 |
|
 |
 |
n. 10-2005 - © copyright |
ALESSANDRA CONCARO
|
|
La decretazione d’urgenza
nelle materie di competenza regionale nel quadro del rinnovato
titolo V della Costituzione: alcune riflessioni alla luce
della giurisprudenza costituzionale e della prassi recente*
Sommario: 1. L’impatto del nuovo
titolo V della Costituzione sul sistema delle fonti
normative. – 2. Competenze regionali e situazioni
di urgente necessità: l’ipotesi di inerzia della
Regione e l’ammissibilità di una “sostituzione”
legislativa da parte dello Stato. – 3. Il decreto-legge
come strumento per fronteggiare situazioni di urgente
necessità indipendentemente dal riparto delle competenze
fissato dall’art. 117 Cost. – 4. Riflessioni conclusive:
un problema “trascurato” da Governo e Parlamento?
1. L’impatto del nuovo titolo V della Costituzione
sul sistema delle fonti normative.
Lo scenario che si è aperto a seguito dell’entrata
in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione
arricchisce il panorama delle problematiche che
si pongono rispetto all’utilizzo del decreto-legge:
difatti, è opinione unanimemente condivisa che la
riforma costituzionale, nel modificare radicalmente
il ruolo delle fonti regionali nell’ordinamento,
sia destinata ad incidere profondamente sull’intero
sistema delle fonti normative, in particolare a
seguito della ridefinizione dell’assetto delle competenze
legislative di Stato e Regioni delineata dal nuovo
art. 117 Cost.
In tal senso, una riflessione sull’attualità e le
prospettive della decretazione d’urgenza non può
prescindere da un’analisi sull’impatto che la legge
cost. n. 3 del 2001 potrà produrre sul modo di atteggiarsi
del decreto-legge. Quello della decretazione d’urgenza
nelle materie di competenza regionale è un tema
che fino ad ora ha occupato un ruolo marginale nel
dibattito dottrinale, ma che, probabilmente, sarà
destinato in futuro ad acquisire un sempre crescente
rilievo: il nuovo riparto delle competenze legislative
definito dalla legge cost. n. 3 del 2001, che fa
dello Stato non più l’ente a competenza legislativa
generale, ma l’ente dotato di competenza enumerata
e circoscritta, pone infatti il problema di stabilire
chi è competente ad intervenire qualora, nelle materie
di competenza regionale, si verifichino quei “casi
straordinari di necessità e d’urgenza” che, in base
all’art. 77, giustificano l’adozione di decreti-legge[1].
Si tratta, peraltro, di una questione non meramente
teorica[2]: stando ai dati che emergono dalla prassi
più recente della decretazione d’urgenza, difatti,
almeno 1/3 dei decreti-legge emanati a partire dalla
fine del 2001, toccano (anche se, talvolta, solo
marginalmente) settori di competenza regionale;
e, pur con le dovute cautele che necessariamente
si impongono in una fase di transizione come quella
attuale, nella quale, nonostante le numerose precisazioni
che stanno via via intervenendo da parte della giurisprudenza
costituzionale, regna ancora molta incertezza sulla
reale portata degli ambiti materiali definiti dal
nuovo art. 117 Cost.[3], le indicazioni della prassi
ci dicono che il problema si pone. Occorre infatti
chiedersi se questi decreti siano da considerare
a priori viziati da incompetenza, in quanto
intervengono in settori preclusi alla funzione normativa
primaria dello Stato, oppure se la questione possa
essere analizzata sotto una luce differente.
E se, come è evidente, il problema emerge più marcatamente
con riguardo alla potestà cd. “esclusiva”, che l’art.
117/4 riserva alle Regioni nelle materie “residuali”,
esso non manca di coinvolgere (sia pure in maniera
più velata) anche la potestà ripartita, nella configurazione
che risulta dal nuovo testo dell’art. 117/3 Cost.:
il verificarsi di circostanze tali da richiedere
un intervento legislativo tempestivo, potrebbe infatti
imporre (anzi, per definizione, impone) l’adozione,
accanto alla normativa di principio, di una normativa
di dettaglio che sia immediatamente applicativa.
