REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 823 del
2014, proposto da:
Marco Del Medico, rappresentato e difeso dall'avv.
Alessandro Cecchi nel cui studio in Firenze, via Masaccio 172 è
elettivamente domiciliato;
contro
Comune di Firenze, rappresentato e difeso per legge
dagli avv. Antonella Pisapia, Annalisa Minucci, Francesca De Santis,
domiciliato in Firenze presso l’Ufficio legale in Palazzo Vecchio - piazza
Signoria;
per l'annullamento
- dell'ordinanza n. 130/2014 del 28.2.2014,
notificata in data 8 marzo 2014, con la quale è stata dichiarata
l'inefficacia della D.I.A./S.C.I.A. n. 6319/2012 presentata dal
ricorrente, con contestuale ordine di rimessa in pristino ex art. 135,
comma 2, L.R.T. n. 1/2005;
- di tutti i provvedimenti comunque
connessi, anche se incogniti, compresi gli atti istruttori e la
comunicazione di avviso del procedimento prot. n. 28116 del
25.6.2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le
memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio di Comune di Firenze in Persona del Sindaco
P.T.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2015 il dott.
Raffaello Gisondi e uditi per le parti i difensori A. Cecchi e A.
Pisapia;
1. Il ricorrente, proprietario di una unità immobiliare ad
uso civile abitazione ricadente in zona urbanisticamente classificata come
agricola nel comune di Firenze, intendendo avvalersi dei benefici dalla
normativa regionale sul cd. “piano casa” (L.R. 08/05/2009 n. 24), ha
presentato in data 10/09/2012 una SCIA finalizzata alla realizzazione di
un ampliamento della predetta abitazione mediante chiusura di un
preesistente loggiato.
Successivamente alla presentazione della
segnalazione nessuna comunicazione ostativa è pervenuta da parte del
Comune di Firenze; sicchè i lavori sono stati eseguiti e ne è stata
comunicata l’ultimazione in data 25/02/2013.
Con nota del 25 giugno
2013 il Comune di Firenze ha comunicato l’avvio di un procedimento di
accertamento edilizio ai sensi dell’art. 84 bis della L.R. 1/2005 in
quanto l’ampliamento non rientrerebbe fra quelli consentiti dalla L.R. 24
del 2009. In particolare, poiché l’intera superficie della abitazione del
Sig. Del Medico sarebbe stata originariamente legittimata mediante condono
edilizio, la stessa, giusto il disposto dell’art. 5 comma 4 della citata
L.R. 24/09, non sarebbe ammessa a beneficiare degli incrementi
straordinari previsti dalla normativa regionale sul “piano casa”
Con
successivo provvedimento in data 28/02/2014 il Responsabile della
direzione urbanistica del Comune di Firenze dichiarava inefficace la
s.c.i.a. n. 6319/2012 ed ordinava al ricorrente ai sensi dell’art. 135
comma 2 della L.R. 1/05 la rimessione in pristino mediante rimozione del
tamponamento della loggia.
Avverso tale atto l’interessato ha proposto
ricorso innanzi a questo Tribunale amministrativo affermando con il terzo
e quarto motivo che l’ampliamento realizzato rientrerebbe fra quelli
ammessi dall’art. 5 della L.R. 24/2009 e, comunque sarebbe conforme alle
previsioni degli strumenti urbanistici del comune di Firenze. Entrambi i
motivi sono stati dichiarati infondati con sentenza parziale emessa in
Camera di consiglio contestualmente alla presente ordinanza.
Con il
primo motivo di ricorso il Sig. Del Medico afferma che l’art. 84 bis della
leggere regionale toscana 3 gennaio 2005 n. 1 nella parte in cui consente
alle amministrazioni comunali di adottare provvedimenti inibitori e
sanzionatori anche dopo la scadenza del termine di trenta giorni dalla
presentazione della s.c.i.a. in tutti i casi in cui venga riscontrata una
difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni
degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo del territorio
o dei regolamenti edilizi, non sarebbe conforme ai principi fondamentali
previsti in materia di segnalazione certificata di inizio attività dalla
legge dello Stato in base ai quali, dopo il decorso del termine di trenta
giorni dalla presentazione della s.c.i.a. le amministrazioni potrebbero
esercitare i propri poteri sanzionatori solo in presenza di un pericolo
per gli interessi “sensibili” di cui al comma 4° dell’art. 19 della L. 241
del 1990 o nel caso in cui la segnalazione certificata di inizio attività
sia basata su dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà false o
mendaci.
Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata la
violazione dell’art. 19 comma 3 della L. 241/90 in quanto con il
provvedimento impugnato l’amministrazione avrebbe dichiarato inefficace la
s.c.i.a. presentata in data 10/09/2012 senza dar conto nella motivazione
dei presupposti previsti dall’art. 21 nonies della predetta legge per
l’esercizio del potere di autotutela.
2. Ritiene il Collegio che la
questione di costituzionalità posta con il secondo motivo di ricorso non
sia manifestamente infondata.
Ritiene altresì il Collegio, per le
ragioni che appresso verranno specificate, che la decisione sul secondo
motivo di ricorso sia subordinata al giudizio relativo alla legittimità
costituzionale dell’art. 84 bis della L.R. 1/2005.
3. Premesso che
l’art. 84 bis della L.R. 1/2005 è stato introdotto dall’art. 22 della L.R.
5 agosto 2011, n. 40, occorre muovere dalla ricostruzione di quale fosse
il quadro normativo nazionale alla data di entrata in vigore della
predetta legge regionale.
In proposito va ricordato che l’art. 19 della
L. 241 del 1990 è stato integralmente riscritto dal comma 4 bis dell’art.
49 del D.L. 31/05/2010 n.78, convertito in L. legge 30 luglio 2010, n.
122, il quale ha sostituito l’istituto della dichiarazione di inizio
attività con quello della segnalazione certificata di inizio
attività.
Per quanto qui interessa il testo dell’art. 19 introdotto
dalla predetta norma prevede che la segnalazione debba essere corredata:
a) da dichiarazioni sostitutive (di certificazione e di atto di
notorietà) attestanti la sussistenza dei fatti stati e delle qualità
personali “autocertificabili” ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 445
del 2000;
b) dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati
“relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti” “richiesti
dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale” per “il
rilascio” delle autorizzazioni, licenze, concessioni, permessi o nulla
osta sostituiti dalla s.c.i.a.. Attestazioni ed asseverazioni che devono,
peraltro, essere “corredate dagli elaborati tecnici necessari per
consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione”.
Ai sensi
del comma terzo della norma l’amministrazione deve accertare l’eventuale
“carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1” entro il
termine di sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. (ridotto a
trenta nel caso di s.c.i.a. edilizia).
La scadenza di tale termine,
ancorché priva di valenza provvedimentale, costituisce un evento
decadenziale che preclude la adozione di provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che le
“dichiarazioni sostitutive” attestanti i fatti, le qualità e gli stati
personali posti alla base della s.c.i.a. si rivelino, successivamente,
essere “false o mendaci”, oppure nel caso in cui l’attività intrapresa in
assenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge metta in
pericolo il patrimonio artistico e culturale, l'ambiente, la salute, la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
Ove non ricorrano le due
ipotesi in cui il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto di
prosecuzione e rimozione degli effetti della attività non opera,
l’amministrazione non perde ogni possibilità di intervento tardivo, ma il
potere che essa può esercitare non è più correlato alla semplice verifica
della assenza dei requisiti ed ai presupposti previsti dalla legge o da
atti amministrativi generali per l’esercizio della attività ma alle
valutazioni di opportunità ed al bilanciamento degli interessi proprie
della attività di “autotutela” così come codificate dagli artt. 21
quinquies e nonies della L. 241 del 1990.
La disciplina della s.c.i.a.
introdotta con il D.L. 78 del 2010 effettua, quindi, un preciso riparto
fra gli oneri certificativi che ricadono sul privato autore della
segnalazione e gli obblighi istruttori che competono alla p.a. in ordine
alla verifica dei requisiti e presupposti sostanziali per l’intrapresa
della attività, riparto dal quale sono fatte derivare puntuali conseguenze
in ordine al limite entro cui l’affidamento del privato riceve
protezione.
Dalla lettura del testo della norma appare chiaro che il
corredo di dichiarazioni sostitutive e di asseverazioni che devono
accompagnare la s.c.i.a. non esime l’amministrazione dall’obbligo di
effettuare entro il termine di sessanta (o trenta) giorni le verifiche
sulla sussistenza dei requisiti e dei presupposti per l’esercizio della
attività né riducono tali verifiche ad un controllo meramente formale.
