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T.A.R. TOSCANA - FIRENZE - SEZIONE III - Ordinanza 25 marzo 2015 n. 469
M. Nicolosi Pres. - R. Gisondi Est.
M. Del Medico (Avv. A. Cecchi) contro il Comune di Firenze (Avv.ti A. Pisapia, A. Minucci, F. De Santis)


Edilizia ed urbanistica – Art. 84 bis comma 2 lettera b) della L.R. Toscana 1/2005 - SCIA - Annullamento oltre il trentesimo giorno per difformità dallo strumento urbansitico - Questione di legittimità costituzionale – Rilevanza e non manifesta infondatezza – Ragioni

 

 

È rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 84 bis comma 2 lettera b) della legge regionale toscana 3 gennaio 2005 n. 1 nella parte in cui consente alla amministrazione comunale di adottare provvedimenti inibitori e sanzionatori anche dopo la scadenza del trentesimo giorno dalla presentazione della s.c.i.a. sulla base del solo presupposto della riscontrata difformità dell’intervento che ne è oggetto dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi, laddove non pare conforme ai principi fondamentali della materia contenuti nei commi secondo terzo e quarto dell’art. 19 della L. 241 del 1990 in tema di s.c.i.a. concernenti anche la s.c.i.a. edilizia in forza del disposto del comma 6 ter del predetto articolo, e, quindi, parerebbe incorrere nella violazione dell’art. 117 comma 3 della Costituzione. La Sezione dubita altresì della costituzionalità della predetta norma sotto il profilo della violazione dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. in quanto non rispetterebbe i livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali stabiliti in materia di segnalazione certificata di inizio attività dai menzioni comma dell’art. 19 della L. 241/90.

 

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)



ha pronunciato la presente

ORDINANZA



sul ricorso numero di registro generale 823 del 2014, proposto da:
Marco Del Medico, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Cecchi nel cui studio in Firenze, via Masaccio 172 è elettivamente domiciliato;

 

contro



Comune di Firenze, rappresentato e difeso per legge dagli avv. Antonella Pisapia, Annalisa Minucci, Francesca De Santis, domiciliato in Firenze presso l’Ufficio legale in Palazzo Vecchio - piazza Signoria;

 

per l'annullamento



- dell'ordinanza n. 130/2014 del 28.2.2014, notificata in data 8 marzo 2014, con la quale è stata dichiarata l'inefficacia della D.I.A./S.C.I.A. n. 6319/2012 presentata dal ricorrente, con contestuale ordine di rimessa in pristino ex art. 135, comma 2, L.R.T. n. 1/2005;
- di tutti i provvedimenti comunque connessi, anche se incogniti, compresi gli atti istruttori e la comunicazione di avviso del procedimento prot. n. 28116 del 25.6.2013.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Firenze in Persona del Sindaco P.T.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2015 il dott. Raffaello Gisondi e uditi per le parti i difensori A. Cecchi e A. Pisapia;

1. Il ricorrente, proprietario di una unità immobiliare ad uso civile abitazione ricadente in zona urbanisticamente classificata come agricola nel comune di Firenze, intendendo avvalersi dei benefici dalla normativa regionale sul cd. “piano casa” (L.R. 08/05/2009 n. 24), ha presentato in data 10/09/2012 una SCIA finalizzata alla realizzazione di un ampliamento della predetta abitazione mediante chiusura di un preesistente loggiato.
Successivamente alla presentazione della segnalazione nessuna comunicazione ostativa è pervenuta da parte del Comune di Firenze; sicchè i lavori sono stati eseguiti e ne è stata comunicata l’ultimazione in data 25/02/2013.
Con nota del 25 giugno 2013 il Comune di Firenze ha comunicato l’avvio di un procedimento di accertamento edilizio ai sensi dell’art. 84 bis della L.R. 1/2005 in quanto l’ampliamento non rientrerebbe fra quelli consentiti dalla L.R. 24 del 2009. In particolare, poiché l’intera superficie della abitazione del Sig. Del Medico sarebbe stata originariamente legittimata mediante condono edilizio, la stessa, giusto il disposto dell’art. 5 comma 4 della citata L.R. 24/09, non sarebbe ammessa a beneficiare degli incrementi straordinari previsti dalla normativa regionale sul “piano casa”
Con successivo provvedimento in data 28/02/2014 il Responsabile della direzione urbanistica del Comune di Firenze dichiarava inefficace la s.c.i.a. n. 6319/2012 ed ordinava al ricorrente ai sensi dell’art. 135 comma 2 della L.R. 1/05 la rimessione in pristino mediante rimozione del tamponamento della loggia.
Avverso tale atto l’interessato ha proposto ricorso innanzi a questo Tribunale amministrativo affermando con il terzo e quarto motivo che l’ampliamento realizzato rientrerebbe fra quelli ammessi dall’art. 5 della L.R. 24/2009 e, comunque sarebbe conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici del comune di Firenze. Entrambi i motivi sono stati dichiarati infondati con sentenza parziale emessa in Camera di consiglio contestualmente alla presente ordinanza.
Con il primo motivo di ricorso il Sig. Del Medico afferma che l’art. 84 bis della leggere regionale toscana 3 gennaio 2005 n. 1 nella parte in cui consente alle amministrazioni comunali di adottare provvedimenti inibitori e sanzionatori anche dopo la scadenza del termine di trenta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in tutti i casi in cui venga riscontrata una difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi, non sarebbe conforme ai principi fondamentali previsti in materia di segnalazione certificata di inizio attività dalla legge dello Stato in base ai quali, dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. le amministrazioni potrebbero esercitare i propri poteri sanzionatori solo in presenza di un pericolo per gli interessi “sensibili” di cui al comma 4° dell’art. 19 della L. 241 del 1990 o nel caso in cui la segnalazione certificata di inizio attività sia basata su dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà false o mendaci.
Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata la violazione dell’art. 19 comma 3 della L. 241/90 in quanto con il provvedimento impugnato l’amministrazione avrebbe dichiarato inefficace la s.c.i.a. presentata in data 10/09/2012 senza dar conto nella motivazione dei presupposti previsti dall’art. 21 nonies della predetta legge per l’esercizio del potere di autotutela.
2. Ritiene il Collegio che la questione di costituzionalità posta con il secondo motivo di ricorso non sia manifestamente infondata.
Ritiene altresì il Collegio, per le ragioni che appresso verranno specificate, che la decisione sul secondo motivo di ricorso sia subordinata al giudizio relativo alla legittimità costituzionale dell’art. 84 bis della L.R. 1/2005.
3. Premesso che l’art. 84 bis della L.R. 1/2005 è stato introdotto dall’art. 22 della L.R. 5 agosto 2011, n. 40, occorre muovere dalla ricostruzione di quale fosse il quadro normativo nazionale alla data di entrata in vigore della predetta legge regionale.
In proposito va ricordato che l’art. 19 della L. 241 del 1990 è stato integralmente riscritto dal comma 4 bis dell’art. 49 del D.L. 31/05/2010 n.78, convertito in L. legge 30 luglio 2010, n. 122, il quale ha sostituito l’istituto della dichiarazione di inizio attività con quello della segnalazione certificata di inizio attività.
Per quanto qui interessa il testo dell’art. 19 introdotto dalla predetta norma prevede che la segnalazione debba essere corredata:
a) da dichiarazioni sostitutive (di certificazione e di atto di notorietà) attestanti la sussistenza dei fatti stati e delle qualità personali “autocertificabili” ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 445 del 2000;
b) dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati “relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti” “richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale” per “il rilascio” delle autorizzazioni, licenze, concessioni, permessi o nulla osta sostituiti dalla s.c.i.a.. Attestazioni ed asseverazioni che devono, peraltro, essere “corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione”.
Ai sensi del comma terzo della norma l’amministrazione deve accertare l’eventuale “carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1” entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. (ridotto a trenta nel caso di s.c.i.a. edilizia).
La scadenza di tale termine, ancorché priva di valenza provvedimentale, costituisce un evento decadenziale che preclude la adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che le “dichiarazioni sostitutive” attestanti i fatti, le qualità e gli stati personali posti alla base della s.c.i.a. si rivelino, successivamente, essere “false o mendaci”, oppure nel caso in cui l’attività intrapresa in assenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge metta in pericolo il patrimonio artistico e culturale, l'ambiente, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
Ove non ricorrano le due ipotesi in cui il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione e rimozione degli effetti della attività non opera, l’amministrazione non perde ogni possibilità di intervento tardivo, ma il potere che essa può esercitare non è più correlato alla semplice verifica della assenza dei requisiti ed ai presupposti previsti dalla legge o da atti amministrativi generali per l’esercizio della attività ma alle valutazioni di opportunità ed al bilanciamento degli interessi proprie della attività di “autotutela” così come codificate dagli artt. 21 quinquies e nonies della L. 241 del 1990.
La disciplina della s.c.i.a. introdotta con il D.L. 78 del 2010 effettua, quindi, un preciso riparto fra gli oneri certificativi che ricadono sul privato autore della segnalazione e gli obblighi istruttori che competono alla p.a. in ordine alla verifica dei requisiti e presupposti sostanziali per l’intrapresa della attività, riparto dal quale sono fatte derivare puntuali conseguenze in ordine al limite entro cui l’affidamento del privato riceve protezione.
Dalla lettura del testo della norma appare chiaro che il corredo di dichiarazioni sostitutive e di asseverazioni che devono accompagnare la s.c.i.a. non esime l’amministrazione dall’obbligo di effettuare entro il termine di sessanta (o trenta) giorni le verifiche sulla sussistenza dei requisiti e dei presupposti per l’esercizio della attività né riducono tali verifiche ad un controllo meramente formale.
Se da un lato, infatti, l’amministrazione è dispensata dall’effettuare entro il termine predetto accertamenti in ordine alla verità dei fatti, degli stati e delle qualità personali attestati nelle dichiarazioni sostitutive ad essa allegate, altrettanto non può tuttavia affermarsi in relazione al contenuto delle asseverazioni ed attestazioni dei tecnici abilitati le quali, invece, non possono essere sic et simpliciter essere prese per buone, ma devono essere verificate entro il termine all’uopo previsto.
Ciò si evince sia dal comma 3 dell’art. 19, nella parte in cui riconnette la inoperatività del termine per disporre la cessazione della attività e della rimozione dei suoi effetti alla sola scoperta della falsità o mendacità delle dichiarazioni sostitutive e non anche delle attestazioni e delle asseverazioni tecniche (che il comma secondo della norma ha cura di distinguere), sia dal comma 2 del medesimo articolo laddove viene prescritto che le attestazioni e le asseverazioni debbano essere corredate dagli elaborati tecnici “per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione”.
Dalla analisi della norma emerge, quindi, un sistema equilibrato nel quale il principio di autoresponsabilità del privato autore della segnalazione non si spinge fino al punto di addossare allo stesso anche il rischio che i giudizi tecnici o le qualificazioni giuridiche derivanti dalla interpretazione di testi legislativi e regolamentari (spesso locali), che formano oggetto di asseverazione da parte dei tecnici abilitati, risultino, a posteriori, disattese dalle amministrazioni anche a notevole distanza di tempo dalla presentazione della s.c.i.a.
Tali giudizi e tali qualificazioni devono, quindi, essere verificate dall’amministrazione entro il termine previsto dalla legge la cui scadenza fa, pertanto, insorgere in capo al privato il ragionevole affidamento sulla conformità della attività intrapresa ai requisiti ed i presupposti che la legittimano; affidamento che, a quel punto, l’amministrazione può disattendere solo nel caso di messa in pericolo degli interessi sensibili di cui al comma 4 dell’art. 19 della L. 241/90 o esercitando le prerogative proprie dell’autotutela.
Del resto se fosse consentito alle amministrazioni fare appello alla inesattezza o alla erroneità dei giudizi espressi nelle asseverazioni tecniche per intervenire anche dopo la scadenza del termine, qualora ritenga insussistenti i requisiti per l’esercizio della attività, sia la previsione di cui al comma 4 dell’art. 19 sia quella relativa all’esercizio del potere di autotutela (contenuta nel comma 2) sarebbero private di ogni senso e pratica utilità.
Sul punto occorre, infine, osservare che seppure anche la falsità delle asseverazioni tecniche sia penalmente punita (art. 10 comma 6 L. 241/90), ciò non significa che tali atti abbiano una efficacia fidefacente che esonera l’amministrazione a cui essi sono diretti dall’effettuare le prescritte verifiche in ordine alla sussistenza dei requisiti tecnici e giuridici asseverati.
Prova ne è che tali asseverazioni devono essere allegate anche alla domanda di permesso di costruire (art. 20 comma 1 DPR 380/01) il cui rilascio presuppone senza dubbio alcuno l’effettuazione di autonome verifiche da parte del responsabile del procedimento.
4. Il sistema dei controlli sulla s.c.i.a. sancito dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 19 della L. 241/90 risulta, peraltro, pacificamente applicabile nella sua integralità alla materia edilizia.
Infatti, l’art. 5 comma 2 lett. b) del citato D.L. 78/2010 ha aggiunto al testo dell’art. 19 il comma 6 bis in base al quale l’istituto della scia viene dichiarato applicabile anche alla predetta materia con la sola differenza consistente nel fatto che il termine per l’intervento inibitorio o repressivo della p.a. è ridotto da 60 a 30 giorni.
Successivamente, il comma 6 bis dell’art. 19 è stato modificato dall’art. 6, comma 1, lettera b), del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 con il quale il legislatore ha voluto precisare che l’esercizio dei poteri sanzionatori e di vigilanza previsti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dalle leggi regionali, già fatti salvi dal testo precedente della norma, debba avvenire entro i limiti in cui il comma 4 del medesimo articolo consente l’intervento tardivo della p.a. a tutela di interessi sensibili.
5. Al fine di vagliare la conformità al quadro normativo nazionale della disciplina regionale toscana relativa ai “poteri di vigilanza in caso di scia” contenuta nell’art. 84 bis della L.R. 1/05 (legge oggi abrogata ma che risulta comunque applicabile ai fini della decisione sul ricorso in quanto vigente al momento della adozione del provvedimento impugnato), occorre preliminarmente offrirne una ricostruzione ermeneutica.
Le previsioni contenute nell’art. 84 bis della L.R. 1/05 si differenziano a seconda delle diverse tipologie di intervento edilizio che possono essere oggetto di s.c.i.a..
Il primo comma stabilisce, infatti, che “con riferimento agli interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettera a) e a quelli di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 79, comma 2, lettera d), il decorso del termine di cui all’articolo 84, comma 6, non preclude la potestà di controllo, anche a campione, del comune nell’ambito dell’attività di vigilanza di cui all’articolo 129”, mentre il secondo comma si riferisce agli interventi di cui “all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f) e di cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e)”, prevedendo che, in tali ipotesi, “decorso il termine di trenta giorni di cui all’articolo 84, comma 6, possono essere adottati provvedimenti inibitori e sanzionatori qualora ricorra uno dei seguenti casi: a) in caso di falsità o mendacia delle asseverazioni, certificazioni, dichiarazioni sostitutive di certificazioni o degli atti di notorietà allegati alla SCIA medesima; b) in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi; c) qualora dall’esecuzione dell’intervento consegua pericolo di danno per il patrimonio storico-artistico, culturale e paesaggistico, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
La norma consente, quindi, all’amministrazione di esercitare i poteri sanzionatori previsti per la repressione degli abusi edilizi anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in un numero di ipotesi molto più ampio di quello previsto dai commi 3 e 4 dell’art. 19 della L. 241/90.
Nel caso degli interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettera a) e di quelli di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 79, comma 2, lettera d), la possibilità di intervento tardivo è praticamente illimitata, mentre con riguardo agli interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f) e di cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e), l’intervento repressivo tardivo è ammesso non solo al fine di prevenire un pregiudizio a determinati interessi sensibili (coincidenti con quelli tipizzati nel comma 4 dell’art. 19 della L. 241/90), o in caso di falsità o mendacio delle dichiarazioni sostitutive, ma anche in ipotesi non contemplate dall’art. 19 della L. 241/90, fra le quali rientrano la “falsità e la mendacia” delle asseverazioni tecniche e, soprattutto, la riscontrata difformità dell’intervento oggetto di s.c.i.a. dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi.
Peraltro, nei predetti casi, l’adozione dei provvedimenti sanzionatori oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. non è subordinata ad un bilanciamento di interessi che tenga conto dell’affidamento del privato.
L’art. 84 bis della L.R. 1/05 non contiene, infatti, alcun richiamo al potere di autotutela.
Manca, inoltre, nell’impianto della legge regionale, lo stesso presupposto affinché possa insorgere in capo all’autore della segnalazione un affidamento in ordine alla sua conformità sostanziale alla legge; presupposto che, come si è sopra evidenziato, consiste nel dovere dell’amministrazione di effettuare entro il trentesimo giorno dalla presentazione della s.c.i.a. un controllo sostanziale sulla sussistenza dei requisiti e dei presupposti legali per l’esercizio della attività. L’art. 84 comma 6 della citata legge prevede, infatti, che la p.a. debba farsi carico nei trenta giorni che seguono alla presentazione della segnalazione di una verifica puramente formale sulla completezza della documentazione ad essa allegata (verifica della “l’assenza di uno o più degli atti di cui al comma 2”).
Nel contesto della legge regionale non vi può quindi essere alcun affidamento su un tempestivo controllo pubblico dei requisiti ed i presupposti della attività segnalata perché non è previsto che un siffatto controllo debba avvenire entro trenta giorni dalla presentazione della s.c.i.a.
L’inizio della attività avviene, quindi, “a rischio e pericolo” del suo autore che può trovarsi esposto anche a notevole distanza di tempo ad un accertamento di segno opposto della p.a. ed ai conseguenti provvedimenti di ripristino.
Queste considerazioni inducono il Collegio a ritenere che il richiamo al potere di autotutela contemplato dall’art. 3 dell’art. 19 della L. 241 del 1990 non sia trasponibile in via interpretativa nell’ambito della disciplina della s.c.i.a. dettata dalla legge toscana n. 1/05 la quale è il frutto di una scelta di politica legislativa autonoma irriducibilmente diversa rispetto a quella compiuta dal legislatore nazionale che il giudice non ha il potere di disattendere dovendo limitarsi a prospettarne la possibile incostituzionalità che spetta, in ultima analisi alla Corte costituzionale accertare.
6. Tutto ciò chiarito occorre ancora osservare, in punto di rilevanza della questione di costituzionalità dell’art. 84 bis della L.R. 1/05, che il provvedimento impugnato appare del tutto legittimo se vagliato alla luce del disposto della sopra richiamata norma regionale.
Infatti, il Comune di Firenze ha ritenuto – senza che sul punto vi sia stata contestazione alcuna - che l’intervento contemplato dalla s.c.i.a. presentata dal ricorrente rientrasse nella tipologia del restauro e risanamento conservativo prevista dall’art. 79 comma 2 lett. c) della L.R. 1/05 (cfr. doc. 6 dei documenti prodotti in data 23/05/2014) ed ha, quindi, applicato la sanzione della rimessione in pristino a cura e spese del contravventore prevista dall’art. 135 comma 2 della medesima legge per l’esecuzione di tale categoria di interventi “in difformità dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio, o dei regolamenti edilizi”.
L’applicazione della predetta sanzione, che l’art. 135 della L.R. prevede per il caso di “interventi eseguiti in assenza di SCIA o in difformità da essa”, anche ad una ipotesi in cui l’intervento era, invece, conforme alla s.c.i.a. presentata è stata resa possibile proprio dal disposto del comma 2 lettera b) dell’art. 84 bis in base al quale i poteri repressivi degli abusi edilizi rientranti nella categoria del risanamento e restauro conservativo possono essere esercitati senza limiti di tempo anche nel caso in cui i lavori contemplati dalla segnalazione certificata non risultino conformi norme urbanistiche o alle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi.
Ove alla fattispecie fosse stata applicata la normativa nazionale il risultato sarebbe stato diverso atteso che:
a) la mera constatazione della non conformità urbanistica dell’intervento (anche alla luce della L.R. 24/09) non avrebbe potuto di per sé legittimare un intervento repressivo successivo alla scadenza del trentesimo giorno dalla presentazione della s.c.i.a.;
