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n. 3-2015 - © copyright |
T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI -
SEZIONE VIII - Sentenza 11 febbraio 2015 n. 989
Pres. Minichini,
est. Ianigro
Immobiliare Pelliccia srl (Avv. Aniello Mele) c. Comune di
Cesa (Avv. Fulvio Savastano) |
1. Edilizia ed Urbanistica – Permesso di costruire per
mutamento di destinazione d’uso – Diniego – Mancato invio della
comunicazione ex art. 10-bis L. 241/1990 – Illegittimità – Sussiste.
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2. Edilizia ed Urbanistica – Annullamento del diniego di
rilascio del permesso di costruire – Domanda risarcitoria – Infondata in
presenza di una riedizione dell’attività della P.A.
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1. Il diniego al rilascio del permesso di costruire per
la modifica della destinazione d’uso di un complesso turistico deve
ritenersi illegittimo qualora non sia preceduto dalla comunicazione ex
art. 10-bis L. 241/1990 di preavviso del rigetto, atteso che anche a
fronte di un potere avente natura vincolata, il contraddittorio
procedimentale da attivarsi con il preavviso può incidere sul contenuto
del provvedimento conclusivo, in presenza di accertamenti complessi.
(Nella specie la compatibilità dell’istanza di mutamento della
destinazione d’uso con la disciplina regionale richiedeva approfondite
verifiche sulla volumetria dell’edificio).
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2. Allorquando all’annullamento del diniego di rilascio
del permesso di costruire per mutamento di destinazione d’uso, segua la
necessaria riedizione dell’attività amministrativa, non può espletarsi un
giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita e la relativa
domanda risarcitoria non può essere accolta. (1)
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7/10/2008 n. 4868; Idem
22/4/2004 n. 2994; Sez. IV, 15/7/2008 n. 3552. |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della
Campania
(Sezione Ottava)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6094 del
2013, proposto da: Immobiliare Pelliccia S.r.l., rappresentata e difesa
dall'avv. Aniello Mele, con domicilio eletto presso Aniello Mele in
Napoli, corso Umberto I n. 75;
contro
Comune di Cesa in persona del Sindaco p.t.,
rappresentato e difeso dall'avv. Fulvio Savastano, con domicilio eletto
presso Fulvio Savastano in Napoli, Segreteria T.a.r. Campania Napoli;
per l'annullamento
del provvedimento n.5915/2013 con cui il
Comune di Cesa ha negato il rilascio dei permessi di costruire di cui alle
pratiche nn.3459/2011 e 3460/2011 per la modifica della destinazione d’uso
senza opere di un complesso turistico ricettivo ai sensi dell’art. 7 comma
6 bis della legge regionale n. 19/2009;
e
per la condanna ai sensi
dell’art. 34 c.p.a. al risarcimento dei danni subiti;
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Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cesa in persona del
Sindaco p.t.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della
causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2015 la
dott.ssa Renata Emma Ianigro e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
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FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso iscritto al n. 6094/2013
l’Immobiliare Pelliccia s.r.l., quale proprietaria di un complesso
immobiliare realizzato con permesso di costruire n. 80 del 10.11.2007 e
successive varianti, destinato a centro turistico-residenziale, ricadente
in zona D (impianti produttivi) del p.r.g. comunale, esponeva:
- di
aver presentato in data 10.06.2011 due istanze di rilascio di permesso di
costruire per il mutamento di destinazione d’uso a fini residenziali,
senza opere, per una volumetria rispettivamente di mc. 6.933 e 7.623;
-
che con sentenze T.a.r. Campania n.n. 5364/2011 e 5265/2011 erano stati
respinti ex art. 60 c.p.a. i ricorsi proposti avverso i dinieghi opposti
dal Comune alle predette istanze;
- di aver ottenuto in sede cautelare
dal Consiglio di Stato con ordinanze n.n. 1879/2013 e 1880/2013 la
sospensione dell’esecutività delle predette sentenze T.a.r. Campania n.n.
