora Sez. Molise sent. n°64/1998 e, in precedenza, Sez. Puglia n°15/1995.
[7] V. Sezione Umbria n°498/2002.
[8] V. ancora Sezione Umbria n°498/2002.
[9] Sez. Giur. Sicilia n°156/1999, Id. n°201/1999 e Sez. Giur. App. Reg. Sicilia n°183-A/2001.
[10] Cfr. Cinthia Pinotti: La responsabilità degli amministratori di società tra riforma del diritto del diritto societario ed evoluzione della giurisprudenza con particolare riferimento alle società a partecipazione pubblica, in Rivista Corte dei conti 2004, vol.5, pag. 312 e ss., nonché : Astegiano : Gli illeciti degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici economici: dal giudice ordinario al giudice contabile, i:n Giur. it. 2004, 1837; Montella: Finalmente la giurisdizione della Corte dei conti sulla responsabilità per danno erariale degli amministratori degli enti pubblici economici, in Cons. Sta. 2004, II, 322 e ss.; Ursi: Riflessioni sulla governance delle società in mano pubblica, in Dir. Amm. 2004, 771 e ss. ; Atelli : La giurisdizione della Corte dei conti sulle società a partecipazione pubblica nell’età della fuga verso il diritto privato, in Giurisdizione della Corte dei conti e responsabilità amministrativo-contabile a dieci anni dalle riforme, Napoli 2005, pag. 59 e ss; T. Miele: l’evoluzione in senso oggettivo della giurisdizione contabile: il criterio della natura oggettivamente pubblica delle risorse gestite, ibd., 123 e ss.
Autori citati tutti in Foro italiano 2005-I, pag. 2680.
[11] Vale anche accennare, però, ad orientamenti che affermano la giurisdizione della Corte dei conti sulle partecipate in base alla natura pubblica dei conferimenti, più che alla soggettività pubblica delle stesse. V., per tutti, P. Crea :L’individuazione del danno erariale nelle societa’ costituite, partecipate o finanziate da enti pubblici (Conversazione in memoria di Francesco Rapisarda, Palermo, 11 dicembre 2004)
[12] V. per la nozione di “contabilità pubblica”, ex art. 103 cost., Cass. SS.UU. n°363/1969, nonché SS.UU. n°5716/1990, per la quale : “secondo l'interpretazione che di tale articolo hanno dato dottrina e giurisprudenza la nozione di contabilità pubblica è caratterizzata da due elementi; l'uno soggettivo, che attiene alla natura pubblica dell'ente, ….l'altro oggettivo, che riflette la qualificazione pubblica del denaro o del bene oggetto della gestione”.
[13] V. tra le tante, per il precedente indirizzo che negava la giurisdizione della Corte dei conti in presenza di danni da attività imprenditoriale, Cass. SS.UU. 1282/1982, n°1679/1983, n°5792/1991, n°12654/1997, n°1193/200 e n°9649/2001.
[14] V. tra le pronunce penali considerate in SS.UU. Ord. n°19667/2003, Cass. Sez. I^ pen. N°10027/2000 e Cass. Sez. IV Pen. N°20118/2001.
[15] Da segnalare che, con l’ordinanza n°19667/2003, le SS.UU. hanno espressamente chiarito come le disposizioni dell’art. 7 della l. n°97/2001 non abbiano affatto inteso “ampliare la competenza giurisdizionale della Corte dei conti”, ma si siano semplicemente inserite “coerentemente nell’ambito delle innovazioni legislative sulla P.A.”.
Una simile precisazione, è evidente, elimina in radice la possibilità di vedere nel precitato art. 7 quella interpositio legislatoris che, a volte, la Corte Costituzionale ritiene ancora necessaria per dare concreta attuazione all’art. 103, comma 2, cost. .
[16] . G. D’Auria : Amministratori e dipendenti di enti economici e società pubbliche: quale “revirement” della Cassazione sulla giurisdizione di responsabilità amministrativa , in Foro Italiano 2005-I, pag. 2684 e ss.
[17] V. ancora G. D’Auria, cit. in nota precedente.
[18] V. ancora G. D’Auria sopra citato.
