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TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. I – Sentenza 27 marzo 2002 n. 1651 - Pres. Coraggio, Est. De Felice - Bene (Avv. M. Totera) c. Azienda Universitaria Policlinico- Università degli Studi di Napoli Federico II (Avv. L. Napolitano) - (respinge).

1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Termini - Ricorso in una delle materie previste dall’art. 4 della L. n. 205/2000 - Dimidiazione - Deve intendersi riferita a tutti i termini processuali previsti, eccezion fatta non solo per il termine per la notifica ma anche per quello di deposito.

2. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno - Per lesione di interessi legittimi - Presupposti e condizioni - Preventivo annullamento o contestuale impugnazione dell’atto illegittimo - Necessità.

3. Giustizia amministrativa - Poteri del giudice - Disapplicazione dell’atto amministrativo - Al di fuori dei casi di atti regolamentari - Inammissibilità.

1. La dimidiazione dei termini prevista dall’art. 23 bis, 2° comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 4 della L. n. 205/2000 per i ricorsi in materia di appalti e per le altre materie elencate dallo stesso art. 23 bis, non si applica, per espressa previsione della stessa norma, al termine per la proposizione del ricorso, per tale dovendosi intendere non soltanto il momento della notifica del ricorso (vocatio in jus), ma anche la instaurazione del rapporto processuale con il giudice, e cioè il deposito del ricorso stesso (la editio actionis) (1).

2. Non può essere accolta una domanda di risarcimento dei danni per lesioni di interessi legittimi nei confronti della p.a., non preceduta dal previo annullamento, nè accompagnata dalla contestuale impugnativa degli atti recanti la affermata lesione (2).

3. Al Giudice amministrativo, tranne i casi di atti amministrativi normativi, non compete il potere di disapplicazione degli atti amministrativi (3).

 

 

(1-3) Commento di

GIOVANNI VIRGA

La dimidiazione dei termini prevista dall’art. 4 L. n. 205/2000
e la necessità dell’annullamento dell’atto per chiedere
il risarcimento del danno innanzi al Giudice amministrativo.

1. La sentenza in rassegna è particolarmente significativa, perchè affronta tre diverse questioni di grande rilevanza, alcune delle quali sono vivamente dibattute in dottrina ed in giurisprudenza.

Tali questioni, sintetizzando al massimo, riguardano segnatamente:

a) l’applicabilità o meno della dimidiazione dei termini prevista dall’art. 4 della L. n. 205/2000 anche al termine (di 30 giorni) previsto per il deposito del ricorso;

b) i presupposti necessari per riconoscere il risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi, con particolare riferimento alla questione della riconoscibilità o meno, in capo al G.A., del potere di accogliere la domanda risarcitoria anche nel caso in cui non sia stato preventivamente o contestualmente annullato un atto amministrativo illegittimo che abbia cagionato un danno ingiusto all’interessato;

c) la sussistenza o meno del potere del G.A. di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi.

Si tratta di questioni di non poco momento, che ovviamente non possono essere esaminate funditus in questa sede, ma che, per la loro rilevanza, meritano una sia pur sommaria disamina.

 

2. Per quanto concerne la questione sub a) (riguardante l’applicabilità o meno della dimidiazione dei termini prevista dall’art. 4 L. n. 205/2000 anche al termine previsto per il deposito del ricorso), mi permetto di fare rinvio al mio contributo su "I procedimenti abbreviati previsti dalla L. 21 luglio 2000, n. 205" (in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/articoli/virgag_procedabbrev.htm), nonchè, più recentemente, al commento alla sentenza del TAR Lombardia-Milano, sez. II, 9 ottobre 2001 n. 6697 (ivi, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarlombmi1_2001-10-9-1.htm).

Con quest’ultima sentenza è stato ritenuto - analogamente a quanto affermato dal T.A.R. Campania con la pronuncia in rassegna - che la dimidiazione dei termini processuali prevista dalla richiamata norma di legge non può applicarsi anche al termine previsto per il deposito del ricorso.

E ciò innanzitutto in base ad un argomento testuale inoppugnabile, costituito dal fatto che la legge espressamente prevede che la dimidiazione dei termini non si applica ai termini "di proposizione del ricorso".

Ora, secondo quanto ritenuto pacificamente in dottrina (v. in part. Alb. Romano, citato nella mia precedente nota alla sentenza del T.A.R. Lombardia), i termini di proposizione del ricorso coincidono non già con il termine previsto per l’impugnazione ma con quelli del deposito del ricorso, dato che il ricorso si considera "proposto" (a vari fini, essendo la data rilevante ad es. in sede verifica della giurisdizione, della competenza territoriale, della eventuale litispendenza, ecc.) nella stessa data in cui è stato depositato; è infatti a questa data che, per dirla con Chiovenda, risulta instaurato il rapporto giuridico processuale ed il giudice risulta investito della controversia.

Va peraltro evidenziato che, sotto il profilo logico, sembra davvero incongruo interpretare la norma in senso diverso, e cioè ritenendo che, mentre per i procedimenti speciali ex art. 4 L. n. 205/00 il termine di impugnazione rimane quello ordinario (e cioè è di 60 giorni), il termine per il deposito è di appena 15 giorni.