Tuttavia, la nuova formulazione dell’art. 117/3,
nel disporre che «nelle materie di legislazione
concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa,
salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,
riservata alla legislazione dello Stato», stando
a quanto sembra trasparire dalle recenti prese di
posizione della Corte costituzionale, non parrebbe
compatibile con il vecchio schema della normativa
statale di dettaglio “cedevole” [4], ma sembrerebbe
semmai presupporre una più marcata distinzione fra
competenza statale, rivolta esclusivamente
alla definizione dei principi fondamentali della
materia, e competenza regionale.
2. Competenze regionali e situazioni di urgente
necessità: l’ipotesi di inerzia della Regione e
l’ammissibilità di una “sostituzione” legislativa
da parte dello Stato
Sulla portata del nuovo art. 117 Cost. non è
il caso di soffermarsi: è evidente che il nuovo
quadro costituzionale ha operato una restrizione
degli ambiti materiali assegnati alla competenza
legislativa dello Stato, che vengono ora elencati
tassativamente (pur essendo riconosciuto -ora anche
dalla Corte costituzionale- il carattere “trasversale”
di alcuni settori[5]), lasciando alla Regione la
competenza a legiferare in via esclusiva in tutti
gli ambiti non espressamente indicati (o rimessi
alla potestà concorrente).
Da questa premessa dovrebbe conseguire, necessariamente,
la preclusione per lo Stato di intervenire in via
legislativa nelle materie regionali, anche attraverso
un provvedimento governativo d’urgenza il quale,
pur se legittimato da situazioni di urgente necessità,
andrebbe inevitabilmente incontro all’ostacolo della
incostituzionalità della legge di conversione “incompetente”[6].
A questa stregua, qualora nelle materie di competenza
regionale (esclusiva o concorrente) si configurino
dei “casi straordinari di necessità e d’urgenza”
tali da richiedere un intervento legislativo immediato,
la Regione dovrebbe essere l’unico ente competente
a predisporre le misure idonee a farvi fronte[7].
Questo approccio, tuttavia, a mio parere non dà
una risposta soddisfacente ad alcuni problemi cruciali:
anzitutto, cosa fare in caso di inerzia regionale?
È pensabile che lo Stato si sostituisca alla Regione
quando le circostanze rendano necessaria l’adozione
immediata di un atto con forza di legge, e quest’ultima
non intervenga?
Il problema è più ampio, e non riguarda soltanto
l’individuazione degli strumenti azionabili per
fronteggiare situazioni di urgente necessità nelle
materie di competenza regionale. Come noto, già
all’indomani dell’entrata in vigore della riforma
costituzionale, il nuovo assetto delle competenze
legislative regionali ha imposto alla dottrina di
interrogarsi sui possibili rimedi cui far ricorso
nelle ipotesi di inerzia dei legislatori regionali:
in particolare, ci si è chiesti se (e, eventualmente,
in quali termini) il legislatore statale sia legittimato
a “sostituirsi” alla Regione che abbia omesso di
intervenire nelle materie di sua esclusiva competenza,
o che non abbia provveduto a disporre la normativa
di adeguamento alla legislazione statale di principio
nelle materie di competenza ripartita.
La questione è assai complessa e una sua analisi
specifica esula dalle finalità del presente lavoro.
In questa sede mi limiterò soltanto ad osservare
che i dubbi sono alimentati dalla infelice formulazione
dell’art. 120 Cost., il quale conferisce al Governo
il potere di sostituirsi agli organi regionali in
caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali
o della normativa comunitaria, di pericolo grave
per l’incolumità e per la sicurezza pubblica, per
la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali e «quando
lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità
economica»; ma non chiarisce se tale “sostituzione”
debba essere limitata al solo campo dell’amministrazione
o possa invece operare anche in ambito legislativo
(un punto sul quale, peraltro, la dottrina pare
profondamente divisa)[8].