5364/2011 e 5265/2011, alla luce del diverso orientamento favorevole al
ricorrente emerso nella decisione Tar n.1293/2013 su fattispecie
analoga;
- che il Comune di Cesa, in esecuzione delle predette pronunce
cautelari, nonché della successiva ordinanza C.d.S. n.3362/2013 con il
provvedimento impugnato reiterava il diniego.
A sostegno del ricorso
deduceva i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione e falsa
applicazione dell’art. 7 della legge regionale n. 19/2009 così come
modificata dalla legge reg. n. 1/2011, violazione del d.p.r. n. 380/2001 e
della legge regionale n. 19/2001, violazione dell’art. 3 della legge n.
241/2009, inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto, difetto
assoluto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza, irrazionalità,
illogicità, contraddittorietà, eccesso di potere;
L’affermazione
secondo cui l’intervento riguarderebbe un edificio con una volumetria
superiore ai 10.000 m.c. è erronea, e fondata su elementi del tutto
inconsistenti. L’art. 7 comma 6 della legge regionale n.19/2009 è stato
oggetto di un evidente errore interpretativo, poiché, a differenza di
quanto sostenuto dall’amministrazione, i cinque fabbricati assentiti non
hanno alcuna opera di collegamento e non possono considerarsi come un
edificio unico. L’articolo 6 del regolamento edilizio definisce edificio
qualsiasi costruzione coperta, isolata da vie o spazi inedificati, oppure
separata da altre costruzioni mediante muri che si elevino senza soluzione
di continuità dalle fondazioni al tetto, che disponga di uno o più liberi
accessi sulla via e possa avere una o più scale autonome. Il medesimo
articolo 6 al punto 12 distingue e definisce le costruzioni a schiera
(edifici formati da due o più alloggi disposti in serie, con almeno un
lato in comune, ciascuno dotato di accesso diretto dall’esterno), a
sistema lineare aperto e a blocco isolato. A sua volta l’art. 59 dello
stesso regolamento precisa altresì che per fabbricato o edificio
residenziale si intende quel fabbricato, urbano o rurale, destinato per la
maggior parte della cubatura ad uso di abitazione. Nel caso di specie si
tratta di una costruzione a schiera, in quanto il corpo di fabbrica è
composto da più edifici autonomi, dotati di accesso libero e di singole
scale ed ascensori, con un lato giuntato, senza alcun collegamento tra gli
stessi.
La perizia tecnica corredata da materiale grafico e fotografico
dimostra che il complesso è costituito da 5 edifici con volumetria
nettamente inferiore ai 10.000 m.c. La circostanza che il medesimo
complesso sia stato realizzato in virtù di un unico titolo edilizio non ha
nessun rilievo ai fini dell’applicabilità della legge regionale n.
19/2009, atteso che l’unicità di tale titolo non determina la tipologia
edilizia del complesso né l’unitarietà dello stesso, ma solo la
contestualità dell’esecuzione delle opere.
Va altresì stigmatizzata
l’affermazione secondo cui la ricorrente avrebbe artificiosamente
suddiviso l’esecuzione dell’intervento in due distinte domande, poiché
tale scelta si è resa necessaria per garantire la riserva di superficie
destinata dalla legge regionale n.19/2009 ad edilizia sociale pari al 35%
della volumetria complessiva. Infatti, come dimostrano i grafici allegati
alla perizia tecnica, la presentazione di due istanze separate è tesa
proprio a consentire alla ricorrente di riservare la quota funzionale del
35% ad housing sociale, senza interventi di modifica sugli immobili. In
sostanza se si fosse effettuata la ripartizione per singoli edifici, si
sarebbero ottenuti alcuni appartamenti funzionali, e solo dei residuali di
superficie abitabile di uno o due camere difficilmente accorpabili e
quindi inutilizzabili quale appartamento compatibile con l’housing
sociale. E’ palesemente infondata l’affermazione secondo cui il complesso
edilizio sarebbe da considerare inscindibile, essendo state poste in
essere opere di collegamento onde renderlo unitario sì da superrare il
limite di cui all’art. 17 delle n.t.a. del prg. Come dimostra la
consulenza tecnica in atti, i cinque fabbricati non hanno alcuna opera di
collegamento e le distanze legali sono pienamente rispettate. Invero la
distanza tra fabbricati va rispettata nella sola ipotesi di edificio
singolo, e non di costruzione a schiera in cui gli edifici sono disposti
in serie con un lato in comune o in aderenza come nella specie. L’altro
corpo di fabbrica costituito da una costruzione a blocco isolato dista
dalla costruzione a schiera oltre 40 metri, e quindi in misura ben
superiore ai 10 metri imposti dall’art. 17 delle n.t.a. del p.r.g.