Analogamente e sotto diverso profilo deve ritenersi che la dimidiazione dei termini non può operare nemmeno non solo per il termine (di 30 giorni) previsto per la notifica del ricorso incidentale (non sussistendo ragioni per non ritenere applicabile l’esenzione anche per tali tipo di ricorsi: v. in tal senso Serio, Ricorso incidentale e rito abbreviato in materia di opere pubbliche, in Foro amm. 1998, 2629), ma anche a quello previsto per il suo deposito (che è e rimane di 10 giorni e non diventa di 5, termine questo che - tenuto conto della scarsa celerità con la quale vengono restituiti gli originali da parte degli uffici notifiche - sembra davvero irragionevole).

Nè è da sottovalutare comunque il fatto che la disposizione in parola (art. 4. 2° comma, L. n. 205/00) riferisce l'esenzione dalla dimidiazione ai termini (e non già al termine) "di proposizione del ricorso". Se il legislatore avesse inteso riferirsi al solo termine d'impugnazione, non solo avrebbe dovuto fare riferimento sotto il profilo letterale al termine per la notifica del ricorso, ma avrebbe comunque dovuto impiegare il singolare e non già il plurale.

Va comunque tenuto presente che, nonostante che i TT.AA.RR. si siano prevalentemente orientati nel senso di ritenere che nella espressione termini "di proposizione del ricorso" va ricompreso non solo il termine per la notifica ma anche quello per il suo deposito, il prevalente orientamento del Consiglio di Stato (v. in tal senso da ult. Sez. V, 18 marzo 2002 n. 1559, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds5_2002-03-18-2.htm), è di segno opposto.

Si tratta tuttavia di un orientamento non condivisibile, assunto forse sulla scorta della diversa disciplina prevista dall’art. 19 del D.L. n. 67/1997 (c.d. decreto salvacantieri), sulla quale v. Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 14 febbraio 2001 n. 2, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cdsadplen_2002-02-28.htm, con nota di G. BACOSI.

Poichè tuttavia la nuova disciplina dei termini di cui all’art. 4, 2° comma, della L. n. 205/2000 diverge nettamente da quella prevista dal decreto salvacantieri, che peraltro aveva - come si ricorderà - subito una interpolazione (ritenuta poi interpretativa) in sede di conversione in legge, saggiamente di recente la Sez. IV, con ordinanza 10 gennaio 2002 n. 122 (in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds4_2002-01-10o.htm), ha rimesso la questione all’Adunanza plenaria, sia pure per ciò che concerne l’applicabilità della disciplina stessa ai termini di notifica e deposito previsti per l’appello.

L’esigenza di un intervento chiarificatore dell’Adunanza plenaria in subiecta materia è vivamente sentita.

E’ comunque da auspicare che, nell’ipotesi in cui l’Adunanza plenaria dovesse sposare l’opzione esegetica più restrittiva, venga in ogni caso riconosciuto il beneficio dell’errore scusabile per i ricorsi pregressi, dato che sussistono obiettivamente delle difficoltà interpretative che hanno indotto molti a ritenere l’espressione usata dal legislatore (termini "per la proposizione" e non già "per l’impugnazione") comprensiva anche del termine previsto per il deposito (sui presupposti necessari per riconoscere il beneficio in questione v. da ult. in questa Rivista Cons. Stato, Sez. IV, 17 aprile 2002 n. 2032, pag. http://www.giustamm.it/private/cds/cds4_2002-04-17.htm).

Va tuttavia detto per completezza che non sembra del tutto tranquillizzante la precedente pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 2/2001, citata in precedenza, che non ha riconosciuto in quel caso nemmeno il beneficio dell’errore scusabile, anche se va ribadito che la disciplina prevista dal decreto salvacantieri (che riferiva il dimezzamento dei termini genericamente ai "termini processuali", divenuti poi "tutti i termini processuali" in sede di conversione) differisce non poco dalla disciplina prevista dall’art. 4 della L. n. 205/00 (che testualmente eccettua dal dimezzamento il termine per la "proposizione del ricorso", espressione questa che tecnicamente è stata intesa come riferita al termine previsto per la instaurazione del rapporto giuridico processuale, coincidente con il momento del deposito).

 

3. La sentenza in rassegna è altresì interessante perché afferma che «non può essere accolta una domanda di risarcimento dei danni per lesioni di interessi legittimi nei confronti della p.a., non preceduta dal previo annullamento, nè accompagnata dalla contestuale impugnativa degli atti arrecanti la affermata lesione».

Affermazione questa per la verità non nuova per lo stesso T.A.R. Campania (v. già in questo senso T.A.R. Campania - Napoli, Sez. I, 8 febbraio 2001 n. 603, in www.giustamm.it. n. 2/2001, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarcampaniana1_2001-603.htm nonchè la sentenza della stessa Sez. 4 ottobre 2001 n. n. 4485, ivi, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarcapna1_2001-10-04-1.htm) e condivisa anche da parte di altri TT.AA.RR. (v. in particolare, nello stesso senso, T.A.R. FRIULI-VENEZIA GIULIA, 26 luglio 1999 n. 903, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarfriuli_1999-903.htm; id., 23 aprile 2001 n. 179, pag. http://www.giustamm.it/private/tar/tarfriuli_2001-23-04.htm; per ulteriori riferimenti v. la pagina di approfondimento).

