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T.A.R. LAZIO, ROMA - SEZ. II Bis, sentenza 9 gennaio 2004 n .67
Pres. Giulia, Est. Conti Ric. Pecorella ed altri contro Comune di Pomezia

1. Edilizia e urbanistica - domanda di concessione in sanatoria – silenzio – impugnazione - diffida ex art. 25 dpr 3/57 – necessità - esclusione.

2. Edilizia e urbanistica - domanda di concessione in sanatoria – silenzio - Procedimento accelerato ex art.21 bis L.1034/71 – applicabilità.

1. Nei procedimenti di rilascio concessione edilizia in sanatoria (art. 13 L. 47/1985), il silenzio serbato dall’amministrazione per 60 giorni, decorsi i quali la richiesta si intende respinta, e’ impugnabile al fine di ottenere un provvedimento espresso, senza la procedura di diffida prevista d all’art. 25 del D.P.R 10.1.1957 n. 3, trattandosi di silenzio i cui effetti (il diniego) sono predeterminati dalla legge.

2. Lo speciale rito processuale di cui all’art.21 bis della legge n.1034/1971 (decisione in camera di consiglio con ordine di provvedere entro 30 giorni) è applicabile anche nei casi in cui il silenzio sostanzi un provvedimento implicito di diniego, in quanto il legislatore si riferisce al “silenzio” in modo generico, senza ulteriori qualificazioni, di talchè non assume rilevanza la qualificazione del silenzio come rifiuto, diniego ovvero rigetto(nel caso di specie, il Giudice ha ordinato di provvedere entro 30 giorni su una istanza di sanatoria edilizia).

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BREVE OSSERVAZIONE

All’indomani di un provvedimento tacito di diniego, impugnabile per il proprio contenuto negativo, cioe’ per il rigetto della domanda, e’ anche esperibile un’azione avverso il silenzio, per ottenere una pronuncia (negativa) espressa. In tal modo, mentre impugnare un diniego tacito e’ problematico, dovendo il ricorrente immaginare i motivi del diniego (e quindi dimostrare l’assoluta compatibilita’ del progetto rispetto alla pianificazione), se si ottiene un provvedimento esplicito di rigetto, che individui le norme che impediscono il rilascio della concessione edilizia, e’ piu’ agevole la tutela giudiziaria. Il suggerimento che si trae dalla sentenza e’ che quindi, una volta decorso il termine di 60 giorni, vi sono due vie: l’impugnazione del diniego (al buio) oppure la richiesta di un provvedimento esplicito, nei cui confronti e’ piu’ agevole tutelarsi. Impugnando il silenzio si perde un poco di tempo in piu’, ma l’amministrazione e’ costretta a scoprire le proprie carte ed a chiarire il perche’ del diniego, agevolando il ricorso oppure acquietando il richiedente con una motivazione inattaccabile.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
Sezione Seconda bis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 9824/2003 proposto da

PECORILLA Gianpaolo e DEL PIANO Rossana, rappresentati e difesi dall’avv. Lucio Leoni e domiciliati ex lege (art. 35, secondo comma R.D. 26.6.1924 n. 1054) presso la Segreteria di questo T.A.R..

CONTRO

il Comune di POMEZIA, in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Sabrina Resta e domiciliato ex lege (art. 35, secondo comma R.D. 26.6.1924 n. 1054) presso la Segreteria di questo T.A.R.. .

