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n. 7-2006 - © copyright |
CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE V - Sentenza 13 luglio 2006 n. 4440
Pres. Elefante, Est. Branca;
SABA ITALIA s.p.a. (Avv.ti U. Ferrari, G.Ciampoli) c/ COMUNE
DI BOLZANO(Avv.ti E.Prosperi, M. Cappello); SEAB s.p.a.
(Avv.ti M.Schullian, M.Calò)
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1. Servizi pubblici – Affidamento a società a capitale locale – Necessità della procedura ad evidenza pubblica – Sussiste – Motivi – Compatibilità con il diritto comunitario.
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2. Servizi pubblici – Affidamento a
società a capitale locale
– Incompatibilità con il diritto comunitario
della normativa interna permissiva – Principi.
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3. Servizi pubblici – Affidamenti “in house” – Requisito del controllo analogo – Non sussiste – Motivi – Previsione statutaria della possibilità di alienazione del capitale.
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4. Servizi pubblici – Affidamenti “in house” – Requisito del controllo analogo – Non sussiste – Motivi – Insufficienza degli strumenti del diritto societario classico.
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5. Giurisdizione e competenza – Deroga alla perpetuatio jurisdictionis ex art. 5 c.p.c. – Motivi – Dichiarazione di incostituzionalità della legge determinativa della giurisdizione.
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6. Giurisdizione e competenza – Servizi pubblici – Giurisdizione esclusiva del GA - Sussiste – Solo in caso di esercizio di poteri autoritativi o pubbliche funzioni da parte della PA – Esclusione in caso di diritti soggettivi perfetti.
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7. Giurisdizione e competenza – Contratti della PA – Ricorso avverso gli atti di recesso dalla convenzione – Funzione di tutela del diritto soggettivo perfetto all’esecuzione del contratto – Oggetto del giudizio – Rapporto convenzionale – Giurisdizione del G.O.
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8. Risarcimento del danno – Valutazione dell’elemento psicologico – Necessità – Ragioni – Applicabilità dell’ art. 2043 c.c. alla responsabilità conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi – Verifica della violazione delle regole di imparzialità della funzione.
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9. Responsabilità della PA – Provvedimento illegittimo lesivo della sfera privata – Sussiste – Casi – Gravità della violazione di legge – Contesto di fatto e di diritto tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento illegittimo – Esclusione della responsabilità in caso di errore scusabile
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1. L’affidamento di servizi pubblici ad una S.p.A., a capitale interamente comunale, senza espletamento di procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, da parte di un’amministrazione aggiudicatrice secondo le disposizioni di cui alla direttiva 90/52/CEE, recepita dallo Stato italiano con il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, si pone in contrasto con le norme di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato dell’Unione Europea, che stabiliscono il divieto di discriminazione, la libertà nella prestazione dei servizi pubblici e la libera concorrenza.
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2. Le norme dell’ordinamento del Trentino - Alto Adige (art. 44 della legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1, nel testo sostituito dall’art. 10, comma 1, della legge regionale 23 ottobre 1998, n.10), che consentono l’affidamento diretto del servizio pubblico ad una s.p.a o una s.r.l., alla condizione che vi sia “influenza dominante pubblica” (art. 44 comma 6, lett. b) - prevista quando i comuni “detengono un numero di azioni tali da consentire di disporre della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria, ovvero quando lo statuto della società preveda il diritto di nominare più della metà dei membri del C.d.A., sempre che il comune detenga almeno il venti per cento del capitale” (comma 10) - non sono compatibili con i principi del trattato UE con particolare riguardo al divieto di discriminazione, alla libera prestazione dei servizi pubblici ed alla libera concorrenza.
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3. Il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, non è sufficiente ad assicurare tale situazione se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi.
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4. Se il consiglio di amministrazione dispone della facoltà di adottare tutti gli atti necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale, i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire all’ente di esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
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5. Il principio enunciato dall’art. 5 c.p.c a norma del quale la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, in quanto l’efficacia retroattiva che assiste tale tipo di pronunce della Corte Costituzionale preclude che la norma dichiarata illegittima possa essere assunta a canone di valutazione di situazioni o di rapporti anteriori alla pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità, ma non ancora esauriti al momento della pubblicazione della sentenza.
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6. La sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004 con la declaratoria di incostituzionalità degli articoli 33, commi 1 e 2, e 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall’art. 7 lettere a) e b) della legge 21 luglio 2000, n. 205 incide sulla giurisdizione del giudice amministrativo nel senso che “la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del GA se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo”, così assumendo quale criterio di verifica della giurisdizione amministrativa esclusiva in questa materia, il fatto che nella controversia la PA abbia veste di autorità ovvero che il giudizio verta sull’esercizio da parte dell’amministrazione del potere di cui è attributaria e, dunque, sullo svolgimento della pubblica funzione. Pertanto, la giurisdizione esclusiva del GA in materia di servizi pubblici non comprende più le controversie, riguardanti diritti soggettivi perfetti, nelle quali la PA non sia coinvolta come autorità, ancorché scaturenti da rapporti di tipo concessorio.
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7. Il ricorso volto a dimostrare con l’illegittimità degli atti di recesso da una convenzione da parte della PA, la permanente validità del contratto di concessione di servizio pubblico, è in realtà diretto a tutelare il diritto soggettivo perfetto all’esecuzione del contratto ed alle controprestazioni conseguenti, concretandosi l’oggetto del giudizio non già nell’esercizio di una pubblica funzione da parte dell’amministrazione, bensì nel rapporto convenzionale intercorrente tra le parti e le relative e reciproche posizioni di diritto soggettivo e di obbligo. Siffatta materia esula dalla giurisdizione del GA, appartenendo alla cognizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
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8. Una volta intervenuto l’annullamento del provvedimento lesivo, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno, deve valutarsi la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa. Infatti, la responsabilità patrimoniale della PA conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dall’art. 2043 e seguenti del codice civile in base al quale l’imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell’illegittimità del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione (e l’esecuzione dell’atto impugnato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi.