Se da un lato, infatti, l’amministrazione è dispensata dall’effettuare
entro il termine predetto accertamenti in ordine alla verità dei fatti,
degli stati e delle qualità personali attestati nelle dichiarazioni
sostitutive ad essa allegate, altrettanto non può tuttavia affermarsi in
relazione al contenuto delle asseverazioni ed attestazioni dei tecnici
abilitati le quali, invece, non possono essere sic et simpliciter essere prese per buone, ma devono essere verificate entro il termine
all’uopo previsto.
Ciò si evince sia dal comma 3 dell’art. 19, nella
parte in cui riconnette la inoperatività del termine per disporre la
cessazione della attività e della rimozione dei suoi effetti alla sola
scoperta della falsità o mendacità delle dichiarazioni sostitutive e non
anche delle attestazioni e delle asseverazioni tecniche (che il comma
secondo della norma ha cura di distinguere), sia dal comma 2 del medesimo
articolo laddove viene prescritto che le attestazioni e le asseverazioni
debbano essere corredate dagli elaborati tecnici “per consentire le
verifiche di competenza dell'amministrazione”.
Dalla analisi della
norma emerge, quindi, un sistema equilibrato nel quale il principio di
autoresponsabilità del privato autore della segnalazione non si spinge
fino al punto di addossare allo stesso anche il rischio che i giudizi
tecnici o le qualificazioni giuridiche derivanti dalla interpretazione di
testi legislativi e regolamentari (spesso locali), che formano oggetto di
asseverazione da parte dei tecnici abilitati, risultino, a posteriori,
disattese dalle amministrazioni anche a notevole distanza di tempo dalla
presentazione della s.c.i.a.
Tali giudizi e tali qualificazioni devono,
quindi, essere verificate dall’amministrazione entro il termine previsto
dalla legge la cui scadenza fa, pertanto, insorgere in capo al privato il
ragionevole affidamento sulla conformità della attività intrapresa ai
requisiti ed i presupposti che la legittimano; affidamento che, a quel
punto, l’amministrazione può disattendere solo nel caso di messa in
pericolo degli interessi sensibili di cui al comma 4 dell’art. 19 della L.
241/90 o esercitando le prerogative proprie dell’autotutela.
Del resto
se fosse consentito alle amministrazioni fare appello alla inesattezza o
alla erroneità dei giudizi espressi nelle asseverazioni tecniche per
intervenire anche dopo la scadenza del termine, qualora ritenga
insussistenti i requisiti per l’esercizio della attività, sia la
previsione di cui al comma 4 dell’art. 19 sia quella relativa
all’esercizio del potere di autotutela (contenuta nel comma 2) sarebbero
private di ogni senso e pratica utilità.
Sul punto occorre, infine,
osservare che seppure anche la falsità delle asseverazioni tecniche sia
penalmente punita (art. 10 comma 6 L. 241/90), ciò non significa che tali
atti abbiano una efficacia fidefacente che esonera l’amministrazione a cui
essi sono diretti dall’effettuare le prescritte verifiche in ordine alla
sussistenza dei requisiti tecnici e giuridici asseverati.
Prova ne è
che tali asseverazioni devono essere allegate anche alla domanda di
permesso di costruire (art. 20 comma 1 DPR 380/01) il cui rilascio
presuppone senza dubbio alcuno l’effettuazione di autonome verifiche da
parte del responsabile del procedimento.
4. Il sistema dei controlli
sulla s.c.i.a. sancito dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 19 della L. 241/90
risulta, peraltro, pacificamente applicabile nella sua integralità alla
materia edilizia.
Infatti, l’art. 5 comma 2 lett. b) del citato D.L.
78/2010 ha aggiunto al testo dell’art. 19 il comma 6 bis in base al quale
l’istituto della scia viene dichiarato applicabile anche alla predetta
materia con la sola differenza consistente nel fatto che il termine per
l’intervento inibitorio o repressivo della p.a. è ridotto da 60 a 30
giorni.
Successivamente, il comma 6 bis dell’art. 19 è stato modificato
dall’art. 6, comma 1, lettera b), del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 con il
quale il legislatore ha voluto precisare che l’esercizio dei poteri
sanzionatori e di vigilanza previsti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e
dalle leggi regionali, già fatti salvi dal testo precedente della norma,
debba avvenire entro i limiti in cui il comma 4 del medesimo articolo
consente l’intervento tardivo della p.a. a tutela di interessi
sensibili.
