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n. 4-2008 - © copyright

 

GUIDO CARLINO

La sospensione del giudizio contabile


1 – Generalità
Qualsiasi istituto del diritto processuale contabile deve essere inquadrato tenendo presenti le peculiarità di tale processo, caratterizzato dal rinvio dinamico alle norme del codice di procedura civile, ai cui precetti occorre fare riferimento in mancanza di autonoma disciplina.
Il tema della sospensione, pur venendo in evidenza dopo la apertura del giudizio di responsabilità, assume, tuttavia, un significativo rilievo anche nell’ambito della attività istruttoria del pubblico ministero, in quanto questa diversamente può evolversi in relazione alle prospettive di sospensione o meno dell’instaurando giudizio.
La sospensione del processo ha come presupposto la contemporanea pendenza di due processi, tra i quali esiste una relazione di pregiudizialità, sicchè l’esito dell’uno dipende o è condizionato dall’esito dell’altro, con la conseguenza del momentaneo arresto del processo pregiudicato in attesa della definizione del processo pregiudiziale.
Il regolamento di procedura per i giudizi dinnanzi la Corte dei conti (RD 13 agosto 1933 n. 1038) non contiene una disciplina completa delle ipotesi di sospensione del giudizio se non nei casi di incidente di falso (artt. 9 e seguenti); attraverso il rinvio dinamico generale previsto dall’art. 26, si applicano, pertanto, le disposizioni previste dal codice di procedura civile e, cioè, gli articoli 295 e seguenti nonché le altre norme che, di volta in volta, prevedono l’arresto del procedimento in presenza dei relativi presupposti.
In particolare, l’art. 295 prevede che il giudice disponga la sospensione del processo quando egli stesso o altro giudice debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa (sospensione necessaria). La norma è stata modificata dalla L. 353/1990, che ha eliminato il riferimento testuale al caso previsto dall’art. 3 dell’abrogato codice di procedura penale del 1930, che espressamente sanciva la pregiudizialità obbligatoria del processo penale, rispetto ad altri processi (civile, amministrativo e contabile).
La giurisprudenza civile ha avuto modo di rilevare che il carattere pregiudiziale di una causa rispetto ad un’altra viene individuato nella necessità che l’accertamento, da effettuarsi, con forza di giudicato, da parte di altro giudice costituisca antecedente logico e giuridico della causa da sospendere (Cass. 22 febbraio 1994 n. 1719). Non si configura, invece, ipotesi di sospensione necessaria del processo quando la controversia può essere risolta in via incidentale dal giudice della causa pregiudicata, nell’ottica di una sua sollecita definizione, la quale, avendo trovato riconoscimento nell'art. 111 Cost., prevale sull'opposta esigenza di evitare un contrasto tra giudicati (Cass. civ., Sez. I, 22/11/2006, n. 24859).
La giurisprudenza civile più datata, pur nel silenzio della legge, aveva ritenuto ammissibile anche una “sospensione facoltativa”, rimessa, cioè, alla discrezionalità del giudice (Cass. 28 novembre 1993 n. 12735). Tuttavia, la stessa Corte di Cassazione, in pronunce più recenti, ha rilevato che non vi è più spazio per una discrezionale, e non sindacabile, facoltà di sospensione del processo, esercitabile dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale: tale facoltà - oltre che inconciliabile con il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo, sotteso alla riforma dell’ art. 42 c.p.c. - si porrebbe, infatti, in frontale contrasto con il canone della durata ragionevole, che la legge deve assicurare, nel quadro del giusto processo, ai sensi del nuovo art. 111 Cost. Dalla esclusione della configurabilità di una sospensione facoltativa ope iudicis del giudizio, deriva, come logico corollario, la impugnabilità, nel processo civile, ai sensi dell'art. 42 c.p.c., dei provvedimenti di sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, con la conseguenza che il ricorso deve essere accolto ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione ex lege (Cass. civ., Sez. I, 13/07/2004, n. 12970).
Dalle pronunce esaminate emerge, pertanto, che la sospensione deve essere espressamente prevista dalla legge e che, in ogni caso, costituisce una eccezione alla regola di autonomia dei processi.

 