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9. In sede di accertamento della responsabilità della PA per danno a privati, il giudice può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e denegarla quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per complessità della situazione di fatto.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
Sezione Quinta
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 6265 del 2003, proposto dalla
SABA Italia s.p.a., rappresentata e difesa dagli
avv.ti Ugo Ferrari e Giustino Ciampoli, elettivamente domiciliata
presso il primo in Roma, via P.A. Micheli 78
Contro
il Comune di Bolzano, rappresentato e difeso dagli
avv.ti Ettore Prosperi e Marco Cappello ed elettivamente
domiciliato presso il primo in Roma, Via Panisperna n. 104,
e
la SEAB s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti
Manfred Schullian e Maurizio Calò, elettivamente
domiciliata presso il secondo in Roma, Via Antonio Gramsci,
36;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa
per il Trentino – Alto Adige, Sezione Autonoma per
la Provincia di Bolzano, 20 maggio 2003 n. 211, resa tra
le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di
Bolzano e della SEAB s.p.a.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 28 febbraio 2006 il consigliere
Marzio Branca, e uditi gli avvocati Giustino Ciampoli,Ettore
Prosperi e Maurizio Calò.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe è stato respinto
il ricorso proposto dalla SABA Italia s.p.a. per l’annullamento
di tutti i provvedimenti con i quali il Comune di Bolzano
ha esercitato il recesso dalla convenzione stipulata con
la SABA Italia s.p.a. per la gestione dei parcheggi a pagamento,
e, con deliberazione del Consiglio comunale 17 dicembre
2002, n. 124, ha affidato il medesimo servizio alla SEAB
s.p.a., con decorrenza 1 gennaio 2003. Con la stessa sentenza
è stato respinta anche la domanda relativa al risarcimento
del danno.
In particolare, la ricorrente aveva dedotto che l’affidamento
di servizi pubblici ad una società per azioni, a
capitale interamente comunale, come la SEAB, senza espletamento
di procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente,
si poneva in contrasto le norme di cui agli artt. 12, 45,
46, 49 e 86 del Trattato dell’Unione Europea, che
tutelano principio di non discriminazione, la libertà
nella prestazione dei servizi pubblici e il principio della
libera concorrenza.
La Sezione autonoma di Bolzano ha ritenuto che tale vizio
non si configurasse, allegando la giurisprudenza della Corte
di Giustizia della Comunità che ha escluso l’applicazione
delle regole della libera concorrenza per i casi di “in
house providing”, riconoscibili dal fatto che l’Amministrazione
esercita sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi (sentenza 18 novembre 1999
in causa 197/98 Teckal s.r.l. c. Comune di Aviano; 9 settembre
1999 in causa 108/98 Risan c. Comune di Ischia). Il possesso
del 100% del capitale sociale garantirebbe tale forma di
controllo.
Avverso la decisione la SABA Italia s.p.a. ha proposto appello,
chiedendone la riforma.
Il Comune di Bolzano e la s.p.a. SEAB si sono costituite
in giudizio per resistere al gravame
Fissata la trattazione della causa alla pubblica udienza
del 27 gennaio 2004 la Sezione, con ordinanza 22 aprile
2004 n. 2316, ha sospeso il giudizio ed ha rimesso agli
atti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea,
ai fini della pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’art.
234 del Trattato istitutivo, sul seguente quesito: se sia
compatibile col diritto comunitario, in particolare con
la libertà della prestazione di servizi, il divieto
di discriminazione e l’obbligo di parità di
trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di cui agli
artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l’affidamento
diretto, ossia in deroga ai sistemi di scelta del contraente
di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di parcheggi
pubblici a pagamento, ad una società per azioni,
a capitale interamente pubblico, ai sensi dell’art.
44, comma 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto
Adige 4.1.1993, n. 1, modificato dall’art. 10 della
legge regionale del 23.1.1998, n. 10.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con
nota del 18 ottobre 2005, ha inviato copia della sentenza
della medesima Corte in causa C-458/03 (Parking Brixen GmnH),
chiedendo di precisare se, alla luce di tale sentenza, la
Sezione intendesse mantenere in essere il suo quesito pregiudiziale.
Ai fini di tale valutazione è stata fissata la udienza
pubblica del 28 febbraio 2006 e, in pari data, è
stato depositato il dispositivo della presente sentenza.
DIRITTO
1. Ha rilevo preliminare la doglianza con la quale la
ricorrente in primo grado, e odierna appellante, ha lamentato
che l’affidamento di servizi pubblici ad una società
per azioni, a capitale interamente comunale, come l’attuale
controinteressata, senza espletamento di procedure ad evidenza
pubblica per la scelta del contraente, da parte di una amministrazione
aggiudicatrice, secondo le disposizioni di cui alla Direttiva
90/52/CEE, recepita dallo Stato italiano con il d.lgs. 17
marzo 1995, n. 157, si porrebbe in contrasto le norme di
cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato dell’Unione
Europea, che stabiliscono il divieto di discriminazione,
la libertà nella prestazione dei servizi pubblici
e la libera concorrenza.