5. Al fine di vagliare la conformità al quadro normativo
nazionale della disciplina regionale toscana relativa ai “poteri di
vigilanza in caso di scia” contenuta nell’art. 84 bis della L.R. 1/05
(legge oggi abrogata ma che risulta comunque applicabile ai fini della
decisione sul ricorso in quanto vigente al momento della adozione del
provvedimento impugnato), occorre preliminarmente offrirne una
ricostruzione ermeneutica.
Le previsioni contenute nell’art. 84 bis
della L.R. 1/05 si differenziano a seconda delle diverse tipologie di
intervento edilizio che possono essere oggetto di s.c.i.a..
Il primo
comma stabilisce, infatti, che “con riferimento agli interventi di cui
all’articolo 79, comma 1, lettera a) e a quelli di ristrutturazione
edilizia di cui all’articolo 79, comma 2, lettera d), il decorso del
termine di cui all’articolo 84, comma 6, non preclude la potestà di
controllo, anche a campione, del comune nell’ambito dell’attività di
vigilanza di cui all’articolo 129”, mentre il secondo comma si riferisce
agli interventi di cui “all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f)
e di cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e)”, prevedendo
che, in tali ipotesi, “decorso il termine di trenta giorni di cui
all’articolo 84, comma 6, possono essere adottati provvedimenti inibitori
e sanzionatori qualora ricorra uno dei seguenti casi: a) in caso di
falsità o mendacia delle asseverazioni, certificazioni, dichiarazioni
sostitutive di certificazioni o degli atti di notorietà allegati alla SCIA
medesima; b) in caso di difformità dell’intervento dalle norme
urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali,
degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi; c) qualora
dall’esecuzione dell’intervento consegua pericolo di danno per il
patrimonio storico-artistico, culturale e paesaggistico, per l’ambiente,
per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
La
norma consente, quindi, all’amministrazione di esercitare i poteri
sanzionatori previsti per la repressione degli abusi edilizi anche oltre
il termine di trenta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in un
numero di ipotesi molto più ampio di quello previsto dai commi 3 e 4
dell’art. 19 della L. 241/90.
Nel caso degli interventi di cui
all’articolo 79, comma 1, lettera a) e di quelli di ristrutturazione
edilizia di cui all’articolo 79, comma 2, lettera d), la possibilità di
intervento tardivo è praticamente illimitata, mentre con riguardo agli
interventi di cui all’articolo 79, comma 1, lettere b), d), e) ed f) e di
cui all’articolo 79, comma 2, lettere a), b), c) ed e), l’intervento
repressivo tardivo è ammesso non solo al fine di prevenire un pregiudizio
a determinati interessi sensibili (coincidenti con quelli tipizzati nel
comma 4 dell’art. 19 della L. 241/90), o in caso di falsità o mendacio
delle dichiarazioni sostitutive, ma anche in ipotesi non contemplate
dall’art. 19 della L. 241/90, fra le quali rientrano la “falsità e la
mendacia” delle asseverazioni tecniche e, soprattutto, la riscontrata
difformità dell’intervento oggetto di s.c.i.a. dalle norme urbanistiche o
dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di
governo del territorio o dei regolamenti edilizi.
Peraltro, nei
predetti casi, l’adozione dei provvedimenti sanzionatori oltre il termine
di trenta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. non è subordinata ad
un bilanciamento di interessi che tenga conto dell’affidamento del
privato.
L’art. 84 bis della L.R. 1/05 non contiene, infatti, alcun
richiamo al potere di autotutela.
Manca, inoltre, nell’impianto della
legge regionale, lo stesso presupposto affinché possa insorgere in capo
all’autore della segnalazione un affidamento in ordine alla sua conformità
sostanziale alla legge; presupposto che, come si è sopra evidenziato,
consiste nel dovere dell’amministrazione di effettuare entro il trentesimo
giorno dalla presentazione della s.c.i.a. un controllo sostanziale sulla
sussistenza dei requisiti e dei presupposti legali per l’esercizio della
attività. L’art. 84 comma 6 della citata legge prevede, infatti, che la
p.a. debba farsi carico nei trenta giorni che seguono alla presentazione
della segnalazione di una verifica puramente formale sulla completezza
della documentazione ad essa allegata (verifica della “l’assenza di uno o
più degli atti di cui al comma 2”).
