Sul cambio di destinazione d’uso.

  1. -Processo – Processo amministrativo – Dichiarazione di sopravvenuto difetto d’interesse al ricorso – Valutazione del giudice della volontà dell’appellante – Insussistenza della preclusione.
  2. Edilizia e urbanistica – Opere murarie interne – Ridistribuzione degli spazi – Cambio di destinazione d’uso – Non costituiscono ristrutturazione edilizia.
  3. Edilizia e urbanistica – Cambio di destinazione d’uso – Intervento non valutabile in termini di aumento di volume e di superficie.

  1. – La dichiarazione di sopravvenuto difetto d’interesse al ricorso, se motivata, non preclude la valutazione della motivazione da parte del giudice ai fini di una ragionevole ricostruzione della reale volontà dell’appellante di proseguire nel giudizio (nella fattispecie, pur dopo aver affermato l’improcedibilità del giudizio in ragione della applicabilità della normativa sopravvenuta, l’appellante insisteva per l’accoglimento del gravame anche alla luce della nuova disciplina).
  2. – Le opere murarie interne che non interferiscono con le strutture portanti ma rideterminano la distribuzione interna degli spazi ai fini del cambio di destinazione d’uso (nella fattispecie, da abitativo a studio professionale), non configurano un intervento di ristrutturazione edilizia e non assumono rilievo ai fini del mutamento della destinazione dell’immobile, pertanto non comportano di per sé un aumento del carico urbanistico.
  3. – Il cambio di destinazione d’uso (nella fattispecie, da abitativo a studio professionale), anche se accompagnato da opere murarie interne che non interferiscono con le strutture portanti, si configura quale intervento non valutabile in termini di aumento di volume e di superficie (All. 1 n. 6 del d. lgs. n. 269/2003).

Pres. Chieppa – Est. Sestini


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7618 del 2023, proposto da Giovan Candido Di Gioia, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovan Candido Di Gioia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’avvocato Alessia Alesii, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 10392/2023.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 settembre 2025 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati Giovan Candido Di Gioia e Alessia Alesii;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1- Con atto in data 10.12.2004 (pratica 0/576260), l’avv. Giovan Candido Di Gioia presentava al Comune di Roma domanda di condono edilizio per il cambio di destinazione a studio professionale ai sensi del decreto legge n. 269/2003, convertito con legge n. 326/2003 e della legge Regione Lazio n. 12/2004. Alla domanda veniva allegata copia del versamento dell’oblazione di € 567,60 prevista con valore fisso dall’Allegato I al decreto legge n. 269/2003 e dall’Allegato A alla legge regionale n. 12/2004 per la tipologia di abuso n. 6 “opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superfici e di volume”; la dichiarazione ai sensi dell’art. 4 della legge n. 15/1968; la documentazione fotografica dell’appartamento.

2 – Il Comune di Roma, dopo aver chiesto ed acquisito ulteriore documentazione, con provvedimento U.O. Condoni QI 2016/133365 del 18.7.2016 statuiva che “Il ritiro della concessione è subordinato al pagamento di quanto dovuto a titolo di oneri concessori, diritti di segreteria, diritti vincoli e oblazione” complessivamente quantificati in una ingente somma. Tale atto veniva impugnato davanti al TAR, che respingeva il ricorso.

3 – Con l’appello in epigrafe viene quindi appellata la sentenza del TAR del Lazio, Sez. II Stralcio, n. 10392/2023 con la quale è stato respinto il ricorso n. 12851/2016 proposto dall’avv. Giovan Candido Di Gioia per ottenere l’annullamento della condizione, posta dal Comune di Roma, secondo la quale il ritiro della concessione in sanatoria inerente l’immobile sito in Roma, Piazza Mazzini n.27, scala A, int. 8, Zona B è stato subordinato “al pagamento di €18.418,09, di cui € 13.945,93 a titolo di oneri di urbanizzazione ed € 4.472,16 a titolo di costo di costruzione; al pagamento di € 13.023,28 a titolo di interessi sulla predetta somma di € 18.418,09; al pagamento di € 13.564,00 a titolo di oblazione; al pagamento di € 3.011,96 a titolo di interessi sulla predetta somma di € 13.564,00; al pagamento di € 1.356,40 a titolo di oblazione regionale; al pagamento di € 301,19 a titolo di interessi sulla predetta somma di € 1.356,40 per complessivi € 50.234,36”.