La sentenza in rassegna si segnala per dare contenuto e corpo al principio secondo cui presupposto imprescindibile per la domanda di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi è, innanzi al G.A., il pregresso annullamento dell’atto amministrativo od almeno la contestuale richiesta di annullamento dell’atto in sede giurisdizionale.

A tal fine si è fatto riferimento ad un argomento testuale e ad un reticolo di argomenti esegetici (non solo attinenti al diritto amministrativo, ma anche di diritto civile, processuale e comunitario) che vanno analiticamente esaminati.

L’argomento testuale è stato rinvenuto nell’art. 13 L. 142/1992, nel quale è stato trasfuso il principio "ribadito negli anni dai supremi consessi giurisdizionali, sia ordinario che amministrativo".

Dispone(va) invero l’art. 13 della L. 19 febbraio 1992, n. 142, ai primi due commi che: «1. I soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o delle relative norme interne di recepimento possono chiedere all’Amministrazione. 2. La domanda di risarcimento è proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo».

Va tuttavia osservato che tale norma è da ritenere superata dalla previsione generale (non più peraltro riferita ai soli appalti pubblici) contenuta nel testo del novellato art. 35, 4° comma, del D.L.vo n. 80/1998, come modificato dell’art. 7 della L. n. 205/2000, il quale così dispone: «Il primo periodo del terzo comma dell’articolo 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è sostituito dal seguente: "Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali».

Si tratta di una norma che ha già fatto discutere e sulla cui portata a lungo si discuterà, ma che - sia pur introdotta con un colpo di mano dell’ultimo momento ad opera di settori vicini alla magistratura amministrativa e senza una adeguata discussione preventiva - finisce innanzitutto per sancire un principio opposto a quello ricavabile non solo dalla citata legge n. 142/92 ma dalla nota sentenza della Sez. Unite n. 500/99, che per prima ha riconosciuto in generale la risarcibilità degli interessi legittimi, e cioè quello secondo cui il giudice "naturale" dell’azione risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per lesione di interessi legittimi è il G.A.

Quest’ultimo, per effetto della disposizione in parola, può condannare la P.A. al risarcimento del danno non solo «nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva» (per effetto della espressa previsione contenuta nell’art. 35, 1° comma, del novellato D.L.vo n. 80/1998), ma anche - ai sensi del 4° comma dello stesso art. 35 novellato- «nell’ambito della sua giurisdizione » (generale di legittimità).

Saltato lo schema su cui poggiava il richiamato art. 13 della L. 142/1992 (il quale prevedeva - peraltro limitatamente alle controversie in materia di appalto - il previo annullamento dell’atto da parte del G.A. per poi richiedere il risarcimento del danno al G.O.) è tutto da accertare se il presupposto annullamento sia comunque richiesto innanzi alla giurisdizione che è stata riconosciuta al Giudice amministrativo dall’art. 35 novellato in materia di risarcimento del danno.

In questo senso il riferimento all’art. 13 della L. n. 142/92 sembra estremamente debole, trattandosi di una norma non solo settoriale (perchè riferita ai soli appalti), ma che è stata completamente superata dalla legislazione successiva e che non può certo sopravvivere per ciò che concerne il presupposto dell’annullamento dell’atto.

Più corposi sembrano gli argomenti, contenuti nella sentenza in rassegna, che fanno riferimento ai principi che regolano il processo amministrativo di impugnazione.

Ha osservato in proposito il TAR Campania che la regola secondo la quale la domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi presuppone il previo (o contestuale) annullamento del provvedimento amministrativo assunto come pregiudizievole deriva in particolare:

a) dalla necessità di rispettare termini brevi compatibili, da un lato, con il buon andamento della pubblica amministrazione, con il principio di continuità e di celerità dell’agere amministrativo, e dall’altro con il risarcimento in forma specifica come forma di riparazione primaria in grado di soddisfare l’interesse pubblico, che qualifica comunque la vicenda complessiva;

b) dal fatto che non può trovare ingresso nel nostro ordinamento una verifica incidentale a distanza di tempo, nell’ambito del decorso del termine di prescrizione quinquennale del termine per la domanda di risarcimento dei danni, anche per la ragione che altrimenti si eluderebbe il principio della perentorietà del termine per impugnare, che deve pure avere una sua spiegazione logica e giuridica, e cioè che le situazioni create dall’atto, pur illegittimo, devono avere, per effetto del decorso di un congruo termine, e in base ai principi di continuità, celerità, efficacia e efficienza (art. 1 L. 241/90), un loro consolidamento tendenzialmente definitivo (definitivo però non in assoluto, perché residua, come noto, il potere di autotutela).

c) dal fatto che l’attività amministrativa è caratterizzata dai requisiti della esecutorietà, della impugnabilità a pena di decadenza e pertanto della inoppugnabilità, dal principio di presunzione di legittimità dell’attività, tutti espressione della ritenuta necessità che non restino né incerte né pregiudicabili le determinazioni assunte, in tesi e in linea di principio, nell’interesse della collettività.

d) dalla circostanza che la L. 205/2000 ha inserito la azione di risarcimento nel quadro tradizionale della giurisdizione amministrativa; in tal modo il legislatore ha implicitamente, ma chiaramente confermato i principi ai quali tale giurisdizione si conformava e quindi, in primo luogo, la regola della pregiudizialità.

e) dalla espressione dell’art. 7 L. 205/2000, che prevede che il G.A., nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica; il riferimento ai "diritti patrimoniali conseguenziali" da ritenere una conferma normativa della dipendenza nel sistema della azione risarcitoria da quella di annullamento.

