TAR LAZIO, ROMA, SEZ. II BIS - Sentenza 23 febbraio
2004 n. 1669
Pres. Giulia, Est. De Michele.
RIC. SUPERMERCATI PAM S.p.A. contro Comune di Monterotondo -
Commercio ed industria - Rapporti con la pianificazione urbanistica - Indicazione tipologia di vendita e superficie in sede di p.r.g. - Illegittimità.
1. L'individuazione, in sede di piano di lottizzazione, di un centro commerciale già implica l'avvenuto esame delle esigenze infrastrutturali del sito.
2. Nei centri storici, in base alla L. Reg. Lazio 33/99, le caratteristiche dei locali commerciali debbono essere armonizzate con le esigenze di decoro ambientale.
3. Elementi di programmazione commerciale, svincolati da precise esigenze urbanistiche, esulano dal contenuto del p.r.g. e costituiscono indice di sviamento di potere.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo regionale
per il Lazio
Sez.II Bis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3507/03 proposto da
SUPERMERCATI PAM s.p.a., rappresentata e difesa dagli Avvocati Giuseppe e Leonardo Lavitola ed elettivamente domiciliata presso gli stessi in Roma, via Costabella, 23;
contro
IL COMUNE DI MONTEROTONDO, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. R. Ciotti ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via Monte delle Gioie, 28;
per l'annullamento
della delibera consiliare n. 126 del 9.12.2002, pubblicata il 4.2.2003, concernente
adozione di variante alle N.T.A. al P.R.G., in attuazione dell’art. 22
della legge regionale n. 33 del 18.11.1999, in tema di disciplina relativa al
settore del commercio, nonché di ogni atto connesso e consequenziale,
ivi inclusa la nota comunale n. prot. 2992 del 28.1.2003, nella quale si formalizza
l’impossibilità di attivare nella struttura di cui trattasi la
vendita di prodotti alimentari;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;
Viste le memorie depositate dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 30 ottobre 2003, il Consigliere G. De Michele
e uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza in data odierna;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso l’impugnativa in esame, notificata
il 26.3.2003, la società Supermercati PAM s.p.a. impugna la delibera
consiliare (n. 126 del 9.12.2002, pubblicata il 4.2.2003) di adozione di variante
alle N.T.A. al P.R.G. vigente, in attuazione dell’art. 22 della legge
regionale n. 33 del 18.11.1999, in tema di disciplina relativa al settore del
commercio, nella parte in cui (art. 8, comma 2) viene consentito l’insediamento
di “grandi strutture di vendita, limitatamente ad una superficie massima
i mq. 5.000, per la vendita di soli prodotti non alimentari.
La predetta determinazione – e la successiva nota n. 2992 del 28.1.2003,
a sua volta impugnata, con cui si comunica l’impossibilità di autorizzare
una rivendita di generi alimentari – appaiono lesive degli interessi della
ricorrente, che aveva acquisito la disponibilità di locali commerciali,
in via di realizzazione nella zona, a seguito di accordi con la società
proprietaria del terreno e che, in data 30.3.2000, aveva presentato istanza
di autorizzazione amministrativa per una grande struttura di vendita di circa
5.379 mq, con 2.500 mq circa destinati a “superstore”, ovvero a
rivendita di generi alimentari. Avverso le citate determinazioni comunali, oggetto
del ricorso in esame, vengono prospettati i seguenti motivi di gravame:
Il Comune di Monterotondo, costituitosi in giudizio,
sottolineava l’avvenuta adozione della variante impugnata in attuazione
dell’art. 22 della legge regionale n. 33/99, mentre non erano ancora concluse
le distinte istruttorie, avviate a seguito di richiesta di autorizzazione per
l’apertura di una grande struttura di vendita, da parte della società
supermercati PAM e di istanza di concessione edilizia, da parte della società
proprietaria dei terreni interessati.