2 – La querela di falso
L’art. 11 del RD 1038/1933 prevede la sospensione del giudizio ove la parte abbia proposto dinnanzi al Tribunale competente per materia (art. 9 cpc), la querela di falso o chieda un termine per proporla.
Trattasi di evenienza possibile nel giudizio di responsabilità amministrativa in quanto numerosi atti, provenienti dalle pubbliche amministrazioni e depositati dal PM in giudizio, sono assistiti da efficacia probatoria qualificata, fino a querela di falso, senza che siano configurabili altri mezzi di impugnazione per contestarne la veridicità ed esattezza ( art. 2700 c.c.).
L’interesse all’accertamento della falsità documentali sussiste anche in capo al p.m.: quando, infatti, per contestare la fondatezza della pretesa accusatoria, vengono prodotti atti pubblici che vincolano il giudice, l’organo pubblico, ove ne contesti la genuinità, deve necessariamente proporre la querela di falso dinnanzi al competente giudice ordinario, in mancanza della quale la domanda di risarcimento del danno potrebbe essere respinta per mancanza di prova della sussistenza del danno (Sez. giur. Toscana, 12/05/2000, n. 833).
La possibilità, per il PM, di proporre querela di falso non è, tuttavia, pacificamente ammessa, almeno da parte di coloro che pongono la questione della legittimazione dell’organo dinnanzi al giudice ordinario, trascurando che, in tale sede, il p.m. contabile è rappresentato da quello ordinario (Cass. S.U. 1282/1982).
La contestazione documentale e la proposizione di querela non costituisce, tuttavia, una ipotesi di obbligatoria sospensione, ben potendo il giudice, secondo pacifica giurisprudenza, verificare la rilevanza della questione ai fini della definizione del giudizio.
La giurisprudenza ha, talvolta, risolto il problema ritenendo da un lato la non attribuibilità della tipica forza probatoria ad atti pubblici, in relazione a situazioni e posizioni giuridiche fatte valere dall'autore dell'atto coinvolto in giudizio di responsabilità e, quindi, non in posizione di terzietà e, dall'altro, l’incompatibilità di tale forza probatoria con l’estensione delle valutazioni giudiziali da compiersi in sede di giudizio di responsabilità amministrativa (C. Conti Emilia - Romagna, Sez. giurisdiz., 12/10/2005, n. 1276).
Tali questioni sono state poste in giudizi in cui il p.m. aveva contestato la inesigibilità dell’imposta, giustificata ex adverso da discutibili verbali di pignoramento negativi o da inesistente dichiarazione di irreperibilità di debitori tributari.

 

3 – Le questioni di legittimità costituzionale
Il processo contabile, al pari di tutti gli altri giudizi, viene sospeso ove venga sollevata una questione di legittimità costituzionale delle norme oggetto di applicazione, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 37.
Si è, in giurisprudenza, dibattuto sulla opportunità della sospensione dei giudizi in cui si debbano applicare le medesime norme già sospettate di incostituzionalità in altro processo e oggetto di rimessione alla Corte costituzionale.
Le soluzioni, in assenza di specifica previsione dell’obbligo di sospensione, sono state spesso contraddittorie, ma si ritiene corretta la tesi giurisprudenziale secondo cui la sospensione possa essere disposta, previa nuova rimessione alla Corte costituzionale, preceduta dall’accertamento dei relativi presupposti, anche per consentire, alle parti del giudizio, in un’ottica garantistica, di costituirsi dinnanzi al giudice delle legge (CC., Sez. giur. Sardegna, 11 dicembre 1986 n. 454).
Si è, in passato, discusso sulla possibilità, per il magistrato relatore sul conto giudiziale, di sollevare questione di legittimità costituzionale, determinando la sospensione del relativo giudizio.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 19 del 7 marzo 1978, ha riconosciuto in capo al magistrato relatore sui conti giudiziali la titolarità a sollevare questione di costituzionalità, rilevando che il giudizio sui conti, come tale e con tale denominazione regolato dagli artt. 27 e seguenti del R.D. 3 agosto 1933, n. 1038, inizia con il deposito del conto nella Segreteria della competente Sezione giurisdizionale, e, per effetto di tale deposito, l'agente dell'Amministrazione va considerato costituito in giudizio (art. 45, primo comma, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214); trovandosi nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale, la questione è, pertanto, sollevabile.
La sentenza è condivisibile, anche se sarebbe opportuno oggi chiedersi se il giudizio di conto, almeno nella fase iniziale, abbia i requisiti voluti dalla Costituzione (art. 111) perché in esso possa individuarsi un vero processo.
E’ utile, in questa sede, richiamare, anche per una corretta delimitazione degli ambiti di operatività della sospensione del processo contabile, una vicenda che ebbe a determinare la sospensione, non del processo, ma della attività istruttoria contabile, e che si verificò a seguito di eccezione di legittimità costituzionale sollevata da un p.m. presso una procura regionale che si riteneva a ciò legittimato in quanto l’emittendo provvedimento di archiviazione avrebbe configurato esercizio di potestà giurisdizionale semipiena.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 415 del 27 luglio 1997, ha dichiarato inammissibile la questione, rilevando che il deferimento di una questione può avere luogo soltanto ad opera di un giudice che ritenga di dover applicare la norma, della cui legittimità costituzionale dubita, per definire, nell'esercizio del proprio potere di decisione, il giudizio del quale è investito; requisiti, questi, non appartenenti al procuratore regionale, la cui determinazione di non dover promuovere l'azione non ha natura di pronuncia giurisdizionale, ma chiude un'attività istruttoria diretta a verificare se sussistano le condizioni per iniziare utilmente un giudizio di responsabilità, senza che con l'archiviazione si formi giudicato o ne derivi, in alcun modo, un vincolo per lo stesso ufficio del pubblico ministero.
Poiché la fase istruttoria contabile, quindi, non si caratterizza come processo ma come procedimento, la sentenza del giudice delle leggi è ineccepibile; rimane, tuttavia, il dubbio se non convenga auspicare una seria riforma legislativa finalizzata ad introdurre, anche nella fase istruttoria, una disciplina del procedimento che dia le necessarie garanzie alle parti del giudizio.