Come dicevamo prima, il problema di cui ci stiamo
occupando è più circoscritto, e si interseca solo
in parte con la tematica della configurabilità,
nel nuovo ordinamento costituzionale, di un potere
surrogatorio di carattere legislativo: difatti,
qui non si tratta tanto di individuare gli eventuali
strumenti atti a coprire qualunque inerzia
regionale, attraverso un intervento del legislatore
statale di tipo successivo. Si tratta, semmai, di
predisporre misure immediate e tempestive allo scopo
di fronteggiare una situazione che, per definizione,
non può tollerare ritardi od omissioni da parte
delle Regioni: si tratta, in sostanza, di intervenire
prima ancora che si concretizzi l’eventuale
inerzia regionale, attraverso una valutazione che
tenga conto non solo delle esigenze peculiari delle
singole Regioni interessate, ma anche degli interessi
generali coinvolti.
Vi è poi un secondo ordine di obiezioni che, a nostro
avviso, merita di essere valutato. Proviamo a pensare
all’ipotesi in cui la situazione di urgente necessità
riguardante la materia di competenza regionale sia
diffusa uniformemente su tutto il territorio nazionale
o, comunque, abbia una portata territoriale che
travalichi i confini della singola regione. In tal
caso, è evidente che, trattandosi di settori sottratti
alla disponibilità del legislatore statale, la predisposizione
delle misure necessarie a fronteggiare l’emergenza
dovrebbe essere rimessa all’iniziativa di ciascuno
degli enti coinvolti, i quali, a loro volta dovrebbero
poter decidere in piena autonomia quanto alle modalità
e ai tempi dell’intervento: spetterebbe cioè alla
singola Regione (e solo ad essa) stabilire se, come
e quando intervenire nel proprio territorio. Ma,
se è perfettamente ammissibile (anzi, in piena sintonia
con la logica del nuovo sistema) che ciascuna Regione,
nelle materie di propria competenza, definisca e
valuti la misura degli interventi in relazione alle
proprie esigenze peculiari, non si possono d’altro
canto trascurare i rischi connessi ad una completa
“rimessione” del problema nelle mani del singolo
ente: il rischio di dare luogo ad una serie di interventi
frammentari e non omogenei, se non addirittura incompatibili
fra loro; il rischio di ritardi nella definizione
di una linea di condotta da perseguire; il rischio,
soprattutto, che alcune Regioni intervengano, ed
altre no; o, ancora, che i diversi interventi vengano
in essere in tempi differenti[9].
Insomma, il rischio è che la sommatoria degli interventi
predisposti dai singoli enti, all’atto pratico si
riveli complessivamente inadeguata a fronteggiare
l’emergenza.
3. Il decreto-legge come strumento per fronteggiare
situazioni di urgente necessità indipendentemente
dal riparto delle competenze fissato dall’art. 117
Cost.
Di fronte a questa pluralità di obiezioni, a parere
di chi scrive, il verificarsi di una situazione
di necessità e urgenza in una materia di competenza
(esclusiva o concorrente) regionale, che coinvolga
interessi tali da richiedere una gestione unitaria,
dovrebbe comunque legittimare lo Stato ad intervenire:
e l’unico strumento idoneo a soddisfare esigenze
di tempestività e immediatezza, è tuttora rappresentato
dal decreto-legge[10] .
Difatti, pur nell’ambito di una riforma che ha voluto
tracciare in modo più netto la linea di demarcazione
fra competenze legislative statali e regionali,
e che ha voluto allineare quanto più possibile le
Regioni allo Stato, mirando ad una vera e propria
parificazione fra i due enti, non si può prescindere
dal riconoscere allo Stato un ruolo unificante,
che gli consenta di attivarsi anche nei settori
rimessi alla competenza delle Regioni, laddove entrino
in gioco interessi di carattere generale[11]. E
nonostante il nuovo titolo V abbia inciso profondamente
sull’intera configurazione delle fonti normative,
l’art. 77 Cost. resta pienamente vigente, mantenendo
la funzione per la quale era stato originariamente
concepito: creare le condizioni per predisporre
un intervento rapido, in presenza di situazioni
oggettivamente eccezionali che richiedano
l’adozione di misure immediate.