L’appellante non ignora che le norme dell’ordinamento
della Regione Trentino – Alto Adige (art. 44 della
legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1, nel testo sostituito
dall’art. 10, comma 1, della legge regionale 23 ottobre
1998, n.10) consentono l’affidamento diretto del servizio
pubblico ad una società per azioni, o a responsabilità
limitata, alla condizione che vi sia “influenza dominante
pubblica” (art. 44 cit. comma 6, lett. b), e ciò
si verifica quando i comuni “detengono un numero di
azioni tali da consentire di disporre della maggioranza
dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria, ovvero
quando lo statuto della società preveda il diritto
di nominare più della metà dei membri del
consiglio di amministrazione, sempre che il comune detenga
almeno il venti per cento del capitale” (comma 10).
Si esprime, tuttavia, il dubbio che tali disposizioni non
siano compatibili con i principi del Trattato UE con particolare
riguardo al divieto di discriminazione, alla libera prestazione
dei servizi pubblici ed alla libera concorrenza.
2. La Sezione ha proposto in tal senso quesito pregiudiziale
alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, e
l’autorevole Organo ha fornito una risposta indiretta,
ossia ha segnalato che lo stesso quesito era stato già
esaminato e risolto con la recentissima decisione 13 ottobre
2005, nella causa C-458/03 (Parking Brixen GmbH), in esito
ad analogo interpello avanzato dal Tribunale di Giustizia
Amministrativa per il Trentino-Alto Adige, Sezione Autonoma
di Bolzano, con ordinanza 23 luglio – 27 settembre
2003 n. 25, ed ha chiesto di conoscere se questo giudice
intendesse insistere nel quesito proposto.
Il Collegio ritiene che l’ampia motivazione posta
a fondamento della decisione comunitaria, mentre conferma
la fondatezza delle ragioni che hanno indotto a proporre
il quesito, consenta ora di affrontare il problema offerto
dalla presente vertenza, e, pertanto, non intende insistere
nella questione incidentale.
3. La Corte infatti, con la decisione suddetta, ha fornito
l’interpretazione, che deve considerarsi autentica,
del noto passaggio della sentenza 18 novembre 1999 in causa
C-107/98 (Teckal), nel quale, dopo aver affermato l’obbligatorietà
della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente
di una fornitura all’ente pubblico, ha enunciato:
”Può avvenire diversamente solo nel caso
in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti su tale
soggetto un controllo analogo a quello esercitato a quello
esercitato sui propri servizi e quest’ultimo realizzi
la parte più importante della propria attività,
con l’ente o con gli enti locali detentori.”.
Le espressioni usate non chiarivano cosa dovesse intendersi
per “controllo analogo”, e tuttavia si offrivano
a tal fine alcun indicazioni significative. Si ammetteva
che l’affidatario del servizio era, non un ufficio,
ma un soggetto giuridico diverso dall’ente; e che
era consentito a questo soggetto di svolgere una parte,
anche se minoritaria, della propria attività a favore
di soggetti diversi dall’ente pubblico, ipotesi inconciliabile
con la figura dell’ufficio.
A ciò si aggiunga che il riferimento a “gli
enti locali detentori”, con cui si chiude l’ultimo
periodo, implicava il coinvolgimento di un soggetto il cui
capitale era posseduto dall’ente, o, tratto ancora
più significativo, da più enti pubblici diversi.
L’impiego, in fine, del concetto di “controllo”
autorizzava a ritenere che la Corte all’epoca si riferisse
alle società di capitali, soggetti tipici del diritto
commerciale comune, il cui “controllo” è
normalmente assicurato dal possesso della maggioranza del
capitale.
In epoca più recente (sentenza 11 gennaio 2005, in
causa C-26/03) la Corte è tornata sul problema del
“controllo analogo”, per affermare (parag. 49):
“…la partecipazione, anche minoritaria,
di una impresa privata al capitale di una società
alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice
in questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione
possa esercitare sulla detta società un controllo
analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.”.
Se ne poteva dedurre, con argomentazione a contrariis,
che il possesso dell’intero capitale da parte della
mano pubblica, consentisse di ravvisare un assetto idoneo
all’esercizio del controllo analogo (in tal senso,
Sez. V, 22 dicembre 2005 n. 7345). Ciò anche perché
la Corte aveva posto a fondamento della anzidetta proposizione,
non l’insufficienza del possesso del solo pacchetto
di maggioranza da parte dell’ente pubblico ai fini
dell’effettivo controllo sulla società, bensì:
a) la disomogeneità tra gli interessi perseguiti
dal capitale pubblico e quelli tipici del privato investitore;
b) la lesione dei principi di libera concorrenza e di parità
di trattamento tra le imprese, in favore di quella chiamata,
con capitale minoritario, a far parte della società.
4. Con la pronuncia Parking Brixen, citata sopra, la Corte
comunitaria ha condotto un ulteriore approfondimento sul
tema, pervenendo ad una più puntuale individuazione
dei caratteri del controllo che l’ente deve poter
esercitare sulla società affidataria del servizio
pubblico (parag.67-69).
In primo luogo, il possesso dell’intero capitale sociale
da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo
a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui
servizi interni, perde tale qualità se lo statuto
della società consente che una quota di esso, anche
minoritaria, possa essere alienata a terzi.
In secondo luogo, è stata presa in considerazione
l’ampiezza dei poteri propri del consiglio d’amministrazione
secondo la disciplina risultante dallo statuto. A tale riguardo
si è affermato che, se il consiglio d’amministrazione
“dispone della facoltà di adottare tutti gli
atti ritenuti necessari per il conseguimento dell’oggetto
sociale”, i poteri attribuiti alla maggioranza dei
soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire
all’ente di esercitare un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi.
