REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6946 del
2013, proposto dalla signora Maria Pia Versace, rappresentata e difesa
dall'avvocato Fernando Scrivano, con domicilio eletto presso Gianluca
Savino in Roma, via Monte Santo, n. 14
contro
Comune di Polistena, in persona del sindaco,
legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avvocato Giuseppe Rugolo, con domicilio eletto presso Ermanno La
Marca in Roma, via Spallanzani, n. 22/A; Comune di Polistena - Sportello
unico per l’edilizia
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Calabria –
Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 124/2013
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di
Polistena;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della
causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il
Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Scrivano e
Rugolo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la
Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria la signora Maria Pia
Versace odierna appellante – premesso di essere proprietaria di un
immobile sito in Polistena, via Lombardi, 34, impugnava l’ordinanza
dell’11 ottobre 2011 con cui il Comune le aveva ingiunto di rimuovere un
cancello in ferro, posto sul Vico I Gorizia la cui larghezza (pari a
quella dell’intero Vicolo) impediva per intero l’accesso al pubblico
transito alla porzione del medesimo Vicolo posto al di là del cancello
(porzione che, nella tesi del Comune, era anch’essa di carattere
pubblico).
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, la signora
Versace impugnava il successivo provvedimento del 21 gennaio 2012 con cui
il Comune aveva revocato l’autorizzazione ad installare in loco il
segnale di ‘passo carrabile’ (autorizzazione già rilasciata in data 1°
ottobre 2010).
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo
adito ha respinto il ricorso. ritenendolo infondato.
La sentenza in
questione è stata impugnata in sede di appello dalla signora Versace la
quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1)
Error in iudicando – Sulla qualificazione di suolo pubblico, destinato
alla strada comunale, del giardino-cortile di proprietà della signora
Versace.
I primi Giudici avrebbero erroneamente concluso nel senso
della natura pubblica della porzione di suolo posta oltre il cancello
realizzato in corrispondenza del ciVico n. 15 del Vico I Gorizia, avendo
male interpretato le risultanze di cui alla relazione tecnica versata agli
atti del primo grado di giudizio e di cui alla verificazione disposta con
ordinanza n. 15/2012.
In particolare, il T.A.R. si sarebbe erroneamente
limitato ad enfatizzare soltanto alcuni fra i dati emergenti dalla
richiamata relazione (i) i confini indicati nell’atto di
compravendita del 24 aprile 1937, il quale indicava l’esistenza in
loco di una ‘stradella di tre metri’; ii) il fatto che
il Vico I Gorizia sia incluso nell’elenco delle strade comunali; iii) le
risultanze dei rogiti notarili successivi a quello del 1939 - nel cui
ambito, invece, si dava ancora atto dell’esistenza di un ‘viottolo non
in catasto’ -).
In tal modo decidendo, i primi Giudici avrebbero
omesso di considerare una serie di circostanze certamente rilevanti ai
fini del decidere, e in particolare:
- il fatto che il cancello per cui
è causa insista in loco da tempo immemorabile (e comunque da data
non successiva al 1978, per come accertato dalla richiamata relazione di
verificazione);
- il fatto che, comunque, il cancello in questione non
‘chiude’ una porzione di territorio qualificabile come ‘pubblica
via’ atteso che, nel corso degli anni, il preesistente
‘viottolo’ o ‘stradella’ era stato “inglobato nella
proprietà-cortile/giardino – Lombardi prima e Versace dopo” (atto di
appello, pag. 10 -);
- il fatto che la parte di territorio interclusa
dal cancello: i) non presenta le caratteristiche di una pubblica
via; ii) non è servita dalla pubblica illuminazione; iii) si
limita ad introdurre verso la proprietà della sola appellante; iv)
reca, sul cancello stesso, l’indicazione di un numero civico;
- il
fatto che l’area posta all’interno del cancello si presenta con
caratteristiche del tutto unitarie rispetto all’area afferente la p.lla
383 (giardino di proprietà esclusiva della signora Versace).
Il
complesso delle circostanze appena richiamate avrebbe dovuto indurre i
primi Giudici a concludere nel senso dell’insussistenza di una strada
pubblica nella porzione di Vicolo I Gorizia al di là del cancello per cui
è causa.