D’altronde, la riforma costituzionale non manca
di invocare in più parti il necessario rispetto
di esigenze di carattere unitario, che presuppone,
inevitabilmente, un intervento dello Stato anche
nei settori rimessi alla competenza delle Regioni:
si pensi al richiamo, contenuto all’art. 117, alla
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale»;
si pensi allo stesso art. 120, in virtù del quale
l’esercizio del potere sostitutivo deve essere finalizzato
alla tutela dell’unità giuridica ed economica «prescindendo
dai confini territoriali dei governi locali»; si
pensi, soprattutto, al richiamo al principio di
sussidiarietà, il quale non comporta soltanto una
allocazione delle competenze ai livelli di governo
più “bassi”, più vicini agli amministrati, ma presuppone,
semmai, che la loro distribuzione avvenga in base
ad una valutazione degli interessi coinvolti, ammettendo,
dunque, l’eventuale «scorrimento verso l’alto» dell’esercizio
di funzioni che coinvolgono interessi non frazionabili
localmente.
Peraltro, proprio su quest’ultimo punto sono ora
intervenute precise conferme da parte della Corte
costituzionale: nella sent. n. 303 del 2003, si
fa espresso richiamo ad una vocazione “dinamica”
del principio di sussidiarietà, «che consente ad
essa di operare non più come ratio ispiratrice
e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite
e predeterminate, ma come fattore di flessibilità
di quell’ordine in vista del soddisfacimento di
esigenze unitarie», rendendo meno rigida la stessa
distribuzione delle competenze legislative[12].
In questa prospettiva, si può forse ipotizzare che
la presenza di casi straordinari di necessità ed
urgenza valga a fondare un preciso titolo di legittimazione
dello Stato a intervenire[13]: la situazione di
emergenza, farebbe cioè scattare in capo allo Stato
uno specifico potere/dovere di predisporre i rimedi
per farvi fronte, indipendentemente dalla natura
e dalla spettanza della materia coinvolta. Del resto,
si è sempre detto che i casi straordinari di necessità
ed urgenza, per definizione, non possono essere
incardinati entro schemi preconcetti, né essere
vincolati entro rigidi riparti di competenza.
E allora, si potrebbe forse pensare che il decreto-legge,
in quanto fonte abilitata a predisporre le misure
atte a fronteggiare una situazione di urgente necessità,
rimanga al di fuori della ripartizione delle competenze
legislative tra Stato e Regioni definita dall’art.
117 Cost.[14]: in sostanza, il verificarsi di un
evento contingente e imprevedibile, che richieda
la tempestiva adozione di un provvedimento di rango
legislativo, autorizzerebbe il Governo ad intervenire
anche al di fuori della competenza statale.
Peraltro, qui non si tratta di giustificare, sulla
base del solo art. 77, un generico potere governativo
di surrogazione legislativa; si tratta, semmai,
di individuare uno strumento in grado di soddisfare
interessi di carattere generale, che necessitano
di misure tempestive e immediate, rispetto alle
quali una gestione “localizzata” nel territorio
della singola Regione potrebbe condurre a risultati
insoddisfacenti. Proprio su questo punto, merita
un richiamo la sent. n. 6 del 2004, che è stata
resa con riferimento al decreto-legge n. 7 del 2002
(recante misure urgenti per garantire la sicurezza
del sistema elettrico nazionale); dalla decisione
sembrerebbe infatti emergere l’implicita ammissione
di un ruolo “privilegiato” della decretazione d’urgenza
nell’esercizio delle funzioni unitarie da parte
dello Stato, laddove si esclude l’incostituzionalità
del decreto censurato, in quanto, pur incidendo
in un ambito certamente regionale (“produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”),
ad avviso del Giudice delle leggi risulterebbe giustificato
in ragione di una situazione «nella quale, in assenza
di un effettivo e rapido rafforzamento delle strutture
di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica,
si possono produrre serie situazioni di difficoltà
o addirittura interruzioni più o meno estese della
fornitura di energia, con conseguenti gravi danni
sociali ed economici»[15].