Nessuna violazione sussisterebbe, inoltre, in ordine alla convenzione a suo
tempo stipulata, non essendo la tipologia merceologica oggetto della convenzione
stessa; la legge regionale n. 33/99, d’altra parte, racchiude in un unico
titolo le modalità di programmazione del commercio su aree private ed
i criteri di programmazione urbanistico-territoriale, con stretta connessione
tra le due fasi.
L’intero impianto del D.Lgs. n. 114/98, d’altra parte, sarebbe diretto
a semplificare e coordinare l’aspetto commerciale con quello urbanistico,
di modo che in un unico documento potrebbero essere ricompresse entrambe le
programmazioni, la cui inscindibilità (in caso di adozione dei piani
mediante atti separati) sarebbe comunque determinata dalla impossibilità
di ottenere l’autorizzazione all’apertura di una media o grande
struttura senza avere ottenuto la concessione edilizia, il cui rilascio resterebbe
condizionato all’approvazione dell’atto di adeguamento dello strumento
urbanistico.
La tipologia dei prodotti commercializzabili, dunque, non dovrebbe essre individuata
nella conferenza di servizi, di cui all’art. 29 della legge regionale
n. 33/99, essendo espressamente richiesto che le decisioni da adottare in tale
sede siano conformi “ai criteri di programmazione urbanistico-commerciale
regionale e comunale ed alle disposizioni del documento programmatico di cui
all’art. 11”, con ciò confermando il binomio tra le due programmazioni
e la necessità che fra i criteri vi siano anche quelli relativi al settore
merceologico, alla tipologia, alla localizzazione ed alle dimensioni delle strutture
di vendita.
Nell’ottica sopra indicata si giustificherebbero i limiti imposti alla
libertà di iniziativa economica dei privati, né sussisterebbe
alcuna compromissione delle aspettative connesse al piano di lottizzazione,
in quanto la tipologia merceologica non sarebbe oggetto di convenzione.
Dalla relazione allegata alla variante adottata, infine, emergerebbero con chiarezza
le ragioni della scelta dell’Amministrazione, supportate da analisi sui
flussi di traffico e quindi da problemi di viabilità.
DIRITTO
La questione sottoposta all’esame del
Collegio concerne il rapporto fra programmazione della rete distributiva del
commercio e programmazione urbanistica, in una situazione che vede disatteso
l’affidamento della parte ricorrente, in ordine all’apertura di
un centro commerciale polifunzionale per complessivi 9.200 mq. circa (ridotti
a 5379 nell’ultima domanda di autorizzazione), per la vendita al dettaglio
di prodotti diversi, ivi compresi quelli alimentari.
Detto centro commerciale - previsto in un piano di lottizzazione con allegata
convenzione, approvato con delibera n. 44 del 29.5.1998 - risultava non più
assentibile, per quanto riguarda il rilascio sia della concessione edilizia
che dell’autorizzazione commerciale, a seguito dell’adozione di
una variante al P.R.G., che nell’art. 8, n. 2 prevede per le strutture
in questione, nell’area di cui trattasi, una superficie ridotta a mq.
5.000 e limitata alla vendita di prodotti non alimentari.
Sia la norma in questione, sia la conseguente misura di salvaguardia (determinazione
dirigenziale n. prot. 2992 del 28.1.2003) sono state contestate con il ricorso
in esame, nel quale si prospettano diversi motivi di gravame, sintetizzabili
nelle seguenti, prioritarie prospettazioni:
a) assenza di motivazione specifica, per il sacrificio di posizioni soggettive
qualificate, riconducibili alla lottizzazione convenzionata (censura n. 3);
b) inconferenza con la pianificazione urbanistica della limitazione dei prodotti
commerciabili (censura n. 2);
c) carenza di motivazione, per i limiti introdotti nel caso di specie (censura
n. 4).
Tali prospettazioni appaiono in parte condivisibili, nei termini più
avanti precisati, con conseguente fondatezza delle argomentazioni difensive
contenute, in particolare, nel terzo e nel quarto motivo di gravame.