PER L'ANNULLAMENTO

del silenzio-rigetto formatosi sull’istanza di concessione edilizia in sanatoria presentata ai sensi dell’art.13 della Legge n. 47/1985 in data 16.4.2003 , prot. com. n. 16903, relativamente ad opere eseguite in parziale difformità dalla concessione edilizia, con conseguente obbligo del Comune di Pomezia a pronunciarsi espressamente sull’istanza; nonché di ogni altro atto ad esso connesso, presupposto e/o consequenziale.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione in giudizio del Comune di Pomezia;
Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla camera di consiglio del 20 novembre 2003 il consigliere Renzo Conti;
Uditi, altresì, gli avv.ti A. Tavarnese (su delega) e l’avv. L. Ruggeri ( su delega);
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Con il ricorso in trattazione, notificato il 12 settembre 2003 e depositato il successivo 10 ottobre, parte ricorrente espone:
- di essere proprietaria di un immobile sito nel Comune di Pomezia, località Tenuta Crocetta, Via Dipilo n. 3, realizzato in virtù di concessione edilizia, secondo le previsioni del progetto di lottizzazione convenzionato relativo al “Comprensorio G2-Zona M1, località Tenuta Crocetta” del 5.1.1990, per Notar Mario Scattone, rep. n. 36579/5519;
- che in data 3.3.2003 il Comune di Pomezia notificava all’istante ordinanza n. 38 del 27.2.2003 di demolizione e rimessione in pristino di alcune opere ritenute in contrasto con la concessione edilizia;
- che, in data 16.4.2003, prot. comunale n. 16903, presentavano presso il Comune di Pomezia istanza di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/85, in merito alla quale, però, l’Amministrazione illegittimamente rimaneva silente per i 60 giorni previsti dalla medesima norma;
- che, conseguentemente, deve ritenersi formato il silenzio-rigetto sulla proposta istanza.

Ciò esposto impugnano il predetto silenzio-rigetto, deducendo al riguardo i seguenti motivi di gravame, così dai medesimi ricorrenti paragrafati:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto di istruttoria;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della legge n. 47/1985; violazione e falsa applicazione del principio del giusto procedimento; difetto assoluto di istruttoria;
3) eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.

Si è costituito per resistere il Comune di Pomezia, il quale ha opposto l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del gravame. La causa è stata, quindi, chiamata e posta in decisione alla camera di consiglio del 20 novembre 2001, secondo il nuovo rito di cui all’art.21 bis della legge n.1034/1971 introdotto dalla legge n.205/2000.

