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T.A.R. TOSCANA - FIRENZE - SEZIONE II - Sentenza 11 dicembre 2014 n. 2025
Pres. S. Romano - Est. L. Viola
-OMISSIS- (Avv. A. Cordoni) contro il Ministero della Giustizia (Avvocatura dello Stato)


Igiene e sanità - Esposizione degli Agenti Penitenziari al fumo passivo nelle carceri – Domanda di condanna ad adottare contromisure idonee – Indimostrata insufficienza di quelle già adottate – Rigetto – Risarcimento del danno – Fattispecie – Mancato superamento della normale soglia di tollerabilità – Insussistenza

 

 

In tema di esposizione degli Agenti Penitenziari al fumo passivo nelle carceri, la domanda di condanna del Ministero della Giustizia «a disporre tutti i provvedimenti necessari per la tutela della salute dei ricorrenti e ad adottare tutte le misure a tal fine prescritte dalla normativa vigente» deve essere rigettata, essendo state in specie già adottate una serie di misure idonee a ridurre o eliminare la problematica e non avendo i ricorrenti concretamente specificato quali siano le ragioni tecniche che portano a ritenere insufficienti gli interventi operati dall’Amministrazione. Per quello che riguarda il risarcimento del danno non patrimoniale, la limitata esposizione al fumo passivo (relativa solo a una frazione del turno o all’occasionale presenza nei corridoi), l’ampiezza degli ambienti interessati dal fumo (in almeno due casi su tre costituita da corridoi di sufficiente larghezza ed ampiezza) e lo stesso potere/dovere dei ricorrenti di richiedere ai detenuti l’osservanza dei divieti e delle cautele disposte dalla Direzione costituiscono ragione sufficiente per escludere che si sia verificata una compromissione della vita relazionale di tale intensità da determinare il diritto al risarcimento del danno non essendosi verificata una situazione tale da superare la normale soglia di tollerabilità.

 

 


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)



ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 1507 del 2012, proposto da: -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avv. Anna Cordoni, con domicilio eletto presso Giancarlo Geri in Firenze, Via Ricasoli 32;

 

contro



Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliata in Firenze, Via degli Arazzieri 4;

per l' accertamento
del diritto dei ricorrenti al risarcimento del danno derivante dalla mancata adozione da parte del Ministero della Giustizia delle misure di sicurezza delle condizioni di lavoro presso la Casa Circondariale di Lucca con riferimento all' esposizione ai fumi passivi derivanti da tabacco;
e per la condanna dell' intimata amministrazione a disporre tutti i provvedimenti necessari per la tutela della salute dei ricorrenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2014 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO



I ricorrenti sono tutti Agenti Penitenziari in servizio, alla data di proposizione del ricorso, presso la Casa circondariale di Lucca; asseriscono tutti di essere non fumatori ed in tale qualità hanno specificamente richiesto alla Direzione della Casa Circondariale di porre in essere tutti gli accorgimenti necessari (installazione di impianti di aereazione nei corridoi; creazione di sezioni per detenuti non fumatori; ecc.) per non essere costretti ad inalare il fumo di sigaretta proveniente dalle celle.
Con il presente ricorso chiedono quindi la condanna del Ministero della Giustizia «a disporre tutti i provvedimenti necessari per la tutela della salute dei ricorrenti e ad adottare tutte le misure a tal fine prescritte dalla normativa vigente».
Chiedono altresì il risarcimento del danno non patrimoniale derivante «dall’aver lavorato in un ambiente insalubre…tenendo conto, per ognuno, della natura del diritto leso e della durata della lesione»; il ricorrente Sig. -OMISSIS- chiede altresì il risarcimento del danno conseguente alla lesione del diritto all’integrità psico-fisica derivato dalla lunga esposizione al fumo passivo (mentre gli altri ricorrenti si sono riservati di azionare successivamente il risarcimento del danno alla salute).
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni intimate, controdeducendo sul merito del ricorso.
All'udienza del 20 novembre 2014 il ricorso passava quindi in decisione.