b) la s.c.i.a. non si basava su dichiarazioni false o mendaci né su omissioni fraudolente (cosa, peraltro, mai contestata dal Comune) ma, anzi, del tutto correttamente evidenziava (come può evincersi dai documenti depositati dal Comune in data 17/06/2014) che la superficie dell’immobile era stata legittimata urbanisticamente mediante rilascio di una concessione in sanatoria (permettendo così al Comune di vagliare immediatamente la rilevanza di tale circostanza in ordine alla ammissibilità dell’intervento di ampliamento);
c) non risulta agli atti la sussistenza di un pericolo per interessi sensibili, avendo, anzi, l’intervento ottenuto la prescritta autorizzazione paesaggistica.
7. Acclarata la sussistenza di una difformità fra l’art. 19 della L. 241/90 e l’art. 84 bis comma 2 della L.R. 1/05 e messa in evidenza la rilevanza della stessa ai fini della decisione sul ricorso, rimane da
esaminare la questione se il contrasto fra le due fonti comporti una non manifestamente infondata questione di incostituzionalità della legge regionale per violazione con l’art. 117 secondo o terzo comma della Costituzione.
Ritiene il collegio che la questione di costituzionalità non sia manifestamente infondata con riferimento sia alla possibile violazione dei principi fondamentali della materia edilizia (rientrante in quella più generale del governo del territorio oggetto di competenza concorrente ai sensi dell’art. 117 comma 2 Cost.) sia al mancato rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali stabiliti con legge dello Stato ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost.
Con riguardo al primo profilo occorre innanzitutto rammentare che la disciplina statale dei titoli edilizi è pacificamente ritenuta dalla Corte Costituzionale essere norma di principio (Corte Cost. 203/2003).
La regolamentazione dei titoli edilizi è, inoltre, strettamente connessa con i profili della disciplina edilizia attinenti ai poteri di vigilanza sul corretto uso del territorio.
In particolare, come ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza 188 del 2012, il comma 6 bis dell’art. 19 della L. 241 del 1990 è stato introdotto proprio allo scopo di raccordare la “configurazione normativa dei poteri amministrativi di repressione dell’abuso edilizio” previsti dalla legislazione edilizia nazionale e da quelle regionali con “la riforma dei titoli abilitativi all’edificazione, culminata con l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività”.
“L’interesse costituzionale al controllo pubblico volto a preservare l’armonico sviluppo e l’integrità del territorio” necessitava, infatti, essere contemperato con “l’affidamento ingenerato dalla SCIA stessa” e tale contemperamento è avvenuto da un lato fissando un termine perentorio per la verifica della conformità urbanistica della s.c.i.a. edilizia dopo il quale gli interventi conformi alla segnalazione certificata non sono più sanzionabili e dall’altro attribuendo alla p.a. rimedi che consentano, nei “casi di più grave sacrificio del bene pubblico”, di “compensare il potenziale pregiudizio insito nella contrazione dei modi e dei tempi dell’attività amministrativa” inerente la vigilanza.
Tali rimedi non sono, peraltro, limitati al solo potere finalizzato a prevenire i pericoli che possono riguardare interessi pubblici particolarmente sensibili, previsto dal comma 4 dell’art. 19 della L. 241/90, ma comprendono anche il generale potere di autotutela contemplato dal comma 3 del medesimo articolo il quale, anche se non espressamente richiamato nel comma 6 bis, “si adatta compiutamente alla materia dell’edilizia, alla quale non vi è ragione per ritenere che non si riferisca”; anche perché “si esporrebbe a censura di manifesta irragionevolezza una interpretazione contraria, che venisse a sottrarre gli interessi implicati dal governo del territorio all’applicabilità di un generale istituto del diritto amministrativo, la cui compatibilità con la SCIA è stata riconosciuta dallo stesso legislatore con il citato comma 3”.
L’equilibrio raggiunto dall’art. 19 della L. 241/90 fra l’interesse pubblico al corretto uso del territorio e l’affidamento del privato assume a, giudizio, del Collegio rango di principio fondamentale che deve essere rispettato da parte delle legislazioni regionali che intervengano nell’ambito della materia di competenza concorrente del governo del territorio.
Il carattere “fondamentale” dei principi è dato dall’essere gli stessi il risultato di una precisa scelta di politica attinente il bilanciamento dei diversi interessi in gioco che, costituendo momenti chiave della disciplina di una determinata materia, sono inderogabili da parte delle legislazioni regionali.