vigente. A nulla vale ancora il riferimento ad una scia del 24.01.2012
prot. n. 566 con cui la ricorrente si sarebbe “sconfessata”, poiché essa
riguarda un mutamento di destinazione d’uso ai sensi dell’art. 5 commi 9 e
segg. del d.l. n. 70/2011 conv. in l. n. 106/2011, ossia di una norma
statale che regola tipologie di interventi totalmente diverse da quelle
disciplinate dalla legge regionale n. 19/2009, e che non prevedono alcun
obbligo di riserva ad housing sociale delle volumetrie esistenti.
Non
sono quindi applicabili, nella fattispecie, le prescrizioni limitative di
cui all’art. 7 comma 6 della legge regionale n. 19/2009, dato che gli
interventi di cui al comma 6 bis riguardano immobili con destinazione a
residenze turistico alberghiere assolutamente compatibili con le civili
abitazioni anche e soprattutto in termini di standards urbanistici. In
tale ipotesi la modifica della destinazione d’uso ha una portata minima in
termini d’impatto urbanistico del territorio, per cui non opera la
limitazione volumetrica prevista per le modifiche di destinazione d’uso da
una categoria funzionale ad un’altra. La peculiarità degli interventi di
cui al comma 6 bis esclude che agli stessi possano essere applicate le
limitazioni di cui al comma 6, come evincibile anche dalla nota prot.
774995 del 23.10.2012.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7
della legge regionale n. 19/2009, così come modificata dalla legge
regionale n. 1/2011, violazione dell’art. 9 del d.p.r. n. 380/2001 e della
legge regionale n. 19/2001, violazione dell’art. 3 della legge n.
241/2009, inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto, difetto
assoluto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza, irrazionalità,
illogicità, contraddittorietà, eccesso di potere;
E’ erronea
l’affermazione secondo cui l’intervento non potrebbe essere realizzato
perché la ricorrente si sarebbe obbligata con atto per notar Vittorio
Margherita di Napoli rep. 462877 racc. 14839 del 17.10.2012 a mantenere
inalterata la destinazione a residenza turistica dei fabbricati al fine di
stabilire un collegamento funzionale della gestione a tempo indeterminato
dei servizi del residence “Atella” con l’acquisto ed il godimento della
proprietà esclusiva di porzioni di fabbricato, nonché al fine di escludere
la facoltà del singolo condomino di sciogliere unilateralmente il rapporto
finchè dura la titolarità e con effetto nei confronti degli aventi causa a
qualsiasi titolo. L’atto unilaterale d’obbligo in questione non ha alcuna
finalità urbanistica, non essendo destinato a soddisfare esigenze di
standards urbanistici, ma avendo lo scopo precipuo di assicurare
l’unitarietà della gestione dell’intero complesso aziendale. L’obbligo di
non modificare la destinazione d’uso è invalso nella prassi per le
tipologie d’intervento realizzate da privati con la finalità di
soddisfacimento di standards per le attrezzature di interesse pubblico.
Solo in tale ipotesi l’obbligo può considerarsi perpetuo, tenuto conto
della necessità dell’amministrazione di garantirsi la perdurante presenza
dell’attrezzatura finalizzata a soddisfare esigenze della
collettività.