5.Tanto premesso, è agevole osservare come la Società
cui il Comune di Bolzano ha affidato la gestione dei parcheggi
pubblici presenti un assetto statutario sostanzialmente
corrispondente a quello preso in esame dalla sentenza in
riferimento.
Quanto al capitale sociale è prescritto (art. 8)
che il Comune conservi soltanto il 51% del capitale sociale,
prevedendosi la cessione della rimanente quota a soggetti
pubblici e privati, ed anche i poteri del consiglio di amministrazione
non risultano in alcun modo limitati o correlati a qualche
forma di controllo da parte dell’Ente, salvi i poteri
spettanti alla maggioranza dei soci secondo il diritto comune.
Di qui l’impossibilità di derogare alla regola
dello svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica per
la scelta del soggetto concessionario o affidatario dell’appalto
del servizio pubblico in ossequio ai principi di diritto
comunitario invocati dall’appellante.
E’ noto, infatti, che, secondo l’insegnamento
consolidato della Corte costituzionale (sentenze n. 113
del 1985 e 389 del 1989; ordinanze n. 274 del 1986 e 132
del 1990) le pronunce della Corte di giustizia delle comunità
europee hanno efficacia diretta nell’ordinamento interno
degli stati membri, al pari dei regolamenti e delle direttive
e delle decisioni della Commissione, vincolando il giudice
nazionale alla disapplicazione delle norme interne con esse
configgenti.
In conclusione l’appello deve essere accolto con riguardo
alla domanda di annullamento della deliberazione del Consiglio
comunale di Bolzano 17 dicembre 2002 n. 124, concernente
l’affidamento della gestione dei parcheggi comunali
alla società SEAB s.p.a..
6. L’appellante, peraltro, aveva anche impugnato i
provvedimenti del 2 giugno 2002 e 5 dicembre 2002 con i
quali il Comune ha dato alla appellante formale disdetta
del rapporto in scadenza il 31 dicembre 2002.
Il TAR non ha accolto per varie ragioni le relative doglianze,
e la SABA ha riproposto in appello le stesse censure.
La controversia, in effetti, avrebbe potuto rientrare nell'ambito
della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
a norma dell'art. 33, comma 1 e 2, lett. e), del D.Lgs.
31 marzo 1998 n. 80, nel testo novellato con l'art. 7 della
L. 21 luglio 2000 n. 205, vertendo in materia di pubblico
servizio. A rideterminare i confini di tale giurisdizione
è sopravvenuta, tuttavia, la sentenza n. 204 del
6 luglio 2004 della Corte Costituzionale, con la declaratoria
di incostituzionalità, in parte qua, degli artt.
33, commi 1 e 2, e 34, comma 1, del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall'art. 7 lettere
a) e b) della legge 21 luglio 2000, n. 205, di cui è
d'uopo tener conto. Il principio enunciato dall'art. 5 Cod.
prov. civ., infatti, a norma del quale la giurisdizione
si determina con riguardo alla legge vigente al momento
della proposizione della domanda, non opera quando la norma
che detta i criteri determinativi della giurisdizione è
successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima,
in quanto l'efficacia retroattiva che assiste tale tipo
di pronunce della Corte costituzionale preclude che la norma
dichiarata illegittima possa essere assunta a canone di
valutazione di situazioni o di rapporti anteriori alla pubblicazione
della pronuncia di incostituzionalità, ma non ancora
esauriti al momento della pubblicazione della sentenza.
Per quanto qui interessa, la Corte ha statuito che "la materia
dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica
amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo",
così assumendo, quale criterio di verifica della
giurisdizione amministrativa esclusiva in questa materia,
il fatto che nella controversia la pubblica amministrazione
abbia veste di autorità ovvero, in altre parole,
che il giudizio verta sull'esercizio da parte dell'amministrazione
del potere di cui è attributaria e, dunque, sullo
svolgimento della pubblica funzione. Il precedente assetto
del riparto giurisdizionale in tema di espletamento di pubblici
servizi ne risulta in conseguenza mutato, di modo che attualmente
la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
materia non comprende più le controversie, riguardanti
diritti soggettivi perfetti, nelle quali la pubblica amministrazione
non sia coinvolta come autorità, ancorché
scaturenti da rapporti di tipo concessorio. 7. Nel presente
giudizio l'azione esperita dalla società ricorrente
è, in realtà, volta a dimostrare con l’illegittimità
degli atti recesso dalla convenzione, e, in conseguenza,
la permanente validità del contratto; essa è,
quindi, diretta a tutelare il diritto soggettivo perfetto
all'esecuzione del contratto ed alle controprestazioni conseguenti.
Il reale oggetto del giudizio, dunque, non è l'esercizio
di una pubblica funzione da parte dell'Amministrazione,
ma soltanto il rapporto convenzionale intercorrente tra
le parti e le relative e reciproche posizioni di diritto
soggettivo e di obbligo. La controversia, pertanto, esula
dalla giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo
alla cognizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria.
8. L’appellante aveva proposto anche domanda di risarcimento
del danno, chiedendo la condanna dell’Amministrazione
alla differenza tra i ricavi che avrebbe conseguito nel
periodo successivo alla chiusura del rapporto e le spese
che avrebbe sostenuto per la gestione del servizio.
La domanda non può essere accolta.