Certo, non è che non si vedano i rischi connessi
ad un simile approccio: il fatto di ritenere che
la presenza di circostanze straordinarie possa tuttora
legittimare l’adozione di decreti-legge da parte
del Governo, pur in ambiti materiali ormai spettanti
alle Regioni, potrebbe giustificare interventi pervasivi
dello Stato, consentendogli di riconquistare surrettiziamente
spazi di competenza che gli erano stati sottratti
con la riforma costituzionale. E il rischio è ancor
più evidente se si considera la cattiva prova che
ha dato nella prassi lo strumento del decreto negli
anni passati[16].
In tal senso diviene indispensabile che l’ordinamento
attivi tutti i meccanismi di cui dispone per arginare
i rischi di abuso che, inevitabilmente, si pongono:
dalla necessità che la valutazione in ordine alla
sussistenza dei presupposti sia estremamente rigorosa,
dovendosi ammettere il ricorso alla decretazione
solo in casi oggettivamente eccezionali;
alla necessità che i controlli sul decreto (compreso
quello esplicabile dalla Corte costituzionale, anche
su ricorso della Regione interessata) vengano attuati
in modo stringente.
L’interpretazione qui prospettata non mira certamente
a riconoscere allo Stato un pretesto per recuperare,
a danno delle Regioni, gli spazi di competenza sottrattigli
dalla riforma costituzionale, né, tantomeno, ad
introdurre un nuovo elemento di conflittualità fra
Stato e Regioni. La necessità di un uso accorto
dello strumento del decreto permane e, anzi, risulta
rafforzata alla luce del nuovo assetto delle fonti
normative delineato dalla riforma del titolo V[17]:
il decreto deve valere, oggi ancor più che in passato,
come extrema ratio, come rimedio da utilizzare
soltanto al termine di una attenta ponderazione
degli interessi coinvolti.
4. Riflessioni conclusive: un problema “trascurato”
da Governo e Parlamento?
Che dire, allora, di quel 30% di decreti che, dalla
fine del 2001 ad oggi, sono stati emanati in settori
di competenza regionale? È pensabile che rientrino
tutti nel modello che si è tentato di delineare
nei paragrafi precedenti?
È evidente che simili dati quantitativi (anche se,
precisiamo subito, frutto di una stima molto approssimativa)
non possano lasciare indifferenti: esimendoci dall’esaminare
nei dettagli i singoli decreti intervenuti (e il
merito delle scelte operate), e volendo fare soltanto
una panoramica molto sommaria dei profili più significativi
dell’azione governativa, possiamo osservare che
la prassi ha fatto registrare interventi in materie
di competenza concorrente quali protezione civile,
tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro[18],
professioni[19], governo del territorio[20]; oltre
che in materie esclusive quali agricoltura e pesca.
Ma più che il dato numerico, ciò che colpisce è
la totale indifferenza degli organi istituzionali,
e in particolare del Parlamento in sede di conversione,
rispetto al problema della possibile invasione di
sfere di competenza regionale, che non viene minimamente
preso in considerazione: si tratta infatti di un
profilo di cui non si trova praticamente traccia
nei lavori parlamentari[21].
