T.A.R. LAZIO, SEZ. II - sentenza 1 marzo
2004 n. 1844
Pres. La Medica, Est. Giordan
Associazione Operatori Beni Culturali ed altre associazioni di categoria (Avv.
Mannucci e Valeri) c. Ministero per i beni e le attività culturali;
1. E’ illegittimo il D.M. 24 ottobre 2001 n.420 laddove prevede tra i requisiti richiesti, che l’impresa partecipante debba avere come oggetto esclusivo l’esecuzione dei soli lavori contemplati nel D.M. in quanto, se da un lato appare condivisibile la “ratio” che tende ad assicurare un maggior livello di preparazione e specializzazione delle imprese operanti nel settore, dall’altro deve riconoscersi che un eccessiva specializzazione delle medesime non giova affatto al mercato perché deprime la concorrenza e costringe irragionevolmente i soggetti interessati a limitare il proprio campo d’azione ad un settore che ben può costituire un segmento qualificato ed importante di una più vasta e complessiva attività aziendale.
2. Sono illegittime le disposizioni regolamentari che prevedono di ancorare alla data di entrata in vigore del D.M., il possesso dei prescritti requisiti di restauratore e di collaboratore restauratore, in quanto esse penalizzano in maniera rilevante non solo coloro che non abbiano maturato i requisiti richiesti, ma anche le imprese alle cui dipendenze essi lavorano, precludendo agli interessati di entrare in possesso del requisito di qualificazione, ove non ne risultino già dotati alla data di entrata in vigore della nuova disciplina regolamentare. Del resto appare più rispondente ad un criterio di giustizia sostanziale la previsione di un adeguato periodo transitorio al fine di consentire a chi fosse già impegnato nell’attività finalizzata alla maturazione dei requisiti necessari per il conseguimento della qualifica di interesse, il completamento del percorso professionale già iniziato alla data di cui trattasi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
DEL LAZIO
SEZIONE SECONDA
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 1580/2002 proposto da
A.O.B.C. - ASSOCIAZIONE OPERATORI BENI CULTURALI , ASSOCIAZIONE NAZIONALE RESTAURATORI BENI LIBRARI E ARCHIVISTICI, SO.V.ED. S.p.A., LEPSA s.r.l., P.T. COLOR s.r.l., GIUSEPPE SILVESTRINI s.r.l., VALOPPI s.r.l., A.L.E.S.S. – ARREDAMENTI LAVORI EDILI STRADALI SCAVI s.r.l., RAREM RESTAURI E APPALTI s.r.l., DITTA INDIVIDUALE RAIMONDO MILIO, DITTA INDIVIDUALE ERCOLE LELLI, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Federico Mannucci e Valerio Valeri, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via G. D. Romagnosi n. 20;
c o n t r o
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è per legge domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
per l’annullamento
in parte qua del decreto 24 ottobre 2001, n.420 (G.U. n.280 del 1/12/2001) portante
“Regolamento recante modificazioni e integrazioni al Decreto del Ministro
per i beni e le attività culturali 3 agosto 2000, n. 294, concernente
individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori
di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni
architettonici.”
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Vista la memoria prodotta dalle ricorrenti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, per la pubblica udienza del 25 giugno 2003, il Consigliere Francesco
Giordano;
Uditi preliminarmente l’avv. S. Durante su delega dell’avv. F. Mannucci
per la ricorrente e l’avv. dello Stato Tortora per l’amministrazione
resistente;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Le ricorrenti sono associazioni di categoria
ed imprese ad esse aderenti, che operano nel settore dei beni di interesse storico,
artistico, architettonico ed archeologico.
Il Ministero intimato -in attuazione dell’art. 8 comma 11 sexies della
legge n. 109/94 (legge Merloni), che ha demandato al Ministro per i Beni e le
Attività Culturali, sentito il Ministro dei Lavori Pubblici, l’individuazione
dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro
e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici-
aveva adottato con D.M. n. 294/2000 il Regolamento concernente l’individuazione
dei detti requisiti di qualificazione.
Tale decreto è stato impugnato dinanzi a questo Tribunale il quale, con
ordinanza della Sezione II n. 920 dell’8 febbraio 2001, ha accolto l’istanza
cautelare ordinando un riesame motivato delle disposizioni regolamentari oggetto
di contestazione.
E’ stato, quindi, emanato il D.M. specificato in epigrafe il quale, a
detta delle ricorrenti, presenta molteplici profili di illegittimità
e si rivela palesemente inidoneo a perseguire quella che dovrebbe essere la
finalità delle norme di qualificazione.
Le interessate, pertanto, ritenendosi fortemente penalizzate, in quanto la disciplina
introdotta da tale ultimo provvedimento, di fatto, le priva dell’idoneità
ad eseguire i lavori in questione, rientranti nella categoria OS2 del D.P.R.
n. 34/2000 (superfici decorate e beni mobili di interesse storico ed artistici),
impugnano il decreto ministeriale specificato in epigrafe, prospettando a suo
carico i seguenti vizi:
Analoghe considerazioni vanno riferite anche alla figura del
restauratore, dal momento che, anche nelle ipotesi previste dal comma 2°
dell’art. 7 del D.M. n. 294/2000 (come modificato dall’art. 3 del
D.M. n. 420/2001), il possesso dei requisiti richiesti viene correlato alla
data di entrata in vigore del regolamento.
In una successiva memoria le ricorrenti hanno espresso alcune brevi considerazioni
sulle censure dedotte in ricorso, alla luce del parere formulato sul contestato
D.M. dall’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici, insistendo
per l’accoglimento della proposta impugnativa.
Con sentenza interlocutoria n. 2342 del 18 marzo 2003, la Sezione ha disposto
un incombente istruttorio ritenuto necessario ai fini del decidere.
D I R I T T O
Il ricorso è fondato nei termini di seguito
precisati.
La prima questione che le ricorrenti pongono all’attenzione del Collegio
è quella che concerne la disciplina del requisito dell’idoneità
organizzativa, recata dall’art. 1 del decreto ministeriale n. 420/2001,
a modifica ed integrazione dell’art. 5 del precedente decreto del Ministro
per i beni e le attività culturali n. 294 del 2000.
Sostengono le istanti che la disposizione del comma primo del menzionato articolo
è radicalmente illegittima, in quanto rapporta all’organico complessivo
dell’impresa il numero di restauratori e collaboratori richiesti per la
sussistenza del menzionato requisito speciale di qualificazione.
La norma sarebbe profondamente illogica, perché riposerebbe sull’errato
convincimento che l’impresa possa e debba avere come oggetto esclusivo
l’esecuzione dei soli lavori contemplati dal censurato decreto n. 294/2000.
La doglianza coglie nel segno.
Recita testualmente la richiamata disposizione, nell’attuale stesura:
“Le imprese con più di quattro addetti devono avere una adeguata
idoneità organizzativa dimostrata dalla presenza di restauratori …
in numero non inferiore al venti per cento dell’organico complessivo,
e dalla presenza di collaboratori restauratori di beni culturali … in
numero non inferiore al quaranta per cento del medesimo organico.”
Ora, se appare pienamente condivisibile la ratio che sottende la riportata prescrizione,
la quale va individuata nell’intendimento del legislatore di assicurare,
nella delicata materia del restauro e della manutenzione dei beni mobili e delle
superfici decorate di beni architettonici, un maggior livello di preparazione
e specializzazione delle imprese operanti nel settore, al fine di salvaguardare
il patrimonio storico-artistico e culturale esistente e di garantirne la conservazione,
deve, tuttavia, convenirsi sul “rischio che un’eccessiva specializzazione
delle imprese, indotta dai parametri regolamentari, possa incidere in misura
considerevole sull’esistenza di imprese organizzate in più rami
(anche nello stesso settore quale quello del restauro e manutenzione di beni
immobili e degli scavi archeologici), e, quindi, con una comprovata esperienza
anche in tale categoria di lavorazioni …” (cfr. parere dell’Autorità
per la vigilanza sui lavori pubblici, pag. 6, trasmessa con nota ministeriale
del 7 agosto 2002, prot. n. 56133).
Vero è che le modifiche introdotte al D.M. n. 294/2000 dall’art.
1 del D.M. n. 420/2001, con la riduzione dal cinquanta al quaranta per cento
dei collaboratori restauratori di beni culturali, di cui necessita l’impresa
per dimostrare il possesso del requisito dell’idoneità organizzativa,
perseguono l’obiettivo di ampliare la platea delle imprese che possono
chiedere ed ottenere la qualificazione, giacché tendono a consentire
anche a quelle che non svolgono in via esclusiva i lavori di cui trattasi, di
espletare l’attività propria del settore di riferimento.