 

4 – Il deferimento alle Sezioni riunite
Anche il deferimento alle Sezioni riunite della Corte dei conti per la risoluzione di conflitti di competenza o di questioni di massima, ai sensi dell’art. 1, comma 7, della legge n. 19/1994, pur in assenza di specifiche norme che lo impongono, dà luogo a sospensione obbligatoria del giudizio, posto che la sentenza resa dall’organo di nomofilachia contabile ha valore vincolante nel giudizio a quo, in quanto posta in rapporto di pregiudizialità e connessione logica con l’esercizio della funzione giudicante da parte del giudice remittente (SS.RR. 5/QM/1998).
Ovviamente, tale obbligo non sussiste in relazione ad altre cause in trattazione,ove si dibattono le medesime questioni, per le quali, tuttavia, viene spesso disposta una sospensione facoltativa in attesa della pronuncia, in questo caso non vincolante, delle Sezioni riunite.
Si è posto, recentemente, il problema della obbligatorietà della sospensione del giudizio in ipotesi di proposizione della questione da parte del procuratore generale, cui la norma conferisce legittimazione al deferimento, senza necessità di una previa delibazione del giudice a quo (SS.RR. 24/QM/1996) ed anche in materia pensionistica (SS.RR. 37/QM/1995).
In tale ipotesi, il giudice che aveva in trattazione la causa (si trattava di giudizio pensionistico), l’ ha definita nel merito, non ritenendo praticabile la via della sospensione del giudizio (Sez. Appello Sicilia, sentenza n. 253 dell’11 ottobre 2007), ma con ciò determinando la declaratoria di improcedibilità del giudizio da parte delle Sezioni riunite (sentenza n. 11 del 29 novembre 2007).
Trattasi di un momento di evidente crisi del sistema della nomofilachia previsto per la Corte dei conti, che impone l’adozione di rimedi urgenti, che colmino il vuoto oggi determinato dalla carenza di norme specifiche in materia, dovuto anche alla inapplicabilità, in conseguenza del diverso sistema ivi previsto, delle norme che regolano procedure ed effetti del deferimento alle SS.UU. della Cassazione.

 

5 – Sospensione e rapporti con i giudizi civili, amministrativi e tributari
Il giudizio contabile, secondo pacifica giurisprudenza, non è precluso né soggetto a sospensione obbligatoria per la pendenza di un processo civile, neppure se avente ad oggetto il recupero dell'indebito dedotto come illecito amministrativo – contabile; tuttavia, si registrano, in giurisprudenza, casi di sospensione del giudizio di responsabilità azionato per il danno c.d. indiretto, quando il giudizio civile, in cui è insorto un obbligo di pagamento per la pubblica amministrazione, non si è ancora concluso con una sentenza definitiva: tali ipotesi, probabilmente, andrebbero risolte con una pronuncia assolutoria per non attualità del danno erariale o, ricorrendone le condizioni, rinviando alle sede esecutiva il regolamento dei rapporti di dare ed avere.
Diversa, invece, è l’ipotesi in cui vi sia una contemporanea pendenza di un giudizio civile recuperatorio intentato dalla Pubblica amministrazione nei confronti del convenuto: in questo caso non si determina la necessità di sospensione del giudizio di responsabilità, dovendosi ravvisare l’esercizio, da parte del giudice ordinario, di una potestà giurisdizionale non spettategli (sul punto, Cass., S.U. 22 dicembre 1999 n. 933).
Il problema della sospensione del giudizio contabile si è posto anche con riferimento al giudizio amministrativo.
La giurisprudenza, premesso che nel giudizio contabile gli atti della p.a. vengono in rilievo come fatti giuridici dei quali rileva l'eventuale illiceità e non il rapporto legittimità - illegittimità, ha ritenuto che non sussiste tra il giudizio contabile ed il giudizio amministrativo alcun rapporto di pregiudizialità e che non trova applicazione l’art. 295 c.p.c. che dispone la sospensione del giudizio (C. Conti, Sez. I, 23/10/1997, n. 192); talvolta, tuttavia, la Corte dei conti, ha disposto la sospensione, qualificata facoltativa, quando siano state proposte impugnative, dinnanzi al giudice amministrativo, di atti costituenti il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa.
Con riferimento, invece, al rapporto con il giudizio tributario, la giurisprudenza ha ritenuto che, in considerazione della totale diversità di piani operativi sui quali si svolgono il giudizio tributario, (volto all'annullamento di provvedimenti amministrativi ed alla tutela delle posizioni soggettive di terzi nei confronti dell'amministrazione finanziaria) e quello amministrativo di danno (finalizzato al risarcimento di un danno prodotto dalla violazione di obblighi di servizio a garanzia oggettiva della corretta spendita del pubblico denaro), va escluso qualsiasi rapporto di "pregiudizialità tecnica" tra i due giudizi, salvo che le vicende che la pretesa tributaria debba subire in sede giurisdizionale tributaria presentino profili tali da incidere sui limiti oggettivi e soggettivi e sulla causa petendi dell'azione di risarcimento (C. Conti, Sez. III, 12/07/1996, n. 292); ciò avviene quando l’azione di risarcimento è condizionata dalla definitività dell'accertamento tributario, condizione, questa, che non può ritenersi soddisfatta qualora nei confronti della posizione tributaria causativa del preteso nocumento erariale risulti pendente processo presso i competenti organi di giustizia tributaria (C. Conti Sardegna, Sez. giurisdiz., 29/06/1988, n. 451).

