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T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI - SEZIONE VIII - Sentenza 11 febbraio 2015 n. 989
Pres. Minichini, est. Ianigro
Immobiliare Pelliccia srl (Avv. Aniello Mele) c. Comune di Cesa (Avv. Fulvio Savastano)


1. Edilizia ed Urbanistica – Permesso di costruire per mutamento di destinazione d’uso – Diniego – Mancato invio della comunicazione ex art. 10-bis L. 241/1990 – Illegittimità – Sussiste.

 

2. Edilizia ed Urbanistica – Annullamento del diniego di rilascio del permesso di costruire – Domanda risarcitoria – Infondata in presenza di una riedizione dell’attività della P.A.

 

 

1. Il diniego al rilascio del permesso di costruire per la modifica della destinazione d’uso di un complesso turistico deve ritenersi illegittimo qualora non sia preceduto dalla comunicazione ex art. 10-bis L. 241/1990 di preavviso del rigetto, atteso che anche a fronte di un potere avente natura vincolata, il contraddittorio procedimentale da attivarsi con il preavviso può incidere sul contenuto del provvedimento conclusivo, in presenza di accertamenti complessi. (Nella specie la compatibilità dell’istanza di mutamento della destinazione d’uso con la disciplina regionale richiedeva approfondite verifiche sulla volumetria dell’edificio).

 

2. Allorquando all’annullamento del diniego di rilascio del permesso di costruire per mutamento di destinazione d’uso, segua la necessaria riedizione dell’attività amministrativa, non può espletarsi un giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita e la relativa domanda risarcitoria non può essere accolta. (1)

 

 

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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7/10/2008 n. 4868; Idem 22/4/2004 n. 2994; Sez. IV, 15/7/2008 n. 3552.

 

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Ottava)



ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 6094 del 2013, proposto da: Immobiliare Pelliccia S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Aniello Mele, con domicilio eletto presso Aniello Mele in Napoli, corso Umberto I n. 75;

contro



Comune di Cesa in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Fulvio Savastano, con domicilio eletto presso Fulvio Savastano in Napoli, Segreteria T.a.r. Campania Napoli;

per l'annullamento



del provvedimento n.5915/2013 con cui il Comune di Cesa ha negato il rilascio dei permessi di costruire di cui alle pratiche nn.3459/2011 e 3460/2011 per la modifica della destinazione d’uso senza opere di un complesso turistico ricettivo ai sensi dell’art. 7 comma 6 bis della legge regionale n. 19/2009;
e
per la condanna ai sensi dell’art. 34 c.p.a. al risarcimento dei danni subiti;

 


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cesa in persona del Sindaco p.t.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2015 la dott.ssa Renata Emma Ianigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