Peraltro, deve ritenersi che neppure la più recente e meno rigorosa disciplina
appare in grado di eliminare la rilevante incidenza che la regolamentazione
in argomento esercita sulla posizione degli operatori già presenti sul
mercato, con tutti gli inevitabili effetti negativi che si determinano con riguardo
al principio della concorrenza, atteso che, verosimilmente, non poche ditte
saranno costrette ad adeguare i propri organici ai nuovi parametri, mentre,
invece, molte altre, persino quelle dotate di un’alta specializzazione
e di una comprovata esperienza nel campo del restauro e della manutenzione dei
beni culturali ed ambientali, rischieranno di rimanere estromesse dal ristrettissimo
novero di imprese che risulteranno legittimate a partecipare alle gare di appalto
che verranno indette per l’affidamento dei lavori in questione.
Deve, dunque, riconoscersi che un’eccessiva specializzazione delle imprese
non giova affatto al mercato, perché deprime la concorrenza e costringe
irragionevolmente i soggetti interessati a limitare il proprio campo d’azione
ad un settore che, pur essendo caratterizzato da particolare competenza ed elevata
professionalità, ben può costituire un segmento qualificato ed
importante di una più vasta e complessiva attività aziendale.
Quanto agli ulteriori rilievi rubricati nell’ambito del primo capo di
domanda, osserva il Collegio che soltanto in alternativa a quanto stabilito
nel primo comma dell’art. 5, il secondo comma dello stesso articolo prevede
che l’idoneità organizzativa dell’impresa possa essere dimostrata
con riferimento al costo complessivo sostenuto per le qualifiche di restauratore
e di collaboratore restauratore di beni culturali, nelle fissate percentuali
dell’importo dei lavori realizzati nel quinquennio antecedente la data
di sottoscrizione del contratto con la società organismo d’attestazione.
Posto, per incidens, che non sembra effettivamente congruo prendere in considerazione
i soli costi sostenuti per i restauratori ed i collaboratori restauratori dipendenti,
senza includere nel computo finale anche quelli relativi ai collaboratori in
forma coordinata e continuativa -quanto meno in una ragionevole percentuale
che non si ponga come incentivo a stipulare contratti, al solo fine di aumentare
il numero degli specialisti per ottenere la qualificazione (cfr. parere Ministero
LL.PP.- Uff. Studi e Legislazione in data 8/5/2001, pag. 3)- deve perciò
ritenersi che sia comunque garantita alle ditte ricorrenti, le quali dichiarano
di aver già sottoscritto il contratto con la S.O.A., la possibilità
di conseguire il riconoscimento del requisito dell’idoneità organizzativa,
prescindendo dal criterio del costo complessivo e dal riferimento ai lavori
realizzati nell’arco temporale, individuato dal legislatore nel quinquennio
antecedente la data di sottoscrizione del menzionato contratto.
Va, al contrario, condivisa la perplessità da ultimo evidenziata dalle
istanti, con riguardo alla mancata indicazione, nel primo comma dell’art.
5, di un criterio temporale al quale ancorare stabilmente l’organico comprensivo
delle previste qualifiche, nelle misure percentuali per esse rispettivamente
stabilite, ancorché in questa sede ritenute ridondanti dal Collegio giudicante.
Prive di pregio si rivelano le censure rubricate nel secondo mezzo di gravame.
Lamentano le istanti che, laddove l’art. 6 del D.M. n. 294/2000, come
modificato dall’art. 2 del D.M. n. 420/2001, richiede all’impresa
di presentare “idonee referenze bancarie”, al fine di dimostrare
un’adeguata capacità economica e finanziaria, viene indicato uno
strumento probatorio alquanto generico ed indeterminato, che non consentirebbe
di individuare con esattezza e precisione né il contenuto, né
la portata del prescritto requisito.
Al riguardo, osserva il Collegio che tale elemento è espressamente contemplato
dalla lettera a) del richiamato art. 18, comma 2° del Regolamento (non impugnato),
approvato con D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, e va definito, proprio a dimostrazione
del requisito speciale dell’adeguata capacità economica e finanziaria,
alla luce di quanto prescritto nelle successive lettere b) e c) del predetto
comma 2°, nonché nei commi 3° e 4° del medesimo articolo,
con riferimento alle voci costituite dalla cifra di affari, per attività
diretta ed indiretta, e dal capitale netto risultante dall’ultimo bilancio
approvato.