 

6 – Altre ipotesi di sospensione
La sospensione del processo contabile può avere luogo per effetto di proposizione di regolamento preventivo di giurisdizione: ai sensi degli artt. 41 e 367 ss. del cpc, il processo viene sospeso, anche se il giudice è tenuto, per effetto di una modifica normativa introdotta con legge 353/1990, ad una delibazione preventiva circa la ammissibilità e fondatezza della istanza, assolutamente opportuna per evitare istanze aventi finalità meramente dilatorie, molto frequenti, in passato, quando i confini della giurisdizione contabile erano assolutamente incerti.
Altre ipotesi di sospensione possono aversi per la necessità di risolvere questioni di stato e capacità delle persone, per la proposizione di istanze di ricusazione di componenti del collegio, ovvero, per la proposizione di questioni di interpretazione di norme comunitarie, ai sensi della legge 1203/1957.
Quanto alla sospensione prevista dal codice di procedura civile dall’art. 296 (sospensione concordata), che ha luogo quando le parti facciano espressa istanza di sospensione in limiti temporali ristretti, si ritiene che l’ istituto non si concili con il processo di responsabilità, che ha origine da una azione pubblica ed i cui interessi sono sottratti alla libera disponibilità delle parti.

 

7 – La sospensione in pendenza di procedimento penale
Sino al 1989, in vigenza del principio di pregiudizia¬lità del processo penale rispetto agli altri giudizi, si riteneva obbligatoria la sospensione del processo contabile.
L’art. 3, 2° e 4° co., del c.p.p. 1930 prevedeva, infatti, la sospensione necessaria del processo civile o amministrativo quando, nel corso del procedimento, si ravvisava la sussistenza di un reato, e l’azione penale era stata iniziata, a condizione che la cognizione del reato influisse sulla decisione della controversia.
Il processo contabile veniva, quindi, sospeso sino a quando non fosse stata pronunciata in istruzione la sentenza di proscioglimento non più soggetta ad impugnazione o sino a quando non fosse intervenuta sentenza irrevocabile ovvero non fosse divenuto esecutivo il decreto penale di condanna; riassunto il giudizio, venivano, poi, in evidenza i limiti di applicabilità dell’art. 28 del cpp, circa l’autorità del giudicato penale nel giudizio amministrativo di danno, in relazione all’accertamento dei fatti materiali oggetto del giudizio penale.
I principi ispiratori del sistema allora vigente venivano individuati nella unicità del fatto illecito penalmente sanzionato, nella unità della giurisdizione e nella prevalenza del giudizio penale sugli altri giudizi.
A fronte di una giurisprudenza pressoché conforme nel ritenere necessaria la sospensione, non mancavano, tuttavia, voci discordi. In alcune pronunce si sosteneva, infatti, che la sospensione del giudizio non operasse automaticamente, ma presupponesse, comunque, una valutazione, riservata al giudice, circa la rilevanza della cognizione del reato sulla controversia pendente (C. Conti, Sez. I, 05/04/1988, n. 59); anche le Sezioni riunite (allora in sede di appello) avevano ribadito la sussistenza di un potere-dovere del giudice contabile di procedere direttamente all'accertamento dei fatti materiali in relazione alla violazione degli obblighi di servizio gravanti sul pubblico dipendente e/o agente contabile, essendo tali fatti concettualmente diversi da quelli costituenti il fondamento dell'azione penale, con la conseguenza che la pendenza di un giudizio penale non fosse causa di sospensione necessaria del giudizio di responsabilità (C. Conti, Sez. riunite, 03/05/1988, n. 579).
Profonde modifiche sono state introdotte con il nuovo cod. proc. pen. del 1988, che ha fatto venire meno l’ipotesi di sospensione prevista dall’art. 3, cpp abrogato, ispirandosi al principio della separazione dei vari giu¬dizi, con l’autonoma prosecuzione del processo civile o amministrativo (contabile) di danno, ma mantenendo la sola ipotesi sospensiva prevista dall’art. 75 cpp, per il quale le azioni civili restitutorie e risarcitorie sono arrestate, sino alla sentenza penale non più soggetta ad impugnazione, quando vi sia già stata costituzione di parte civile.
Conseguenza della riforma è stata la successiva modifica (art. 35, L. 353/1990) dell’art. 295 c.p.c., ove è stato espunto il rinvio all’art. 3 del pre vigente c.p.p; non è stato, invece, modificato l’art. 297 c.p.c., che riporta ancora il riferimento all’art. 3 dell’abrogato c.p.p., anche se gli effetti che ne derivano sono pressoché nulli per l’intervenuta abrogazione della norma richiamata.
Il principio di autonomia e separatezza degli altri giudizi rispetto a quello penale, ha determinato, tuttavia, notevoli incertezze non solo nella giurisprudenza della Corte dei conti, ma anche in quella civile.
La Cassazione, pur riconoscendo la novità della regola di separatezza tra i giudizi, ha inizialmente ritenuto che un rapporto di pregiudizialità tra il giudizio civile e quello penale non potesse essere escluso in via astratta e di principio, con la conseguenza che la sospensione del giudizio civile fosse necessaria quando la previa definizione della controversia penale fosse imposta da una espressa disposizione di legge ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisse l'indispensabile antecedente logico - giuridico per la definizione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. Al di fuori di tali presupposti, la sospensione cessa di essere obbligatoria per il giudice, divenendo meramente facoltativa, con la conseguenza che il disporla o meno rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. SS.UU., 6 giugno 2000 n. 408).
Le SS.UU., tuttavia, sono tornate sulla questione affermando che non vi è più spazio per una discrezionale, e non sindacabile, facoltà di sospensione del processo, esercitabile dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale (Cass. civ, Sez. Unite, 01/10/2003, n. 14670).