DIRITTO

Il ricorso è diretto contro il silenzio-diniego serbato dal Comune di Pomezia sulla domanda di concessione edilizia presentata, in data 16.4.2003 (prot.n. 16903), dall’odierna ricorrente ai sensi dell’art. 13 L. 28.2.1985 n. 47.
Giova preliminarmente precisare che, come si è espressa l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n.1 del 9.1.2002 (cfr.C.d.S., V, 10.4.2002), condivisa dal collegio, il giudizio avente ad oggetto il “silenzio” dell’amministrazione, quale oggi disciplinato dall’art.21 bis della legge 6.12.1971 n.1034, aggiunto dall’art.2 della legge 21.7.2000 n.205, è volto ad accertare unicamente la violazione dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere sull’istanza di un soggetto tendente a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere; con la conseguenza che resta estranea al predetto giudizio la conoscibilità della fondatezza della pretesa sostanziale.
Ciò nella considerazione che nello speciale rito processuale introdotto dal richiamato art.21 bis i poteri del giudice sono compiutamente definiti nei limiti di cui sopra. Dispone, infatti, il secondo comma di detto articolo che, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, “il giudice amministrativo ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni” e che, in caso di inadempienza “su richiesta di parte, nomina un commissario ad acta che provveda in luogo della stessa”. Ciò premesso, il ricorso è fondato.
Al riguardo il collegio osserva che l’art. 13 della legge n. 47/1985 consente al responsabile dell’abuso edilizio di chiedere la concessione edilizia in sanatoria, qualora l’opera realizzata sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della domanda. Alla facoltà di sanatoria postuma, riconosciuta al privato, corrisponde l’obbligo del Comune di adottare un provvedimento esplicito.
Prescrive, infatti, il menzionato art. 13 che “sulla richiesta di concessione o autorizzazione in sanatoria il sindaco si pronuncia entro sessanta giorni “ed aggiunge che trascorso detto termine” la richiesta si intende respinta”, ma tale ultima previsione, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa comunale, non fa venir meno la violazione dell’Amministrazione dell’obbligo di provvedere.
La qualificazione legale tipica del comportamento omissivo del Sindaco - che rende conseguentemente superflua la sua ulteriore formalizzazione mediante il procedimento di cui all’art. 25 del D.P.R 10.1.1957 n. 3 - costituisce, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del comune resistente, il presupposto per l’immediata tutela avanti al giudice amministrativo onde ottenere la declaratoria dell’obbligo di pronunciarsi espressamente in ordine alla conformità o meno alla vigente regolamentazione urbanistico-edilizia delle opere realizzate in difetto o difformità rispetto del prescritto titolo abilitativo.
La sussistenza di una posizione differenziata di interesse legittimo alla conclusione, con un’esplicita determinazione del procedimento di sanatoria degli abusi edilizi disciplinato dall’art. 13 della legge n. 47/1985, è avvalorata dalla sopravvenuta disciplina dettata dall’art. 2 della legge 7.8.1990 n. 241. E’ noto che detta disposizione stabilisce che, sia nell’ipotesi di procedimento iniziato d’ufficio, che in quello attivato su istanza di parte, “la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo con un provvedimento espresso”. Ciò comporta, sul piano processuale, la possibilità del privato di tutelare l’interesse all’adozione dell’atto conclusivo del procedimento, al fine di ottenere una pronuncia che accerti la violazione di tale dovere e che ponga a carico all’Amministrazione l’obbligo specifico di pronunciarsi.
Nel caso in esame l’odierna parte ricorrente ha dimostrato (v. documenti depositati all’atto della proposizione del ricorso) l’avvenuta presentazione in data 16.4.2003 (prot.n. 16903), della domanda di concessione edilizia, sulla quale il Comune di Pomezia non ha provveduto esplicitamente.
Alla stregua delle considerazioni di cui sopra risultano, pertanto, fondate le censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 13 della legge 28.2.1985 n.47 e dell’art. 2 della legge 7.8.1990 n. 241 nel senso sopra precisato. Né risultano fondate le eccezioni di inammissibilità, proposte dalla difesa del Comune resistente.
Quanto alla omessa formalizzazione del silenzio attraverso il procedimento di cui all’art. 25 del D.P.R 10.1.1957 n. 3, si è già in precedenza evidenziato che tale procedimento, nella specie, non è necessario, trattandosi di silenzio i cui effetti (il diniego) sono predeterminati dalla legge.
Quanto alla circostanza che il silenzio di cui trattasi costituirebbe un provvedimento implicito di diniego, rispetto al quale non sarebbe esperibile lo speciale rito processuale di cui all’art.21 bis della legge n.1034/1971 introdotto dalla legge n.205/2000, l’eccezione è infondata, in quanto il legislatore, nella citata disposizione, si riferisce al “silenzio”, senza ulteriori qualificazioni, con la conseguenza che, al riguardo, non assume rilevanza la qualificazione del silenzio come rifiuto, diniego ovvero rigetto.
Quanto alla tardività dell’impugnazione, l’eccezione è parimenti infondata, dovendosi tener conto della sospensione dei termini processuali per il periodo feriale dal 1° agosto al 15 settembre. Né può ritenersi che la specialità del rito renda inapplicabile detta sospensione, atteso che le eccezioni a tale regola sono tassative (cfr. Cons.St., V, 12.4.2001 n. 2277) e non riguardano la fattispecie in esame.
In conclusione e per quanto sopra argomentato il ricorso va accolto e, per l’effetto, va annullato il silenzio-diniego impugnato e va dichiarato l’obbligo del Comune intimato di concludere, con un provvedimento espresso, il procedimento iniziato con l’istanza presentata dagli odierni ricorrenti il 16.4.2003, entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione, se anteriore.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio, ivi compresi diritti ed onorari.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez.II bis ,definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9824/2003 indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato silenzio-diniego e dichiara l’obbligo del Comune di Pomezia di concludere, con un provvedimento esplicito, il procedimento iniziato con la domanda del 16.4.2003, entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione, se anteriore.
Spese, diritti ed onorari, compensati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2003, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei signori magistrati: Patrizio GIULIA - Presidente Gabriella DE MICHELE - Consigliere Renzo CONTI - Consigliere, estensore

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