Il ricorso in appello, riferito alla predetta domanda di condono per cambio di destinazione d’uso da abitazione a studio professionale, ha quindi ad oggetto la legittimità della richiesta di pagamento delle predette somme ai fini del buon esito della domanda di sanatoria, trattandosi di un mero cambio di destinazione d’uso non comportante alcun maggiore consumo del suolo o incremento degli oneri urbanistici.

4 – In particolare, con l’appello vengono dedotte le censure di seguito sintetizzate.

4.1 – In primo luogo, viene dedotta l’erroneità della statuizione impugnata in quanto gli oneri di urbanizzazione non sono dovuti ove non sia riscontrabile alcuna variazione in aumento del carico urbanistico, così come statuito per la fattispecie in esame dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 2066/2017 e dalla relativa sentenza della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile n. 30001/2019, evincendosi che per l’immobile non era stata in alcun modo dimostrata la variazione in aumento del carico urbanistico, con conseguente annullamento dell’accertamento catastale che aveva aumentato la Classe da 3 a 7 e la Rendita da € 6.693,28 ad € 12.271,02. La mancata dimostrazione dell’aumento del carico urbanistico, quindi, escludeva l’applicazione degli oneri erroneamente imputati dal Comune per una insussistente “ristrutturazione edilizia”.

4.2 – Inoltre, si deduce che nessuna somma poteva ritenersi dovuta a titolo di costo di costruzione non essendo stata realizzata alcuna opera edilizia strumentale alla modifica della destinazione d’uso dell’appartamento, né interessate nuove porzioni di territorio.

4.3 – Di conseguenza, neppure potevano essere applicati gli interessi sia sulla somma inerente gli oneri di urbanizzazione, sia sulla somma inerente il costo di costruzione, sia sulla somma inerente l’oblazione.

5 – Il Comune si è costituito in giudizio, argomentando l’infondatezza dell’appello. Le parti hanno, poi, argomentato le rispettive difese con reciproco scambio di memorie.

6 – In ultimo, la parte appellante ha richiamato la novella normativa di cui all’art. 23-ter, comma 1-ter, del D.P.R. n. 380/2001, come introdotto dal decreto legge n. 69/2024 convertito in legge n.105/2024, che avrebbe reso regolarizzabili le opere oggetto di causa sostenendo anche, con le proprie successive memorie, la sopravvenuta improcedibilità del giudizio salvo argomentare in via subordinata la sua fondatezza.

6.1 – Il Comune di Roma obietta, sul punto, che la nuova normativa attiene alle procedure ordinarie di sanatoria e di regolarizzazione edilizia, incidendo esclusivamente sul regime della cosiddetta “doppia conformità” e sulle soglie di tolleranza. La fattispecie in esame riguarderebbe, invece, una domanda di condono straordinario ai sensi dell’art. 32 del decreto legge n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326/2003, nonché della legge regionale del Lazio n. 2/2004, disciplina eccezionale e temporalmente delimitata, alla quale non possono applicarsi retroattivamente disposizioni sopravvenute. Il mutamento di destinazione d’uso da residenziale a direzionale (studio professionale), realizzato mediante opere edilizie interne, non rientrerebbe tra le ipotesi di difformità minori o tolleranze geometriche contemplate dalla normativa richiamata da parte ricorrente.

6.2 – Si pone quindi, preliminarmente, la necessità di valutare se l’entrata in vigore della nuova normativa abbia o meno determinato la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del presente giudizio.