Con altra interessante decisione, la Corte di Cassazione (Sez. II, 25 marzo 2005 n. 6478) ha affermato che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione del processo civile, previste dall'art. 75 c.p.p., terzo comma, da un lato, il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall'altro, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale; ciò, peraltro, non preclude al giudice civile di utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata e di fondare la decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo a tal fine a diretto esame del contenuto del materiale probatorio ovvero ricavandoli dalla sentenza, o se necessario, dagli atti del relativo processo, in modo da accertare esattamente i fatti materiali da sottoporre al proprio vaglio critico.
A fronte del mutato quadro normativo, il problema della sospensione si è posto anche nell’ambito della giurisdizione contabile.
La necessità di un raccordo tra la giurisdizione contabile e quella penale, in relazione a fatti che rilevano come reato e come illecito contabile, è costantemente presente ai magistrati che esercitano le funzioni di pubblico ministero contabile.
L’esigenza, peraltro, è fortemente avvertita dal legislatore che ha previsto, da un lato, la possibilità per il PM contabile, nelle istruttorie di sua competenza, di chiedere in comunicazione atti e documenti in possesso di autorità giudiziarie (art. 74, RD 1214/1934), dall’altro, l’obbligo di informativa a carico del p.m. penale nei confronti del procuratore regionale della Corte dei conti (art. 129, disp. att. Cpp), e l’ulteriore obbligo, a chiusura del sistema, da parte del giudice penale, di comunicare al p.m. contabile le sentenze non ancora passate in giudicato e quelle irrevocabili recanti condanna di dipendenti od amministratori pubblici per reati contro la p.a. (L. 27 marzo 2001, n. 97).
A seguito della comunicazione alla Procura regionale della notitia damni da parte del p.m. ordinario, il requirente contabile svolge l’attività istruttoria di propria competenza per l’acquisizione delle prove idonee a sostenere l’accusa nel giudizio di responsabilità amministrativa, utilizzando, se necessario, anche le prove formate nell’ambito del giudizio penale ed introducendole autonomamente nel giudizio di responsabilità.
La valutazione sulla opportunità di attendere l’esito del processo penale, avviato sugli stessi fatti oggetto del giudizio di responsabilità amministrativa, è rimessa, in istruttoria, al prudente apprezzamento del p.m. contabile, su cui grava anche l’onere di evitare di incorrere nella prescrizione del diritto al risarcimento, soprattutto in considerazione del fatto che la giurisprudenza, oggi prevalente, ritiene inapplicabili, nel giudizio di responsabilità amministrativa, i diversi momenti di decorrenza dei termini prescrizionali di cui all’art. 2947 cc, in ipotesi di coesistenza di processo penale sugli stessi fatti.
Ove il pm contabile abbia ritenuto di esercitare l’azione senza attendere la definizione del processo penale, viene, allora, in evidenza, il problema della eventuale sospensione del giudizio attivato.
La giurisprudenza della Corte dei conti, al riguardo, non è affatto univoca.
Intanto, non sempre il giudice fa ricorso alla sospensione, utilizzando talvolta forme improprie di rinvio a nuovo ruolo (in attesa del deposito della sentenza penale) o emettendo ordinanze istruttorie, con onere a carico del PM di acquisire gli atti del processo penale.
Il giudice contabile, in realtà preoccupato di evitare giudicati incoerenti è, spesso, incline a disporre la sospensione, anche per utilizzare gli effetti che la sentenza penale produce sul giudizio o quantomeno per utilizzare le prove ivi formatesi (introducibili nel giudizio contabile, ove vige il principio, enucleabile dall’art. 116 cpc, di atipicità della prova) e,ciò, soprattutto, in quelle ipotesi in cui il pubblico ministero non sia riuscito a dare efficacia autonoma alle prove versate nel giudizio contabile rispetto a quelle oggetto del processo penale.
Il giudice contabile,infatti, in esito a giudizi riassunti dopo la sospensione, fonda spesso l’affermazione o l’esclusione di responsabilità amministrativa sugli effetti che la sentenza penale determina nell’ambito del giudizio contabile, ai sensi delle norme del codice di rito penale che disciplinano l’efficacia delle sentenze penali irrevocabili di condanna (art. 651) e di assoluzione (art. 652) nei giu¬dizi civile o amministrativo di danno, o giustifica il proprio convincimento su prove che siano state legalmente assunte in un giudizio penale definito con forza di giudicato.
La giurisprudenza, in relazione alle suddette esigenze, ha frequentemente continuato a disporre la sospensione del giudizio, ritenendo che, nel sistema del nuovo codice di procedura penale, l’istituto processuale della pregiudizialità penale non solo permanga, ma formi oggetto di una migliore formulazione tecnica, che attiene tanto alla precisazione che il vincolo sussiste soltanto se trattasi degli stessi fatti, quanto alla ulteriore condizione che quei fatti debbano essere stati rilevanti ai fini, desumibili dalla motivazione, della decisione penale dibattimentale, assolutoria o di condanna; inoltre, tale giurisprudenza ha evidenziato che l’art. 211 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c. p. p., emanate con d. p. r. 28 luglio 1989, n. 271, mentre fa salvo quanto disposto dall’art. 75, 3° comma, c. p. p., in tema di sospensione dell'azione civile autonomamente proposta, espressamente recita che, quando disposizioni di legge prevedono la sospensione necessaria del processo civile od amministrativo, a causa della pendenza di un processo penale, il processo civile od amministrativo è sospeso fino alla definizione del processo penale, se questo può dar luogo ad una sentenza che abbia efficacia di giudicato nell’altro processo e se è già stata esercitata l'azione penale ai sensi dell'art. 50 c. p. p. (C. Conti, Sez. II, 27/02/1990, n. 70); altra giurisprudenza ha, inoltre, affermato che il rapporto di pregiudizialità si ripropone quando le circostanze di fatto da accertare nel giudizio penale costituiscono antecedenti logico - giuridici in tutto o in parte del giudizio contabile (C. Conti Umbria, Sez. giurisdiz., 13/03/1995, n. 77).