FATTO e DIRITTO



1. Con ricorso iscritto al n. 6094/2013 l’Immobiliare Pelliccia s.r.l., quale proprietaria di un complesso immobiliare realizzato con permesso di costruire n. 80 del 10.11.2007 e successive varianti, destinato a centro turistico-residenziale, ricadente in zona D (impianti produttivi) del p.r.g. comunale, esponeva:
- di aver presentato in data 10.06.2011 due istanze di rilascio di permesso di costruire per il mutamento di destinazione d’uso a fini residenziali, senza opere, per una volumetria rispettivamente di mc. 6.933 e 7.623;
- che con sentenze T.a.r. Campania n.n. 5364/2011 e 5265/2011 erano stati respinti ex art. 60 c.p.a. i ricorsi proposti avverso i dinieghi opposti dal Comune alle predette istanze;
- di aver ottenuto in sede cautelare dal Consiglio di Stato con ordinanze n.n. 1879/2013 e 1880/2013 la sospensione dell’esecutività delle predette sentenze T.a.r. Campania n.n. 5364/2011 e 5265/2011, alla luce del diverso orientamento favorevole al ricorrente emerso nella decisione Tar n.1293/2013 su fattispecie analoga;
- che il Comune di Cesa, in esecuzione delle predette pronunce cautelari, nonché della successiva ordinanza C.d.S. n.3362/2013 con il provvedimento impugnato reiterava il diniego.
A sostegno del ricorso deduceva i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge regionale n. 19/2009 così come modificata dalla legge reg. n. 1/2011, violazione del d.p.r. n. 380/2001 e della legge regionale n. 19/2001, violazione dell’art. 3 della legge n. 241/2009, inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto, difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, contraddittorietà, eccesso di potere;
L’affermazione secondo cui l’intervento riguarderebbe un edificio con una volumetria superiore ai 10.000 m.c. è erronea, e fondata su elementi del tutto inconsistenti. L’art. 7 comma 6 della legge regionale n.19/2009 è stato oggetto di un evidente errore interpretativo, poiché, a differenza di quanto sostenuto dall’amministrazione, i cinque fabbricati assentiti non hanno alcuna opera di collegamento e non possono considerarsi come un edificio unico. L’articolo 6 del regolamento edilizio definisce edificio qualsiasi costruzione coperta, isolata da vie o spazi inedificati, oppure separata da altre costruzioni mediante muri che si elevino senza soluzione di continuità dalle fondazioni al tetto, che disponga di uno o più liberi accessi sulla via e possa avere una o più scale autonome. Il medesimo articolo 6 al punto 12 distingue e definisce le costruzioni a schiera (edifici formati da due o più alloggi disposti in serie, con almeno un lato in comune, ciascuno dotato di accesso diretto dall’esterno), a sistema lineare aperto e a blocco isolato. A sua volta l’art. 59 dello stesso regolamento precisa altresì che per fabbricato o edificio residenziale si intende quel fabbricato, urbano o rurale, destinato per la maggior parte della cubatura ad uso di abitazione. Nel caso di specie si tratta di una costruzione a schiera, in quanto il corpo di fabbrica è composto da più edifici autonomi, dotati di accesso libero e di singole scale ed ascensori, con un lato giuntato, senza alcun collegamento tra gli stessi.
La perizia tecnica corredata da materiale grafico e fotografico dimostra che il complesso è costituito da 5 edifici con volumetria nettamente inferiore ai 10.000 m.c. La circostanza che il medesimo complesso sia stato realizzato in virtù di un unico titolo edilizio non ha nessun rilievo ai fini dell’applicabilità della legge regionale n. 19/2009, atteso che l’unicità di tale titolo non determina la tipologia edilizia del complesso né l’unitarietà dello stesso, ma solo la contestualità dell’esecuzione delle opere.
Va altresì stigmatizzata l’affermazione secondo cui la ricorrente avrebbe artificiosamente suddiviso l’esecuzione dell’intervento in due distinte domande, poiché tale scelta si è resa necessaria per garantire la riserva di superficie destinata dalla legge regionale n.19/2009 ad edilizia sociale pari al 35% della volumetria complessiva. Infatti, come dimostrano i grafici allegati alla perizia tecnica, la presentazione di due istanze separate è tesa proprio a consentire alla ricorrente di riservare la quota funzionale del 35% ad housing sociale, senza interventi di modifica sugli immobili. In sostanza se si fosse effettuata la ripartizione per singoli edifici, si sarebbero ottenuti alcuni appartamenti funzionali, e solo dei residuali di superficie abitabile di uno o due camere difficilmente accorpabili e quindi inutilizzabili quale appartamento compatibile con l’housing sociale. E’ palesemente infondata l’affermazione secondo cui il complesso edilizio sarebbe da considerare inscindibile, essendo state poste in essere opere di collegamento onde renderlo unitario sì da superrare il limite di cui all’art. 17 delle n.t.a. del prg. Come dimostra la consulenza tecnica in atti, i cinque fabbricati non hanno alcuna opera di collegamento e le distanze legali sono pienamente rispettate. Invero la distanza tra fabbricati va rispettata nella sola ipotesi di edificio singolo, e non di costruzione a schiera in cui gli edifici sono disposti in serie con un lato in comune o in aderenza come nella specie. L’altro corpo di fabbrica costituito da una costruzione a blocco isolato dista dalla costruzione a schiera oltre 40 metri, e quindi in misura ben superiore ai 10 metri imposti dall’art. 17 delle n.t.a. del p.r.g. vigente. A nulla vale ancora il riferimento ad una scia del 24.01.2012 prot. n. 566 con cui la ricorrente si sarebbe “sconfessata”, poiché essa riguarda un mutamento di destinazione d’uso ai sensi dell’art. 5 commi 9 e segg. del d.l. n. 70/2011 conv. in l. n. 106/2011, ossia di una norma statale che regola tipologie di interventi totalmente diverse da quelle disciplinate dalla legge regionale n. 19/2009, e che non prevedono alcun obbligo di riserva ad housing sociale delle volumetrie esistenti.