Si tratta, com’è evidente, di una serie di principi che fanno essenzialmente riferimento alla natura (e struttura) impugnatoria del processo amministrativo nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità e che, come tali, ovviamente non sono trasponibili nell’ambito della giurisdizione esclusiva.

Nella pregevole sentenza in commento si è fatto riferimento anche a principi ricavabili dalla legislazione civilistica e dell’ordinamento comunitario.

Si è richiamato, sotto il primo profilo, l’art. 1458 c.c., in materia di risoluzione del contratto determinata da sentenza costitutiva del giudice, dal quale sarebbe ricavabile il principio che il risarcimento dei danni vale soltanto per quanto residua a seguito della restaurazione dell’ordine violato operata a mezzo della sentenza di scioglimento del rapporto.

Per ciò che concerne l’ordinamento comunitario, si è fatto riferimento ai principi espressi dalla Corte di Giustizia in materia di c.d. illecito del legislatore per omessa o tardiva attuazione di direttive, originata dal caso Francovich (seguito dalla sentenza Palmesani, 11.7.1997, causa C-261-95), essendo stato ritenuto compatibile con l’ordinamento comunitario la circostanza che un paese membro (l’Italia) abbia previsto un termine di decadenza per la proposizione di ricorsi diretti al risarcimento dei danni subiti a seguito della tardiva attuazione di direttive, quale applicazione del principio della certezza del diritto, purchè tale modalità procedurale non sia meno favorevole di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna. Dal punto di vista comunitario, pertanto, la scelta di un sistema nazionale di un termine di decadenza per la impugnazione del provvedimento assunto come illegittimo ai fini del risarcimento per lesione di interesse legittimo, è compatibile con i principi comunitari a patto di rispettare la regola di non rendere eccessivamente difficile, se non impossibile la tutela della posizione comunitaria.

Si tratta di argomenti di indubbio rilievo, che supportano l’affermazione del rapporto di necessaria pregiudizialità che deve sussistere tra annullamento dell’atto illegittimo e risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi.

 

4. Sembra comunque a tal fine conducente fare riferimento ai principi espressi dalla nota sentenza n. 500/99, con la quale le Sezioni Unite, nel riconoscere per la prima volta in linea generale che la lesione di interessi legittimi può dar luogo al risarcimento del danno, ha esaminato analiticamente i presupposti fondamentali per il riconoscimento del risarcimento, tra i quali quello - che indubbiamente ha carattere prevalente all’interno dello stesso schema trifasico previsto dall’art. 2043 cod. civ. - dell’ingiustizia del danno.

Occorre in proposito partire da una semplice constatazione: che il danno, nel caso della P.A., può trovare origine o da un comportamento o da un atto.

Nell’ambito della giurisdizione speciale esclusiva, com’è noto, allorchè le pretese azionate hanno natura e consistenza di diritto soggettivo, vengono in rilievo esclusivamente i comportamenti, ancorchè questi trovino origine e ragione in atti amministrativi presupposti.

La eventuale presenza di un atto amministrativo non muta la natura dell’accertamento del G.A., il quale dovrà - nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva - verificare la liceità od illiceità del comportamento, disapplicando gli eventuali atti illegittimi che si pongono "a monte" del comportamento. Né più né meno di quanto non faceva già e continua a fare il Giudice ordinario, al quale - da oltre un secolo e mezzo - la legge abolitiva del contenzioso ha attribuito la tutela dei diritti soggettivi fatti valere in giudizio ancorchè vengano in rilievo atti della P.A.

Nelle materie di giurisdizione esclusiva attribuite al G.A., allorchè la pretesa azionata abbia natura e consistenza di diritto soggettivo, il Giudice amministrativo stesso deve comportarsi nello stesso modo in cui si è sempre comportato il Giudice ordinario e cioè deve verificare il comportamento della P.A., disapplicando eventuali atti illegittimi emanati prima di esso.

Sotto questo profilo non può condividersi l’orientamento generale espresso dal T.A.R. Campania-Napoli con la sentenza in rassegna, il quale sembra riferire il rapporto di presupposizione che lega l’annullamento dell’atto al risarcimento del danno a tutte le controversie affidate alle cure del G.A. Ed in quest’ottica afferma altrettanto generalmente che non sussisterebbe un potere di disapplicazione del G.A. (sul quale v. in questa Rivista S. GIACCHETTI, Profili problematici della cosiddetta illegittimità comunitaria, pag. http://www.giustamm.it/articoli/giacchetti_illegittimita.htm; D. TREBASTONI, La disapplicazione nel processo amministrativo, pag. http://www.giustamm.it/articoli/trebastoni_disapplicazione.htm M. LO MONACO, La disapplicazione dell’atto amministrativo in sede giurisdizionale ed amministrativa, pag. http://www.giustamm.it/articoli/lomonaco_disapplicazione.htm).