Accanto alle numerose affermazioni circa l’obbligo di sospensione, vi sono state, invece, chiare affermazioni che hanno escluso la sospensione obbligatoria, ritenendosi non configurabile alcuna pregiudizialità penale tra giudizi re¬ciprocamente autonomi, ancorché concernenti gli stessi fatti materiali.
Si è, al riguardo, sostenuto che le nuove norme di procedura, nell'escludere la pregiudizialità ex lege del processo penale rispetto agli altri processi, hanno espunto dall'ordinamento non solo l'art. 3 c. p. p., ma lo stesso principio di cui la norma era espressione, sicché non è più vigente, sotto tale profilo, l'art. 295 c. p. c., per la parte in cui potrebbe configurare il potere del giudice di disporre la sospensione per pregiudizialità della causa penale, tenuto anche conto che l'istituto della sospensione riveste, alla luce delle nuove norme, carattere eccezionale e, quindi, non suscettibile di applicazione analogica (Corte dei conti, Sez. I, n. 184 del 20.6.2000, n. 331 del 14.11.2000, n. 15 del 13.1.2000 e n. 266 del 17.9.2001 - Sez. II n. 328 del 30.10.2000 - Sez. III, n. 272 del 23.10.1998 - Sez. Toscana n. 1944 del 31.10.2000).
Tale convincimento è stato, altresì, espresso anche in giudizi di responsabilità basati su fatti (falsità in atti) oggetto di autonomo accertamento da parte del giudice penale (C. Conti, Sez. I, 25/02/1991, n. 69).
In altre sentenze, a riprova della inapplicabilità della sospensione, si è avuto modo di controvertere sugli effetti che il nuovo regime introdotto dal cpp determinerebbe sui giudizi sospesi, affermandosi che il termine per la riassunzione del processo contabile, sospeso con ordinanza in vigenza del vecchio codice di procedura penale, decorre dalla data di entrata in vigore del nuovo codice (24 ottobre 1989) perché la sopravvenienza di questo ha fatto venir meno i presupposti della sospensione, non essendo necessaria, a tal fine, la pronuncia della sentenza penale irrevocabile (C. Conti, Sez. I, 16/07/1991, n. 250; contra: C. Conti Sicilia, Sez. giurisdiz., 13/04/1992, n. 64).
In altre decisioni, rappresentative di una tesi che potremmo definire intermedia, il giudice contabile, pur non mettendo in discussione l’abolizione dell’obbligo di sospendere il procedimento per la pregiudiziale penale, ha ritenuto che non restasse esclusa la possibilità di procedere alla sospensione, sulla base di una valutazione circa l'influenza che la risoluzione della controversia dinanzi al giudice penale può esplicare sulla decisione che il giudice contabile è chiamato a pronunciare (C. Conti, Sez. II, 15/05/1991, n. 193).
Ed ancora, ha affermato la necessità di far luogo alla sospensione del giudizio affinchè la situazione fattuale raggiungesse la certezza e l'immodificabilità del giudicato, al fine di evitare la possibile formazione di verità diverse (C. Conti, Sez. II, 01/02/1994, n. 42).
La scelta di sospendere, spesso, è stata ritenuta fondata sulla indubbia utilità che ne consegue per il giudizio contabile, sia dall’individuazione dei fatti che il giudice penale effettuerà, del materiale probatorio che in quella sede verrà raccolto e della ricostruzione delle diverse modalità del comportamento tenuto dai singoli soggetti, sia - ferma restando l'autonoma valutazione del giudice contabile - dalle affermazioni del medesimo giudice penale in ordine agli elementi soggettivi del dolo e della colpa (C. Conti, Sez. II, 20/04/1994, n. 20).
Al riguardo, è stato ritenuto compito del giudice contabile valutare, caso per caso, e disporre, a suo insindacabile giudizio, la sospensione o meno del giudizio di responsabilità, quando vi sia una identità di fatti comuni con il giudizio penale e la definizione del primo dipende dell'esito del secondo, chiarendosi però che l'identità soggettiva e oggettiva dei due giudizi non deve necessariamente comportare una completa identificazione di posizioni individuali, poichè l'unico dato che vincola il giudice contabile, con il formarsi del giudicato penale, è il fatto dedotto in giudizio e non la qualificazione di esso (C. Conti Campania, Sez. giurisdiz., 23/04/1998, n. 29 C. Conti, Sez. II, 02/08/2000, n. 266); quest’ultima tesi ha trovato attuazione, in modo particolare, quando il giudice contabile ha ritenuto necessario, ai fini della decisione che è chiamato ad adottare, l'accertamento dei fatti da parte del giudice penale in relazione a fattispecie criminose nelle quali l'elemento costitutivo del reato coincide con il pregiudizio erariale.
Con riferimento alla tesi intermedia circa la facoltatività della sospensione, appare significativa una recente giurisprudenza della Sezione giurisdizionale siciliana (1413/2007): in un giudizio in cui il materiale documentale, sulla cui base era stata proposta la richiesta di risarcimento del danno erariale, derivava integralmente dal parallelo giudizio penale avente ad oggetto i medesimi fatti e, quindi, in presenza di un intimo collegamento sul piano cronologico, logico e ontologico, la Sezione ha ritenuto inutile dovere sospendere, effettuando una “prognosi” sul possibile esito del processo penale e sugli effetti che sarebbero potuti scaturire dalla sentenza emessa.
Il giudice, infatti, in considerazione della vetustà della condotta illecita e dell'entità della sanzione comminabile per i reati contestati, ha ritenuto un’alta probabilità della definizione del giudizio penale con una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione; di conseguenza, ha ritenuto che l’eventuale sospensione del giudizio di responsabilità, in attesa della conclusione del processo celebrato innanzi al giudice ordinario, fosse inutile in quanto avrebbe avuto il solo effetto di rinviare nel tempo la valutazione della responsabilità amministrativa ascritta ai convenuti.