L’art. 84 bis comma 2 lettera b. della L.R. 1/05 nel momento in cui consente l’esercizio dei poteri sanzionatori relativi a determinate categorie di interventi edilizi che hanno formato oggetto di s.c.i.a. anche oltre il termine di 30 giorni dalla sua presentazione sulla base del mero riscontro della difformità dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi, altera gravemente l’equilibrio fra i due valori sopra menzionati a tutto sfavore della tutela dell’affidamento del privato che la norma non tiene in alcun considerazione, equiparando in tutto e per tutto le opere conformi alla s.c.i.a. a quelle realizzate in modo del tutto abusivo.
Sotto diverso profilo l’art. 84 bis comma 2 lettera b) della L.R. 1/05 incorre in una possibile violazione dell’art. 117 comma 2 lettera m) della Costituzione non osservando i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali dei cittadini nell’ambito del procedimento amministrativo.
Ai sensi del comma 4 ter del D.L. 78/2010, infatti, l’intera disciplina della s.c.i.a. contenuta nel comma 4-bis si inquadra nel predetto titolo di competenza esclusiva dello Stato.
Costituiscono, pertanto, livelli essenziali delle prestazioni tutti i profili della disciplina della s.c.i.a. che riguardano il rapporto fra amministrazione e cittadino ivi compresi quelli afferenti alla posizione in cui si viene a trovare l’autore della segnalazione allo scadere del trentesimo giorno dalla sua presentazione, posizione connotata dalla garanzia che l’amministrazione non possa più adottare i provvedimenti di inibizione della attività e di rimozione dei suoi effetti se non nei casi contemplati dalla norma medesima.
E’ appena il caso di ricordare che la Corte costituzionale con la sentenza 164 del 2012, nel respingere i ricorsi proposti dalle regioni avverso la suddetta norma, ha stabilito che la disciplina della s.c.i.a. ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. che permette una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione, in quanto l’attività amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione”, della quale lo Stato è competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti privati.
In particolare, ha affermato la Corte, tutto il meccanismo su cui si basa la segnalazione certificata di inizio attività per cui “al soggetto interessato si riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività.., fermo restando l’esercizio dei poteri inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi” e “fatto salvo il potere della stessa pubblica amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990”, costituisce “prestazione specifica” anche laddove viene tutelato “il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima”.
8. Per le suddette ragioni il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 84 bis comma 2 lettera b) della legge regionale toscana 3 gennaio 2005 n. 1 nella parte in cui consente alla amministrazione comunale di adottare provvedimenti inibitori e sanzionatori anche dopo la scadenza del trentesimo giorno dalla presentazione della s.c.i.a. sulla base del solo presupposto della riscontrata difformità dell’intervento che ne è oggetto dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi.
In particolare, la Sezione dubita che la predetta norma possa ritenersi conforme ai principi fondamentali della materia contenuti nei commi secondo terzo e quarto dell’art. 19 della L. 241 del 1990 in tema di s.c.i.a. concernenti anche la s.c.i.a. edilizia in forza del disposto del comma 6 ter del predetto articolo, e, quindi, incorra nella violazione dell’art. 117 comma 3 della Costituzione.
La Sezione dubita altresì della costituzionalità della predetta norma sotto il profilo della violazione dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. in quanto non rispetta i livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali stabiliti in materia di segnalazione certificata di inizio attività dai menzioni comma dell’art. 19 della L. 241/90.

P.Q.M.



Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione III,
Visti gli articoli 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 84 bis comma 2 lett. b) della legge regionale toscana 3 gennaio 2005 n. 1 in riferimento all’art. 117 comma 3 e all’art. 117 comma 2 lett. m) della Costituzione
SOSPENDE IL GIUDIZIO;
Ordina, a cura della Segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Ordina la notifica della presente ordinanza alle parti in causa nonché al Presidente della Giunta regionale della Toscana. Ordina che della presente ordinanza sia data comunicazione, dalla Segreteria, al Presidente del Consiglio regionale della Toscana.

Così deciso in Firenze nelle camere di consiglio dei giorni 9 gennaio 2015, 17 febbraio 2015, con l'intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Rosalia Messina, Consigliere
Raffaello Gisondi, Primo Referendario, Estensore

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/03/2015






 

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