Non sono quindi applicabili, nella fattispecie, le prescrizioni limitative di cui all’art. 7 comma 6 della legge regionale n. 19/2009, dato che gli interventi di cui al comma 6 bis riguardano immobili con destinazione a residenze turistico alberghiere assolutamente compatibili con le civili abitazioni anche e soprattutto in termini di standards urbanistici. In tale ipotesi la modifica della destinazione d’uso ha una portata minima in termini d’impatto urbanistico del territorio, per cui non opera la limitazione volumetrica prevista per le modifiche di destinazione d’uso da una categoria funzionale ad un’altra. La peculiarità degli interventi di cui al comma 6 bis esclude che agli stessi possano essere applicate le limitazioni di cui al comma 6, come evincibile anche dalla nota prot. 774995 del 23.10.2012.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge regionale n. 19/2009, così come modificata dalla legge regionale n. 1/2011, violazione dell’art. 9 del d.p.r. n. 380/2001 e della legge regionale n. 19/2001, violazione dell’art. 3 della legge n. 241/2009, inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto, difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, contraddittorietà, eccesso di potere;
E’ erronea l’affermazione secondo cui l’intervento non potrebbe essere realizzato perché la ricorrente si sarebbe obbligata con atto per notar Vittorio Margherita di Napoli rep. 462877 racc. 14839 del 17.10.2012 a mantenere inalterata la destinazione a residenza turistica dei fabbricati al fine di stabilire un collegamento funzionale della gestione a tempo indeterminato dei servizi del residence “Atella” con l’acquisto ed il godimento della proprietà esclusiva di porzioni di fabbricato, nonché al fine di escludere la facoltà del singolo condomino di sciogliere unilateralmente il rapporto finchè dura la titolarità e con effetto nei confronti degli aventi causa a qualsiasi titolo. L’atto unilaterale d’obbligo in questione non ha alcuna finalità urbanistica, non essendo destinato a soddisfare esigenze di standards urbanistici, ma avendo lo scopo precipuo di assicurare l’unitarietà della gestione dell’intero complesso aziendale. L’obbligo di non modificare la destinazione d’uso è invalso nella prassi per le tipologie d’intervento realizzate da privati con la finalità di soddisfacimento di standards per le attrezzature di interesse pubblico. Solo in tale ipotesi l’obbligo può considerarsi perpetuo, tenuto conto della necessità dell’amministrazione di garantirsi la perdurante presenza dell’attrezzatura finalizzata a soddisfare esigenze della collettività.
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7,8, e 10 bis della legge n. 241/1990, violazione del giusto procedimento di legge, eccesso di potere, difetto assoluto d’istruttoria e di motivazione;
Il provvedimento di diniego è illegittimo perché difetta della comunicazione dei motivi ostativi di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/1990. Tale imprenscidbile momento procedimentale è stato totalmente obliato dall’amministrazione pregiudicando in tal modo l’apporto partecipativo della ricorrente, ed impedendo l’instaurazione della necessaria fase del contraddittorio in cui la ricorrente avrebbe potuto articolare le proprie difese. Ciò a fortiori nell’ipotesi, come quella in esame, in cui l’amministrazione provvede in sede di riesame a seguito di ordine pronunciato dal giudice amministrativo sulla base di motivazioni nuove rispetto al precedente diniego.
4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.p.r. n. 380/2001, violazione del giusto procedimento di legge, violazione della legge n. 241/1990, difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, contraddittorietà, eccesso di potere;
Il Consiglio di Stato con ordinanze n.n. 1879/2013 e 1880/2013 ha sospeso l’esecutività delle sentenze Tar Campania Napoli n.n. 5264 e 5265/2011, e dalla data di notifica al Comune del provvedimento cautelare dell’11.07.2013 decorre il termine di 60 giorni previsto dall’art. 20 comma 8 del d.p.r,. n. 280/2001 per la formazione del silenzio assenso. Nella specie quindi il termine per l’adozione del provvedimento finale era il 9.09.2013, invece il provvedimento impugnato è stato adottato in data 17.09.2013 ossia quando il titolo abilitativo si era già formato per silenzio, per cui l’amministrazione avrebbe dovuto procedere ad un’eventuale revoca e/o annullamento del permesso de quo e non all’adozione di un diniego.