 

8 – L’applicabilità o meno dell’art. 75 cpp, 3 comma
La giurisprudenza contabile, inoltre, si è fatta carico di verificare l’applicabilità, al giudizio contabile, dell’art. 75, 3 comma cpp, che prevede la sospensione del giudizio civile (contabile, nel nostro caso) fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta ad impugnazione, sempre che l’azione sia stata esercitata dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o, comunque, dopo la sentenza penale di primo grado.
Alcune pronunce affermano che l’ipotesi di sospensione ex art. 75, 3° comma, c. p. p., legata alla costituzione od alla possibilità di costituzione di parte civile nel processo penale, non sia applicabile (C. Conti, Sez. I, 15/07/1991, n. 240; C. Conti, Sez. riunite, 02/03/1992, n. 754).
In particolare, la giurisprudenza contraria alla sospensione, ritiene che la stessa intestazione letterale della norma relativa a “Rapporti tra azione civile e azione penale” esclude il riferimento al giudizio amministrativo di danno e non sia quindi suscettibile di applicazione analogica ai giudizi di responsabilità amministrativo-contabile, anche perché il PM contabile, titolare dell’azione di responsabilità ammini¬strativa, non può costituirsi parte civile nel processo penale, ed in quanto l’azione obbligatoria esercitata dall’organo pubblico ha natura con¬trattale, diversa da quella, avente natura extra-contrattuale, che l’amministrazione danneggiata può esercitare con la costituzione di parte civile nel processo penale (Sez. 1^ centr. n. 15/2001 del 31.1.2001).
Altre pronunce, invece, hanno ritenuto che in tal caso il processo debba sospendersi (C. Conti, Sez. I, 30/04/1990, n. 87), dovendosi valorizzare il principio della prevalenza dell'azione risarcitoria esercitata in sede penale, confermato dal nuovo codice di procedura penale (C. Conti, Sez. II, n. 23 del 21/05/1996 e 196 del 23.9.1998; Sez. giurisdizionale Sicilia, n. 64 del 13/04/1992). Tale giurisprudenza non ha attribuito alcun significato alla intitolazione della rubrica dell’art. 75 “rapporti tra azione civile e azione penale” ritenendo che l’art. 211 del D. leg.vo 28 luglio 1989, n. 271, relativo alle norme di attuazione del codice di procedura penale, reca lo stesso titolo dell’art. 75 c.p.p. (“rapporti tra azione civile e azione penale”), e ciononostante si occupa della so¬spensione del processo civile o amministrativo.
L’art. 75 del cpp è stato, di recente, sottoposto a scrutinio di legittimità costituzionale, nel presupposto che tale norma – ritenuta dal giudice remittente sicuramente applicabile al giudizio di responsabilità amministrativa – si ponesse in contrasto con le norme costituzionali che assegnano alla Corte dei conti giurisdizione esclusiva nelle materie di propria competenza.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 272 del 13 luglio 2007, pur avendo dichiarato inammissibile la questione, ritenendo che la prospettazione, in definitiva, fosse meramente interpretativa ed estranea alla logica del giudizio di costituzionalità, ha, tuttavia, affermato che l’articolo 75 cod. proc. pen. (espressamente intitolato ai rapporti tra azione civile e penale) si riferisce puntualmente e solo al giudizio civile. Il che, a fronte delle logicamente collegate previsioni degli articoli 651 e 652 del medesimo codice (i quali si riferiscono, espressamente, tanto nel titolo, quanto nel testo, sia al giudizio civile sia al giudizio amministrativo di danno), potrebbe costituire argomento a favore della inapplicabilità di questa previsione al giudice contabile, la cui cognizione resterebbe, allora, del tutto autonoma da quella del giudice ordinario (salvo che già sussista un giudicato penale sul punto).
Inoltre la Corte costituzionale ricorda che l’articolo 538 del codice di procedura penale limita la giurisdizione del giudice penale in sede di pronuncia sul risarcimento del danno, alla sola condanna generica dell’imputato, senza porre problemi di pregiudizialità, essendo questa venuta meno, con l’abrogazione dell’art. 3 del vecchio codice di procedura penale.