6.3 – Al riguardo, considera il Collegio che l’entrata in vigore della citata nuova disciplina di legge non sembra poter incidere sulla procedibilità dell’appello, anche in relazione alle deduzioni del Comune circa la sua non applicabilità alla fattispecie in esame, nonché in relazione alle modalità di esercizio della predetta facoltà processuale da parte dell’appellante, che pone il tema della improcedibilità del giudizio in ragione della applicabilità della nuova disciplina, ma poi insiste per l’accoglimento del gravame anche alla luce della medesima nuova disciplina. Del resto, non possono neppur essere esclusi possibili conseguenze di una dichiarazione di improcedibilità quanto alla disciplina intertemporale dell’abuso e ad eventuali azioni esecutive riferite alla ripetizione delle somme richieste dal Comune, rendendosi ragionevole una ricostruzione della volontà dell’appellante nel senso della prosecuzione della coltivazione del gravame.

7 – Nel merito l’intervento in esame, a giudizio del Comune, integra una ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001, in quanto non si è trattato di una mera modifica interna, ma di un mutamento di destinazione d’uso con effetti urbanisticamente rilevanti. In ogni caso gli importi dovuti a titolo di oblazione, oneri concessori e costi di costruzione, prosegue il Comune, sono stati legittimamente determinati dall’Amministrazione con atto del 18.7.2016 (prot. QI/2016/133365) e confermati dalla sentenza del TAR Lazio n. 10392/2023. Pertanto, neppure la disciplina sopravvenuta potrebbe comunque incidere sugli obblighi economici già accertati, i quali resterebbero pienamente dovuti quale condizione per il rilascio del titolo in sanatoria.

8 – Al riguardo, osserva il Collegio che l’immobile al momento della domanda di sanatoria già aveva in via di fatto la nuova destinazione d’uso e che gli interventi realizzati non erano valutabili in termini di aumento di volume o di superficie.

8.1 – In particolare, la sentenza impugnata ritiene che “In sintesi, l’intervento edilizio abusivo oggetto di condono è consistito in opere murarie interne (id est demolizioni e rifacimenti) le quali, pur non interferendo con le strutture portanti dell’edificio, hanno però rideterminato la distribuzione interna degli spazi e mutato la loro destinazione d’uso da abitazione ad ufficio”. Al contrario, il mero spostamento di alcuni tramezzi interni (non controverso, in fatto, fra le parti) non incideva sulla destinazione d’uso già in atto dell’immobile fino dal 3.1.1970 secondo la documentazione in atti, essendo pacifico che l’immobile fosse utilizzato come studio professionale già in precedenza e che le opere interne non hanno inciso né hanno assunto alcun rilievo su tale destinazione di fatto già in essere.

Lo “spostamento di pareti interne” non è configurabile come intervento di “ristrutturazione edilizia” e nessun rilievo poteva essere attribuito allo spostamento dei suddetti tramezzi ai fini del mutamento della destinazione dell’immobile, che quindi si configurava, così come evidenziato dall’appellante fin dalla proposizione della domanda, quale intervento non valutabile in termini di aumento di volume e di superficie (All. 1 n. 6 del d. lgs. n. 269/2003) e non comportante, così come confermato dalle sentenze della Commissione Tributaria Regionale del Lazio – Sez. 5 n. 2066 dell’11.4.2017 e della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria n.30001/2019, alcun aumento del carico urbanistico in un’area, peraltro, già completamente urbanizzata e caratterizzata dalla presenza di numerosi similari studi professionali.

8.2 – Alla luce delle pregresse considerazioni, neppure poteva configurarsi alcun onere per “nuova costruzione”, dovendosi accogliere anche le censure dedotte sul punto, mentre possono ritenersi assorbite le ulteriori censure concernenti il calcolo e la liquidazione degli interessi su somme che, in realtà, risultano radicalmente non dovute.

9 – In conclusione, l’appello deve essere accolto, del tutto indipendentemente dalla applicazione, alla fattispecie considerata, della nuova disciplina che ha ulteriormente liberalizzato la materia dei cambi di destinazione d’uso.

Dall’accoglimento del ricorso consegue l’obbligo dell’amministrazione di rilasciare senza indugio il titolo, subordinato invece al pagamento di oneri risultati non dovuti.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado; per l’effetto, annulla gli atti impugnati in tale sede.

Condanna il Comune intimato a rifondere all’appellante le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 per il primo grado e 4.000,00 per il presente grado d’appello, oltre ad oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 settembre 2025 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Chieppa, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore