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TAR CALABRIA-CATANZARO - Sentenza 2 maggio 2001 n. 676 - Pres. Brandileone, Est. Fedullo - Comune di Tropea (Avv. Alfredo Gualtieri) c. Regione Calabria e Comitato Regionale di Controllo, Sezione Decentrata di Vibo Valentia (Avvocatura distrettuale dello Stato di Catanzaro).

1. Giustizia amministrativa - Ricorso giurisdizionale - Atto impugnabile o no - Atto di controllo confermativo di altro atto tutorio non impugnato nei termini - Inammissibilità del ricorso.

2. Comune e Provincia - Statuto - Determinazione del numero degli Assessori - Necessità ex art. 33 L. n. 142/90 e successive modifiche - Sussiste - Disposizione statutaria che rimette la determinazione del numero degli Assessori al Sindaco - Illegittimità.

1. E’ inammissibile il ricorso rivolto contro un atto negativo di controllo del comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali che abbia la stessa motivazione di altro atto negativo di controllo emesso in annullamento di una precedente deliberazione comunale di contenuto sostanzialmente uguale a quello della delibera nuovamente annullata, allorchè il primo atto negativo del comitato regionale di controllo non sia stato impugnato nei termini (1).

2. L’art. 33, comma 1°, della L. 8 giugno 1990 n. 142, così come sostituito dall’art. 11 comma 7°, della L. 3 agosto 1999 n. 265 (secondo cui "la giunta comunale e la giunta provinciale sono composte rispettivamente dal sindaco e dal presidente della provincia, che la presiedono, e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore ad un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tal fine il sindaco ed il presidente della provincia, e comunque non superiore a sedici unità"; v. anche l’attuale art. 47 comma 1° D.Lgs 18 agosto 2000 n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali"), nel prevedere che tra le funzioni dello Statuto rientra quella di "stabilire" il numero degli assessori, va interpretato nel senso che sono inammissibili forme di determinazione del numero degli assessori (rimessa dalla legge allo Statuto, e quindi al Consiglio comunale che lo emana) che implichino, ai fini della loro concreta operatività, il coinvolgimento di organi ai quali siffatto potere non sia stato espressamente attribuito dalla legge.

E’ in particolare illegittima la disposizione contenuta in uno Statuto comunale che non stabilisce il numero degli assessori, in violazione all’art. 33 co. 1 l. 142/90 e successive modifiche ed integrazioni, ma che rimette ad organi diversi da quello consiliare (nella specie, al Sindaco) la determinazione concreta del numero degli assessori, pur all’interno di limiti invalicabili fissati per relationem alla legge medesima (2).

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(1) Cfr. T.A.R. Toscana, Sez. I, 28 aprile 1989 n. 317, in Foro it., 1989, III, 307.

(2) Commento di

LUIGI OLIVERI

Le forzature interpretative non servono alla causa di una vera autonomia locale

Era molto probabile che il primo giudice amministrativo posto di fronte alla valutazione della legittimità delle norme statutarie sulla composizione "flessibile" delle giunte, si pronunciasse per l’illegittimità delle stesse e della stessa circolare 7/1999 con la quale il Ministero dell’interno tentò di legittimare un’interpretazione oggettivamente piuttosto forzata.

E così il Tar Calabria Catanzaro con la sentenza in commento ha detto la sua su una questione montata in realtà pur mancando di concrete basi normative, sulla quale è intervenuto a mettere un rappezzo il comma 2 dell’articolo 47 del D.lgs 267/2000. Per altro col grave difetto, messo in luce sempre dalla sentenza del giudice calabrese, di non dettare alcun criterio per l’individuazione del numero minimo dei componenti la giunta, che a lume di buon senso non dovrebbe scendere sotto 3, ma che in base ad interpretazioni suggestive taluno ritiene possa anche attestarsi su cifre inferiori.

La sentenza pone ancora una volta l’attenzione su una questione che comunque è di più ampia portata, ovvero l’autonomia normativa degli enti locali.

Occorre, forse, prendere atto che a dieci anni di distanza dalla legge 142/1990 l’operazione di esaltazione delle autonomie vada rilanciata con una scelta probabilmente più coraggiosa, che vada verso una vera assegnazione di autonomia normativa, ma in base ad un’espressa riconsiderazione del ruolo dello statuto nella gerarchia delle fonti da parte della legge.

Le teorie del filone "municipalista" pur avendo il pregio di mettere in risalto gli elementi anche innovativi e la portata dell’autonomia locale, risentono inevitabilmente del vero problema: la legge, anche il testo unico, non ha lasciato affatto tutta quella autonomia che a fatica si cerca di individuare, ricorrendo a ricostruzioni interpretative quali la norma "sub primaria", che pur essendo soddisfacenti nel senso di mettere in luce la superiorità dello statuto rispetto alle altre norme secondarie, non risolvono l’irrisolto problema della subordinazione dello statuto rispetto alla legge.

Un passo in avanti potrebbe essere compiuto se passasse la riforma in senso federale della Costituzione. Infatti, l’immediata conseguenza dovrebbe consistere nell’ulteriore riforma dell’ordinamento locale, per adeguarlo al nuovo ruolo che gli enti locali ed i loro statuti (che per la prima volta verrebbero espressamente menzionati dalla Costituzione come fonte normativa) assumerebbero nell’architettura istituzionale.

E’, allora, opportuno prendere atto che l’autonomia degli enti locali, nell’attuale sistema, è molto meno ampia di quanto le spinte verso una più ampia autonomia non vorrebbero o non vogliano far credere.

Ciò perchè l’impianto normativo del testo unico non è molto diverso, in fondo, da quello della riforma di 11 anni fa: ma da quell’epoca, nella quale la legge 142 fu per molti versi quasi rivoluzionaria, di acqua sotto i ponti ne è passata e le spinte verso la valorizzazione delle autonomie locali, il concetto di sussidiarietà, il decentramento e la voglia di federalismo rendono, oggi, asfittico il disegno normativo di poco più di un decennio fa. La causa è da ricercare certamente nella normazione eccessivamente di dettaglio nella quale si è spinto il legislatore, che invece di governare l’ordinamento locale mediante principi, ha operato, prima del ‘99, quando appunto ha stabilito di agire con disposizioni generali e non analitiche, mediante disposizioni regolanti direttamente la materia istituzionale locale, sottraendo, in realtà, alla normazione autonoma moltissimi spazi. O, forse, assegnandole spazi che dieci, cinque e forse tre anni fa potevano essere ritenuti congrui, ma che oggi dalla mutata sensibilità politica e istituzionale sembrano inadeguati.

Ma agire come se le norme attuali fossero già principi, come se gli statuti avessero assunto una posizione nella gerarchia delle fonti pari a quella delle leggi regionali (ma quale fonte ha stabilito, tuttavia, che gli statuti possiedano una competenza alternativa o anche solo concorrente con la legge?) può portare a risultati fuorvianti, come la vicenda della composizione delle giunte comunali e provinciali rivela.

Appare, per altro, strano che per un verso da molte parti si intenda assegnare allo statuto competenze che in realtà (ancora) non possiede o non possiede del tutto: ad esempio, forti ed autorevoli interpretazioni suggeriscono che gli statuti possano derogare all’assetto delle competenze degli organi, ritenendo che essi possano definirle, quando invece la legge chiaramente consente solo di specificarle. Per altro verso, quando una norma assegna espressamente allo statuto-fonte di produzione la potestà di decidere un aspetto non secondario della vita istituzionale dell’ente, la composizione della giunta, si vuole invece bypassare lo statuto e assegnare detto potere a fonti inferiori e a organi diversi dal consiglio.

Come, anche, nel caso delle sanzioni amministrative per violazione dei regolamenti, che addirittura si ritiene possano essere reintrodotte, una volta abrogato l’articolo 106 del testo unico 383/1934, nemmeno per fonte statutaria, ma regolamentare, pur essendo chiara la riserva di legge comunque ancora vigente ai sensi dell’articolo 1 della legge 689/1981.

Sembra opportuno che il legislatore intervenga in questi come in tutti gli altri campi nei quali si vuole disegnare un ambito normativo di maggior portata, in modo da definire in maniera detta portata. Al limite il legislatore potrebbe anche decidere di consentire un ordinamento differenziato nell’ambito del quale occorra rispettare solo alcuni principi. Ad esempio, consentendo a ciascun ente di individuare gli organi ed attribuire loro le competenze, limitandosi solo a richiedere obbligatoriamente un organo collegiale rappresentativo della popolazione eletto a suffragio universale, un organo collegiale ristretto, un organo monocratico, responsabile dell’indirizzo politico dell’ente e della nomina dell’organo ristretto, e un apparato amministrativo cui affidare responsabilità gestionali e il compito di rappresentare la volontà dell’ente nella misura stabilita dallo statuto.

Solo norme simili potranno risolvere in senso davvero autonomista la querelle sulla portata dell’autonomia, sull’estensione delle competenze della giunta rispetto al consiglio e alla dirigenza e sull’intero assetto locale.

Esiste, certo, il rischio di oltre 8.100 ordinamenti differenziati. Spetta allora al legislatore individuare espressamente i principi inderogabili o, meglio, i confini invalicabili di una disciplina ordinamentale comune a tutti gli enti, se davvero si vuole realizzare l’autonomia e la sussidiarietà. Occorrono, allora, riforme ancora più ampie in tale senso.

Ma nel frattempo, ciò che va applicato è il diritto vigente. Ogni critica all’attuale impostazione può essere utile per il dibattito che deve precedere l’ulteriore riforma, ma le forzature conducono a conflitti (e a costi operativi e finanziari anche non secondari, come quelli affrontati dalla P.A. nell’ambito della vicenda della sentenza calabrese) sulla cui utilità riguardo ai cittadini è certamente lecito dubitare.

V. in argomento:

Legge 3 agosto 1999, n. 265, in www.giustamm.it, pag. http://www.giustamm.it/leggi/L_1999-265.htm

Ministero dell'Interno, circolare n. 7199, prot.n.15900/1476/1Bis/c.le.142 del 19.11.1999, in www.giustamm.it, pag. http://www.giustamm.it/leggi/circmininterno_1999GM.pdf 

L. De Marinis, Giunte municipali e provinciali a rischio, in www.giustamm.it, pag. http://www.giustamm.it/articoli/demarinis_giunte.htm

L. Olivieri, La composizione delle giunte comunali e provinciali, in www.giustamm.it, pag. http://www.giustamm.it/articoli/oliveri_giunte.htm 

 

 

per l’annullamento

dell’ordinanza n. 16 del 16/2/2000 con la quale il Comitato Regionale di Controllo, Sezione di Vibo Valentia, ha disposto l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Tropea n. 2 del 26/1/2000, nonché della nota prot. 165 del 24/2/2000 del medesimo Comitato di controllo.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 9 Marzo 2001 il dott. Ezio FEDULLO;

Uditi altresì gli avvocati come da verbale d’udienza.

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

La controversia scaturisce dall’esito negativo del controllo preventivo operato dal Comitato regionale di controllo, sezione di Vibo Valentia, sulla deliberazione consiliare con la quale il Comune di Tropea ha proceduto all’adeguamento dello Statuto comunale ai principi sanciti dalla l. 3/8/1999 n. 265, esito negativo derivante dalla illegittimità che l’organo tutorio ha ritenuto inficiare le disposizioni statutarie relative alla determinazione del numero degli assessori ( e quindi dei componenti della Giunta ).

Da un lato, infatti, il Comune di Tropea ritiene di essersi conformato alla norma di cui all’art. 33 co. 1 l. 8/6/1990 n. 142, come sostituito dall’art. 11 co. 7 l. 3/8/1999 n. 265, prevedendo, all’art. 23 co. 1 del nuovo testo statutario, che la Giunta sia composta dal Sindaco "e da un numero di assessori non inferiore e non superiore a quello previsto per legge", dall’altro lato, invece, l’organo di controllo sostiene che l’art. 33 l. cit., correttamente interpretato, impone all’ente comunale di indicare nello Statuto il numero determinato degli assessori, senza la possibilità di fare rinvio a tale scopo ad elementi esterni, sebbene di fonte legislativa, rispetto alla disposizione statutaria.

Al fine di sostenere la legittimità della scelta compiuta il Comune di Tropea si richiama in via principale alla circolare interpretativa del Ministero degli Interni n. 7 del 20/11/1999, che afferma l’aderenza alla legge del criterio determinativo censurato dal Comitato di controllo e rimette al Sindaco di stabilire in concreto il numero degli assessori entro i limiti minimo e massimo previsti dalla legge.

Uno specifico motivo di doglianza viene infine articolato in ricorso al fine di sostenere l’illegittimità della nota del 24/2/2000 prot. 165 a firma del Presidente f.f. della Sezione di Vibo Valentia del Comitato di controllo, relativamente alla quale la difesa di parte ricorrente, evidenziatone il contenuto prescrittivo, adduce la carenza in capo all’organo emanante di alcun potere atto a legittimarne l’adozione.

L’Avvocatura dello Stato, costituitasi nell’interesse degli organi intimati, ha invocato il rigetto del ricorso sia in rito che nel merito.

DIRITTO

Assume carattere preliminare la puntuale ricostruzione dei termini fattuali della vicenda, quindi, essenzialmente, degli atti che ne hanno segnato lo svolgimento e del rispettivo contenuto.

Punto di partenza dell’analisi non può non essere il provvedimento n. 7 del 7/1/2000 con il quale la Sezione di Vibo Valentia del Comitato regionale di controllo ha annullato, tra gli altri, l’art. 23 co. 1 del nuovo Statuto comunale del Comune di Tropea approvato con deliberazione consiliare n. 69 del 22/12/1999, rilevando che esso "non stabilisce il numero degli assessori, in violazione all’art. 33 co. 1 l. 142/90 e s.m.i., che ne prevede la definizione del numero".

Con successiva delibera n. 2 del 26/1/2000 il Consiglio comunale di Tropea, nel prendere atto del richiamato provvedimento tutorio ( e nell’adeguare ad esso gli artt. 24 e 26 dello Statuto, pure interessati dalle osservazioni formulate in sede di controllo ma che in questa sede non rilevano ), riteneva di non dover introdurre alcuna modifica nella formulazione dell’art. 23 co. 1 dello Statuto comunale, respingendo le deduzioni di illegittimità al riguardo articolate dal Comitato di controllo sulla base delle contrarie indicazioni contenute nella circolare ministeriale n. 7 del 19/11/1999 e confermando per intero il contenuto del predetto articolo così come originariamente formulato.

Il Comitato di controllo, investito dell’esame di tale ultima delibera, ha ribadito gli argomenti esposti con la prima ordinanza, relativamente all’art. 23 dello Statuto comunale, e reiterato in parte qua la misura repressiva con essa disposta.

Ebbene, dalla compiuta ricostruzione emergono con sufficiente evidenza i motivi che inducono questo giudice a riconoscere nell’inammissibilità una (ma non l’unica) delle ragioni di inaccoglibilità del ricorso, proposto avverso il provvedimento da ultimo indicato.

L’impugnativa in esame, invero, si dirige nei confronti di un atto meramente ripetitivo, negli argomenti dedotti e nella conclusione attinta, del precedente provvedimento di annullamento n. 7 del 7/1/2000, nella parte concernente l’art. 23 co. 1 dello Statuto comunale, nei confronti del quale nessuna iniziativa giurisdizionale è stata promossa dall’Amministrazione destinataria.

Ma, più che il carattere meramente confermativo del provvedimento impugnato – a smentita del quale potrebbe non senza pertinenza rilevarsi la circostanza per la quale esso attiene ad un atto, la delibera comunale n. 2 del 26/1/2000, diverso da quello annullato in prima battuta dal Comitato di controllo, ovvero la deliberazione consiliare n. 69 del 22/12/1999 – preme evidenziare come nessun vantaggio alla posizione di interesse della ricorrente Amministrazione, infirmata dall’atto impugnato, potrebbe venire per effetto dell’ipotetico annullamento di quest’ultimo in sede giurisdizionale, permanendo immutati gli effetti demolitori della prima, ormai inoppugnabile ordinanza dell’organo tutorio.

Non si vuole dire, con ciò, che questi ultimi si estendono automaticamente alla delibera comunale n. 2 del 26/1/2000 ( estensione che potrebbe ritenersi connessa al carattere a sua volta meramente confermativo della deliberazione comunale n. 69/1999, deducibile dal fatto che essa si fonda su argomentazioni di carattere giuridico che alcun elemento nuovo apportano alla ponderazione di interessi compiuta con il provvedimento originariamente annullato, con conseguente valore puramente ricognitivo dell’ordinanza di controllo impugnata nella parte in cui reitera la misura caducante già sancita con la decisione del 7/1/2000 ) : potrebbe infatti obiettarsi che il principio che sancisce la caducazione automatica dell’atto meramente confermativo, a seguito dell’annullamento dell’atto originario, si applica esclusivamente in sede processuale e presuppone in ogni caso che esso sia emanato prima della decisione di annullamento.

Ciò che invece interessa rilevare è che, pur dopo l’eventuale annullamento del provvedimento impugnato, la vicenda sostanziale resterebbe contraddittoriamente ed irrimediabilmente pregiudicata dalla decisione negativa di controllo del 7/1/2000 (anche in relazione all’insussistenza in capo all’organo di controllo di poteri di autotutela idonei ad uniformare le sue pregresse decisioni ai valori sanciti con sentenza : cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 21.7.1997 n. 734, in Foro amm., 1997, p. 1947, secondo cui "la potestà di controllo di atti amministrativi, una volta esercitata, non è soggetta a riesame in sede di autotutela" ).

La conclusione abbracciata è del resto in linea con quanto già ritenuto dalla giurisprudenza (cfr. T.A.R. Toscana, Sez. I, 28.4.1989 n. 317, in Foro it., 1989, III, 307 : "E’ inammissibile il ricorso rivolto contro un atto negativo di controllo del comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali che abbia la stessa motivazione di altro atto negativo di controllo emesso in annullamento di una precedente deliberazione comunale di contenuto sostanzialmente uguale a quello della delibera nuovamente annullata, allorchè il primo atto negativo del comitato regionale di controllo non sia stato impugnato nei termini" ).

Ma non basta, chè la stessa valutazione in ordine alla eventuale fondatezza del ricorso – alla quale si accede per ragioni di completezza del vaglio giurisdizionale - non potrebbe che avere esito negativo.

La disposizione di legge, dalla cui interpretazione deve discendere la soluzione della controversia in esame, recita ( art. 33 co. I l. 8.6.1990 n. 142, così sostituito dall’art. 11 co. VII l. 3.8.1999 n. 265; cfr. anche l’attuale art. 47 co. I D.Lgs 18.8.2000 n. 267 " Testo unico delle lessi sull’ordinamento degli enti locali" ): "La giunta comunale e la giunta provinciale sono composte rispettivamente dal sindaco e dal presidente della provincia, che la presiedono, e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore ad un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tal fine il sindaco ed il presidente della provincia, e comunque non superiore a sedici unità".

Ebbene, risulta chiaramente, dal tenore letterale della disposizione, che tra le funzioni dello Statuto rientra quella di "stabilire" il numero degli assessori : la questione si sposta quindi sull’interpretazione del termine, onde verificarne i margini di elasticità in relazione alla possibilità che la norme statutarie non si limitino a precisare rigidamente da quanti componenti deve essere numericamente composta la giunta, ma ricorrano a criteri alternativi e più flessibili (tra i quali quello utilizzato nel caso di specie dal Comune di Tropea, consistente nel rinvio ai numeri minimo e massimo degli assessori indicati dalla legge).

Ebbene, dal momento che la ratio delle norme che regolano la materia de qua è quella di delimitare le competenze degli organi degli enti locali, nonché quelle di fissare i contenuti degli atti che compongono il relativo ordinamento, ne deriva l’inammissibilità di forme di determinazione del numero degli assessori ( rimessa dalla legge, come rilevato, allo Statuto, quindi al Consiglio comunale che lo emana ) che implichino, ai fini della loro concreta operatività, il coinvolgimento di organi ai quali siffatto potere non sia stato espressamente attribuito dalla legge.

Pertanto, non risulta consentito che la formulazione dello Statuto rimetta ad organi diversi da quello consiliare – come, nel caso in esame, il sindaco - la determinazione, o comunque il concorso nella stessa, del numero degli assessori, pur all’interno di limiti invalicabili fissati per relationem alla legge medesima.

Del resto, deve rilevarsi che lo stesso criterio cui ha fatto ricorso la deliberazione annullata dall’organo di controllo non risulta compiutamente applicabile, ove si consideri che il rinvio alla legge, suscettibile di operatività limitatamente al numero massimo degli assessori (cfr. il surriportato art. 33 co. I l. 241/1990), non lo è altrettanto in relazione al numero minimo, che non trova nella legge alcuna concreta definizione.

Inoltre, lo stesso articolato normativo che regola attualmente la materia (art. 47 D.Lgs. 18.8.2000 n. 267), nel riprodurre la richiamata norma (co.I ) si limita ad aggiungere (co. II) che : "Gli statuti, nel rispetto di quanto stabilito dal comma I, possono fissare il numero degli assessori ovvero il numero massimo degli stessi".

La norma non è scevra di riflessi in ordine alla problematica in esame.

In primo luogo va rilevato che essa, al di là di ogni riflessione concernente il suo carattere innovativo o meramente interpretativo ed esemplificativo, consente di affermare che il verbo "fissare" ( equivalente a quello "stabilire" utilizzato nel primo comma, e già utilizzato dall’art. 33 co. I l. 142/1990 ) non comprende la possibilità di utilizzare criteri di determinazione ab externo del numero degli assessori, che implichino il concorso di volizioni ulteriori da esprimersi da parte di organi diversi da quello consiliare ( chè altrimenti non sarebbe stato necessario prevedere che lo Statuto può, oltre che "stabilire il numero degli assessori", limitarsi a fissarne il "numero massimo" ) : così avvalorando la tesi suesposta, nel senso che tale facoltà non è semanticamente insita nel potere di "stabilire" il numero degli assessori.

Di più, va rilevato che la disposizione statutaria che si limiti a rinviare ai parametri normativi di composizione della giunta assume valore meramente pleonastico, ed implica la rinuncia all’esercizio della potestà di puntuale determinazione attribuita dalla legge : potestà il cui esercizio, prima dell’innovazione sancita dal richiamato art. 47 d.lgs 267/2000 ( che, con la previsione della facoltà di determinare il numero massimo degli assessori, ne ha sancito la mera facoltatività ), assumeva carattere doveroso e non surrettiziamente abdicabile.

In questa ottica, non può non evidenziarsi la circostanza per la quale la stessa norma indicata da ultimo, pur attenuando i requisiti contenutistici che deve possedere lo Statuto in punto di determinazione del numero degli assessori, non si spinge fino a ricomprendervi la possibilità di cui ha fatto illegittimamente uso il Consiglio comunale di Tropea : ciò in quanto la determinazione del numero massimo ma invariabile degli assessori, consentita dalla citata disposizione, presenta indubbiamente caratteri di maggiore determinatezza, in quanto presupponente quantomeno la valutazione consiliare della sua coerenza con le caratteristiche dimensionali ed organizzative del Comune interessato, rispetto al mero rinvio, agli stessi fini, al variabile ed astratto parametro legislativo.

Tale osservazione evidenzia, più delle altre, l’infondatezza di ogni tentativo di legittimare, peraltro ex post, il criterio determinativo seguito nella specie dal Comune di Tropea.

L’avviso contrario all’illegittimità dello stesso, anche se formalizzato con la circolare del Ministero degli Interni n. 7/1999, non è idoneo a mutare la conclusione esposta, in quanto la sua difformità rispetto alle indicazioni di legge, rilevabile dalle considerazioni formulate, consente al giudice amministrativo di disapplicarla ai fini del decidere, anche laddove sia stata omessa la sua impugnazione (incidentale : cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, 18.1.1984 n. 8, in TT.AA.RR., 1984, I, p. 881 ).

Deve del resto evidenziarsi che la rilevanza della circolare in discorso ai fini del decidere non potrebbe giammai connettersi, come dedotto in ricorso, dalla violazione dei suoi precetti, in cui sarebbe incorso l’organo di controllo nell’emanare la decisione impugnata (violazione astrattamente inquadrabile nel vizio di eccesso di potere ).

Ciò sia in considerazione dell’estraneità del Comitato regionale di controllo rispetto a qualsiasi vincolo gerarchico nei riguardi dell’emanante Amministrazione statale dell’interno (presupposto per la configurazione del vizio di eccesso di potere; cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4.12.1987 n. 765, in Cons Stato, 1987, I, p. 1753, secondo cui il Co.Re.Co. è organo della Regione), sia in quanto il contenuto del controllo espletato dall’organo de quo è circoscritto a profili di legittimità, che non consentono l’integrazione, nel suo esercizio, di figure invalidanti esclusivamente riconducibili al potere discrezionale ( quali l’eccesso di potere : cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 16.6.1981 n. 300, in Foro amm., 1981, I, 1390 ).

L’impugnazione del provvedimento di controllo n. 16 del 16.2.2000 deve quindi essere respinta siccome infondata, prima ancora che inammissibile.

Per concludere, deve essere altresì dichiarata inammissibile l’impugnazione proposta nei riguardi della nota prot. 165 del 24.2.2000 a firma del Presidente f.f. del Co.Re.Co., trattandosi di atto dal contenuto meramente informativo sprovvisto di effetti lesivi diretti ed ulteriori rispetto a quelli derivanti dall’ordinanza impugnata.

Quanto alle spese di giudizio sostenute dalle parti, sussistono giusti motivi per compensarle.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sezione Seconda di Catanzaro, respinge il ricorso nei termini di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella Camera di Consiglio del 9 Marzo 2001.

F.to Francesco BRANDILEONE Presidente

F.to Ezio FEDULLO Estensore

F.to Gemelli Segr.

Depositata in segreteria il 2 maggio 2001.

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