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TAR VALLE D'AOSTA - sentenza 20 febbraio 2004 n° 26
Pres. Guida – Esten. Filippi
P.J. c. Comune di Aosta e Prefettura di Reggio Calabria e Ministero dell’Interno (art. 10 d.p.r. 252/98)

  1. Contratti della p.a. - Verifica antimafia - Informazioni del Prefetto ex art. 10 D.P.R. 252/98 – Assunzione anche fuori dalle ipotesi in cui sono obbligatorie. – Sussiste

  2. Contratti della p.a. - Verifica antimafia - Informazioni del prefetto ex art. 10 D.P.R. 252/98 –Contratto già stipulato – Emersione elementi relativi a tentativi infiltrazione mafiosa – Recesso dal contratto – Condizione sufficiente.

  3. Contratti della P.A. – Verifica antimafia – Informazioni del Prefetto ex art. 10 D.P.R. n° 252/98 – Valutazione delle informazioni negative ricevute ad opera della stazione appaltante – Discrezionalità – Non sussiste

1. L'Amministrazione ha comunque la facoltà di assumere le informazioni antimafia anche fuori delle ipotesi in cui esse sono obbligatorie.

2. la facoltà di revoca prevista dal comma 3 dell’art. 11 del D.P.R. n. 252 del 1998 é subordinata alla sola circostanza che, successivamente alla stipulazione del contratto, siano stati accertati elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa.

3. Non è configurabile un potere discrezionale della stazione appaltante di valutazione delle informazioni negative ricevute in ordine al contraente privato.

 

REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta

composto dai Signori:
Antonio GUIDA - Presidente
Maddalena FILIPPI – Consigliere relatore
Cecilia ALTAVISTA - Consigliere
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Sul ricorso n. 59/2003 proposto dalla

ditta Pulizie Jonica, in persona della sua titolare, Signora Maria Praticò, rappresentata e difesa dall’avv. Loris Maria Nisi ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR, in Aosta, Piazza Accademia S. Anselmo, n. 2;

contro

- il COMUNE DI AOSTA, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Valdo Azzoni ed elettivamente domiciliato presso l’ Avvocatura comunale, in Aosta, piazza Emile Chanoux, n. 1;

- la PREFETTURA DI REGGIO CALABRIA e il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, entrambi non costituitisi in giudizio;

per l’annullamento
- dell’informazione resa dalla Prefettura di Reggio Calabria prot. N. 567/2001/Ing.Gab. 1 del 02/07/02;
- della nota prot. N. 567/2001/Gab. Con la quale si comunica al legale della ditta Pulizie Jonica che si è già provveduto al riesame, ai sensi dell’art.10, comma 8 del D.P.R.252/98;
- del procedimento amministrativo avviato dal Ministero dell’Interno Prefettura di Reggio Calabria per l’acquisizione degli elementi di cui alla censurata informazione;
- della determinazione a firma congiunta del dirigente dell'area sei e del dirigente incaricato dell'area due del Comune di Aosta, con la quale si determina di revocare, per le motivazioni espresse nella premessa del provvedimento, con decorrenza 1 gennaio 2003, l’affidamento alla ditta "Pulizie Jonica di Praticò Maria" del servizio di pulizia degli uffici giudiziari, di cui al contratto rep. N. 14134 del Segretario Generale del 12/02/2001, di recedere, con la stessa decorrenza 1/01/2003, dal contratto rep. N. 14134 stipulato ad Aosta il 16/02/2001, registrato ad Aosta il 16.02.2001, stipulato con la menzionata ditta, con sede in Montebello Jonico (RC) fraz. Saline Joniche, Via Nazionale, tarv. I^, n. 36 – per l'appalto del suddetto servizio;
- del procedimento avviato dal Comune di Aosta tendente ad ottenere l'informazione poi trasmessa dalla Prefettura di Reggio Calabria;
- nonché di ogni ulteriore atto, connesso, presupposto e consequenziale;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Aosta;
Visto gli atti tutti della causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 21 gennaio 2004, relatore il Consigliere Maddalena Filippi, nessuno comparso per la ditta ricorrente e l’avv. Valdo Azzoni per l’amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1. – Con il ricorso in epigrafe la ditta Pulizie Jonica – aggiudicataria della licitazione privata indetta dal Comune di Aosta per l’affidamento del servizio di pulizia dei locali del Palazzo di Giustizia e degli uffici distaccati del Tribunale di Aosta, per il quinquennio 2001/2005 e per un importo mensile di €uro 4334,2 - impugna tutti gli atti del procedimento con cui lo stesso Comune di Aosta ha disposto, con decorrenza 1° gennaio 2003, la revoca del servizio e il contestuale recesso dal contratto stipulato con la ditta ricorrente in data 12 febbraio 2001.
Con il ricorso viene impugnata inoltre l’informativa resa dalla Prefettura di Reggio Calabria, prot. n. 567/2001/Ing. Gab. I del 2 luglio 2002, assunta a fondamento della revoca.
La ricorrente espone in fatto quanto segue.
In data 26 giugno 2001 – successivamente alla stipulazione del contratto per l’affidamento del servizio di pulizia - il Comune di Aosta ha chiesto alla Prefettura di Reggio Calabria, con riguardo alla ditta ricorrente e alla sua titolare, “le informazioni previste dall’art. 10 D.P.R. n. 252/1998, “circa la sussistenza delle cause di divieto, sospensione e decadenza indicate nell’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni, nonché di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa”.
Oltre un anno dopo tale richiesta, in data 2 luglio 2002, la Prefettura ha informato che “dalle notizie acquisite, è emerso che le vicende penali dell’interessata e del familiare convivente, nonché la vicinanza di quest’ultimo ad una nota cosca mafiosa operante sul territorio, fanno emergere elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa da parte di soggetti in grado di poter determinare in qualsiasi modo le scelte e gli indirizzi dell’attività economica gestita dall’interessata, pur non sussistendo le cause di divieto, di decadenza o di sospensione previste dall’art. 10 della legge 575/65 e successive modifiche ed integrazioni”.
In data 4 settembre 2002 – nonostante la richiesta di riesame presentata dalla titolare della ditta ricorrente che aveva evidenziato come il proprio marito, con sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria n. 414/01 del 9.11.01-17.05.02, fosse stato assolto dalle accuse contestate con la formula “per non aver commesso il fatto” – la Prefettura ha confermato l’informazione già rilasciata.
Alla ulteriore richiesta presentata dalla titolare della ditta ricorrente – che aveva trasmesso altra documentazione, rilevando come l’esistenza di un diverso procedimento penale (per estorsione, aperto della Procura di Catanzaro), nel quale la stessa titolare e il proprio marito risultavano implicati, non rientrasse tra gli elementi valutabili ai fini della determinazione prefettizia – la Prefettura ha risposto comunicando di aver già provveduto al riesame dell’informazione.
In data 26 settembre 2002 il Comune di Aosta ha adottato il provvedimento di revoca dell’affidamento del servizio, e di recesso dal contratto con decorrenza 1° gennaio 2003 che la ditta ricorrente ha impugnato davanti al T.A.R. Calabria.
Con decisione n. 3438/2003 in data 15 aprile 2003 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso per regolamento di competenza proposto dal Comune di Aosta, dichiarando la competenza del TAR della Valle d’Aosta.

2. – A sostegno dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati, si deducono le censure di eccesso di potere e di violazione, sotto diversi profili, degli artt. 10 e 11 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.

3. – Il Comune di Aosta – costituitosi in giudizio – sostiene l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto.

DIRITTO

1. – Oggetto dell’impugnativa è la legittimità del provvedimento con cui il Comune di Aosta ha disposto la revoca del servizio di pulizia degli uffici giudiziari affidato alla ditta ricorrente e il contestuale recesso dal contratto stipulato con la stessa.
La motivazione del provvedimento impugnato si fonda sull’informativa negativa – pure oggetto di impugnazione - resa dalla Prefettura di Reggio Calabria.

2. – Il ricorso non è fondato.

3. Con un primo gruppo di censure si lamenta l’illegittimità della revoca del servizio per violazione degli artt. 10 e 11 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.