[19] Ma anche in quelle ad essa successiva, tra cui SS.UU. 1/3//2006 n°4511 e SS. UU. 20/10/2006, n°22513.
[20] V. delib. n°10 della Sezione di Controllo Lombardia n°10 del 22/1/2008, anche per ciò che attiene agli altri requisiti strutturali, funzionali e teleologici delle società in house .
[21] V. Corte Cost. n°363/2003, relativamente ad “Italia Lavoro Spa”, nonché , sempre per la natura sostanzialmente pubblica di “Sviluppo Italia Spa”, Corte Cost. n°308/2004.
[22] Il riferimento, ovviamente, è al “controllo analogo”, elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, anche in relazione ai più recenti orientamenti che richiedono la partecipazione pubblica totalitaria ( Corte di Giust. Sez. I^ 18/1/2007, n°C-220/05; id. 11/1/2005 n°C-458/03) e che gli statuti prevedano norme speciali che rafforzino il controllo ed il voto dell’amministrazione proprietaria, rispetto all’ordinaria disciplina civilistica in materia societaria (corte di Giust. Sez. I^ 11/5/2006, n°C-340/04, id. 13/10/2005, n°C-458/03).
[23] V. C. Chiarenza, in : Problematiche specifiche delle istruttorie e dei giudizi in materia di SPA pubbliche; intervento all’incontro di studio : Evoluzione normativa e giurisprudenziale delle ipotesi di responsabilità sanzionatoria e di altre forme tipizzate di responsabilità introdotte dall’ordinamento ed affidate alla cognizione del Giudice contabile. Roma, Corte dei conti, aula delle SS.RR. 1-3 aprile 2008.
[24] Nel caso della So.Ge.Mi., esaminato da Cass. SS.UU. n°3899/2004 nella quale la partecipazione del Comune di Milano era del 99,97%.
[25] V. Corte cost. n°466/1993.
[26] V. C. Chiarenza già citato.
[27] V. Cass. SS.UU. n°3735/1994, relativa la rapporto tra la Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro, nonché SS.UU. Cass. n°123/2001, e della Corte dei conti Sez. I^ Centr. d’Appello n°344/2004, nonché Sez. Giur. Reg Umbria sent. n°70/2007 .
[28] V. G. D’Auria già citato.
[29] v.. Cass. SS.UU. n°922/1999.
[30] V. tra le tante, Cass. SS.UU. n°14473/2002, in rapporto alla sent. n°337-A/2000 Corte conti Sez. III^ centr. d’App., nonché SS. UU. n°400/2000.
[31] V. P.L. Rebecchi : Sviamento nell’utilizzo delle pubbliche risorse e giurisdizione di responsabilità amministrativo-contabiole , in Riv. Corte conti, vol. 2, 2006, pagg. 238 e ss.
[32] V., anche Corte conti Sez. II^ Centr. d’App. n°125-A/2006.
[33] Si ricorda che, ai sensi dell’art. 3, commi 27-35 della finanziaria per il 2008, gli enti pubblici possono costituire società o partecipare o continuare a partecipare ad esse solo se questa forma è strettamente necessaria al perseguimento dei propri interessi istituzionali .
[34] V. Cass. SS. UU. ord. n°10973 del 25/5/2005, Id. sent. n°14101 del 20/6/2006 ed ord. N°3367 del 15/2/2007;
[35] V. Cass. SS.UU. n° 1219/2004, relativa al caso “ Sta spa-Agenzia per la mobilità del commune di Roma e la Compagnia Romana Paechgeggi s.r.l.”.
[36] V. SS.UU. Ord. n°12192/2004, relativa al caso della “associazione UNALAT-AIMA.
[37] V. Cass. SS.UU. sent. n°4511 dell’1/3/2006, relativo al caso “S.I.F.A.T.T.” ed ”Intesa Bci Mediocredito spa” per danno alla Regione Abruzzo, nonché SS.UU. ord. n°22513 del 20/10/2006 relativa alla “Confcooperativa” per danno alla Regione Molise.
[38] V. Cass. SS. UU. N°9096/2005.
[39] V. M. G. Urso: Il principio di distinzione tra funzioni di indirizzo politico e di gestione negli enti locali e nelle società partecipiate, in Riv. Corte conti vol. 3, 2005, pag.306 e ss.
[40] L’art. 2, comma 7, della l. n°109/1994, definisce l’ organismo di diritto pubblico come: “qualsiasi organismo con personalità giuridica, istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale non avente carattere industriale o commerciale e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, …. dagli enti locali, da altri enti pubblici o da altri organismi di diritto pubblico, ovvero la cui gestione sia sottoposta al controllo di tali soggetti, ovvero i cui organismi di amministrazione , di direzione o di vigilanza siano costititi in misura non inferiore alla metà dei componenti designati dai medesimi”.
[41] V. Sez. Giur. Corte conti Lombardia ord. n°32/2005.
Tale pronuncia riveste particolare interesse anche per le precisazioni che offre in merito al concetto di “partecipazione pubblica maggioritaria”, di cui alla sentenza della Corte cost. n°466/1993.
Secondo la Sezione Lombarda, la partecipazione maggioritaria “deve intendersi riferita non solo al sempre più raro caso di possesso in mano pubblica di una quota azionaria superiore al 50%, ma anche all’ipotesi di possesso del c.d. pacchetto di controllo e,cioè, di quella quota azionaria pubblica che, seppur inferiore al 50%, consente il controllo della società, in ipotesi di azionariato diffuso”.
Per riferimenti all’organismo di diritto pubblico v. anche, tra le altre, Sez. Giur. Corte conti Trento sent. n°58/2006.
[42] L’art. 3, comma 28, del d.l.vo n°163/2006, adottato in attuazione della direttiva n°17/2004, qualifica pubbliche “le imprese su cui le amministrazioni possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante, perché ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano le imprese in questione”.
[43] V. F. Lombardo : In tema di Giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilità di amministratori di s.p.a. partecipate dallo Stato, in Riv. Corte conti vol. 1, 2005, pagg. 145 e ss.
[44] V. Sez. Giur. Reg. Corte dei conti Lombardia, sen. n°114/2006, nonché Id. sent. n°448/2007.
[45] V. ancora F. Lombardo, già citato.
[46] V. A. Lamorgese, Impresa pubblica: profili giurisdizionali, relazione all’incontro su Regime giuridico dell’impresa pubblica. Università Roma Tre, 24/1/2008, e relativi richiami dottrinari.
[47] V. per una rassegna giurisprudenziale in proposito V. F. Garri, N. Mastropasqua, M. Ristuccia, A. Rozzera: “Rassegna di giurisprudenza in tema di Responsabilità amministrativa e Contabile”, Giuffrè 1992.
[48] Si ricorda che, come evidenziato anche in dottrina (P. Santoro: L’illecito contabile, Maggioli Editore, 2006, pagg. 27 e ss ), l’interposizio legislatoris, può presentarsi in due forme:
a) come interpositio in “positivo”, propria della responsabilità amministrativa, nella quale l’intervento del legislatore rileva per la determinazione dell’ambito (e degli elementi) della responsabilità stessa;
b) come interpositio in “negativo”, propria della responsabilità contabile, “nel senso che occorre – per escludere la giurisdizione della Corte dei conti per tale forma di responsabilità– una espressa deroga alla generale attribuzione ed estensione fondata esclusivamente sull’art. 103 Cost., nella quale è ricompressa totalmente ratione materiae”
[49] V. Corte conti Sez. Controllo Lombardia n°10/2008.
[50] V. ancora F. Lombardo, citato sopra.
[51] V. L. Venturini: Corte di Cassazione e giurisdizione della Corte dei conti in questo primo scoscio dell’anno: in particolare la sent. n°4511 del 1° marzo 2006 , in www.amcorteconti.it, e richiami ivi, tra gli altri, a P. Maddalena: La responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici; rapporti con la responsabilità civile e sue peculiarità”, in Foro It. 1979, f.2, p.65; M. Ristuccia : La responsabilità sociale erariale nelle società pubbliche, in Riv. Corte conti vol. 1 2005, pag. 328 e ss ; N. Longo: Natura giuridica ed orizzonti politico-culturali della responsabilità amministrativa, in Riv. Corteconti vol. 1, 2001, pag. 365 e ss..
L’autore suggerisce, tra l’altro, una rilettura delle le varie teorie della responsabilità amministrativo contabile”, alla luce dell’ordinanza n°22513/2006, come responsabilità: a) “fondata non su inadempimento di obblighi, ma su un fatto dannoso”; b) che “esalta il fenomeno della progressiva funzionalizzazione degli strumenti privatistica utilizzati dalla P.A.”; c) che “si conforma progressivamente da istituto già riconducibile al campo del diritto civile, a strumento di garanzia obiettiva dell’ordinamento contro le devianze finanziarie”.
[52] V. Sez. Giur. Reg. Corte conti Umbria n°47/2008, laddove si precisa che “la lettura capovolta delle conclusioni del P.G., riportate nell’ord. SS.UU. n°4511/2006, pone in evidenza come l’obbligo sinallagmatico a carico del soggetto privato di non distogliere i fondi ricevuti dalla loro destinazione a fini pubblici si configura non già come il presupposto dell’erogazione, ma come l’espletamento di un’attività rientrante tra i compiti propri della P.A.”.
[53] Secondo Cass. SS.UU. 22513, “quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, per rapporto di servizio si deve intendere una relazione con la P.A. caratterizzata per il tratto di investire un soggetto altrimenti estraneo all’ amministrazione, del compito di porre in essere in sua vece un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura – provvedimento, convenzione o contratto – né quella del soggetto che la riceve, altra persona giuridica o fisica, privata o pubblica”.
[54] Si ricorda che è proprio sui profili di giurisdizione esaminati da questa ultima sentenza che è intervenuta la pronuncia della Cass. SS.UU. n°22513/2006.
[55] V. T. Miele in Lo stato della giurisprudenza in materia di responsabilità amministrativa contabile nei confronti degli amministratori , dipendenti ed agenti degli enti economici e delle società pubbliche, Relazione per il corso di formazione ed aggiornamento tenuto a Roma dal 13 al 15/12/2006, Aula Sezione Riunite della Corte dei conti, in www. corteconti.it.
[56] V.ancora T. Miele, citato in nota precedente.
[57] V. ancora Miele , già citato.
[58] Si ricorda che anche la sent. n°263/2002 della Corte dei conti Sez. Giur. Reg. Molise, che – si ripete – ha costituito la “base” dell’intervento delle SS.UU. Cass. sent. n°22513/2006, ha fatto ricorso al meccanismo dello “sforamento dello scherma societario”, per affermare la responsabilità delle persone fisiche che avevano agito per l’organismo che aveva ricevuto il finanziamento distolto dalle sue finalità tipiche, dovendo diversamente rispondere del danno la società che aveva ricevuto il contributo.
[59] Si ricorda che tra le ragioni per le quali il Procuratore Generale presso la Corte dei conti ha ritenuto necessario diramare una nuova Nota interpretativa in materie di denunce di danno erariale, in data 2/8/2007 (in sostituzione della precedente, in data 28/2/1998), vi è anche quella relativa all’ “ampliamento dei confini della giurisdizione contabile, a seguito delle pronunce della Corte di Cassazione che hanno affermato la sussistenza della potestà di cognizione del giudice contabile sulla responsabilità di amministratori e dipendenti per danni causati ad enti pubblici ed a società a partecipazione pubblica” (v. la “Premessa” della cennata nota).