Instava inoltre per la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno subito a seguito dei reiterati dinieghi stimato in € 340.000 dovuto al recesso di 10 prenotazioni da parte di clienti o acquirenti degli immobili de quibus nella misura di € 34.000,00 per ogni immobile pari al 22% del prezzo di vendita.
Concludeva quindi per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio.
Con memoria del 17.02.2014 si costituiva il Comune di Cesa per opporsi al ricorso chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza di discussione del 21.01.2015 il ricorso veniva introitato per la decisione.
2. Il ricorso principale è fondato e merita accoglimento laddove censura il diniego impugnato per l’omessa comunicazione dei motivi ostativi di cui all’art. 10 bis cit. Come noto, la comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del provvedimento richiesto, disciplinata dall'art. 10 bis, della legge 7 agosto 1990 n. 241 ha la funzione, in un rapporto collaborativo con l'Amministrazione, di consentire al soggetto destinatario del provvedimento negativo di presentare delle controdeduzioni avverso i motivi di diniego per evidenziare eventuali profili di illegittimità dell'atto finale in via di formazione ( profili che dovranno poi essere valutati dall'amministrazione ed esternati con la motivazione del provvedimento conclusivo del procedimento), e serve per consentire all'Amministrazione di acquisire ulteriori elementi per l'adozione di una legittima determinazione finale, con gli evidenti effetti deflazionistici sul contenzioso.
2.1 Nella fattispecie, poi, non vale richiamare l'articolo 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Se non v'è dubbio che il potere nella specie esercitato ha natura vincolata, non può ritenersi altrettanto scontato che - alla stregua della documentazione agli atti - il contraddittorio endoprocedimentale attivato con il "preavviso" non avrebbe potuto incidere sul contenuto del provvedimento conclusivo, stante la complessità degli accertamenti da compiere onde valutare la compatibilità della istanze di mutamento di destinazione d’uso con la disciplina regionale invocata, e della controversa natura dell’atto d’obbligo sottoscritto in seguito al rilascio del titolo originario. Né, sotto altro profilo, può sostenersi che l’interessato ha comunque avuto modo di partecipare al provedimento avendo avuto conoscenza del procedimento in itinere per effetto della sospensione cautelare disposta dal Consiglio di Stato.
Al riguardo non può ritenersi irrilevante la mancata fissazione del termine per presentare le osservazioni, risultando ex actis che, le ragioni poste a base del diniego non sono meramente confermative del precedente provvedimento reiettivo, ma introducono diversi elementi di novità circa l’applicazione e la corretta interpretazione in relazione alla fattispecie concreta della normativa di cui all’art. 7 comma 6 bis della legge regionale Campania n. 19/2009 come modificata dalla legge regionale n.1/2011, nonchè delle obbligazioni assunte nei confronti del Comune di Cesa dalla ricorrente con atto notarile del 17.12.2012.
Né sotto altro profilo può sostenersi che l’amministrazione dovesse ritenersi esonerata dall’obbligo della previa instaurazione del contraddittorio procedimentale sui motivi del diniego vertendosi in presenza di ottemperanza ad un ordine cautelare, dal momento che le ragioni di urgenza che per legge giustificano la pretermissione delle garanzie partecipative riguardano solo l’art.7, e considerata comunque la compatibilità del termine di 90 giorni assegnato in sede di esecuzione con i termini di cui all’art. 10 bis per il deposito delle osservazioni.
La fondatezza del dedotto vizio di natura procedimentale conduce all'accoglimento del ricorso, senza che vi sia la necessità di esaminare le ulteriori censure proposte che restano assorbite.
4. Nel merito è da respingere l’istanza di risarcimento del pregiudizio patito per l’assunto ritardo nel rilascio del permesso di costruire, dal momento che, a fronte dell’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa, non è sufficiente una mera astratta probabilità di conseguimento di un risultato utile, ma occorre che risulti comprovata attraverso l’espletamento di un giudizio prognostico “ex ante” una concreta probabilità di conseguimento del vantaggio sperato. La formulazione in sede giudiziale di un siffatto giudizio prognostico risulta inevitabilmente condizionata dalla connotazione propria dell’attività amministrativa volta a volta posta in essere, dovendo distinguersi necessariamente tra ipotesi in cui si verta a fronte dell’esercizio di attività discrezionale, e casi in cui si tratti di pretese afferenti l’esercizio di attività vincolata o di attività tecnico-discrezionale. Ciò in quanto è intuibile che, a fronte dell’esercizio di attività amministrativa vincolata, la pretesa risarcitoria resterebbe subordinata alla mera verifica della ricorrenza dei presupposti di legge per il riconoscimento del beneficio invocato. Diversamente, nel caso di esercizio di attività amministrativa discrezionale, quanto maggiore è il margine del sindacato rimesso alla scelta della Pubblica Amministrazione tanto maggiore è il rischio