Deve, infatti, rammentarsi che, secondo il consolidato orientamento
del giudice amministrativo, una volta intervenuto l'annullamento
del provvedimento lesivo, ai fini dell'ammissibilità
dell'azione di risarcimento del danno deve valutasi la sussistenza
dell'elemento psicologico della colpa: è stato, infatti,
più volte precisato che la responsabilità
patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente
all'adozione di provvedimenti illegittimi deve essere inserita
nel sistema delineato dagli articoli 2043 e seguenti del
codice civile in base al quale l'imputazione non può
avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell'illegittimità
del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione
(e l'esecuzione dell'atto impugnato) sia avvenuta in violazione
delle regole di imparzialità alle quali l'esercizio
della funzione deve costantemente ispirarsi (C.d.S., sez.
IV, 5 ottobre 2005 n. 5367; 30 settembre 2005 n. 5204; 12
gennaio 2005, n. 45). È stato, poi, evidenziato,
anche con riferimento alla giurisprudenza comunitaria (Corte
giustizia C.E. 5 marzo 1996, cause riunite nn. 46 e 48 del
1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994), che in sede di
accertamento della responsabilità della Pubblica
amministrazione per danno a privati il giudice (amministrativo)
può affermare la responsabilità quando la
violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze
di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici
tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo
nell'assunzione del provvedimento viziato e negandola quando
l'indagine presupposta conduce al riconoscimento dell'errore
scusabile (per la sussistenza di contrasti giudiziari, per
l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la
complessità della situazione di fatto) (C.d.S., sez.
IV, 10 agosto 2004, n. 5500).
Nell’attuale fattispecie, in disparte la circostanza
che l’atto di appello è del tutto privo di
una qualche argomentazione sul punto, i ricordati presupposti
non si rinvengono.
Non va dimenticato, a tale riguardo, che le norme dell’ordinamento
della Regione Trentino – Alto Adige (art. 44 della
legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1, nel testo sostituito
dall’art. 10, comma 1, della legge regionale 23 ottobre
1998, n.10;) consentivano l’affidamento diretto del
servizio pubblico ad una società per azioni, o a
responsabilità limitata, alla condizione che vi sia
“influenza dominante pubblica” (art. 44 cit.
comma 6, lett. b), e ciò si verifica quando i comuni
“detengono un numero di azioni tali da consentire
di disporre della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea
ordinaria, ovvero quando lo statuto della società
preveda il diritto di nominare più della metà
dei membri del consiglio di amministrazione, sempre che
il comune detenga almeno il venti per cento del capitale”
(comma 10).
L’atto impugnato, dunque, alla stregua della specifica
normativa provinciale, e salve le conseguenze, esaminate
sopra, dell’efficacia diretta diritto comunitario,
non poteva ritenersi illegittimo.
10. Inoltre. all’epoca dell’adozione della deliberazione
qui annullata, nella materia dell’affidamento di servizi
pubblici in house trovavano applicazione i principi
di cui alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità
Europee 18 novembre 1999 in causa C-107/98 (Teckal), di
cui si è già detto. E si è messo in
evidenza (n. 3) come le espressioni usate in quell’occasione
dal giudice comunitario autorizzassero a ritenere la piena
legittimità dell’appalto a un soggetto distinto
dall’ente pubblico, del quale quest’ultimo possedesse
in misura maggioritaria il capitale sociale.
Ne costituisce prova indiretta l’art. 14 del d.l.
30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24 novembre
2003 n. 326 è stato nuovamente modificato l’art.
113 del d.lgs. n. 267 del 2000 ( testo unico delle leggi
sugli enti locali) concernente la disciplina dei servizi
pubblici, già modificato con l’art. 35 della
legge 20 dicembre 2001 n. 448. Il comma 5 è stato
interamente sostituito con una disposizione che, alla lettera
c), riproducendo alla lettera le espressioni della sentenza
Teckal, ammette il conferimento del servizio “a società
a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente
o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino
sulla società un controllo analogo a quello esercitato
sui propri servizi, e che la società realizzi la
parte più importante della propria attività
con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.”.
Nessun addebito di negligenza o imperizia, quale fonte di
colpa in funzione risarcitoria, può dunque essere
mosso all’Amministrazione per aver adottato l’atto
di affidamento del servizio alla SEAB.
11. Sussistono valide ragioni per disporre la compensazione
tra le parti delle spese di lite
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta, accoglie l’appello, e per l’effetto,
in riforma della sentenza appellata, annulla i provvedimenti
impugnati;
compensa le spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità
Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
28 febbraio 2006 con l'intervento dei magistrati:
Agostino Elefante Presidente
Klaus Dubis Consigliere
Raffaele Carboni Consigliere
Marzio Branca Consigliere est.
Aniello Cerreto Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13 luglio 2006
GIORGIO LECCISI
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Ancora dubbi sul
concetto di “controllo analogo” in materia di in house.
Nota a sentenza del C.d.S., del 13 luglio 2006, n.
4440.
Ancora
dubbi sul concetto di “controllo analogo”
in materia di in house.
Nota a sentenza del C.d.S., del 13 luglio
2006, n. 4440.