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7,8, e 10
bis della legge n. 241/1990, violazione del giusto procedimento di legge,
eccesso di potere, difetto assoluto d’istruttoria e di motivazione;
Il
provvedimento di diniego è illegittimo perché difetta della comunicazione
dei motivi ostativi di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/1990. Tale
imprenscidbile momento procedimentale è stato totalmente obliato
dall’amministrazione pregiudicando in tal modo l’apporto partecipativo
della ricorrente, ed impedendo l’instaurazione della necessaria fase del
contraddittorio in cui la ricorrente avrebbe potuto articolare le proprie
difese. Ciò a fortiori nell’ipotesi, come quella in esame, in cui
l’amministrazione provvede in sede di riesame a seguito di ordine
pronunciato dal giudice amministrativo sulla base di motivazioni nuove
rispetto al precedente diniego.
4) Violazione e falsa applicazione
dell’art. 20 del d.p.r. n. 380/2001, violazione del giusto procedimento di
legge, violazione della legge n. 241/1990, difetto assoluto di istruttoria
e di motivazione, irragionevolezza, irrazionalità, illogicità,
contraddittorietà, eccesso di potere;
Il Consiglio di Stato con
ordinanze n.n. 1879/2013 e 1880/2013 ha sospeso l’esecutività delle
sentenze Tar Campania Napoli n.n. 5264 e 5265/2011, e dalla data di
notifica al Comune del provvedimento cautelare dell’11.07.2013 decorre il
termine di 60 giorni previsto dall’art. 20 comma 8 del d.p.r,. n. 280/2001
per la formazione del silenzio assenso. Nella specie quindi il termine per
l’adozione del provvedimento finale era il 9.09.2013, invece il
provvedimento impugnato è stato adottato in data 17.09.2013 ossia quando
il titolo abilitativo si era già formato per silenzio, per cui
l’amministrazione avrebbe dovuto procedere ad un’eventuale revoca e/o
annullamento del permesso de quo e non all’adozione di un
diniego.
Instava inoltre per la condanna dell’amministrazione al
risarcimento del danno subito a seguito dei reiterati dinieghi stimato in
€ 340.000 dovuto al recesso di 10 prenotazioni da parte di clienti o
acquirenti degli immobili de quibus nella misura di € 34.000,00 per ogni
immobile pari al 22% del prezzo di vendita.
Concludeva quindi per
l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese, diritti ed onorari di
giudizio.
Con memoria del 17.02.2014 si costituiva il Comune di Cesa
per opporsi al ricorso chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza di
discussione del 21.01.2015 il ricorso veniva introitato per la
decisione.
2. Il ricorso principale è fondato e merita accoglimento
laddove censura il diniego impugnato per l’omessa comunicazione dei motivi
ostativi di cui all’art. 10 bis cit. Come noto, la comunicazione dei
motivi ostativi al rilascio del provvedimento richiesto, disciplinata
dall'art. 10 bis, della legge 7 agosto 1990 n. 241 ha la funzione, in un
rapporto collaborativo con l'Amministrazione, di consentire al soggetto
destinatario del provvedimento negativo di presentare delle
controdeduzioni avverso i motivi di diniego per evidenziare eventuali
profili di illegittimità dell'atto finale in via di formazione ( profili
che dovranno poi essere valutati dall'amministrazione ed esternati con la
motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento), e serve per
consentire all'Amministrazione di acquisire ulteriori elementi per
l'adozione di una legittima determinazione finale, con gli evidenti
effetti deflazionistici sul contenzioso.
2.1 Nella fattispecie, poi,
non vale richiamare l'articolo 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del
1990, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per
la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato. Se non v'è dubbio che il potere nella specie esercitato ha
natura vincolata, non può ritenersi altrettanto scontato che - alla
stregua della documentazione agli atti - il contraddittorio
endoprocedimentale attivato con il "preavviso" non avrebbe potuto incidere
sul contenuto del provvedimento conclusivo, stante la complessità degli
accertamenti da compiere onde valutare la compatibilità della istanze di
mutamento di destinazione d’uso con la disciplina regionale invocata, e
della controversa natura dell’atto d’obbligo sottoscritto in seguito al
rilascio del titolo originario. Né, sotto altro profilo, può sostenersi
che l’interessato ha comunque avuto modo di partecipare al provedimento
avendo avuto conoscenza del procedimento in itinere per effetto della
sospensione cautelare disposta dal Consiglio di Stato.