Al contrario, i primi Giudici si sarebbero erroneamente
limitati a prendere in considerazione solo gli aspetti della relazione di
verificazione i quali deponevano nel senso della (insussistente) presenza in loco di una pubblica via abusivamente occupata e annessa
dall’odierna appellante.
2) Error in procedendo et in iudicando in
ordine alla violazione dell’art. 35 del d.P.R. 380/2001 e degli artt. 3 e
7 della l. 241/1990.
I primi Giudici avrebbero erroneamente omesso
di annullare i provvedimenti impugnati in primo grado in relazione ai
motivi di ricorso con cui si era lamentata in primo luogo la violazione ed
errata applicazione degli articoli 35 e 37 del d.P.R. 380 del 2001 e, in
secondo luogo, la violazione della l. 241 del 1990 in relazione agli
articoli 3 e 7.
Quanto al primo aspetto, i primi Giudici avrebbero
erroneamente disatteso il motivo con cui si era osservato che non vi fosse
ragione per applicare al caso in esame le previsione di cui all’articolo
35 del d.P.R. 380, cit. (in tema di ‘Interventi abusivi realizzati su
suoli di proprietà dello Stato o di Enti pubblici’) in luogo del
successivo articolo 37 (‘Interventi eseguiti in assenza o in difformità
dalla denuncia di inizio di attività e accertamento di conformità’),
il quale – al contrario - risultava sicuramente applicabile in
considerazione della consistenza dell’intervento per cui è
causa.
Laddove fosse stato applicato il (più favorevole) regime di cui
al richiamato articolo 37, non sarebbe stato possibile applicare la
sanzione demolitoria, bensì – e a tutto concedere – una mera sanzione
pecuniaria.
Quanto al secondo aspetto, i primi Giudici avrebbero
erroneamente disatteso il motivo di ricorso con cui si era lamentato che
il Comune di Polistena avesse violato le previsioni di legge in tema di
comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla rimozione del
cancello per cui è causa.
In particolare, non sussisterebbe nel caso di
specie alcuna esigenza di particolare celerità del procedimento che
avrebbero potuto in astratto giustificare l’omessa comunicazione di avvio,
anche in considerazione della pluridecennale permanenzain loco del
manufatto per cui è causa.
Allo stesso modo, il richiamato stato di diuturnitas avrebbe onerato l’amministrazione comunale ad offrire
una motivazione particolarmente approfondita in ordine alla (tardiva)
scelta di chiedere la rimozione del manufatto.
3) Error in
procedendo et in iudicando in ordine alla violazione degli artt. 3 e
21-quinquies della l. 241/1990 di cui ai motivi aggiunti.
I primi
Giudici avrebbero erroneamente omesso di annullare il provvedimento in
data 21 gennaio 2011 (rectius: 21 gennaio 2012), impugnato con
motivi aggiunti, con cui il Comune di Polistena aveva annullato in
autotutela l’autorizzazione per passo carrabile rilasciata nell’ottobre
del 2010 per l’ingresso del cancello posto in Vico I° Gorizia.
In
particolare, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per la
parte in cui si è affermato che, indipendentemente dalle particolarissime
circostanze che avevano indotto nel 2010 al rilascio del ‘passo
carrabile’, la vicenda non assumerebbe rilievo ai fini del decidere in
quanto il segnale in parola non avrebbe più alcuna ragion
d’essere.
Contrariamente a quanto ritenuto dai primi Giudici, invece,
la vicenda relativa al rilascio e alla successiva (illegittima) revoca del
passo carrabile confermerebbe ancora una volta: i) che la
situazione per cui è causa era ampiamente consolidata e che il Comune di
Polistena ne era ampiamente a conoscenza; ii) che la stessa
richiesta di un passo carrabile confermerebbe lo stato di buona fede
dell’odierna appellante la quale non avrebbe avuto ragione alcuna di
chiedere il rilascio di un passo carrabile se fosse stata davvero
consapevole del carattere abusivo della propria condotta.
Si è
costituito in giudizio il Comune di Polistena il quale ha concluso nel
senso della reiezione dell’appello.
Alla pubblica udienza del 28
ottobre 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso
in appello proposto dalla proprietaria di un immobile (con retrostante
giardino) ubicato in Polistena (RC) avverso la sentenza del T.A.R. della
Calabria con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti con cui il
Comune ha ordinato la demolizione di un cancello esistente in loco da alcuni anni e che chiude una pubblica via (il vico I Gorizia).