Bisogna invece distinguere nettamente i casi di giurisdizione esclusiva nei quali vengano azionate pretese connesse a diritti soggettivi, da tutte le altre controversie in cui, anche se nell’ambito della giurisdizione esclusiva, le pretese azionate abbiano natura di interesse legittimo.

Solo in queste ultime ipotesi l’intermediazione dell’atto assume rilevanza ed è applicabile il principio secondo cui l’annullamento dell’atto (od almeno la richiesta di annullamento) costituisce il necessario presupposto del risarcimento del danno cagionato (s’intende con la concorrenza di tutte le altre condizioni). Con il conseguente corollario che, nel caso in cui non sia stato disposto con precedente giudizio, l’annullamento dell’atto, la richiesta di annullamento è soggetta al termine di decadenza ordinariamente previsto, non potendosi saltare in tale ipotesi l’intermediazione dell’atto e sfuggire, per tale via ("approfittando" della richiesta di risarcimento), al principio cardine della perentorietà dei termini d’impugnazione.

Tutto ciò vale solo nel caso in cui la pretesa azionata abbia natura di interesse legittimo. Nel caso invece, come già detto, in cui si faccia valere un diritto soggettivo innanzi al G.A. nell’ambito della giurisdizione esclusiva che a quest’ultimo è attribuita, l’intermediazione dell’atto non viene in rilievo e conseguentemente la pretesa può essere azionata (peraltro nel più lungo termine di prescrizione) senza la necessità di un pregresso annullamento od una contestuale richiesta in tal senso (semmai la pretesa potrà, se del caso, essere accompagnata da una richiesta di disapplicazione).

 

5. Per quanto riguarda l’affermato divieto per il G.A. di disapplicare l’atto amministrativo illegittimo (tranne i casi di atti regolamentari, allorché sia stato impugnato assieme ad essi il provvedimento applicativo: v. da ult. in proposito Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 1999 n. 59, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/cds1/constato6_1999-0059.htm), va ribadito che tale principio deve intendersi riferito al caso in cui la pretesa azionata abbia natura e consistenza di interesse legittimo e non già all’ipotesi in cui siano stati fatti valere innanzi al G.A. diritti soggettivi.

Non mancano nella giurisprudenza più recente, nell’ottica di uno spostamento dell’oggetto del giudizio sempre più sul rapporto e nel quadro generale della disciplina comunitaria, tentativi di affermare il principio secondo cui il potere di disapplicazione può essere esercitato dal G.A. anche allorchè la pretesa azionata abbia natura di interesse legittimo (v. in questo senso da ult. Tar Lombardia-Milano, Sez. III, ordinanza 8 agosto 2000 n. 234, in questa Rivista Internet, pag. http://www.giustamm.it/corte/ccost_2001-275.htm, che ha deferito alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell’art. 234 del Trattato di Roma, tra l’altro la questione se il G.A. possa disapplicare clausole illegittime contenute nei bandi di gara).

Va tuttavia rilevato che, nell’ambito della struttura essenzialmente impugnatoria del giudizio amministrativo di legittimità, difficilmente può allo stato trovare ingresso il sistema della disapplicazione, il quale finirebbe per travolgere il principio cardine della perentorietà dei termini d’impugnazione.

D’altra parte, come osservato di recente dal Giudice delle leggi (Corte cost., sent. 23 luglio 2001 n. 275, ivi, pag. http://www.giustamm.it/corte/ccost_2001-275.htm), «il principio della disapplicazione, di cui all’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, sul contenzioso amministrativo, ed il relativo limite ai poteri del giudice ordinario di fronte ad un atto amministrativo illegittimo non costituiscono una regola di valore costituzionale, che il legislatore ordinario sarebbe tenuto ad osservare in ogni caso. Infatti, resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario - suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze della giustizia e ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali - il conferimento ad un giudice, sia ordinario, sia amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti, secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste».

 

 

per la declaratoria

del diritto ricorrente, quale imprenditore capogruppo della ATI Bene Amorini, al risarcimento dei danni patiti per la illegittima esclusione dalla gara per pubblico incanto indetta dalla AUP per "Lavori di manutenzione straordinari del terzo piano dell’edificio n.13 per la sistemazione del Servizio Gestione Economico- Finanziaria della Azienda Universitaria Policlinico", per non avere fornito in sede di aggiudicazione documentazione comprovante il possesso dei requisiti tecnico- organizzativi, in conformità di quanto autocertificato in sede di offerta.

(omissis)

F A T T O

Con ricorso notificato in data 28 marzo 2001, il ricorrente imprenditore premette che, riunito in ATI con la impresa Amorini Giuseppe, avendo formulato il prezzo più basso per la suindicata gara, a seguito di richiesta della AUP, produceva i certificati di iscrizione all’ANC richiesti dal bando di gara.

La Azienda Universitaria Policlinico, con atto del 10.9.99 n.1002, trasmesso con nota n.8758 del 28.9.99, provvedeva ad escludere dalla gara la ATI Bene/Amorini per mancanza di conformità della documentazione presentata in sede di aggiudicazione rispetto a quella richiesta dall’ente appaltante, procedendo inoltre alla escussione della cauzione provvisoria prestata dalla stessa di L.8.832.000.