DIRITTO



Il ricorso è infondato e deve pertanto essere respinto.
Per quello che riguarda la ricostruzione sistematica della materia, la Sezione ritiene di poter recepire la precisa ricognizione delle fonti normative contenuta nella sentenza 29 gennaio 2012 n. 1192 del T.A.R. del Lazio, sez. I quater che può essere richiamata anche in funzione motivazionale della presente decisione: «con la legge n. 584/75 è stato introdotto il divieto di fumo in una serie di luoghi ivi specificamente previsti e, precisamente, “nelle corsie degli ospedali, nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado negli autoveicoli di proprietà dello Stato, di enti pubblici e di privati concessionari di pubblici servizi per trasporto collettivo di persone; nelle metropolitane; nelle sale di attesa delle stazioni ferroviarie, autofilotranviarie, portuali-marittime e aeroportuali; nei compartimenti ferroviari riservati ai non fumatori che devono essere posti in ogni convoglio viaggiatori delle ferrovie dello Stato e nei convogli viaggiatori delle ferrovie date in concessione ai privati; nei compartimenti a cuccette e in quelli delle carrozze letto, occupati da più di una persona, durante il servizio di notte” e “nei locali chiusi che siano adibiti a pubblica riunione, nelle sale chiuse di spettacolo cinematografico o teatrale, nelle sale chiuse da ballo, nelle sale-corse, nelle sale di riunione delle accademie, nei musei, nelle biblioteche e nelle sale di lettura aperte al pubblico, nelle pinacoteche e nelle gallerie d'arte pubbliche o aperte al pubblico” (art. 1).
Con Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 1995, applicabile anche alle amministrazioni dello Stato (art. 1) è stata prescritta l’applicazione della legge n. 584/77 secondo i seguenti criteri interpretativi:
“a) il divieto va applicato in tutti i locali utilizzati, a qualunque titolo, dalla pubblica amministrazione e dalle aziende pubbliche per l'esercizio di proprie funzioni istituzionali, nonché dai privati esercenti servizi pubblici per l'esercizio delle relative attività, sempreché si tratti - in entrambi i casi - di locali che in ragione di tali funzioni sono aperti al pubblico;
b) per locale "aperto al pubblico" s'intende quello al quale la generalità degli amministrati e degli utenti accede, senza formalità e senza bisogno di particolari permessi negli orari stabiliti;
c) il divieto va comunque applicato nei luoghi nominativamente indicati nell'art. 1 della legge 11 novembre 1975, n. 584, ancorché non si tratti di locali "aperti al pubblico" nel senso sopra precisato” (articolo 3 della Direttiva).
Benché né la legge n. 584/77 né la Direttiva del 14/12/95 prevedano un generale divieto di fumo nei luoghi di lavoro deve ritenersi che tale divieto, comunque, sussisteva all’epoca dei fatti come ha avuto modo di affermare esplicitamente la Corte Costituzionale.
Con la sentenza n. 399 del 20/12/96, infatti, la Consulta si è pronunciata, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino ed avente ad oggetto gli artt. 1, lettera a) l. n. 584/75 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico), 9 e 14 del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l'igiene del lavoro), così come modificati dall'art. 33 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, nonché 64, lettera b) e 65, comma 2, del citato decreto n. 626 del 1994, nella parte in cui non prevedevano il divieto di fumare nei luoghi di lavoro chiusi.
Nell’occasione la Corte, dopo avere precisato che, secondo la sua costante giurisprudenza (sentenze n. 218 del 1994, n. 202 del 1991, nn. 307 e 455 del 1990, n. 559 del 1987 e n. 184 del 1986), la salute è un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela, tanto da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato, ha rilevato che la tutela della salute riguarda la generale e comune pretesa dell'individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale ed implica non solo situazioni attive di pretesa, ma anche - oltre che misure di prevenzione - il dovere di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui.
Alla luce di tali considerazioni la Consulta ha, pertanto, ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale per l’erroneità del presupposto su cui si fondava l’ordinanza di rimessione ovvero che “il vigente sistema normativo non offre comunque altri strumenti idonei a tutelare la salute dei lavoratori così come voluto dalla Costituzione”.