Nel contesto della legge regionale
non vi può quindi essere alcun affidamento su un tempestivo controllo
pubblico dei requisiti ed i presupposti della attività segnalata perché
non è previsto che un siffatto controllo debba avvenire entro trenta
giorni dalla presentazione della s.c.i.a.
L’inizio della attività
avviene, quindi, “a rischio e pericolo” del suo autore che può trovarsi
esposto anche a notevole distanza di tempo ad un accertamento di segno
opposto della p.a. ed ai conseguenti provvedimenti di
ripristino.
Queste considerazioni inducono il Collegio a ritenere che
il richiamo al potere di autotutela contemplato dall’art. 3 dell’art. 19
della L. 241 del 1990 non sia trasponibile in via interpretativa
nell’ambito della disciplina della s.c.i.a. dettata dalla legge toscana n.
1/05 la quale è il frutto di una scelta di politica legislativa autonoma
irriducibilmente diversa rispetto a quella compiuta dal legislatore
nazionale che il giudice non ha il potere di disattendere dovendo
limitarsi a prospettarne la possibile incostituzionalità che spetta, in
ultima analisi alla Corte costituzionale accertare.
6. Tutto ciò
chiarito occorre ancora osservare, in punto di rilevanza della questione
di costituzionalità dell’art. 84 bis della L.R. 1/05, che il provvedimento
impugnato appare del tutto legittimo se vagliato alla luce del disposto
della sopra richiamata norma regionale.
Infatti, il Comune di Firenze
ha ritenuto – senza che sul punto vi sia stata contestazione alcuna - che
l’intervento contemplato dalla s.c.i.a. presentata dal ricorrente
rientrasse nella tipologia del restauro e risanamento conservativo
prevista dall’art. 79 comma 2 lett. c) della L.R. 1/05 (cfr. doc. 6 dei
documenti prodotti in data 23/05/2014) ed ha, quindi, applicato la
sanzione della rimessione in pristino a cura e spese del contravventore
prevista dall’art. 135 comma 2 della medesima legge per l’esecuzione di
tale categoria di interventi “in difformità dalle norme urbanistiche o
dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di
governo del territorio, o dei regolamenti edilizi”.
L’applicazione
della predetta sanzione, che l’art. 135 della L.R. prevede per il caso di
“interventi eseguiti in assenza di SCIA o in difformità da essa”, anche ad
una ipotesi in cui l’intervento era, invece, conforme alla s.c.i.a.
presentata è stata resa possibile proprio dal disposto del comma 2 lettera
b) dell’art. 84 bis in base al quale i poteri repressivi degli abusi
edilizi rientranti nella categoria del risanamento e restauro conservativo
possono essere esercitati senza limiti di tempo anche nel caso in cui i
lavori contemplati dalla segnalazione certificata non risultino conformi
norme urbanistiche o alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
generali, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi.
Ove alla fattispecie fosse stata applicata la normativa nazionale il
risultato sarebbe stato diverso atteso che:
a) la mera constatazione
della non conformità urbanistica dell’intervento (anche alla luce della
L.R. 24/09) non avrebbe potuto di per sé legittimare un intervento
repressivo successivo alla scadenza del trentesimo giorno dalla
presentazione della s.c.i.a.;
b) la s.c.i.a. non si basava su
dichiarazioni false o mendaci né su omissioni fraudolente (cosa, peraltro,
mai contestata dal Comune) ma, anzi, del tutto correttamente evidenziava
(come può evincersi dai documenti depositati dal Comune in data
17/06/2014) che la superficie dell’immobile era stata legittimata
urbanisticamente mediante rilascio di una concessione in sanatoria
(permettendo così al Comune di vagliare immediatamente la rilevanza di
tale circostanza in ordine alla ammissibilità dell’intervento di
ampliamento);
c) non risulta agli atti la sussistenza di un pericolo
per interessi sensibili, avendo, anzi, l’intervento ottenuto la prescritta
autorizzazione paesaggistica.
7. Acclarata la sussistenza di una
difformità fra l’art. 19 della L. 241/90 e l’art. 84 bis comma 2 della
L.R. 1/05 e messa in evidenza la rilevanza della stessa ai fini della
decisione sul ricorso, rimane da
esaminare la questione se il
contrasto fra le due fonti comporti una non manifestamente infondata
questione di incostituzionalità della legge regionale per violazione con
l’art. 117 secondo o terzo comma della Costituzione.