Nel ricorso si deduce la illegittimità degli atti della amministrazione di esclusione e di incameramento della cauzione, e si chiede il risarcimento dei danni subiti per la mancata esecuzione dei lavori sulla base delle seguenti censure:

violazione e falsa applicazione di legge art. 10 c.1 quater L.109/94 modificata dalla L.415/98; eccesso di potere sotto vari profili; violazione e falsa applicazione di legge art. 89 DPR 554/1999; violazione di legge (L.241/90).

Sostanzialmente il ricorrente deduce la illegittimità del comportamento della amministrazione, che non ha ritenuto comprovato il possesso del requisito richiesto dal bando di gara, pur in presenza della idonea documentazione da essa prodotta.

Viene dedotta altresì la illegittimità della attività della p.a. per mancata aggiudicazione alla ATI di cui faceva parte la impresa ricorrente.

Sulla base della illegittima esclusione della ATI suindicata e della mancata aggiudicazione, il ricorrente propone la richiesta di risarcimento dei danni quantificati nella misura di 100.000.000 di lire oltre accessori.

La azienda intimata si è costituita con memoria nella quale eccepisce la tadività, in quanto il ricorso è stato depositato oltre i quindici giorni dalla notifica, e il termine del deposito è dimidiato per legge (art. 23 bis L.1034/1971).

Si eccepisce la tardività e irricevibilità, in quanto il diritto al risarcimento dei danni trae il suo fondamento dalla illegittima esclusione, che risale all’atto n.1002 del 10.9.99 trasmesso con nota n.8758 del 28.9.99, che non risulta impugnato.

D I R I T T O

In via preliminare di rito, va respinta la eccezione di tardività, in quanto, secondo l’indirizzo fin qui seguito da questo tribunale, la regola della dimidiazione dei termini non riguarda il termine per la proposizione del ricorso, che ricomprende, nel processo amministrativo, non soltanto il momento della notifica del ricorso (vocatio in jus), ma anche la instaurazione del rapporto processuale con il giudice, e cioè il deposito (la editio actionis).

Tale indirizzo non pare allo stato adeguatamente contrastato da argomentazioni finalistiche che, se pur pregevoli, non sembrano trovare riscontro nel dato letterale della legge.

Per quanto riguarda il merito, il ricorrente, costituito in ATI con altra impresa, agisce per il risarcimento dei danni derivanti dalla assunta illegittima esclusione da una pubblica gara alla quale sarebbe altrimenti risultata aggiudicataria.

Al Tribunale spetta pertanto stabilire se sia accoglibile una domanda risarcitoria nei confronti della p.a., non preceduta dal previo annullamento, nè accompagnata dalla contestuale impugnativa degli atti arrecanti la affermata lesione.

La regola della necessità del previo o contestuale annullamento degli atti amministrativi per ottenere il risarcimento del danno è da ritenersi, a parere del Collegio, principio dal quale non può prescindersi, sulla base di argomentazioni sistematiche non solo attinenti al diritto amministrativo, ma anche di diritto civile, processuale e comunitario.

Tale principio è stato ribadito negli anni dai supremi consessi giurisdizionali, sia ordinario che amministrativo, e successivamente trasfuso nell’art. 13 L.142/1992.

Il Collegio ritiene pertanto di non discostarsi dal principio già affermato da con sentenza n. 603/2001, secondo il quale la domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi presuppone la previa (o contestuale) e tempestiva impugnazione del provvedimento amministrativo assunto come pregiudizievole sulla base delle seguenti considerazioni.

A seguito della entrata in vigore della L.n.205/2000, deve ritenersi che (così come previsto originariamente dall’art. 13 L.142/1992) il preventivo annullamento degli atti amministrativi costituisca il presupposto necessario per ottenere poi, innanzi al G.A., il risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi.

Difatti la valutazione di illegittimità è costitutiva della illiceità da imputarsi alla amministrazione, e pertanto segmento necessario, anche se non sufficiente, della affermazione della responsabilità della amministrazione e quindi della domanda di risarcimento dei danni.

La situazione soggettiva di interesse legittimo trova la sua soddisfazione principale e naturale attraverso la sentenza di annullamento e la successiva attività conformativa. La sua tutela non può però ottenersi che nei modi e nei tempi di sviluppo della funzione, sia nella fase procedimentale che processuale.

Rimane pertanto la necessità di rispettare termini brevi compatibili da un lato con il buon andamento della pubblica amministrazione, con il principio di continuità e di celerità dell’agere amministrativo, e dall’altro con il risarcimento in forma specifica come forma di riparazione primaria in grado di soddisfare l’interesse pubblico, che qualifica comunque la vicenda complessiva.

La verifica incidentale a distanza di tempo, nell’ambito del decorso del termine di prescrizione quinquennale del termine per la domanda di risarcimento dei danni, non può trovare ingresso nel nostro ordinamento anche per la ragione che altrimenti si eluderebbe il principio della perentorietà del termine per impugnare, che deve pure avere una sua spiegazione logica e giuridica, e cioè che le situazioni create dall’atto, pur illegittimo, devono avere, per effetto del decorso di un congruo termine, e in base ai principi di continuità, celerità, efficacia e efficienza (art. 1 L.241/90), un loro consolidamento tendenzialmente definitivo (definitivo però non in assoluto, perché residua, come noto, il potere di autotutela).