Ed, infatti, secondo la Corte, “pur non essendo ravvisabile nel diritto positivo un divieto assoluto e generalizzato di fumare in ogni luogo di lavoro chiuso, è anche vero che nell'ordinamento già esistono disposizioni intese a proteggere la salute dei lavoratori da tutto ciò che è atto a danneggiarla, ivi compreso il fumo passivo. Se alcune norme prescrivono legislativamente il divieto assoluto di fumare in speciali ipotesi, ciò non esclude che da altre disposizioni discenda la legittimità di analogo divieto con riguardo a diversi luoghi e secondo particolari circostanze concrete; è inesatto ritenere, comunque, che altri rimedi voluti dal vigente sistema normativo siano inidonei alla tutela della salute dei lavoratori anche rispetto ai rischi del fumo passivo. Ed invero, non sono soltanto le norme costituzionali (artt. 32 e 41) ad imporre ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell'integrità fisica dei lavoratori; numerose altre disposizioni, tra cui la disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 626 del 1994, assumono in proposito una valenza decisiva. L'art. 2087 del codice civile stabilisce che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. La Cassazione (sentenza n. 5048 del 1988) ha ritenuto che tale disposizione come tutte le clausole generali, ha una funzione di adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante realtà socio-economica e pertanto vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, ed ha una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima di adeguamento di essa al caso concreto. Analogamente gli artt. 1, 4 e 31 del decreto legislativo del 19 settembre 1994, n. 626, dispongono che il datore di lavoro, in relazione alla natura dell'attività dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, debba valutare, anche nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, adottare le misure necessarie, e aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza, riaffermando l'obbligo di "adeguare i luoghi di lavoro alle prescrizioni di sicurezza e di salute. Con più specifico riferimento alla salubrità dell'aria nei locali di lavoro chiusi, l'art. 9 del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, modificato dall'art. 16 del decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242, stabilisce la necessità che i lavoratori dispongano di aria salubre in quantità sufficiente, anche ottenuta con impianti di aerazione; impianti che peraltro devono essere sempre mantenuti in efficienza e devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d'aria fastidiose. E all'ultimo comma di detto art. 9 si soggiunge che qualsiasi sedimento che potrebbe comportare un pericolo per la salute dei lavoratori dovuto all'inquinamento dell'aria respirata deve essere eliminato rapidamente" (Corte Cost. n. 399/96).
Secondo la Corte, pertanto, già sulla base delle disposizioni richiamate, di natura non solo programmatica ma precettiva, il datore di lavoro deve attivarsi per verificare che in concreto la salute dei lavoratori sia adeguatamente tutelata e per adottare le misure organizzative sufficienti a conseguire il fine della protezione dal fumo passivo in modo conforme al principio costituzionale dell'art. 32 di talchè la tutela preventiva dei non fumatori nei luoghi di lavoro può ritenersi soddisfatta quando, mediante una serie di misure adottate secondo le diverse circostanze, il rischio derivante dal fumo passivo, se non eliminato, sia ridotto ad una soglia talmente bassa da far ragionevolmente escludere che la loro salute sia messa a repentaglio (Corte Cost. n. 399/96).
L’obbligo di tutela del lavoratore contro i rischi da fumo passivo sul posto di lavoro è stato, poi, ribadito dall’art. 51 della legge n. 3/03 che ha imposto il divieto generale di fumo nei locali chiusi ad eccezione di quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico e a quelli riservati ai fumatori dotati di impianti per la ventilazione ed il ricambio di aria regolarmente funzionanti.
Tale disciplina è applicabile a partire dal 10 gennaio 2005 (per effetto del differimento dell’entrata in vigore della norma disposto dall’art. 19 d.l. n. 266/04) a tutte le amministrazioni dello Stato e, quindi, anche al Ministero della Giustizia.