E’ oggetto di giurisprudenza consolidata, in primo luogo, la necessità
di motivazione specifica, quando una variante al P.R.G. abbia sia finalità
che oggetto circoscritti ed incida su aspettative qualificate degli interessati,
determinate da precedenti accordi edificatori di diritto pubblico o dall’esistenza
di un piano di lottizzazione approvato e convenzionato (cfr. in tal senso, fra
le tante, Cons. St., sez. IV, 14.10.1997, n. 1059, 27.5.2002, n. 2899, 5.7.2002,
n. 3695 e 14.12.2002, n. 6917; Cons. St., sez. VI, 14.1.2002, n. 173; TAR Lazio,
Roma, sez. II, 19.7.2002, n. 6506; TAR Veneto, 16.1.2002, n. 72).
Nel caso di specie, a soli quattro anni dall’approvazione di una lottizzazione
convenzionata – ovvero ad una distanza temporale estremamente breve, in
rapporto alle mutazioni naturali, demografiche e sociali, che possono imporre
aggiornamenti della pianificazione urbanistica – la tipologia di centro
commerciale, di già preordinata realizzazione nell’area di cui
si discute (zona F/3 del vigente P.R.G.) viene ridotta sia nella consistenza
(da 9000 a 5000 mq), sia nelle potenzialità di utilizzo (vendita di prodotti
non alimentari), per ragioni ricondotte in via prioritaria ad esigenze di viabilità:
tali ragioni, tuttavia, potrebbero essere idonee a supportare la scelta di un
ridotto dimensionamento delle strutture commerciali ancora da insediare, ma
solo in astratto, non potendo le memorie difensive integrare gli atti del procedimento,
dai quali non si evince un avvenuto bilanciamento di interessi, per il sacrificio
dell’aspettativa qualificata dell’attuale ricorrente.
L’esistenza di un piano attuativo, infatti, implicava già avvenuta
programmazione di dettaglio anche delle esigenze infrastrutturali del sito,
con intrinseca contraddittorietà – in assenza di specifiche ragioni
giustificative – di valutazioni diverse in un periodo immediatamente successivo,
senza, peraltro, che risulti presa in considerazione anche l’ipotesi alternativa
di un potenziamento della rete viaria.
La negazione – da parte del Comune resistente - dell’esistenza di
una aspettativa qualificata, poiché la convenzione non avrebbe riguardato
la tipologia delle merci commerciabili, appare priva di pregio, essendo ampiamente
documentate in atti le caratteristiche del centro commerciale polifunzionale,
oggetto sia di domanda di concessione edilizia che di istanza di autorizzazione
commerciale, con pacifico riferimento anche alla vendita di generi alimentari;
non è contestato, inoltre, che nessun problema di limitazione dei generi
da porre in commercio si ponesse prima dell’adozione della variante impugnata.
Appaiono fondate, pertanto, le argomentazioni difensive contenute nel terzo
motivo di gravame, circa la necessità di puntuale motivazione in ordine
al sacrificio della predetta aspettativa.
Quanto alla limitazione della superficie di vendita e dei prodotti commerciabili,
è necessario invece prendere in esame il rapporto fra pianificazione
urbanistica e programmazione della rete commerciale, quale emerge dalla disciplina
dettata con D.Lgs.31.3.1998, n. 114 e legge regionale 18.11.1999, n. 33.
Il decreto legislativo, in effetti, prevede nell’art. 6 che le Regioni
dettino gli indirizzi generali per l’insediamento delle attività
commerciali, in modo che siano assicurate sia le finalità proprie ed
i valori protetti del commercio (libertà di iniziativa economica privata,
tutela della concorrenza e del mercato, qualità dei servizi da rendere
al consumatore), sia le esigenze di ordinato assetto e sviluppo dell’edificazione
e di buon uso del territorio, in armonia con finalità concorrenti di
tutela dell’ambiente, nonché di salvaguardia e riqualificazione
dei centri storici e del tessuto urbano.
E’ dunque chiaramente previsto che la legge regionale disciplini linee
di raccordo fra urbanistica e disciplina del commercio, nella misura in cui
lo sviluppo di quest’ultimo implica inevitabili ripercussioni sull’uso
del territorio, in termini di decoro urbano e di infrastrutture.