Entra definitivamente a far parte dell’acquis
interno di derivazione comunitaria la regola
per cui le società a capitale pubblico locale
non possono vedersi affidare direttamente
appalti e concessioni da parte degli enti
pubblici di riferimento, stante l’insufficienza
del controllo societario di diritto commerciale
per assicurare quel “controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi”, presupposto
fondamentale per l’operatività delle prescrizioni
della Corte di Lussemburgo ai fini dell’applicazione
dell’istituto (o meglio dell’eccezione)
dell’”in house providing”. In passato,
i giudici comunitari avevano lasciato intendere
che il possesso della totalità del capitale
da parte dell’ente pubblico di riferimento
consentisse la possibilità di configurare
un assetto in cui l’ente proprietario della
s.p.a. locale potesse detenere quel controllo
analogo richiesto dalla sentenza Teckal[1]
(C- 107/98, 18 novembre 1999). Allorché
in Stadt Halle (C- 26/03, 11 gennaio
2005) la Corte aveva affermato che “la partecipazione,
anche minoritaria, di un’impresa privata
al capitale di una società alla quale partecipi
anche l’amministrazione aggiudicatrice in
questione esclude in ogni caso che tale
amministrazione possa esercitare sulla detta
società un controllo analogo a quello che
essa esercita sui propri servizi”, ancora
si poteva ipotizzare un’interpretazione
in base alla quale l’argomentazione a
contrario potesse consentire la sussistenza
del controllo nel caso in cui la provenienza
soggettiva del capitale fosse interamente
pubblica da un lato, e tutta in mano ad
un unico proprietario dall’altro. In tal
senso si pronunciava la quinta sezione del
Consiglio di Stato nella sentenza n. 7345
del 22 dicembre 2005[2].Con
la sentenza del 13 ottobre 2005 (C- 458/03,
Parking Brixen) la Corte di Giustizia
ha approfondito però l’esame delle caratteristiche
del “controllo analogo” prescrivendo una
valutazione di tutte le disposizioni normative
e delle circostanze pertinenti. “Da quest’esame
deve risultare che l’ente concessionario
in questione è soggetto ad un controllo
che consente all’autorità pubblica concedente
di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi
di una possibilità di influenza determinante
sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni importanti”. Passando dall’enunciazione
della regola alla sua applicazione al caso
oggetto della controversia, la Corte ha
elencato alcuni indizi che escluderebbero
la presenza dei connotati caratteristici
dell’ipotesi del controllo analogo.La trasformazione
da azienda speciale a società per azioni
introduce, per i giudici comunitari, una
“vocazione commerciale che rende precario
il controllo del comune”.
Gli indici presuntivi della precarietà del
controllo si riassumerebbero:
- nella natura di società per azioni;
- nell’ampliamento dell’oggetto sociale,
giacché la società opera in nuovi settori
rispetto a quelli tradizionali;
- nella apertura obbligatoria della società
ad altri capitali;
- nella espansione territoriale delle attività
a tutto il territorio e all’estero;
- nei poteri conferiti al C.d.A., consistenti
nella facoltà di adottare tutti gli atti
necessari per il conseguimento dell’oggetto
sociale.
Il controllo esercitato dall’ente pubblico
si ridurrebbe a quei provvedimenti consentiti
ai sensi del diritto societario alla maggioranza
dei soci, riducendo il rapporto di dipendenza
che legava l’ente all’azienda speciale preesistente
alla trasformazione.Da queste circostanze
la Corte ha escluso che l’autorità pubblica
eserciti sul concessionario un controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi,
per cui l’attribuzione della concessione
a siffatto ente non può essere considerata
un’operazione interna all’autorità, alla
quale le norme comunitarie sono inapplicabili.
A questi principi si è conformato il Consiglio
di Stato con la sentenza n. 4440 del 13
luglio 2006[3] con la quale ha annullato
il provvedimento del Comune di Bolzano che
affidava direttamente la gestione dei parcheggi
pubblici ad una società a capitale comunale.
L’assetto statutario non consentiva di rispettare
il dettato comunitario, poiché era prescritto
nello statuto che il Comune dovesse conservare
solo il 51% del capitale sociale (prevedendo
la cessione del restante a terzi soggetti
pubblici e privati) e che il C.d.A. non
fosse in alcun modo limitato nel perseguimento
dell’oggetto sociale se non dal rispetto
dei diritti spettanti alla maggioranza dei
soci secondo il diritto societario classico.
Da ciò discende l’inapplicabilità dello
strumento dell’in house per giustificare
l’elusione delle procedure ad evidenza pubblica
per la scelta del contraente, nel rispetto
dei principi che stabliscono il divieto
di discriminazione, la libertà di prestazione
dei servizi (anche pubblici) e la libera
concorrenza.La Corte sembra far coincidere
l’ipotesi del “controllo analogo” con la
possibilità per l’autorità pubblica di influenzare
le decisioni del soggetto concessionario
in modo determinante sia sugli obiettivi
strategici sia sulle decisioni importanti.
(punto 65 sentenza Parking Brixen) Ai fini
dell’esclusione in concreto di siffatto
controllo, la Corte adduce motivi che riguardano,
però, la “vocazione commerciale” della società
comunale, quali la natura di s.p.a., l’ampliamento
dell’oggetto sociale, l’apertura al capitale
privato in misura minoritaria, l’espansione
territoriale, i poteri conferiti al C.d.A..
Occorre a questo punto effettuare alcune
considerazioni.
In primo luogo, queste caratteristiche non
riguardono in nessun modo l’esistenza, la
natura e la qualità del controllo del soggetto
proprietario sull’operato della società.
Esse si riferiscono al contrario alla scelta
del modello organizzativo dell’attività
amministrativa, alla natura dei compiti
che l’amministrazione si prefigge di voler
conseguire, al meccanismo di finanziamento
dell’attività, alla determinazione dell’ambito
territoriale nel quale quest’attività deve
compiersi, agli strumenti da conferire ai
soggetti chiamati a dirigere queste attività,
etc. Tutte queste caratteristiche investono
il discorso dell’organizzazione amministrativa
in senso ampio e non concernono la questione
dell’incidenza del controllo che gli organi
pubblici hanno nei confronti dell’attività.In
secondo luogo, una ricostruzione di tal
genere porta direttamente alla conseguenza
dell’incompatibilità ontologica tra il modello
della società per azioni di diritto pubblico
e la possibilità di esistenza di un controllo
determinante dell’ente pubblico proprietario
sull’oggetto della sua proprietà.