3.a – Sotto un primo profilo, la ditta ricorrente sostiene che il valore del contratto oggetto di revoca sarebbe inferiore alla soglia stabilita dal legislatore ai fini dell’esercizio del potere di richiedere informazioni antimafia: trattandosi di affidamento di un servizio avente durata ultraquadriennale, il valore del contratto – da calcolarsi con riferimento all’importo mensile moltiplicato per quarantotto – sarebbe inferiore alla soglia indicata dall’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.
La censura non può essere condivisa.
Secondo quanto stabilito dal richiamato art. 10, le amministrazioni sono tenute ad acquisire le informazioni antimafia quando il valore di un contratto sia “pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture”: ai sensi dell’art. 4, comma 5, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 – con cui è stata data attuazione alla direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi – il riferimento al metodo di calcolo indicato dalla ditta ricorrente (la moltiplicazione dell’importo mensile per quarantotto) è previsto dal legislatore nel solo caso di “appalti in cui non sia determinato il prezzo complessivo”. Tale ipostesi nella specie non ricorre perché, come risulta dagli atti, il bando di gara per l’affidamento del servizio di pulizia prevedeva espressamente il valore complessivo dell’appalto quantificando la relativa spesa in lire 459.133.200 (al netto dell’IVA), importo certamente superiore alla soglia fissata dal legislatore ai fini dell’applicazione dello stesso decreto legislativo n. 157 del 1995, il cui art. 1 fa riferimento ad un “valore di stima, al netto dell'IVA, al momento della pubblicazione del bando … uguale o superiore al controvalore in euro di 200.000 diritti speciali di prelievo” (corrispondente a lire 414.993.004, secondo il controvalore indicato nella direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le Politiche Comunitaria in data 17 dicembre 1999).
In ogni caso deve ritenersi che l'Amministrazione ha comunque la facoltà di assumere le informazioni antimafia anche fuori delle ipotesi in cui esse sono obbligatorie.

3.b – Sotto altro profilo si sostiene che il potere di richiedere informazioni alla Prefettura può essere esercitato solo prima e non – come è avvenuto nella specie - dopo la stipulazione del contratto.
Ad escludere la fondatezza della censura è sufficiente il richiamo all’art. 11 del d. lgs. n. 157 del 1995 che consente il recesso dal contratto “anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto”.
Né può ritenersi, come si sostiene con la censura, che tale disposizione vada interpretata nel senso che la facoltà di revoca non sarebbe consentita quando – come è avvenuto nella specie - l’Amministrazione non si sia attivata per richiedere le informazioni prima della stipulazione del contratto: in assenza di un puntuale riferimento in tal senso contenuto nella disposizione e considerate le finalità perseguite dal legislatore – che mira a difendere l’intero sistema economico-produttivo dall’aggressione delle organizzazioni mafiose (Cons. St., Sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4065) – deve ritenersi che la facoltà di revoca prevista dal comma
3 dell’art. 11 del D.P.R. n. 252 del 1998 sia subordinata alla sola circostanza che, successivamente alla stipulazione del contratto, siano stati accertati elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa.

3.c – Ancora, si lamenta la violazione dello stesso articolo 11 del D.P.R. n. 252 del 1998, sotto il profilo del mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dal comma 1 di tale disposizione, perché il periodo intercorso tra la richiesta di informazioni (presentata il 25 luglio 2001) e il rilascio delle stesse da parte della Prefettura (avvenuto il 2 luglio 2002), sarebbe di gran lunga superiore a tale termine, con il conseguente “consolidamento del diritto dell’imprenditore alla regolare conclusione del contratto”.
Anche a prescindere dal rilievo che la disposizione invocata individua il termine a quo della decorrenza dei trenta giorni non nella data della richiesta di informazione, ma nella diversa e successiva data di comunicazione da parte della Prefettura della particolare complessità della verifica, va in ogni caso sottolineato come la natura meramente sollecitatoria del termine risulti con evidenza dalla mancanza di una espressa sanzione di decadenza. Del resto, con riguardo agli analoghi termini di quindici e trenta giorni previsti per la trasmissione delle informazioni alle amministrazioni da parte del Prefetto, ai sensi dell’art. 4 del d. lgs. 8 agosto 1994, n. 490, la giurisprudenza ha sottolineato come si tratti di termini "che, al pari di quelli previsti in via generale dalla legge sul procedimento amministrativo, hanno carattere chiaramente acceleratorio ed il loro decorso non determina né il venir meno del potere amministrativo, né l’illegittimità dell’atto e del conseguente provvedimento adottato sulla base delle predette informazioni" (T.A.R.Campania, III, 4/4/2002, n.1861).
Quanto poi alla lamentata mancata valutazione discrezionale dell’informazione negativa da parte dell’amministrazione comunale, che avrebbe così “abdicato” al proprio potere decisionale, è sufficiente richiamare l’orientamento giurisprudenziale – ampiamente riportato nella motivazione del provvedimento di revoca del servizio – ai sensi del quale “non è configurabile, secondo canoni di buona amministrazione, un potere discrezionale della stazione appaltante in funzione di contrasto alla criminalità organizzata; pertanto la stazione appaltante, una volta ricevuta l’informativa c.d. negativa, deve procedere alla revoca dell’aggiudicazione ” (T.A.R. Campania – Napoli, I, 17 aprile 2000, n. 1076).