2. Il
ricorso fondato.
2.1. Come è evidente dalla narrativa, assume rilievo
del tutto centrale ai fini del decidere l’esame dei rilevati profili di
difetto di istruttoria e di motivazione nonché di travisamento delle
circostanze rilevanti in ordine alle deduzioni del Comune appellato il
quale ha ritenuto che l’area posta al di là del cancello in ferro
all’altezza del civico n. 15 del vico I Gorizia costituisse in realtà una
porzione di pubblica via abusivamente occlusa dall’odierna
appellante.
Si tratta, a ben vedere, di un accertamento in ordine
all’assetto dominicale dell’area in questione che, pur essendo in via di
principio sottratto alla giurisdizione del Giudice amministrativo, può
nondimeno essere conosciuto in via incidentale ai sensi del comma 1
dell’articolo 8 del cod. proc. amm., trattandosi di questione
evidentemente pregiudiziale al fine di stabilire la legittimità dei
provvedimenti con cui il Comune appellato: a) dapprima ha ordinato
la demolizione del manufatto eb) in seguito ha disposto la revoca
dell’autorizzazione all’installazione di un segnale di ‘passo carrabile’
già rilasciata in data 1°ottobre 2010.
Ora, rinviando al prosieguo le
considerazioni relative al contenuto della relazione di verificazione
disposta dal T.A.R. con ordinanza n. 15/2012, si osserva che,
effettivamente, le determinazioni originariamente poste dal Comune di
Polistena a fondamento dei provvedimenti sub a) e b) fossero
viziate dei richiamati profili di difetto di istruttoria e di motivazione
nonché di travisamento delle circostanze rilevanti.
2.2. Si osserva al
riguardo che il primo di tali provvedimenti (i.e.: l’ordinanza di
demolizione in data 11 ottobre 2011) fosse giunto ad affermare la natura
pubblica dell’area per cui è causa fondandosi in modo pressoché esclusivo
sulle scarne risultanze della ‘Relazione di accertamento tecnico’
predisposta dalla Ripartizione Urbanistica del Comune in data 13 gennaio
2012.
Ed infatti, la relazione in questione si era limitata ad
attestare che “dal sopralluogo effettuato è emersa una incongruenza fra
la cartografia catastale e lo stato di fatto del Vico I° Gorizia. Difatti,
l’estensione catastale di detto Vico misura ml. 33,00 circa, mentre lo
sviluppo effettivo sul posto misura ml. 18,50 circa in quanto, a tale
distanza, è stato posto un cancello in ferro scorrevole dall’altezza di
mt. 2,50 circa, privo di qualsiasi titolo abilitativo”.
In questa
fase della vicenda il Comune di Polistena neppure si era peritato di
introdurre l’argomento (in seguito profuso in corso di causa) relativo
all’inclusione del Vico I° Gorizia nell’ambito dello stradario
comunale.
In definitiva, il provvedimento demolitorio impugnato in
primo grado risultava viziato dei richiamati profili di illegittimità in
quanto il Comune appellato si era limitato a risolvere in poche battute la
questione del carattere pubblico o meno della porzione di area per cui è
causa (questione la cui complessità si è manifestata appieno nel corso del
giudizio di primo grado), senza consentire all’appellante di interloquire
attraverso propri contributi nel corso del procedimento ed affermando – in
ultima analisi – che la sola esistenza di una discrasia fra lo stato di
fatto rilevato e le risultanze catastali fosse ex se idonea a
deporre nel senso del carattere pubblico dell’area in parola.
Ma un
accertamento tanto complesso quale quello all’origine dei fatti di causa
(e, lo si ripete, la cui molteplicità di aspetti si è manifestata in modo
pieno nel giudizio dinanzi al T.A.R.) non avrebbe potuto essere concluso
in sostanziale assenza di qualunque istruttoria e sulla base soltanto di
un raffronto con le risultanze catastali.