In relazione a ciò, nella nota della Procura, sono state date indicazioni sui soggetti tenuti alla denuncia di danno erariale, “connesse al sistema di amministrazione e controllo delle s.p.a. a partecipazione pubblica”, distinguendosi:
a) le “società regolate dal sistema tradizionale di amministrazione e controllo, (ex) artt. 2380 bis-2409 septies cc”, per le quali il relativo obbligo si è ritenuto gravante: a1) sul “consiglio di amministrazione, ….. salvo deleghe, (perché), in tal caso il soggetto delegato è tenuto, ai sensi dell’art. 2381, comma 5, cc, a riferire al consiglio almeno ogni 6 mesi sull’andamento della gestione e, perciò, anche riguardo a possibili fatti dannosi, (ex) art. 2392 cc”; a2) sul “collegio sindacale”, in relazione ai doveri e poteri di vigilanza, ex artt. 2403 e 2403 bis cc, e delle connesse responsabilità, ex art. 2407, comma 2, cc; a3) sui “soggetti tenuti al controllo contabile”, ex art. 2409 bis cc, in relazione al rinvio al regime della responsabilità dei sindaci, ex art. 2409 sexies cc;
b) le “società rette dal sistema dualistico, (ex) artt. 2409 octies- 2409 quinquiesdesies cc”, per le quali l’obbligo di denuncia è stato ritenuto gravante: b1) sul “consiglio di gestione”, che esercita sostanzialmente le funzioni di un consiglio di amministrazione, ex arttt. 2409 undecies e 2392 cc; b2) sui “soggetti addetti al controllo contabile”, in relazione al rinvio operato dall’art. 2409 quinquiesdesies all’art. 2409 sexies; b3) sul “consiglio di sorveglianza”, che esercita funzioni di vigilanza analoghe a quelle del collegio sindacale, ex art. 2409, e può promuovere azioni di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio di gestione, ex art. 2409 terdecies, comm1, let. d) cc;
c) le società “ a sistema monistico, (ex) artt. 2409 sexiesdecies -2409 noviesdesies cc”, per le quali l’obbligo in discorso è stato ritenuto gravante : c1) sul “consiglio di amministrazione”, ex art. 2409 noviesdesies, comm1, cc; c2) sul “comitato per il controllo sulla gestione", ex art. 2409 octiesdecies, comma 5, lett. B) cc, c3) sui “soggetti addetti al controllo contabile”, ex art. 2409 noviesdesies”.
[60] V., nel senso della già conseguita giurisdizione della Corte dei Conti, P. Novelli – L. Venturini in : La resposabilita' amministrativa di fronte all'evoluzione delle pubbliche amministrazioni ed al diritto delle societa'. Giuffre (in corso di pubblicazione), nonché C. Chiarenza, Problematiche specifiche delle istruttorie e dei giudizi in materia di S.p.a. pubbliche più volte citato.
I primi due autori hanno sottolineano come “la previsione di diritto intertemporale contenuta nell’ultimo periodo (dell’articolo 16 bis), con l’esclusione dell’applicazione ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, viene espressamente a delimitare solo per l’avvenire una giurisdizione di ancora maggiore ampiezza, che si presuppone positivamente esistente ed operante. Se il legislatore ha infatti ritenuto di dover rimettere alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario alcune circoscritte ipotesi, per di più escludendone l’applicazione ai casi già dedotti in giudizi pendenti (ex art. 5 cpc), tanto si giustifica ovviamente solo se si presuppone che in precedenza fosse vigente una giurisdizione quanto meno concorrente di un altro giudice”.
[61] V. M.A. Sandulli: L’art. 16 bis del decreto milleproroghe sulla responsabilità degli amministratori e dipendenti delle spa pubbliche: registrazione o ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti? (ovvero: l’effetto perverso delle norme LAST MINUTE), in federalismi .it n°5/2008.
[62] V. ancora Sandulli, citata in nota precedente.
[63] Il riferimento alla responsabilità sanzionatoria, qui, è alla sanzione in senso stretto, in rapporto al proliferare di norme specifiche che prevedono sanzioni a carico degli amministratori e dipendenti pubblici (v, per una sintetica ricognizione in proposito, Corte conti Sez. Giur. Reg. Umbria sent. n° 128/2007) e che, in relazione alle esigenze proprie delle “società pubbliche”, ben potrebbero– in futuro– anche costituire un ulteriore profilo di armonizzazione tra il sistema di tutela degli interessi pubblici e quello di tutela degli interessi privati, presenti –entrambi – nelle società in questione, mediante appositi interventi legislativi.