Per altro, la mancata emanazione del regolamento previsto dall’art. 51 comma 4° l. n. 3/03 non preclude alla normativa in esame di esplicare i suoi effetti anche nei confronti dell’amministrazione resistente, come, invece, infondatamente dedotto dal Ministero nella memoria conclusionale, dal momento che, secondo quanto risulta dal tenore letterale della disposizione in esame, l’adozione della fonte secondaria non costituisce requisito di operatività del divieto legislativamente previsto ma solo il presupposto per l’individuazione di “eventuali ulteriori luoghi chiusi nei quali sia consentito fumare” (fermo restando che “tale regolamento deve prevedere che in tutte le strutture in cui le persone sono costrette a soggiornare non volontariamente devono essere previsti locali adibiti ai fumatori”) in mancanza della quale tali ulteriori limiti al divieto non si applicano» (T.A.R. Lazio, sez. I quater 29 gennaio 2012 n. 1192).
A differenza della fattispecie decisa da T.A.R. Lazio, sez. I quater 29 gennaio 2012 n. 1192, deve però ritenersi che la Direzione della Casa Circondariale di Lucca abbia posto in essere quanto necessario per ovviare alla problematica del fumo passivo originato dai detenuti che fumano nelle celle.
Sotto il profilo organizzativo interno dell’Istituto, risultano, infatti, ben tre ordini/avvisi di servizio (precisamente si tratta degli ordini di servizio 9 gennaio 2002 n. 1, 10 agosto 2010 n. 11 e n. 2 del 2013) finalizzati all’imposizione del divieto di fumo in una serie di locali utilizzati da tutta la comunità carceraria (corridoi, corsie d’ospedale, biblioteche, locali adibiti a sala riunione; ecc.) e di una serie di prescrizioni ritenute idonee a ridurre le problematiche derivanti dal fumo nei locali in cui non era possibile apporre il divieto di fumo (come nelle celle di detenzione, secondo un’impostazione complessiva condivisa anche da parte ricorrente).
A differenza della fattispecie decisa da T.A.R. Lazio, sez. I quater 29 gennaio 2012 n. 1192, le misure organizzative in discorso non sono poi rimaste lettera morta, ma sono state accompagnate dall’applicazione di una serie di sanzioni disciplinari (rilevanti anche ai fini della concessione dei benefici penitenziari) nei confronti dei detenuti inadempienti (si vedano, al proposito, gli elenchi di sanzioni disciplinari irrogate nel corso degli anni, contenuti nelle due produzioni documentali dell’Amministrazione); deve pertanto ritenersi che si tratti di una disciplina organizzativa che non può essere definita “di facciata” ma che ha trovato applicazione effettiva (anche se con qualche flessione, come rilevato nell’ultimo ordine di servizio) e che, soprattutto, è monitorata e riproposta costantemente dalla Direzione dell’Istituto.
Sempre con riferimento alle possibili soluzioni organizzative, deve poi escludersi che sussistesse l’obbligo di istituire sezioni specializzate cui destinare detenuti (e guardie penitenziarie) non fumatori; la previsione dell’art. 6, 7° comma del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) prevede, infatti, l’istituzione di reparti per non fumatori, solo nell’ipotesi in cui «le condizioni logistiche lo consent(a)no» e, nella vicenda concreta, la Direzione dell’Istituto penitenziario ha più volte rilevato, con affermazioni sostanzialmente non contestate dai ricorrenti, come le condizioni logistiche e di sovraffollamento dell’istituto non rendessero (e non rendano ancora) praticabile l’istituzione di reparti separati per i non fumatori.
Del resto, anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU, IV sez., 3 novembre 2006 n. 36150/13, Aparicio Benito c Spagna; III sez., 14 settembre 2010 n. 37186/03, Florea c. Romania) ha rilevato come, in presenza di soluzioni molto differenziate a disposizione degli Stati, l’istituzione di sezioni per non fumatori nei luoghi di detenzione non costituisca obbligo derivante dalla Convenzione.
Per quello che riguarda poi la dotazione impiantistica idonea a limitare gli effetti di diffusione del fumo (che non possono essere completamente ovviati dagli accorgimenti contenuti negli ordini di servizio), appare documentato in atti come siano stati ormai eseguiti e siano operativi una serie di interventi (motorizzazione elettromeccanica dei lucernari con comando dal posto di guardia) ritenuti idonei a ridurre le immissioni di fumo nei corridoi.
L’adeguamento impiantistico è ritenuto insufficiente dalla difesa dei ricorrenti.
Sotto il profilo normativo, l’argomentazione non considera però adeguatamente il fatto che l’art. 51, 2° comma della l. 16 gennaio 2003 n. 3 (come modificato dall’art. 7 della l. 31 ottobre 2003 n. 306) prevede genericamente l’installazione «di impianti per la ventilazione ed il ricambio di aria regolarmente funzionanti» e non di «aspiratori per il fumo» come ritenuto da parte ricorrente; ancora più specificamente, il d.P.C.M. 23 dicembre 2003 (attuazione dell'art. 51, comma 2 della L. 16 gennaio 2003, n. 3, come modificato dall'art. 7 della L. 21 ottobre 2003, n. 306, in materia di tutela della salute dei non fumatori) prevede l’obbligo di dotare i locali per fumatori «di idonei mezzi meccanici di ventilazione forzata», così operando un rinvio ad un giudizio di idoneità che deve essere ovviamente demandato ad organi tecnici.
