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n. 8-2007 - © copyright

 

GIUSEPPE FRANCO FERRARI

Commento a CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE II - Parere 18 aprile 2007 n. 456*


Il parere in esame rappresenta uno dei migliori tentativi recenti di razionalizzazione del sistema dei servizi pubblici locali, trainato sin qui da formanti diversi in direzioni non sempre apparentemente consonanti.
L’occasione era offerta dal tentativo di riorganizzazione su base informatica dei servizi informativi dell’agricoltura - tradizionalmente una delle meno efficienti dell’amministrazione statale, come documentato dagli infiniti contenziosi in materia di contributi, di quote latte, e di molti altri temi ancora – mediante la costituzione di una società a capitale misto destinata all’affidamento diretto. La Sezione tra l’altro si era già pronunciata nel dicembre del 2006 su alcuni aspetti della questione, tuttavia quasi solo nell’ottica del meccanismo in house, escludendone l’applicabilità al caso di specie, e veniva richiesta di un ripensamento integrativo. Nel pervenire al rovesciamento della precedente conclusione, il Consiglio di Stato effettua una specie di riesame dell’intera materia delle società a governo pubblico ed a partecipazione pubblica, cercando di trovare una rotta ragionevole non solo alla luce delle pronunce della Corte di giustizia, ma anche dei dati normativi più recenti ed anche di quelli in itinere, con ciò additando la via al legislatore, ammesso che quest’ultimo accetti di lasciarsi indirizzare. Ne deriva una sorta di breviario delle società di servizi pubblici locali, che rappresenta ad oggi la sintesi più lucida dell’esistente e del realizzabile, in difetto di quel globale ripensamento a cui Parlamento e Governo dovrebbero da tempo pervenire.
In sostanza, la Sezione muove dalla previa ricostruzione dei caratteri tipici del governo societario che sono necessari nel diritto italiano a dar vita al controllo analogo, primo dei requisiti identificati nel caso Teckal e specificati nelle pronunce successive (par.5.2 del parere), per tentare una sistematizzazione che consenta di separare la vicenda dell’affidamento diretto in house dal fenomeno delle società miste pubblico-privato e di trovare così uno spazio, conforme al diritto europeo ed a quello interno, per le seconde, senza che il sospetto con cui il primo viene ormai riguardato le travolga. D’altronde i due modelli organizzatori non possono che essere rigorosamente distinti, in quanto la sommatoria delle decisioni europee porta alla ineludibile conseguenza che qualsiasi presenza privata nel capitale esclude di principio il controllo analogo, che richiede come presupposto, necessario benché non sufficiente, la proprietà totalitaria per escludere la contaminazione dell’interesse pubblico.
Lo sforzo del Consiglio di Stato consiste a questo punto nel rimarcare gli elementi distintivi delle due fattispecie: sul piano della ricostruzione giurisprudenziale, si evidenzia pertanto (par. 6) che la Corte di giustizia non ha mai fatto riferimento a casi in cui il socio privato fosse stato prescelto con gara; sul piano sistematico, per converso, la Sezione rimarca come il principio dell’evidenza pubblica per la scelta del socio derivi non solo dall’acquis europeo ma prima ancora dai caratteri fondativi del sistema interno, benché quest’ultimo abbia subito una torsione assiologica, che ha lo fatto evolvere dalla funzionalizzazione all’interesse pubblico della dogmatica classica a quella servente ai principi di concorrenza e libera circolazione. In questa nuova chiave vanno letti, a giudizio del relatore (par.7) sia l’art.113, comma 5,lett.b, del t.u.el. sia l’art.1, comma 2, del codice dei contratti, sia infine l’art., comma 1, lett. c, e comma 3 dello stesso d.lgs., con la riserva di essere questa ultima disposizione confermata dal Governo nonostante i rilievi del Consiglio di Stato nel parere della Sezione atti normativi del 6 febbraio 2006. La formula della società mista troverebbe così una sorta di rinnovata legittimazione sia nell’assenza di precedenti europei contrari sia nella eterogenesi dei fini della disciplina interna precedente, recepita nella normativa recente, come da ultimo il d.l. 223 del 2006, all’art.13, e persino da quella in itinere, come il d.d.l.AS 772, all’art.2 (par.7.4).