Ritiene il
collegio che la questione di costituzionalità non sia manifestamente
infondata con riferimento sia alla possibile violazione dei principi
fondamentali della materia edilizia (rientrante in quella più generale del
governo del territorio oggetto di competenza concorrente ai sensi
dell’art. 117 comma 2 Cost.) sia al mancato rispetto dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
stabiliti con legge dello Stato ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m)
Cost.
Con riguardo al primo profilo occorre innanzitutto rammentare che
la disciplina statale dei titoli edilizi è pacificamente ritenuta dalla
Corte Costituzionale essere norma di principio (Corte Cost.
203/2003).
La regolamentazione dei titoli edilizi è, inoltre,
strettamente connessa con i profili della disciplina edilizia attinenti ai
poteri di vigilanza sul corretto uso del territorio.
In particolare,
come ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza 188 del 2012, il
comma 6 bis dell’art. 19 della L. 241 del 1990 è stato introdotto proprio
allo scopo di raccordare la “configurazione normativa dei poteri
amministrativi di repressione dell’abuso edilizio” previsti dalla
legislazione edilizia nazionale e da quelle regionali con “la riforma dei
titoli abilitativi all’edificazione, culminata con l’introduzione della
segnalazione certificata di inizio attività”.
“L’interesse
costituzionale al controllo pubblico volto a preservare l’armonico
sviluppo e l’integrità del territorio” necessitava, infatti, essere
contemperato con “l’affidamento ingenerato dalla SCIA stessa” e tale
contemperamento è avvenuto da un lato fissando un termine perentorio per
la verifica della conformità urbanistica della s.c.i.a. edilizia dopo il
quale gli interventi conformi alla segnalazione certificata non sono più
sanzionabili e dall’altro attribuendo alla p.a. rimedi che consentano, nei
“casi di più grave sacrificio del bene pubblico”, di “compensare il
potenziale pregiudizio insito nella contrazione dei modi e dei tempi
dell’attività amministrativa” inerente la vigilanza.
Tali rimedi non
sono, peraltro, limitati al solo potere finalizzato a prevenire i pericoli
che possono riguardare interessi pubblici particolarmente sensibili,
previsto dal comma 4 dell’art. 19 della L. 241/90, ma comprendono anche il
generale potere di autotutela contemplato dal comma 3 del medesimo
articolo il quale, anche se non espressamente richiamato nel comma 6 bis,
“si adatta compiutamente alla materia dell’edilizia, alla quale non vi è
ragione per ritenere che non si riferisca”; anche perché “si esporrebbe a
censura di manifesta irragionevolezza una interpretazione contraria, che
venisse a sottrarre gli interessi implicati dal governo del territorio
all’applicabilità di un generale istituto del diritto amministrativo, la
cui compatibilità con la SCIA è stata riconosciuta dallo stesso
legislatore con il citato comma 3”.
L’equilibrio raggiunto dall’art. 19
della L. 241/90 fra l’interesse pubblico al corretto uso del territorio e
l’affidamento del privato assume a, giudizio, del Collegio rango di
principio fondamentale che deve essere rispettato da parte delle
legislazioni regionali che intervengano nell’ambito della materia di
competenza concorrente del governo del territorio.
Il carattere
“fondamentale” dei principi è dato dall’essere gli stessi il risultato di
una precisa scelta di politica attinente il bilanciamento dei diversi
interessi in gioco che, costituendo momenti chiave della disciplina di una
determinata materia, sono inderogabili da parte delle legislazioni
regionali.
L’art. 84 bis comma 2 lettera b. della L.R. 1/05 nel momento
in cui consente l’esercizio dei poteri sanzionatori relativi a determinate
categorie di interventi edilizi che hanno formato oggetto di s.c.i.a.
anche oltre il termine di 30 giorni dalla sua presentazione sulla base del
mero riscontro della difformità dalle norme urbanistiche o dalle
prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, degli atti di governo
del territorio o dei regolamenti edilizi, altera gravemente l’equilibrio
fra i due valori sopra menzionati a tutto sfavore della tutela
dell’affidamento del privato che la norma non tiene in alcun
considerazione, equiparando in tutto e per tutto le opere conformi alla
s.c.i.a. a quelle realizzate in modo del tutto abusivo.