Nel caso di specie, l’idoneità dell’intervento ad eliminare la problematica del fumo passivo nei corridoi è stata positivamente valutata dagli organi tecnici dell’Amministrazione penitenziaria (si veda, a questo proposito, la nota 8 giugno 2011 prot. n. 23745.3-2 del Provveditorato Regionale per la Toscana) e dell’A.S.L. (si veda il verbale dell’ultimo sopralluogo effettuato nell’istituto penitenziario, ove si evidenzia come si tratti di intervento effettuato su «indicazione» dell’A.S.L. e, quindi, ritenuto rispondente ad esigenze di prevenzione; doc. n. 4 del deposito 19 febbraio 2014 dell’Amministrazione); la soluzione ritenuta idonea dagli organi tecnici a determinare la ventilazione ed il ricambio dell’area nei corridoi non è stata però contestata dai ricorrenti con valide argomentazioni tecniche idonee ad evidenziare, con sufficiente approssimazione, l’erroneità o inidoneità dell’intervento a raggiungere il risultato voluto dalla legge, ma solo con argomentazioni generiche e non argomentate.
In definitiva, la domanda di condanna del Ministero della Giustizia «a disporre tutti i provvedimenti necessari per la tutela della salute dei ricorrenti e ad adottare tutte le misure a tal fine prescritte dalla normativa vigente» deve essere rigettata, essendo state già adottate una serie di misure idonee a ridurre o eliminare la problematica e non avendo i ricorrenti concretamente specificato quali siano le ragioni tecniche che portano a ritenere insufficienti gli interventi operati dall’Amministrazione.
Per quello che riguarda il risarcimento del danno non patrimoniale, la Sezione deve rilevare come la limitata esposizione al fumo passivo (relativa solo a una frazione del turno o all’occasionale presenza nei corridoi), l’ampiezza degli ambienti interessati dal fumo (in almeno due casi su tre costituita da corridoi di sufficiente larghezza ed ampiezza) e lo stesso potere/dovere dei ricorrenti di richiedere ai detenuti l’osservanza dei divieti e delle cautele disposte dalla Direzione costituiscano ragione sufficiente per escludere che si sia verificata una compromissione della vita relazionale di tale intensità da determinare il diritto al risarcimento del danno; del resto, la giurisprudenza più recente in materia di danno non patrimoniale ha rilevato l’impossibilità di attribuire rilevanza a comportamenti che non superino una «soglia minima di tollerabilità» (Cass., civ., sez. VI , 12 settembre 2014, n. 19327; pen., sez. III, 12 dicembre 2013, n. 5481; T.A.R. Toscana, sez. I 7 novembre 2013 n. 1501) e, nel caso di specie, non risulta che, in dispetto delle misure organizzative e impiantistiche poste in essere per prevenire il fenomeno, si sia verificata una situazione tale da superare la normale soglia di tollerabilità.
La concessione del danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute richiesta dal ricorrente Sig. -OMISSIS- trova poi, ostacolo, pur nell’obiettiva dimostrazione della sussistenza di una malattia dell’apparato respiratorio, nella particolare evoluzione della carriera dello stesso che ha visto, almeno a partire dall’8 luglio 2002 (data della promozione a Vice Sovrintendente), l’attribuzione di mansioni importanti la presenza sporadica e non continuativa nei corridoi interessati dal fenomeno del fumo passivo; essendo cessata in data ormai risalente la presunta esposizione al fumo passivo, deve ritenersi, anche senza l’ausilio di approfondimenti tecnici, che la malattia dell’apparato respiratorio diagnosticata al ricorrente nel 2008 non possa essere causalmente riportata al servizio svolto nei corridoi della Casa Circondariale (per la necessità di verificare la sussistenza del nesso di causalità in materia di danni da fumo passivo, si veda Cons. Stato, ad. plen. 8 ottobre 2009 n. 5).
Il ricorso deve pertanto essere respinto; la novità delle questioni trattate permette di procedere alla compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.



Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, come da motivazione.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Saverio Romano, Presidente
Eleonora Di Santo, Consigliere
Luigi Viola, Consigliere, Estensore

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/12/2014





 

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