Questa è un’evenienza che non può essere
esente da critica.
Innanzitutto, dovrebbe condividersi l’assunto
in base al quale nemmeno nel diritto privato
societario il soggetto detentore del capitale
(perfino in misura totalitaria) potrebbe
dirsi detenere il controllo dominante sugli
obiettivi strategici e sulle scelte importanti,
senza influenzare in modo determinante l’attività.
Di seguito, e tornando a dare uno sguardo
alla giurisprudenza della Corte, non si
comprende in cosa possa consistere il controllo
determinante.Un metro di paragone calzante
può essere la stessa legislazione di diritto
comunitario allorché definisce l’impresa
pubblica. L’art. 1 della direttiva 93/38
ad esempio afferma che devono intendersi
“imprese pubbliche: le imprese su cui le
autorità pubbliche possono esercitare, direttamente
o indirettamente, un’influenza dominante
perché ne hanno la proprietà, o hanno in
esse una partecipazione finanziaria, oppure
in conseguenza delle norme che disciplinano
le imprese in questione. L’influenza dominante
è presunta quando le autorità pubbliche,
direttamente o indirettamente, riguardo
ad un’impresa:
- detengono la maggioranza del capitale
sottoscritto dell’impresa, oppure
- controllano la maggioranza dei voti cui
danno diritto le parti emesse dall’impresa,
oppure
- hanno il diritto di nominare più della
metà dei membri del C.d.A., del consiglio
direttivo o del consiglio di vigilanza”.
Siffatti requisiti presuntivi non sono cumulativi
per la determinazione della natura pubblica
dell’impresa.
Affinché si possa sostenere che un’impresa
è pubblica, perché l’autorità pubblica esercita
su di essa un’influenza dominante, è sufficiente
che ve ne sia uno solo.Nel caso oggetto
di cognizione della Corte questi indici
non sono semplicemente presenti in via cumulativa
– sicché potrebbe dirsi che l’impresa è
soggetta ad un controllo più incisivo del
controllo dominante – ma sono rafforzati
da ulteriori elementi.In effetti, l’attività
societaria – al pari di quella meramente
amministrativa o di quella economica dell’azienda
speciale – è inquadrata da disposizioni
normative di rango diverso. Essa è soggetta
alla legge dello Stato e della Regione che
attribuisce le funzioni al comune e ne distribuisce
le competenze tra i suoi organi, individuando
un limite all’esercizio dell’attività economica
pubblica. È soggetta alle deliberazioni
del Consiglio comunale che ha poteri sovrani
sullo statuto societario, norma fondamentale
atta a determinare in modo penetrante l’azione
imprenditoriale. Il margine di autonomia
conferita dalla struttura di società di
capitali al consiglio di amministrazione
non può incidere sulla titolarità del potere
di controllo dell’attività economica, la
quale è da rinvenirsi in capo alla figura
del soggetto pubblico proprietario.
L’autonomia del C.d.A. potrebbe incidere
invece sulla qualità del controllo.
A tal riguardo però la proprietà della maggioranza
del capitale sociale (nel caso Parking Brixen
era la totalità), la totalità dei diritti
di voto in assemblea, la riserva di una
quota di partecipazione al capitale sociale
al comune in misura non inferiore alla maggioranza
assoluta delle azioni ordinarie, la nomina
dei componenti il C.d.A. (alla quale segue
come corollario il potere di revoca), la
nomina della maggioranza dei membri del
Collegio sindacale, il potere assoluto sul
contenuto dello statuto sociale sono tutte
garanzie idonee a riservare all’ente comunale
il controllo determinante sulla società.
Il comune esercita sulla società poteri
analoghi a quelli che il proprietario esercita
sull’oggetto della sua proprietà. Sono poteri
invadenti, che incidono in modo determinante
sugli obiettivi strategici come sulle decisioni
importanti. Come il dirigente comunale possiede
un margine di autonomia nell’ambito della
sfera delle sue competenze legislativamente
previste, pur rimanendo soggetto ad un potere
di controllo determinante delle scelte fondamentali
del sindaco, così il C.d.A. della società
gode di indipendenza gestionale all’interno
dei compiti previsti nello statuto, restando
vincolato al dominio penetrante del soggetto
proprietario pubblico.La veste formale di
tipo privatistico-societario non esclude
la ricostruzione in termini giuridici dello
strumento di governo societario come organo
dell’ente pubblico comunale.Si potrebbe
tentare un ulteriore paragone. Il dirigente
ministeriale gode, alla luce delle recenti
riforme legislative, di prerogative proprie,
essendo stato dotato di potere provvedimentale.
Egli è organo del ministero, dotato di competenze
sue proprie, all’interno del fascio di attribuzioni
devolute al dicastero. In questo senso il
dirigente è dotato di una certa autonomia
decisionale e di una relativa indipendenza
di giudizio. Rimane in ogni caso libero
di esercitare le proprie prerogative nei
limiti stabiliti dalla legge, con esclusione
di ingerenza esterna sulla attività da parte
di terzi, anche gerarchicamente sovraordinati.
Ciò non esclude però che egli non sia soggetto
al controllo determinante del ministro,
nell’ambito delle sue funzioni di alta amministrazione
e dei suoi poteri di direttiva e di vigilanza.