L’attività amministrativa è caratterizzata dai requisiti della esecutorietà, della impugnabilità a pena di decadenza e pertanto della inoppugnabilità, dal principio di presunzione di legittimità dell’attività, tutti espressione della ritenuta necessità che non restino né incerte né pregiudicabili le determinazioni assunte, in tesi e in linea di principio, nell’interesse della collettività.

Poiché la L.205/2000 ha inserito la azione di risarcimento nel quadro tradizionale della giurisdizione amministrativa, il legislatore ha implicitamente, ma chiaramente confermato i principi ai quali tale giurisdizione si conformava e quindi, in primo luogo, la regola della pregiudizialità.

La necessità del previo annullamento deriva inoltre anche dalla espressione dell’art. 7 L.205/2000, che prevede che il G.A., nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica; il riferimento ai "diritti patrimoniali conseguenziali" è stata ritenuta una conferma normativa della dipendenza nel sistema della azione risarcitoria da quella di annullamento.

Il legislatore, con la L.205/2000, posto che la verifica della illegittimità dell’atto è elemento necessario per accertare l’eventuale operatività dell’art. 2043 c.c. (v. sentenza SS.UU. Cassazione n.500/99), modificando l’art. 7 L.1034/1971, ha previsto che il G.A., nell’ambito della interezza della sua giurisdizione, conosca anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno.

Nella fase attuale di riforma di tipo concentrazionistico (il novello simultaneus processus) nell’ambito della giurisdizione, la competenza giurisdizionale piena, non necessariamente comporta la caduta della regola del previo annullamento, né può ammettersi tout court una verifica c.d. parentetica e incidentale, trattandosi della questione principale dedotta in giudizio.

La supremazia e prevalenza della tutela innanzitutto demolitoria, in caso di contrarietà al diritto, si desume in via sistematica dalle altre forme di tutela operate a mezzo di sentenze costitutive, che per definizione modificano la situazione giuridica preesistente (art. 2908 c.c.).

Dall’art. 1458 c.c., in materia di risoluzione del contratto determinata da sentenza costitutiva del giudice, si ricava il principio che il risarcimento dei danni vale soltanto per quanto residua a seguito della restaurazione dell’ordine violato operata a mezzo della sentenza di scioglimento del rapporto.

Né è corretto ritenere che la affermazione della regola del necessario previo annullamento faccia ricadere nella irresponsabilità della p.a. per lesione di interesse legittimo.

Non si nega infatti all’interesse legittimo leso, la pienezza al risarcimento del danno, e pertanto alla reintegrazione per equivalente, per l’intero, per la quantità monetizzabile che il patrimonio del soggetto leso abbia subito, secondo la teoria della differenza (e cioè la differenza tra quale sarebbe stato il patrimonio del danneggiato senza il fatto illecito, e quale esso è a seguito dell’illecito).

L’interesse legittimo in tal modo non gode di una tutela minorata, quale potrebbe essere per esempio, per scelta di politica legislativa, pur ammissibile, e come suggerita dalla Corte Costituzionale (sentenza n.85/1980 e ordinanza n.165/98), o come previsto per il danno da ritardo da alcune leggi degli anni scorsi (p.es la L.59/97 per il danno da ritardo nella emanazione dell’atto), quella di tipo indennitario o forfettario.

Non si può passare, però, ad una tutela che consenta al danneggiato una scelta indiscriminata, nei tempi e nei modi, che autorizzi la coltivazione di riserve mentali da parte di coloro che si ritenessero lesi dalla azione amministrativa, in caso di atti palesantisi illegittimi ab origine, ma non fatti oggetto di immediata impugnazione, così come è da evitare ogni speculazione a carico della spesa pubblica.

Occorre evitare nel sistema che l’esercizio della funzione pubblica diventi una attività intrinsecamente aleatoria, per i danni conseguenti ad illegittimità sempre possibili, e se si vuole, anche probabili, con l’effetto distorto di costi superiori ai benefici del bene pubblico.

Non può inoltre ritenersi che residui al Giudice Amministrativo il potere di disapplicazione degli atti amministrativi, che sarebbe in contrasto con un indirizzo giurisprudenziale del tutto pacifico, almeno per gli atti amministrativi non normativi, e anche di recente ribadito (C. di Stato, IV, 27.8.99, n.568).

In definitiva, non potrebbe condividersi una scelta giurisprudenziale della superfluità del previo annullamento del provvedimento amministrativo, e deve ritenersi che nel vigore della L.205/2000 la domanda risarcitoria "conseguenziale" debba essere proposta, innanzi al G.A., insieme o dopo il buon esito di precedente domanda di annullamento.