Del pari non condivisibili devono ritenersi le doglianze rubricate nel terzo
punto di domanda, ove si consideri che la nozione di responsabilità diretta
nella gestione tecnica dell’intervento, richiesta per il conseguimento
della qualifica di restauratore dall’art. 7 del D.M. n. 294/2000, come
modificato dall’art. 3 del D.M. 420/2001, non va chiaramente intesa nel
suo stretto significato tecnico-giuridico, giacché è evidente
che non può farsi carico a chi esegue effettivamente il restauro, dei
rapporti e delle responsabilità che sono, sul piano giuridico, esclusivamente
riconducibili all’impresa assuntrice dei lavori.
Sembra, invece, plausibile che, con espressione non felice e comunque eccessiva
e non appropriata al fine, il concetto di responsabilità diretta sia
stato utilizzato per indicare soltanto la riferibilità dell’opera
al suo autore o esecutore materiale, nell’ottica esclusiva dell’abilità
tecnica e della capacità professionale dimostrate nella specifica circostanza.
Sicché, appare da condividere l’avviso dell’Autorità
per la vigilanza sui lavori pubblici, allorché, con riguardo alla responsabilità
diretta nella gestione tecnica dell’intervento, assume che la norma del
decreto non precluda la dimostrabilità dei lavori, eseguiti dalla singola
persona fisica all’interno dell’impresa (cfr. parere A.V., cit.,
pagg. 4 e 5).
Fondate, infine, si appalesano le censure dedotte nel quarto ed ultimo capo
di domanda.
Si sostiene l’illegittimità delle disposizioni regolamentari di
cui agli articoli 7 e 8 del D.M. n. 294/2000, nel testo vigente, laddove viene
ancorato alla data di entrata in vigore del decreto (comma 2°) il possesso
dei prescritti requisiti, sia per i restauratori di beni culturali che per i
collaboratori restauratori di beni culturali.
In effetti, le suddette statuizioni si rivelano illogiche e manifestamente ingiuste,
atteso che penalizzano in maniera rilevante non solo coloro che non abbiano
maturato i requisiti richiesti, ma anche le imprese alle cui dipendenze essi
lavorano, precludendo agli interessati di entrare in possesso del requisito
di qualificazione, ove non ne risultino già dotati alla data di entrata
in vigore della nuova disciplina regolamentare.
Sarebbe stata, quindi, vieppiù rispondente ad un criterio di giustizia
sostanziale la previsione di un adeguato periodo transitorio ovvero l’eliminazione
del riferimento al termine di entrata in vigore del decreto, proprio al fine
di consentire a chi fosse già impegnato nell’attività finalizzata
alla maturazione dei requisiti necessari per il conseguimento della qualifica
di interesse, il completamento del percorso professionale già iniziato
alla data di cui trattasi (cfr. parere A.V., cit., pagg. 4 e 6/7)
In effetti, il predetto limite temporale “pregiudicherebbe irrimediabilmente
coloro che sono in fase di formazione e non hanno maturato l’esperienza
richiesta alla data di entrata in vigore del decreto.” (cfr. parere del
Ministero dei LL. PP. – Ufficio Studi e Legislazione, in data 8 maggio
2001).
Conclusivamente, il ricorso si rivela fondato nei limiti sopra specificati e
va, conseguentemente, accolto in parte qua, con la caducazione per quanto di
ragione del decreto impugnato.
Circa le spese del giudizio, si ritiene equa l’integrale compensazione
delle stesse fra le parti in causa.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio,
Sezione seconda, accoglie in parte qua il ricorso meglio specificato in epigrafe
e, per l’effetto, annulla il decreto impugnato nei limiti risultanti dalle
considerazioni espresse in motivazione.
Spese compensate.
Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio, Sezione II, nella Camera di Consiglio del 25 giugno 2003,
con l’intervento dei signori Magistrati:
Domenico LA MEDICA Presidente
Francesco GIORDANO Consigliere rel. estensore
Francesco RICCIO Consigliere
IL PRESIDENTE IL CONSIGLIERE ESTENSORE