Al riguardo non
può ritenersi irrilevante la mancata fissazione del termine per presentare
le osservazioni, risultando ex actis che, le ragioni poste a base del
diniego non sono meramente confermative del precedente provvedimento
reiettivo, ma introducono diversi elementi di novità circa l’applicazione
e la corretta interpretazione in relazione alla fattispecie concreta della
normativa di cui all’art. 7 comma 6 bis della legge regionale Campania n.
19/2009 come modificata dalla legge regionale n.1/2011, nonchè delle
obbligazioni assunte nei confronti del Comune di Cesa dalla ricorrente con
atto notarile del 17.12.2012.
Né sotto altro profilo può sostenersi che
l’amministrazione dovesse ritenersi esonerata dall’obbligo della previa
instaurazione del contraddittorio procedimentale sui motivi del diniego
vertendosi in presenza di ottemperanza ad un ordine cautelare, dal momento
che le ragioni di urgenza che per legge giustificano la pretermissione
delle garanzie partecipative riguardano solo l’art.7, e considerata
comunque la compatibilità del termine di 90 giorni assegnato in sede di
esecuzione con i termini di cui all’art. 10 bis per il deposito delle
osservazioni.
La fondatezza del dedotto vizio di natura procedimentale
conduce all'accoglimento del ricorso, senza che vi sia la necessità di
esaminare le ulteriori censure proposte che restano assorbite.
4. Nel
merito è da respingere l’istanza di risarcimento del pregiudizio patito
per l’assunto ritardo nel rilascio del permesso di costruire, dal momento
che, a fronte dell’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa, non è
sufficiente una mera astratta probabilità di conseguimento di un risultato
utile, ma occorre che risulti comprovata attraverso l’espletamento di un
giudizio prognostico “ex ante” una concreta probabilità di conseguimento
del vantaggio sperato. La formulazione in sede giudiziale di un siffatto
giudizio prognostico risulta inevitabilmente condizionata dalla
connotazione propria dell’attività amministrativa volta a volta posta in
essere, dovendo distinguersi necessariamente tra ipotesi in cui si verta a
fronte dell’esercizio di attività discrezionale, e casi in cui si tratti
di pretese afferenti l’esercizio di attività vincolata o di attività
tecnico-discrezionale. Ciò in quanto è intuibile che, a fronte
dell’esercizio di attività amministrativa vincolata, la pretesa
risarcitoria resterebbe subordinata alla mera verifica della ricorrenza
dei presupposti di legge per il riconoscimento del beneficio invocato.
Diversamente, nel caso di esercizio di attività amministrativa
discrezionale, quanto maggiore è il margine del sindacato rimesso alla
scelta della Pubblica Amministrazione tanto maggiore è il rischio per il
giudice che l’attivazione del giudizio probabilistico si scontri con il
principio di riserva di amministrazione. La tutela della pretesa
risarcitoria avanzata, tuttavia, non è ontologicamente incompatibile con
la riserva di amministrazione, ma può intendersi consentita e ammessa nei
soli casi in cui la perdita dell’occasione favorevole sia divenuta
irreversibile per effetto dell’esecuzione definitiva del provvedimento
illegittimo, o per fatti o vicende normative o provvedimentali
sopravvenute. Inoltre, per le ipotesi in cui il riconoscimento della
spettanza del bene della vita azionato sia subordinato alla riedizione di
un’attività amministrativa discrezionale, resta del tutto precluso al
giudice amministrativo l’espletamento del giudizio probabilistico ex ante
sulla possibilità di riconoscimento di un provvedimento favorevole. E
difatti si è al riguardo affermato che nell’interesse legittimo
pretensivo, l’oggetto della posizione, tale da definirne il contenuto
sostanziale (nel cd. lato interno della relazione), non è un “bene” già
esistente nel patrimonio giuridico del titolare, bensì la stessa
possibilità di conseguimento di un’utilitas per il tramite dell’esercizio
del potere amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011 n. 4644).