Sotto diverso
profilo l’art. 84 bis comma 2 lettera b) della L.R. 1/05 incorre in una
possibile violazione dell’art. 117 comma 2 lettera m) della Costituzione
non osservando i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali dei cittadini nell’ambito del procedimento
amministrativo.
Ai sensi del comma 4 ter del D.L. 78/2010, infatti,
l’intera disciplina della s.c.i.a. contenuta nel comma 4-bis si inquadra
nel predetto titolo di competenza esclusiva dello Stato.
Costituiscono,
pertanto, livelli essenziali delle prestazioni tutti i profili della
disciplina della s.c.i.a. che riguardano il rapporto fra amministrazione e
cittadino ivi compresi quelli afferenti alla posizione in cui si viene a
trovare l’autore della segnalazione allo scadere del trentesimo giorno
dalla sua presentazione, posizione connotata dalla garanzia che
l’amministrazione non possa più adottare i provvedimenti di inibizione
della attività e di rimozione dei suoi effetti se non nei casi contemplati
dalla norma medesima.
E’ appena il caso di ricordare che la Corte
costituzionale con la sentenza 164 del 2012, nel respingere i ricorsi
proposti dalle regioni avverso la suddetta norma, ha stabilito che la
disciplina della s.c.i.a. ben si presta ad essere ricondotta al parametro
di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. che permette una
restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo
scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e
sociali tutelati dalla stessa Costituzione, in quanto l’attività
amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione”, della quale
lo Stato è competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno
specifico diritto di individui, imprese, operatori economici e, in genere,
soggetti privati.
In particolare, ha affermato la Corte, tutto il
meccanismo su cui si basa la segnalazione certificata di inizio attività
per cui “al soggetto interessato si riconosce la possibilità di dare
immediato inizio all’attività.., fermo restando l’esercizio dei poteri
inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli
estremi” e “fatto salvo il potere della stessa pubblica amministrazione di
assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt.
21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990”, costituisce
“prestazione specifica” anche laddove viene tutelato “il diritto
dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica
amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che
autorizzano l’iniziativa medesima”.
8. Per le suddette ragioni il
Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione
della legittimità costituzionale dell’art. 84 bis comma 2 lettera b) della
legge regionale toscana 3 gennaio 2005 n. 1 nella parte in cui consente
alla amministrazione comunale di adottare provvedimenti inibitori e
sanzionatori anche dopo la scadenza del trentesimo giorno dalla
presentazione della s.c.i.a. sulla base del solo presupposto della
riscontrata difformità dell’intervento che ne è oggetto dalle norme
urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali,
degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi.
In
particolare, la Sezione dubita che la predetta norma possa ritenersi
conforme ai principi fondamentali della materia contenuti nei commi
secondo terzo e quarto dell’art. 19 della L. 241 del 1990 in tema di
s.c.i.a. concernenti anche la s.c.i.a. edilizia in forza del disposto del
comma 6 ter del predetto articolo, e, quindi, incorra nella violazione
dell’art. 117 comma 3 della Costituzione.
La Sezione dubita altresì
della costituzionalità della predetta norma sotto il profilo della
violazione dell’art. 117 comma 2 lett. m) Cost. in quanto non rispetta i
livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali
stabiliti in materia di segnalazione certificata di inizio attività dai
menzioni comma dell’art. 19 della L. 241/90.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la
Toscana, Sezione III,
Visti gli articoli 1 della legge costituzionale
9 febbraio 1948, n. 1 e 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 84 bis comma 2 lett. b) della legge
regionale toscana 3 gennaio 2005 n. 1 in riferimento all’art. 117 comma 3
e all’art. 117 comma 2 lett. m) della Costituzione
SOSPENDE IL
GIUDIZIO;
Ordina, a cura della Segreteria, la trasmissione degli atti
alla Corte Costituzionale. Ordina la notifica della presente ordinanza
alle parti in causa nonché al Presidente della Giunta regionale della
Toscana. Ordina che della presente ordinanza sia data comunicazione, dalla
Segreteria, al Presidente del Consiglio regionale della
Toscana.
Così deciso in Firenze nelle camere di consiglio dei
giorni 9 gennaio 2015, 17 febbraio 2015, con l'intervento dei
magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Rosalia Messina,
Consigliere
Raffaello Gisondi, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/03/2015