In attuazione dei principi sopra sintetizzati, la citata legge della Regione
Lazio n. 33 del 18.11.1999 disciplina nel titolo II, capo I, la pianificazione
del commercio su aree private, pianificazione contenuta in un documento programmatico
regionale, redatto previa consultazione degli enti locali e delle organizzazioni
dei consumatori, nonché delle imprese del commercio e del settore delle
costruzioni e dei lavoratori; il rinnovo del piano – cui è affidata
l’ottimizzazione della rete commerciale, in rapporto allo sviluppo economico
delle imprese ed alle esigenze dei consumatori – avviene ogni tre anni,
tenuto conto dell’attività di monitoraggio di un osservatorio regionale,
cui è affidata la rilevazione delle caratteristiche strutturali e merceologiche
della rete distributiva, in coordinamento con l’osservatorio nazionale,
istituito presso il Ministero dell’Industria; nel medesimo titolo, al
capo II, la legge in esame pone i distinti criteri generali di programmazione
urbanistico-territoriale, criteri che implicano la localizzazione delle diverse
tipologie di punti di vendita, sulla base delle infrastrutture esistenti o previste,
con particolare riguardo a viabilità e parcheggi, nel rispetto delle
caratteristiche del territorio e dei vincoli di tutela paesaggistica e storico-culturale,
sul medesimo presenti. In tale contesto la tipologia degli esercizi in questione
è valutata, non senza ragionevolezza, come fattore anche urbanisticamente
rilevante.
Per quanto riguarda infatti, in primo luogo, la localizzazione dei punti di
vendita nei centri storici, appare conforme a criteri di corretta pianificazione
che le tipologie di attività, come le caratteristiche dei locali commerciali,
vengano armonizzate con esigenze di decoro ambientale e di riqualificazione
di aree, ritenute di particolare pregio (cfr. art. 20 L. reg. n. 33/99 cit.).
Per le grandi strutture di vendita, inoltre, non è difficile comprendere
la “ratio” – di esclusiva valenza urbanistica – della
loro classificazione in esercizi fino a mq. 5.000 per il commercio di prodotti
“alimentari, non alimentari o entrambi” e in esercizi “fino
a 15.000 mq. per la vendita di prodotti non alimentari” (art. 24, comma
1, punto 2, lettera c).
L’indirizzo regionale di cui sopra non consente ai Comuni di incidere
in via generale, in sede di programmazione d’uso del territorio, sui prodotti
da porre in commercio, ma prevede alcune limitazioni rapportabili - oltre che
alle ricordate, particolari esigenze dei centri storici - anche a ben precise
esigenze di viabilità: queste ultime, deve ritenersi, per il maggiore
carico urbanistico – in termini di traffico veicolare – delle grandi
rivendite di generi alimentari, per le quotidiane esigenze di queste ultime
di carico e scarico merci, nonché per le fasce orarie e la particolare
mole di afflusso dei consumatori.
Pertanto, ad avviso del Collegio, la classificazione delle grandi strutture
di vendita operata dalla Regione Lazio rientra legittimamente, anche nella parte
in cui investe, oltre alla superficie massima autorizzabile, il contenuto merceologico
dell’attività commerciale, in quei “criteri di programmazione
urbanistica riferiti al settore commerciale” che le Regioni devono fissare
ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. a) del cit. D.Lvo 31.9.1998, n. 114.
L’individuazione, a livello di P.R.G., di zone idonee per determinati
tipi di insediamenti commerciali,secondo la predetta classificazione regionale,
non è dunque preclusa, in via di principio, trattandosi di applicazione
dei criteri generali di programmazione urbanistico-territoriale di cui al Capo
II della cit. legge regionale n. 33 del 1999.
In tale ottica, la seconda censura appare in parte da respingere. Nella fattispecie,
tuttavia, il Collegio non ritiene che potesse inibirsi la rivendita di generi
alimentari, con contemporanea riduzione della superficie di vendita in misura
tale (5000 mq.), da implicare ex lege la possibilità di operare il commercio
di generi diversi.