E’ del tutto evidente che l’illegittimo esercizio del potere comporta un
“vulnus” per la posizione giuridica di interesse legittimo. Ma tale vulnus
– afferendo, in tutta evidenza, ad una situazione dinamica di possibilità
di conseguimento di un’utilitas – non può che ricevere riparazione se non
per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio, per mezzo, cioè,
dell’annullamento dell’atto, che consente il riesercizio del potere
amministrativo, e quindi il ristabilirsi della “chance di conseguimento
dell’utilità finale”. ( cfr in termini Cons. St. sez.IV 22.05.2012
n.2974). Del resto, nel caso della responsabilità della pubblica
amministrazione da illegittimo esercizio della funzione, il rapporto tra
reintegrazione in forma specifica e risarcimento per equivalente si pone
in termini di alternatività e non certo di cumulabilità, e, nell’ottica di
un giudizio orientato per lo più a conformare sul binario della
legittimità l’agire amministrativo, la tutela risarcitoria non può che
rivestire un ruolo sussidiario e subordinato ogni qual volta sia precluso
all’interessato il conseguimento del risultato sperato attraverso la
riedizione del potere amministrativo. Pertanto,in tali casi, la richiesta
di risarcimento dei danni potrà venire in rilievo solo a seguito della
reiterazione del provvedimento, in quanto la definitività del rapporto è
presupposto della azione risarcitoria. Qualora difatti l’annullamento di
un provvedimento amministrativo non escluda ma consenta il riesercizio del
potere amministrativo, la domanda di risarcimento del danno non può essere
valutata che all’esito della nuova manifestazione di detto potere, non
potendo essere accolta ove persistano in capo all’amministrazione
significativi spazi di discrezionalità, e la parte istante non si sia
limitata a rappresentare il mero danno subito per effetto di
un’illegittimità procedimentale, ma abbia chiesto di essere risarcita
dell’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della
vita al quale aspirava o dalla compressione del diritto ad essa spettante
e illegittimamente compresso. (C. Stato, IV, 30.6.2006, n. 4231; Cons. St.
sez.IV, 15.01.2009 n.148; Cons. St.A.P. 13.12.2008 n.13). Più in generale
la giurisprudenza ha affermato che manca il nesso di causalità tra
l’illegittimità dell’atto lesivo ed il danno lamentato, allorquando la
pubblica amministrazione conserva integro l’ambito di apprezzamento
discrezionale del provvedimento ampliativo richiesto e la possibilità di
una legittima diversa determinazione (C.d.S., sez. V, 7 ottobre 2008, n.
4868; 22 aprile 2004, n. 2994; ancor più decisamente C.d.S., sez. IV, 15
luglio 2008, n. 3552).
4.1 Tanto premesso, applicando le predette
coordinate ermeneutiche al caso in esame, deve innanzitutto escludersi che
nella fattispecie in esame possa formularsi un giudizio prognostico ex
ante sulla spettanza del bene della vita anelato dal ricorrente, dal
momento che la valutazione circa la sussistenza dei presupposti per il
rilascio del titolo costituisce esercizio di attività riservata
all’amministrazione procedente.
Pertanto la pretesa azionata in
giudizio resta in ogni caso subordinata al definitivo esperimento del
procedimento attivato dal ricorrente per il rilascio del permesso di
costruire. Da ultimo, quanto alle spese processuali, avuto riguardo
all’esito del giudizio parzialmente satisfattivo per il ricorrente,
ricorrono giusti motivi per disporne l’integrale compensazione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della
Campania (Sezione Ottava) definitivamente pronunciando sul ricorso, come
in epigrafe proposto, lo acoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato
nei limiti di cui in motivazione;
spese compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2015 con
l'intervento dei magistrati:
Ferdinando Minichini, Presidente
Renata
Emma Ianigro, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Primo
Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
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