In questo senso, qualche spunto per “una inattesa convivenza …. tra una azione civilistica (a tutela degli interessi societari privati) che non può che mantenere la sua natura risarcitoria e quella contabile (a tutela degli interessi pubblici) di intonazione soltanto sanzionatoria”, da esercitare entrambe “nei confronti dello stesso amministratore della società”, è offerto anche da V.C. Jambrenghi in Azione ordinaria di responsabilità ed azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano pubblica. L’esigenza di tutela degli interessi pubblici in Atti del 51° convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna 15-17 settembre 2005.
[64] V. resoconto stenografico Senato, seduta n°282 del 27/2/2008 .
[65] L’emendamento 102 prevedeva di sostituire l'articolo 16-bis con il seguente:
Art. 16-bis. - (Responsabilità degli amministratori di imprese pubbliche)
1. Ai fini del presente articolo si intende per impresa pubblica l'ente dotato di personalità giuridica che soddisfi cumulativamente i seguenti due requisiti:
a) che sia stato istituito per soddisfare esigenze di carattere industriale o commerciale, anche se rivolte all'interesse generale o collettivo;
b) che la sua attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, da altri enti territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, ovvero che la sua gestione od i suoi organi di amministrazione siano soggetti al controllo di questi ultimi, sotto forma di istruzioni dell'azionista di maggioranza.
2. Per le imprese pubbliche di cui al comma 1 la responsabilità dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario.
3. La responsabilità degli amministratori delle imprese pubbliche di cui al comma 1 è regolata dalle norma del diritto civile a condizione che il medesimo fatto non integri danno erariale; in tal caso la Corte dei conti è competente sulla relativa controversia.».
[66] V. ancora Sandulli e Novelli – Venturini già citati.
In particolare, questi ultimi due autori ritengono corrispondere a canoni di maggiore razionalità un criterio funzionale di riparto della giurisdizione basato sul “controllo”, e dunque sulla capacità di determinare l’indirizzo della gestione della S.p.a. (c.d. “influenza dominante”), piuttosto che quello “proprietario”, basato sulla titolarità maggioritaria del capitale, e dunque delle azioni.
In questa ottica, hanno precisato gli autori in riferimento che, mentre la titolarità maggioritaria delle azioni reca sempre con sé anche il “potere di gestione” della società, “nel caso di partecipazioni inferiori al 50% più un’azione, invece, (sarebbe) indispensabile vagliare se permanga comunque, ed in che estensione, un potere di gestione in capo all’azionista pubblico”.
Sul piano sistematico, i ripetuti autori, raccordano un simile criterio funzionale di partecipazione maggioritaria alla “nota sentenza n°466 del 1993 della Corte costituzionale”, nella quale –hanno chiarito – la Corte medesima “aveva precisato che la partecipazione esclusiva o prevalente al capitale azionario era (solo) il mezzo con il quale lo Stato conservava nella propria disponibilità la gestione economica delle nuove società” .
In senso conforme, v anche V.C. Jambrenghi in Atti del 51° convegno di studi di scienza dell’amminisrtazione, Varenna 15-17 settembre 2005, già citato.
[67] V. interventi della prof.ssa M.A. Sandulli (Il regime delle responsabilità nelle imprese pubbliche) e del cons. E. F. Schlitzer (Responsabilità amministrativa e Decreto “milleproroghe”) e conseguente dibattito, all’incontro di studio : Evoluzione normativa e giurisprudenziale delle ipotesi di responsabilità sanzionatoria e di altre forme tipizzate di responsabilità introdotte dall’ordinamento ed affidate alla cognizione del Giudice contabile. Roma, Corte dei conti, aula delle SS.RR. 1-3 aprile 2008.
[68] V. anche, per la giurisdizione esclusiva a favore della Corte dei conti, V.C. Jambrenghi in Atti del 51° convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna 15-17 settembre 2005 già citato.
[69] V. Chiarenza più volte citato.
[70] V. Sandulli, intervento all’incontro di studio già citato.
[71] V. Corte conti. Sez. Contr. Lombardia delibera n°10/2008.
[72] V. Sez. Controllo Corte conti Lombardia n°10/2008.
[73] V. G. D’Auria già citato.