Nello stesso senso l’organo direttivo della
spa a partecipazione maggioritaria pubblica,
pur essendo dotato di margini di libertà
nella gestione degli affari correnti e della
amministrazione ordinaria della attività
imprenditoriale, rimane incisivamente legato
alle determinazioni del soggetto pubblico
controllante, il quale determina con atti
di tipo politico e giuridico la direzione
da imprimere all’attività sociale. Rimane
un’ultima possibilità ricostruttiva legata
alle preoccupazioni della Corte di Giustizia
in merito alle possibilità applicative della
regola (o meglio dell’eccezione) dell’in
house. Essa attiene alla delimitazione
dei margini di intervento pubblico diretto
nelle attività economiche. Ed invero, l’inquietudine
principale dei giudici di Lussemburgo riguarda
la “vocazione commerciale” dell’attività
pubblica. In questo senso, l’ampliamento
dell’oggetto sociale della società pubblica
ad attività diverse da quelle tipiche del
servizio pubblico locale e l’espansione
territoriale delle attività della società
oltre i confini del territorio comunale
(a tutto il territorio nazionale e all’estero)
sono indici della aspirazione imprenditoriale
al perseguimento di fini diversi rispetto
a quello tradizionali del soddisfacimento
dell’interesse pubblico per cui gli enti
locali esistono. Lasciando da parte la delicata
questione della legittimità dell’intervento
pubblico nel campo delle attività economiche
di mercato, nel quale l’iniziativa privata
dovrebbe beneficiare di una posizione di
privilegio (stante la ricostruzione dei
principi della costituzione economica comunitaria),
si potrebbe tentare una ricostruzione permissiva
della deroga alla regola della messa in
concorrenza nei confronti di alcune attività
espletate da parte delle società per azioni
a capitale pubblico locale.Nei confronti
delle attività economiche classiche, che
esulano dai tipici compiti delle missioni
di servizio pubblico locale, le società
in questione operano come operatori economici
privati, e sono quindi soggetti alle regole
generali della concorrenza, all’applicazione
delle direttive in tema di appalti pubblici,
ai principi generali in materia di concessioni
di servizi. Esse sottostanno alle procedure
ad evidenza pubblica per tutto ciò che le
riguarda in quanto normali soggetti imprenditoriali[4].Per
quanto invece riguarda le mansioni volte
al perseguimento dell’interesse pubblico
locale correlate allo svolgimento dei tipici
compiti del servizio pubblico, queste società
– sempre che rispettino i criteri determinati
dalla giurisprudenza comunitaria in materia
di controllo – potrebbero beneficiare della
deroga prevista dall’istituto dell’in
house providing. Per quella parte di
attività economica necessaria per adempiere
alle finalità del servizio pubblico e nei
limiti in cui questa attività sia circoscritta
all’adempimento degli specifici compiti
dalla legge attribuiti alla competenza comunale,
ben si potrebbe prevedere l’intervento diretto
della società controllata dall’ente pubblico,
senza lo svolgimento di procedure concorsuali.Rimarrebbe
il problema relativo al criterio prescritto
dalla giurisprudenza in ordine alla realizzazione
della maggior parte della attività con l’autorità
controllante, risolvibile per quella parte
di attività gestita in house mediante
regole di trasparenza e separazione contabile.
In ogni caso, una delle ultime pronunce
della Corte[5] in materia ha confermato
il precedente Parking Brixen, ribadendo
la conclusione dell’insufficienza della
detenzione da parte dell’amministrazione
aggiudicatrice dell’intero capitale della
società aggiudicataria ai fini della considerazione
della sussistenza da parte della prima sulla
seconda di un controllo analogo a quello
che essa esercita sui propri servizi. Il
limite della presenza di capitale privato
nella società affidataria (sancito nella
giurisprudenza antecedente) viene superato
dal riconoscimento dell’inadeguatezza stessa
del possesso azionario totalitario. Nell’ottica
della giustizia comunitaria, il diritto
societario comune impedisce l’assimilazione
del soggetto giuridico risultante dalla
creazione della società con quello detentore
della totalità del capitale, del potere
normativo sull’attività societaria, della
facoltà di nomina e revoca degl’organi societari,
etc. Vi sarebbe un’”autonomizzazione” della
persona-società rispetto quella che si atteggia
a fonte assoluta della sua esistenza. Perché
si possa configurare il rapporto “interno
o quasi interno” occorre la presenza di
altri strumenti, tali da permettere una
maggiore incidenza sulla vita del soggetto
societario. Questi dovrebbero rinvenirsi
nelle “prérogatives de puissance publique”,
mezzi di derivazione pubblicistica, caratteristici
dell’invadenza dell’autorità pubblica sulla
autonomia privata (diritti speciali ed esclusivi,
golden shares, privilegi autoritativi sulla
iniziativa economica, ecc.). |
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[1] Per le sentenze della Corte di
Giustizia delle Comunità Europee, vedi in
http://curia.europa.eu/it/.
[2] Consiglio di Stato, sezione V,
sentenza del 22 dicembre 2005, n. 7345,
in www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Consiglio di Stato, sezione V,
sentenza del 13 luglio 2006, n. 4440, in
http://www.giustamm.it/.
[4] Vedi in questo senso l’articolo
86 del Trattato CE.
[5] Corte di Giustizia delle Comunità
Europee, sentenza, 11 maggio 2006, C- 340/04,
Carbotermo spa, Consorzio Alisei c. Comune
di Busto Arsizio, AGESP spa.
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