Di qui la necessità che tra le valutazioni operate,
in sede esame dei disegni di legge di conversione,
dalle commissioni parlamentari competenti per materia
e dal Comitato per la legislazione, inizi ad occupare
un ruolo di primo piano anche la valutazione in
ordine alla possibile lesione di sfere di competenza
regionale.
|
|
----------
|
|
* Comunicazione presentata al
Convegno tenutosi a Macerata il 21 maggio 2004 su
“L’emergenza infinita. Attualità e prospettive della
decretazione d’urgenza”.
[1] Sul punto, cfr. Zanon, Decreti-legge, Governo
e Regioni dopo la revisione del titolo V della Costituzione,
in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
[2] Anche se, come è stato giustamente sottolineato,
occorre fin da ora rilevare che, pur nella difficoltà
di confinare il decreto-legge in ambiti materiali
predefiniti, i settori rimessi alla competenza dello
Stato sono quelli nei quali è maggiormente prevedibile
un ricorso alla decretazione d’urgenza: cfr. Simoncini,
Le funzioni del decreto-legge, Milano, 2003,
227.
[3] Per un quadro d’insieme sui chiarimenti fino
ad ora pervenuti dalla giurisprudenza costituzionale
in ordine al significato delle formule utilizzate
dal nuovo art. 117 Cost., cfr. A. Concaro, Rapporti
tra Stato, Regioni ed Enti locali, in V. Onida
(a cura di), Viva vox Constitutionis. Temi e
tendenze nella giurisprudenza costituzionale dell’anno
2002, Milano, 2003 e in Id., Viva vox (2003),
in corso di pubblicazione.
[4] Anche se si tratta di un punto non ancora del
tutto chiarito, la Corte costituzionale, nella sent.
n. 282 del 2002, ha affermato, in un celebre obiter
dictum, che la nuova formulazione dell’art.
117, terzo comma «esprime l’intento di una più netta
distinzione fra la competenza regionale a legiferare
in queste materie e la competenza statale, limitata
alla determinazione dei principi fondamentali della
disciplina» (corsivo nostro); mentre, nella
altrettanto celebre sent. n. 303 del 2003, si legge
che «l’inversione della tecnica di riparto delle
potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle
competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere
la possibilità di dettare norme suppletive statali
nelle materie di legislazione concorrente». Sul
problema della perdurante configurabilità, del meccanismo
della “cedevolezza” della legislazione statale di
dettaglio, come noto la dottrina si è divisa: tra
i favorevoli, cfr. Tosi, La legge costituzionale
n. 3 del 2001: note sparse in tema di potestà legislativa
ed amministrativa, in Le Regioni, 6/2001,
1237 ss.; Ruggeri, La riforma costituzionale
del Titolo V e i problemi della sua attuazione,
con specifico riguardo alle dinamiche della normazione
e al piano dei controlli, in Il nuovo Titolo
V della parte II della Costituzione. Primi problemi
della sua attuazione, Milano, 2002, 51 ss.;
Caravita, Una vicenda piccola, una questione
importante; alcune riflessioni in ordine ad un recente
rinvio presidenziale, in www.federalismi.it;
Antonini, Sono ancora legittime le normative
statali cedevoli? Intorno ad una lacuna “trascurata”
del nuovo titolo V, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
In senso contrario si sono invece espressi, tra
gli altri, Luciani, Le nuove competenze legislative
delle Regioni a statuto ordinario. Prime osservazioni
sui principali nodi problematici della l. cost.
n. 3 del 2001, in Il lavoro nelle pubbliche
amministrazioni, 1/2002, 7; Falcon, Modello
e transizione nel nuovo Titolo V,
cit., 1254 ss.; D’Atena, La difficile transizione.
In tema di attuazione della riforma del Titolo V,
in Le Regioni, 2002, 318.
[5] Cfr. le sentt. nn. 282 del 2002 e 88 del 2003,
in tema di “livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali”; le sentt.
nn. 407 e 536 del 2002 e 307 del 2003 in tema di
tutela dell’ambiente; le sentt. nn. 14 e 272 del
2004 in tema di tutela della concorrenza.