E’ vero che il citato art. 24 della legge regionale prevede (tipologia
C2) la vendita di soli prodotti non alimentari per grandi strutture “fino
a 15.000 mq” (senza previsione di un limite di superficie minima, fatto
salvo, ovviamente, quello che in base alla popolazione residente è il
limite delle medie strutture di vendita: da 1.500 a 2.500 mq.); logiche esigenze
di raccordo con la tipologia precedente C1 : (grandi strutture per generi alimentari
e non alimentari fino a 5000 mq), tuttavia, impedivano di operare contestualmente
– peraltro senza adeguata motivazione - la riduzione sia della massima
superficie che delle attività commerciali consentite, limitando a 5.000
mq. la possibilità di insediamento di una grande struttura per la vendita
di soli prodotti non alimentari.
Le ragioni di una scelta, che va oltre la normativa regionale in materia di
tipologia delle grandi strutture di vendita, non emergono con chiarezza dalla
relazione alla variante, contenente analisi degli strumenti urbanistici della
viabilità e dei flussi di traffico, in funzione della variante adottata,
né comunque la limitazione, introdotta nel caso di specie, appare di
per sé congrua, in quanto esistono già, nella medesima zona, strutture
di vendita come quelle che la variante impugnata vorrebbe precludere; ogni considerazione
in materia di programmazione della rete distributiva, d’altra parte, è
questione di esclusiva valenza commerciale e - ove trasposta nella programmazione
urbanistica, al di là dei limiti in precedenza indicati - diviene, invece,
indice di sviamento di potere.
Non inducono a diverse conclusioni né l’art. 22 né l’art.
28 della citata legge regionale n. 33/99, che prevedono adeguamento degli strumenti
urbanistici, ma nel rispetto dei parametri generali, in precedenza enunciati
e conferenza di servizi come momento di raccordo, successivo alla programmazione
ed inerente la fase attuativa, in cui gli atti pianificatori confluiscono.
La stessa Regione Lazio d’altra parte, in sede di parere – prodotto
in atti – per il rilascio dell’autorizzazione commerciale, aveva
precisato che “la programmazione di carattere prettamente commerciale
non può essere contenuta nel piano approvato con D.C.C. n. 126, di attuazione
delle disposizioni e nel rispetto dei criteri urbanistico-commerciali, fissati
nel titolo II, capo II della menzionata legge regionale n. 33/99” (quanto
sopra, con evidente contrapposizione del concetto di urbanistica riferita al
commercio – concetto ancorato alla nozione di programmazione d’uso
del territorio, nei termini in precedenza chiariti - rispetto alle linee di
indirizzo propriamente commerciali, queste ultime soggette a precisi limiti
temporali ed a costante monitoraggio, in funzione delle esigenze sia delle imprese
che dell’utenza).
Anche il quarto motivo di gravame, quindi, appare fondato.
Per le considerazioni esposte, conclusivamente, il Collegio ritiene che il ricorso
debba essere accolto, con assorbimento delle ragioni difensive non puntualmente
esaminate e conseguente annullamento sia - in parte qua - della variante adottata
con delibera consiliare n. 126/2002, sia della conseguente applicazione della
misura di salvaguardia, con atto n. 2992/03 (non potendo non essere accolta,
in rapporto a quest’ultima, la censura di illegittimità derivata);
quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la
compensazione.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, (Sez. II bis), ACCOGLIE il ricorso n. 3507/03 e, per l’effetto,
ANNULLA la delibera consiliare n. 126 del 9.12.2002, nella parte di cui in motivazione,
nonché la consequenziale determinazione dirigenziale n. prot. 2992 del
28.1.2003.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nelle Camere di
Consiglio in data 30 ottobre 2003 e 15.1.2004 con l'intervento dei Magistrati:
Presidente Patrizio Giulia
Consigliere Evasio Speranza
Consigliere est. Gabriella De Michele