Se i presupposti storico-ricostruttivi e logico-sistematici delle due figure organizzatorie sono diversi, è allora possibile individuare i circoscritti limiti di utilizzabilità di ciascuna di esse. Per la società mista il terreno di impiego sarà costituito quanto meno (par.8) dall’ipotesi del socio di lavoro o industriale, in cui la gara per la scelta del partner non finanziario comporta l’affidamento delle competenze operative. Questo spazio applicativo viene ricavato tra le due soluzioni estreme, entrambe scartate, dell’automatica equipollenza dell’evidenza pubblica per la selezione del socio all’affidamento diretto (par.8.1) e dell’assoluta inconciliabilità con i principi comunitari dell’assegnazione di servizi a società mista (par.8.2): la soluzione intermedia consente anche di recuperare l’approccio restrittivo del precedente 589/2006 del C.G.A. Sicilia, che sembrava richiedere in ogni caso doppia gara, per la scelta del socio e per l’affidamento del servizio alla società mista (par. 8.2.1). Il giusto mezzo viene infatti ravvisato nel rischio che questa soluzione renda praticamente inconfigurabile il ricorso al capitale misto e spinga nella direzione dell’impiego quasi obbligato di sole società totalitarie pubbliche, esito che pare incompatibile con la discrezionalità lasciata agli ordinamenti nazionali sul mix privato-pubblico dal Trattato oltre che dalla giurisprudenza, e da ultimo con il favore con le istituzioni comunitarie paiono guardare al partenariato pubblico-privato ed alle sue manifestazioni (par.8.2.3); viene inoltre evitato, su questo terreno mediano, il rischio che vengano violati altri e diversi principi al contempo interni ed europei, come ad esempio quello che impone di evitare quando possibile il conflitto di interessi che si avrebbe se l’ente pubblico da un lato fungesse da stazione appaltante del servizio e dall’altro si presentasse alla procedura come azionista di un soggetto misto che partecipa alla competizione (par.8.2.2). Entro i limiti della fungibilità ai fini della scelta del gestore della gara per la scelta del socio, della temporaneità del modello misto e della adeguata motivazione (par.8.3), sembra alla Sezione di poter configurare il margine di operatività della società mista nel contesto di una interpretazione del dato normativo interno conforme ai principi comunitari (par.8.4) e al tempo stesso capace di riassorbire i precedenti delle Sezioni giurisdizionali in materia.
Quanto all’in house providing, il parere (par. 5.2) coglie l’occasione per riassumerne i confini di eccezionale applicabilità, anche qui formulando un elenco di requisiti estrapolati dalla combinazione di pronunce europee e decisioni del giudice amministrativo interno: spettanza all’ente pubblico di poteri superiori di quelli ordinariamente spettanti all’azionista di maggioranza alla stregua del diritto societario, ad inclusione di un vaglio preventivo sulle decisioni più importanti della controllata; insussistenza di un eccesso di vocazione commerciale alla stregua di indici concreti; incedibilità delle quote a privati; limitato ricorso alle catene societarie attraverso la formula della holding.
Lo sforzo del Consiglio di Stato è encomiabile. Da un lato, esso cerca di mettere ordine nelle casistiche delle due vicende cruciali del regime dei servizi pubblici locali nel decennio iniziato con le due leggi Bassanini, e ne definisce gli ambiti anche reciprocamente. Dall’altro, prende atto espressamente di una eterogenesi dei fini dell’istituto della società mista e dell’intero asse valoriale del diritto amministrativo, o almeno di questo suo significativo comparto: quella che ha sostituito ad interessi pubblici sostanziali quello assorbente alla tutela del mercato, costituzionalizzato pur in maniera obliqua dalla revisione del Titolo V e rimarcato nella nota giurisprudenza costituzionale. Insieme, e non trascurabilmente, l’interpretazione conforme al diritto europeo del dato normativo interno offre il vantaggio di rendere compatibili tra loro le linee di tendenza altrimenti inconciliabili della Corte di giustizia da una parte e delle altre istituzioni europee dall’altra: la prima, propensa ad una rigidità di approccio verso le società miste da far pensare che si debba prediligere il ritorno a schemi organizzativi integralmente pubblicistici; le seconde orientate ad incoraggiare ogni varietà di partenariati ed ogni tipo di sperimentazione collaborativa tra settore pubblico e privato.
La sintesi operata dal Consiglio di Stato è armoniosa e in ceto modo tranquillizzante per il legislatore, che tarda a trovare una strada coerente e, per così dire, autoctona, in un settore economico tanto delicato. Naturalmente si tratta come sempre di un punto fermo del tutto temporaneo, destinato a venire forse superato dagli eventi. Ma intanto si rende almeno disponibile una ragionevole base di partenza su scala nazionale. Nel frattempo, le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007 (par 19.i) sembrano potere inaugurare una nuova fase, nella quale i Trattati potrebbero venire riformati proprio nel senso del riconoscimento agli Stati di una discrezionalità più ampia e protetta in questa materia.

 

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* in corso di pubblicazione sulla Rivista “Diritto Pubblico Comparato ed Europeo”

 

(pubblicato il 27.8.2007)

 

 
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