[6] Sul punto, cfr. Caravita, La Costituzione
dopo la riforma del titolo V. Stato, Regioni e autonomie
fra Repubblica e Unione europea, Torino, 2002,
54 ss. e Simoncini, Le funzioni, cit., 232.
[7] Il problema si sovrappone a quello dell’ammissibilità
del decreto-legge regionale, che già in passato
era stato oggetto di un vivace dibattito dottrinale,
e che è ora tornato di attualità a seguito della
ridefinizione dell’autonomia statutaria attuata
dal nuovo art. 123 Cost.: per una disamina più approfondita
del tema e per una sintesi del dibattito dottrinale,
sia consentito di rinviare a A. Concaro, I casi
straordinari di necessità e d’urgenza nelle materie
di competenza regionale dopo la riforma del titolo
V della Costituzione, in Giur. cost.,
2002, 3127 ss.
[8] E che non viene chiarito neppure dall’art. 8
della legge “La Loggia”, laddove si parla di sostituzione
“normativa”. Sul dibattito che è intervenuto in
ordine all’ammissibilità della sostituzione legislativa
si sono espressi in senso contrario, tra gli altri,
Tosi, La legge costituzionale n. 3 del 2001:
note sparse in tema di potestà legislativa ed amministrativa,
in Le Regioni, 2001, 1233 ss.; Mainardis,
I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale
con (poche) luci e (molte) ombre, ivi,
1357 ss.; Corpaci, Revisione del Titolo V della
parte seconda della Costituzione e sistema amministrativo,
ivi, 1323; Caravita, La Costituzione dopo
la riforma del Titolo V, cit., 136; Bilancia,
Verso un federalismo cooperativo?, in AA.
VV., Problemi del federalismo, Milano, 2001,
81 ss.; Mangiameli, La riforma del regionalismo
italiano, Torino, 2002, 151; Anzon, I poteri
delle regioni dopo la riforma costituzionale. Il
nuovo regime e il modello originario a confronto,
Torino, 2002, 217. Sono invece favorevoli, pur con
alcune diversità di vedute, Pinelli, I limiti
generali alla potestà legislativa statale e regionale
e i rapporti con l’ordinamento internazionale e
con l’ordinamento comunitario, in Foro it.,
2001, V, 198 ss.; Guzzetta, Problemi ricostruttivi
e profili problematici della potestà regolamentare
dopo la riforma del Titolo V, in Le Istituzioni
del Federalismo, 2001, 1135); Caretti, L’assetto
dei rapporti tra competenza legislativa statale
e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della
Costituzione:aspetti problematici, in Le
Regioni, 2001, 1223 ss.; Salerno, La disciplina
legislativa dei poteri sostitutivi tra semplificazione
e complessità ordinamentale, in www.federalismi.it.
[9] Sul punto, cfr. Zanon, Decreti-legge,
cit. e Concaro, I casi straordinari, cit.,
3147.
[10] L’idea che il legislatore nazionale, nonostante
il silenzio della Carta costituzionale, abbia in
ogni caso il potere di esercitare le competenze
legislative delle Regioni inadempienti, e di esercitarlo
proprio attraverso lo strumento del decreto-legge,
è stata sostenuta da più parti: cfr. Cerri, Alla
ricerca dei ragionevoli principi della riforma regionale,
in AA.VV., Problemi del federalismo, cit.,
211; Caretti, L’assetto dei rapporti, cit.,
1229; Luciani, Le nuove competenze legislative
delle Regioni a Statuto ordinario, cit.; Guzzetta,
op. loc. ult. cit.; Gianfrancesco, Il
potere sostitutivo, in AA. VV. La Repubblica
delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo
titolo V (a cura di Groppi e Olivetti), Torino,
2003, 237 ss. Secondo Rescigno, Note per la costruzione
di un nuovo sistema delle fonti, in Dir.
pubbl., 2002, 816, il decreto-legge adottato
allo scopo di fonteggiare situazioni di urgente
necessità in materie di competenza regionale, sarebbe
«un atto doppiamente provvisorio: provvisorio in
attesa della legge di conversione; provvisorio in
attesa dell’esercizio da parte della Regione della
competenza legislativa supplita».