Dal punto di vista eminentemente processuale, mentre il percorso argomentativo della sentenza n.500/99 S.U. Cassazione consente all’A.G.O. di conoscere sugli illeciti aquiliani della P.A. dopo il giudicato amministrativo di illegittimità, in quanto la lesione dell’interesse legittimo è elemento che concorre a dimostrare la colpa aquiliana, con la giurisdizione del G.A. la cognizione della controversia è completamente devoluta allo stesso giudice, con la conseguenza che il rapporto tra giudizio amministrativo di legittimità e giurisdizione civile sull’illecito extracontrattuale si trasforma e diventa, più, o meglio, oltre che di pregiudizialità giuridica (artt. 34, 295 cpc), di connessione per comunanza di cause, per accessorietà della causa risarcitoria rispetto a quella di annullamento.

Le due cause connesse dinanzi al G.A. per questione comune, cioè quella in cui si deve decidere il ricorso per lesione di interesse legittimo e quella sull’accertamento della responsabilità aquiliana, per la quale è rilevante tale lesione, vanno trattate congiuntamente e in particolare la risoluzione della lesione dell’interesse legittimo non è in alcun modo contestabile in riguardo alla assunta responsabilità aquiliana, della quale è elemento necessario, anche se non sufficiente.

Ciò comporta, dal punto di vista processuale, la accessorietà della causa per danni per equivalente (l’accessorietà rientra in un concetto ampio della pregiudizialità) rispetto a quella per illegittimità amministrativa, nel senso che la prima non può essere proposta se non è proponibile e proposta la seconda e la domanda accessoria può essere accolta solo se è accolta la domanda principale.

Non si può, dunque, in sede di giurisdizione piena, agire per danni se è preclusa l’azione per l’accertamento della illegittimità (in specie, per scadenza del termine per impugnare l’atto illegittimo).

L’azione di annullamento del provvedimento, che è giudizio sull’atto, è presupposto della "conseguenziale" azione risarcitoria, che è giudizio sul rapporto (e il diritto al risarcimento è un diritto patrimoniale conseguenziale).

Non è fuor di luogo ricordare la tradizionale posizione della Corte di Giustizia della CE che, occupandosi del sistema processuale amministrativo degli Stati membri, non ha mai messo in discussione la necessità del passaggio della impugnazione come via principale per colpire un atto amministrativo. Anzi, più esplicitamente, la Corte ha chiarito che "…nei diritti nazionali dei diversi Stati membri, un atto amministrativo, anche se irregolare, gode di una presunzione di validità, sino a quando non sia stato annullato o ritualmente revocato dall’istituzione da cui emana" (Corte di Giustizia, 26 febbraio 1987, in causa 15/85).

D’altronde, in ambito comunitario, per la fattispecie oramai famosa di c.d. illecito del legislatore per omessa o tardiva attuazione di direttive, originata dal caso Francovich (seguito dalla sentenza Palmesani, 11.7.1997, causa C-261-95), la Corte di Giustizia ha ritenuto compatibile con il diritto comunitario che un paese membro, l’Italia, abbia previsto un termine di decadenza per la proposizione di ricorsi diretti al risarcimento dei danni subiti a seguito della tardiva attuazione della direttiva in questione, quale applicazione del principio della certezza del diritto, purchè tale modalità procedurale non sia meno favorevole di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna.

Dal diritto comunitario deriva altresì la affermazione di un ulteriore principio che sistematicamente può essere utilizzato ai fini della lettura delle situazioni interne.

La azione di risarcimento danni per illiceità derivante da quella particolare pubblica amministrazione dell’ordinamento comunitario che è il legislatore nazionale, anche se si tratta di responsabilità dello Stato-comunità e non dello Stato-amministrazione, si pone quale meramente sussidiaria, nello stesso senso in cui è sussidiaria nel codice civile la azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2042 c.c., rispetto ad altri rimedi giurisdizionali nazionali. Pertanto, qualora il pregiudizio poteva essere evitato dal danneggiato esperendo rimedi giurisdizionali interni, ad esempio impugnando l’atto pregiudizievole incompatibile con il diritto comunitario ovvero invocando un effetto diretto provocato da una norma, il mancato previo esaurimento di tali rimedi può far ritenere interrotto il necessario nesso di causalità fra violazione e danno sofferto ex artt. 1223, 1227 e 2055 c. c..

Dal punto di vista comunitario, pertanto, la scelta di un sistema nazionale di un termine di decadenza per la impugnazione del provvedimento assunto come illegittimo ai fini del risarcimento per lesione di interesse legittimo, è compatibile con i principi comunitari a patto di rispettare la regola di non rendere eccessivamente difficile, se non impossibile la tutela della posizione comunitaria.

Anche in ambito nazionale, quindi, la scelta di un termine di decadenza di sessanta giorni è pienamente ragionevole, in quanto non è talmente restrittivo da impedire una seria tutela giurisdizionale.

Nel caso in esame, sulla base delle suesposte considerazioni, è dirimente osservare che il ricorrente pretende il risarcimento derivante dalla esclusione, assunta come illegittima, e di cui in sostanza si duole, derivante da atto però inoppugnato, e che non ha pertanto determinato una lesione non jure.

Le considerazioni che precedono impongono la reiezione del ricorso.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione I, respinge il ricorso. Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli, nelle camere di consiglio del 19 dicembre 2001 e del 10 gennaio 2002, con l’intervento dei Magistrati:

Dott. Giancarlo Coraggio Presidente

Dott. Angelo Scafuri Componente

Dott. Sergio De Felice Componente,est.

Depositata il 27 marzo 2002.

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