4. – Con riguardo al secondo provvedimento impugnato - l’informazione negativa resa dalla Prefettura - la ditta ricorrente ne lamenta l’illegittimità per difetto dei presupposti: nel caso di specie non vi sarebbero vicende penali sintomatiche della contiguità mafiosa o della vicinanza ad ambienti di criminalità organizzata; in particolare, come dimostrato dalle risultanze processuali fornite dalla titolare della ditta ricorrente, non sussisterebbero quelle circostanze “sufficienti e concordanti” che, anche alla luce delle indicazioni contenute nelle circolari emanate dal Ministero dell’Interno, consentono di ritenere accertati gli “elementi relativi a infiltrazioni mafiose” (che, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.P.R. n. 252 del 1998, costituiscono il contenuto dell’informazione negativa).
Non v’è dubbio che, come si deduce nel ricorso, il marito della titolare della ditta Pulizie Jonica e procuratore della ditta medesima, sia stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste" nel procedimento che lo vedeva imputato per i reati di turbativa d’asta (art. 353 c.p.) e di associazione per delinquere (416 c.p.) finalizzata all’accaparramento di appalti nel settore delle pulizie presso la pubblica amministrazione.
Va però rilevato che – come si legge nella motivazione della sentenza di assoluzione del Tribunale di Reggio Calabria n. 414/01, del 9.11.01-17.05.02 – il giudice penale, in sede di ricostruzione dei fatti, ha accertato una serie di circostanze che, se ritenute insufficienti a pervenire ad una affermazione di responsabilità penale con riguardo al marito dell’interessata (e procuratore della ditta ricorrente), sono state invece ritenute sufficienti ad affermare che il comportamento di questi, per quanto “non punibile”, rientra tuttavia “nell’ambito della programmazione criminosa”, (v. pag. 150 della sentenza).
In relazione a tale profilo – e tenuto conto che la richiamata sentenza è stata pubblicata il 17 maggio 2002, dunque prima del rilascio dell’informazione impugnata, resa dalla Prefettura il successivo 2 luglio - deve ritenersi che sussistano quegli specifici elementi di fatto che, pur in assenza di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per provare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo mafioso, sono comunque obiettivamente sintomatici e rilevatori di concreti tentativi di infiltrazione mafiosa.
Per gli stessi motivi è quindi infondato anche il profilo della censura con cui si lamenta la mancata valutazione, da parte della Prefettura, delle risultanze processuali che la titolare della ditta ricorrente ha prodotto per dimostrare l’assenza di procedimenti penali rilevanti ai fini dell’accertamento di un pericolo di infiltrazione mafiosa.

5. – Il ricorso va dunque respinto
Quanto alle spese e alle competenze di giudizio, sussistono giusti motivi per disporne l’integrale compensazione tra le parti.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.
Compensa interamente tra le parti le spese e le competenze del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Così deciso in Aosta, nella Camera di Consiglio del 21 gennaio 2004 dal Tribunale Amministrativo regionale della Valle d’Aosta.
Antonio GUIDA – Presidente f.to
Maddalena FILIPPI – Consigliere estensore f.to
Depositata in Segreteria in data 20 febbraio 2004.

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