[11] In argomento, v. Elia, Introduzione,
in AA. VV., La Repubblica delle autonomie,
cit., 20; Barbera, Chi è custode dell’interesse
nazionale?, in Quad. cost., 2001, 345;
Bin, L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità
dei problemi, discontinuità della giurisprudenza
costituzionale, in Le Regioni, 6/2001,
1213 ss.
[12] Una posizione sulla quale, come noto, la dottrina
ha espresso forti dubbi interpretativi, ma che risulta
confermata dalla giurisprudenza successiva: cfr.
la sent. n. 6 del 2004.
[13] Cfr. Celotto, L’“abuso” del decreto-legge,
Padova, 1997, il quale osserva che «il decreto-legge
rinviene la propria competenza per materia proprio
nei casi di straordinaria necessità ed urgenza».
[14] Come noto, l’idea che l’interpretazione sistematica
dell’art. 77 Cost. autorizzi il Governo ad intervenire
oltre il «disponibile con legge ordinaria», consentendogli
di derogare al normale ordine delle competenze costituzionalmente
attribuite, risale ad Esposito, voce Decreto-legge,
in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 835 ss. Sulla
possibilità per il Governo, ove ricorrano situazioni
di urgente necessità, di sostituirsi al legislatore
regionale, cfr. Pace, Problematica delle libertà
costituzionali, Padova, 2003, 347.
[15] Cfr. il punto n. 3 del Considerato in diritto.
[16] Proprio evocando tali rischi, esprime una totale
contrarietà alla decretazione d’urgenza nelle materie
di competenza regionale Simoncini, Le funzioni
del decreto-legge, cit., 232 ss., il quale individua
nel riparto delle competenze fissato dall’art. 117
Cost. «un nuovo e pregnante profilo d’incostituzionalità
del decreto-legge».
[17] E questo vale anche per i settori che sono
stati mantenuti alla competenza dello Stato, per
il carattere trasversale che molti di essi rivestono:
sul punto, cfr. le considerazioni di Cassetti, Decreto-legge,
fonti statali primarie e potestà legislativa regionale,
in www.federalismi.it.
[18] In argomento si segnala il d.l. n. 210 del
2002, conv. in legge n. 266 del 2002, recante “Disposizioni
urgenti in materia di emersione del lavoro sommerso
e di rapporti di lavoro a tempo parziale”, contro
il quale aveva promosso ricorso dinanzi alla Corte
costituzionale la Regione Umbria (poi rinunciandovi):
v. ord. n. 382 del 2003
[19] Su cui si segnala il d.l. n. 107 del 2002,
conv. in legge n. 173 del 2002, recante “Disposizioni
urgenti in materia di accesso alle professioni”,
che non si limita a dettare norme di principio,
ma contiene anche disposizioni estremamente minute
e dettagliate.
[20] Su cui è da segnalare la contestatissima vicenda
del condono edilizio, disposto con d.l. n. 269 del
2003, convertito in legge n. 326 del 2003, contro
il quale vi era stata una netta levata di scudi
delle Regioni, che denunciavano anche la lesione
delle proprie attribuzioni (esclusive) in materia
di edilizia e urbanistica: la Corte ha definito
le questioni con le decc. nn. 196, 197 e 198 del
2004.
[21] Salvo un generico richiamo, nella scheda di
analisi tecnico-normativa, alla assenza di elementi
di incompatibilità con il riparto delle competenze
legislative dettato dall’art. 117, che viene però
fatto non a seguito di una analisi specifica del
contenuto del decreto, ma attraverso l’utilizzo
di mere clausole di stile: sul punto cfr. la relazione
di Celotto, Decreto-legge e Governo (nella XIV
legislatura), p. 5 del paper.
|
|
|
|
 |
|
|
|