[74] In questa logica si inquadra anche la recente sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea 6/12/2007, cause 463/4 e 464/04, sostanzialmente caducatoria dell’art. 2449 cc, che “esalta – ha precisato la Sez. Contr. Lombardia nella citata delib. n°10/2008 – la dimensione privatistica dello strumento organizzativo utilizzato dall’ente pubblico”, così da eliminare “le eccezioni che stabiliscono privilegi per l’amministrazione, in quanto socio di società miste, perché incompatibili con i principi comunitari di libera circolazione dei capitali”.
[75] V. Relazione scritta del Procuratore Generale della Corte dei conti per la Cerimonia di Apertura dell’Anno Giudiziario 2008 , in www.corteconti.it
[76] V.Sez. Giur. Reg. Corte conti Lombardia ord. n°32/2005, nella quale si chiarisce anche che “ove l’esito positivo di una delle due azioni, innanzi al giudice civile o contabile, comportasse la piena soddisfazione delle ragioni degli azionisti, si porrebbe non una questione di giurisdizione, ma una questione di proponibilità della domanda avanti al giudice adito per secondo, e quindi concernerebbe esclusivamente i limiti interni della sua giurisdizione, sotto il profilo dell’eventuale pericolo di violazione del principio del ne bis in idem”.
[77] V. Corte dei conti, Sez. Giur. Reg. Lombardia n°114/2006 e, in senso conforme, Id. sent. n°414/2007 .
Tale indirizzo, tuttavia, è stato di recente rivisitato dalla medesima Sezione, con la sent. n°135/2008, nella quale, muovendo dal carattere esclusivo per il socio pubblico dell’azione di responsabilità erariale (che perciò esclude il concorso di altre azioni sociali, ontologicamente e strutturalmente differenti), ha affermato che essa non può avere alcuna incidenza sulla posizione giuridica dei soci non pubblici e ha limitato perciò la condanna alla quota societaria pubblica, a favore del socio pubblico stesso e non già del patrimonio sociale.
In dottrina è stato criticato tale nuovo orientamento che, si è detto, “svuota nei fatti (il) contenuto innovativo (della) individuazione della stessa società pubblica quale amministrazione danneggiata” (cfr. C. Chiarenza, ripetutamente citato).
D’altro canto, anche la dottrina gius-privatista aveva già espresso perplessità sull’eventuale condanna a favore del solo socio pubblico e non del patrimonio sociale, in accoglimento di azione erariale per danni alla società (cfr. ancora C. Ibba, “Postilla” al suo intervento al convegno di Varenna 2005 già citato).
[78] V. ancora Corte dei conti, Sez. Giur. Reg. Lombardia n°114/2006
[79] V. C. Pinotti : La responsabilità degli amministratori di società tra riforma del diritto societario ed evoluzione della giurisprudenza con particolare riferimento alle società a partecipazione pubblica citata, nonché G. Astegiano; Gli illeciti degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici economici in “La giurisprudenza Italiana, 2004.
In senso opposto, v. V.C. Jambrenghi, intervento al convegno di Varenna già citato, il quale sostiene che vi sia una “sostanziale sostituzione dell’azione sociale di maggioranza di fornire adeguata notitia damni al Procuratore presso la Corte dei conti, perché questi e non altri muova l’azione risarcitoria”.
[80] V. C. Ibba : Azione ordinaria di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa in materia di società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in “Atti del 51° Convegno di studi amministrativi, Varenna 15-17 settembre 2005
[81] V. G. Costantino, citato da Lamorrese, in Impresa Pubblica : profili giurisdizionali , già menzionata., nonché per un esame dei vantaggi e degli svantaggi di un’azione contabile modellata sul paradigma dell’azione di cui all’art. 2395 cc”.
[82] V. Corte dei conti Sez. II^ App. n°96/2002, confermata –ovviamente in punto di giurisdizione – da Cass. SS. UU. 13702/2004 e in senso conforme, in dottrina, C. Ibba già citato.
[83] V. motivazioni dei ricorsi definiti con la sentenza della Corte di Giustizia Europea 6/12/2007, n°C-464/04. |
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(pubblicato il 21.4.2008) |
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