per il giudice che l’attivazione del giudizio probabilistico si scontri con il principio di riserva di amministrazione. La tutela della pretesa risarcitoria avanzata, tuttavia, non è ontologicamente incompatibile con la riserva di amministrazione, ma può intendersi consentita e ammessa nei soli casi in cui la perdita dell’occasione favorevole sia divenuta irreversibile per effetto dell’esecuzione definitiva del provvedimento illegittimo, o per fatti o vicende normative o provvedimentali sopravvenute. Inoltre, per le ipotesi in cui il riconoscimento della spettanza del bene della vita azionato sia subordinato alla riedizione di un’attività amministrativa discrezionale, resta del tutto precluso al giudice amministrativo l’espletamento del giudizio probabilistico ex ante sulla possibilità di riconoscimento di un provvedimento favorevole. E difatti si è al riguardo affermato che nell’interesse legittimo pretensivo, l’oggetto della posizione, tale da definirne il contenuto sostanziale (nel cd. lato interno della relazione), non è un “bene” già esistente nel patrimonio giuridico del titolare, bensì la stessa possibilità di conseguimento di un’utilitas per il tramite dell’esercizio del potere amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011 n. 4644). E’ del tutto evidente che l’illegittimo esercizio del potere comporta un “vulnus” per la posizione giuridica di interesse legittimo. Ma tale vulnus – afferendo, in tutta evidenza, ad una situazione dinamica di possibilità di conseguimento di un’utilitas – non può che ricevere riparazione se non per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio, per mezzo, cioè, dell’annullamento dell’atto, che consente il riesercizio del potere amministrativo, e quindi il ristabilirsi della “chance di conseguimento dell’utilità finale”. ( cfr in termini Cons. St. sez.IV 22.05.2012 n.2974). Del resto, nel caso della responsabilità della pubblica amministrazione da illegittimo esercizio della funzione, il rapporto tra reintegrazione in forma specifica e risarcimento per equivalente si pone in termini di alternatività e non certo di cumulabilità, e, nell’ottica di un giudizio orientato per lo più a conformare sul binario della legittimità l’agire amministrativo, la tutela risarcitoria non può che rivestire un ruolo sussidiario e subordinato ogni qual volta sia precluso all’interessato il conseguimento del risultato sperato attraverso la riedizione del potere amministrativo. Pertanto,in tali casi, la richiesta di risarcimento dei danni potrà venire in rilievo solo a seguito della reiterazione del provvedimento, in quanto la definitività del rapporto è presupposto della azione risarcitoria. Qualora difatti l’annullamento di un provvedimento amministrativo non escluda ma consenta il riesercizio del potere amministrativo, la domanda di risarcimento del danno non può essere valutata che all’esito della nuova manifestazione di detto potere, non potendo essere accolta ove persistano in capo all’amministrazione significativi spazi di discrezionalità, e la parte istante non si sia limitata a rappresentare il mero danno subito per effetto di un’illegittimità procedimentale, ma abbia chiesto di essere risarcita dell’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita al quale aspirava o dalla compressione del diritto ad essa spettante e illegittimamente compresso. (C. Stato, IV, 30.6.2006, n. 4231; Cons. St. sez.IV, 15.01.2009 n.148; Cons. St.A.P. 13.12.2008 n.13). Più in generale la giurisprudenza ha affermato che manca il nesso di causalità tra l’illegittimità dell’atto lesivo ed il danno lamentato, allorquando la pubblica amministrazione conserva integro l’ambito di apprezzamento discrezionale del provvedimento ampliativo richiesto e la possibilità di una legittima diversa determinazione (C.d.S., sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4868; 22 aprile 2004, n. 2994; ancor più decisamente C.d.S., sez. IV, 15 luglio 2008, n. 3552).
4.1 Tanto premesso, applicando le predette coordinate ermeneutiche al caso in esame, deve innanzitutto escludersi che nella fattispecie in esame possa formularsi un giudizio prognostico ex ante sulla spettanza del bene della vita anelato dal ricorrente, dal momento che la valutazione circa la sussistenza dei presupposti per il rilascio del titolo costituisce esercizio di attività riservata all’amministrazione procedente.
Pertanto la pretesa azionata in giudizio resta in ogni caso subordinata al definitivo esperimento del procedimento attivato dal ricorrente per il rilascio del permesso di costruire. Da ultimo, quanto alle spese processuali, avuto riguardo all’esito del giudizio parzialmente satisfattivo per il ricorrente, ricorrono giusti motivi per disporne l’integrale compensazione.

P.Q.M.



Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo acoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato nei limiti di cui in motivazione;
spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Ferdinando Minichini, Presidente
Renata Emma Ianigro, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Primo Referendario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015





 

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