 

9 – I rimedi
Quanto ai gravami avverso i provvedimenti di sospensione, la giurisprudenza ha ritenuto l’inapplicabilità al rito contabile del rimedio di cui all’art. 42 cpc, nel testo novellato dall’art. 6 della L. 353/1990, secondo cui i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ex art. 295 cpc, possono essere impugnati soltanto con regolamento di competenza.
Le Sezioni riunite della Corte dei conti, con sentenza n. 12 del 7 novembre 2002, hanno affermato che non è ammissibile la esperibilità davanti ad esse del regolamento di competenza avverso i provvedimenti di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., in mancanza di apposita normativa. La specifica previsione normativa è stata, infatti, ritenuta necessaria, considerato il carattere eccezionale dell'art. 42 c.p.c., nella parte in cui lo prevede nel giudizio civile ordinario ed il carattere speciale del processo contabile, in relazione anche al principio di tipicità che caratterizza i mezzi di impugnativa. E’ infatti impossibile avvalersi, nel caso, dell'art. 26 r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, il quale estende ai procedimenti contenziosi davanti alla Corte dei conti "le norme e i termini" della procedura civile, in quanto "siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni del presente regolamento"; condizione che non si verifica con riguardo al rimedio de quo, considerata la diversità di rito (la camera di consiglio per il regolamento di competenza davanti alla Corte di cassazione; l'udienza pubblica secondo il rito davanti alle sezioni riunite) e la impossibilità di sostituire, sic et simpliciter, alla Corte di cassazione, quale destinataria del ricorso, le Sezioni riunite della Corte, trattandosi fra l'altro di materia (quella delle impugnazioni) caratterizzata, nell'ambito dei singoli procedimenti (civile, amministrativo, penale, contabile ecc.), dalla "nominatività" dell'organo competente e "tassatività" delle procedure e dei termini.
La mancanza di rimedi, non esclude, tuttavia, che la parte pubblica possa salvaguardare le ragioni erariali anche in costanza di sospensione del giudizio.
Pur sancendo l’art. 298 cpc che, durante la sospensione, non possono essere compiuti atti del procedimento, tale divieto non impedisce la emanazione di provvedimenti cautelari da parte del giudice per la conservazione della garanzia patrimoniale, posta l’autonomia del procedimento cautelare rispetto a quello ordinario di merito (Cass. Sez. lavoro, 14 giugno 1990 n. 5779).

 

10 - Conclusioni
L’esposizione che precede non evidenzia, con riferimento al tema della sospensione del giudizio contabile, particolari momenti di criticità, se non in ordine alla sospensione in pendenza di giudizio penale.
La sospensione, ancorché in presenza di giurisprudenza non univoca, dovrebbe rappresentare oggi un’ipotesi del tutto eccezionale, sia in ossequio al principio di autonomia dei giudizi contabili e penali, anche quando investono un medesimo fatto materiale (Cass. civ., Sez. Unite, 23/11/1999, n. 822), sia per la necessità di privilegiare la ragionevole durata dei giudizi rispetto al problema dell’eventuale conflitto di giudicati(Cass. Sez. III, 04/03/2002, n. 3105), sia, infine, per la improponibilità di rimedi – analoghi a quelli previsti nel giudizio civile – che consentono alle parti di contrastare un non necessario arresto del processo.
E ciò, soprattutto, quando la Corte dei conti, giudice naturale che accerta e tutela la riparazione del danno erariale (Cass. 22059/2007), abbia elementi sufficienti ai fine del decidere.
Tuttavia, in carenza di un autonomo impianto accusatorio proposto dal p.m. contabile o quando l’ipotesi oggetto di giudizio in sede penale influisce, ponendosi come antecedente logico giuridico, sulla cognizione della fattispecie di responsabilità, a condizione che possa dare luogo ad una sentenza avente efficacia di giudicato nell’altro processo, non può essere esclusa la sospensione, ancorché non obbligatoria, del processo.
In tali casi, è auspicabile una attenta valutazione da parte del giudice circa l’ utilità della sospensione, posto che dalla definizione del processo penale, che spesso avviene in tempi particolarmente lunghi e talvolta in ambiti processuali e momenti diversi a seconda delle strategie processuali dagli imputati, non sempre è possibile trarre elementi idonei alla definizione del processo contabile.

 

(pubblicato il 21.4.2008)

 

 
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