A tacer d’altro, l’operato
del Comune appellato si è in tal modo posto in contrasto con il
consolidato orientamento (correttamente richiamato dall’appellante)
secondo cui, ai fini della determinazione dell’effettiva proprietà del
bene, alle risultanze catastali non può essere riconosciuto un definitivo
valore probatorio, bensì una valenza meramente sussidiaria rispetto a
quanto desumibile dagli atti traslativi in quanto contenenti utili
indicazioni in ordine all’estensione dei fondi confinanti (sul punto
–ex plurimis -: Cass. Civ., II, 23 dicembre 2004, n. 23933).
Ma
il punto è che (per le ragioni che fra breve si esporranno) erano proprio
le descrizioni dei luoghi contenute nei titoli di provenienza a fornire
elementi centrali per stabilire l’effettiva proprietà dell’area. Ne
consegue che il mancato coinvolgimento nel corso della fase procedimentale
dell’odierna appellane (la quale avrebbe potuto fornire al riguardo un
apporto sicuramente rilevante) e la mancata, previa acquisizione dei
titoli di provenienza costituisce certamente elemento idoneo a viziare i
provvedimenti finali adottati dal Comune.
Già per tale ragione la
sentenza in epigrafe è meritevole di riforma per non aver rilevato i
rilevanti profili di illegittimità che viziavano i provvedimenti impugnati
in primo grado.
2.3. Occorre a questo punto esaminare i motivi con i
quali si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in
cui ha stabilito (all’esito della verificazione disposta con ordinanza n.
15/2012 e sulla base dell’elaborato peritale depositato in atti) che
prevalenti elementi deponessero nel senso del carattere effettivamente
pubblico dell’area per cui è causa.
I primi Giudici, richiamando le
risultanze dell’elaborato peritale, hanno ritenuto di affermare
l’originaria natura pubblica dell’area per cui è causa basandosi
essenzialmente:
a) sul fatto che sia la parte al di qua del
cancello, sia quella oltre lo stesso risultano pavimentate in
calcestruzzo (circostanza, questa, che dovrebbe deporre nel senso del
carattere originariamente unitario del Vicolo e dell’area cortilizia posta
all’interno del cancello);
b) sul fatto che “l’area posta
all’interno del cancello si presenta pavimentata in calcestruzzo compresa
l’area parziale afferente alla p.lla 383 [si tratta del giardino,
n.d.E.] da rendere unico cortile l’ambiente prospiciente l’edificio di
cui alla p.lla 81. Lo stesso spazio presenta tracce in termini di lesioni
sulla pavimentazione) di una muratura del giardino (p.lla 383) che
sosteneva probabilmente la stradella di 3 mt. per come citata nell’atto
notarile del 1937 che poi viene denominato viottolo non in catasto nel
successivo atto di vendita del 1937”;
c) sul fatto che la larghezza
dell’originaria ‘stradella’ (o ‘viottolo’) coincide –de
facto – con la larghezza della porzione di vicolo pacificamente
appartenente al Comune;
d) sul fatto che il Vico I Gorizia risulta
incluso nello stradario comunale;
e) sul fatto, infine, che gli atti
pubblici di trasferimento del compendio (e delle sue singole porzioni) si
limitano a menzionare la p.lla 81 (fabbricato), la p.lla 383 (uliveto) e
la p.lla 43 (seminativo), senza mai menzionare la porzione di strada
abusivamente annessa dalla signora Versace.
2.3.1. Ebbene, pure a
tacere del fatto che, in tal modo decidendo, i primi Giudici hanno svolto
nella sostanza un giudizio sugli aspetti dominicali della questione e
hanno di fatto operato nel senso dell’integrazione in giudizio della
motivazione offerta dal Comune (supportando la tesi del carattere pubblico
dell’area con elementi e valutazioni del tutto estranei ed aggiuntivi
rispetto a quelli indicati dal Comune medesimo), si ritiene comunque che
la sentenza in epigrafe sia sul punto meritevole di riforma.
E infatti,
l’appello in epigrafe risulta meritevole di accoglimento per la parte in
cui si è osservato che i Giudici di primo grado hanno enfatizzato oltre
misura i contenuti della relazione di verificazione acquisita in primo
grado i quali deponevano nel senso del carattere pubblico dell’area e
hanno di fatto trascurato qualunque valutazione in ordine agli elementi –
pure desumibili da tale relazione – i quali deponevano invece nel senso
del suo carattere privato.
Al riguardo si osserva:
- che le
caratteristiche della pavimentazione dell’area per cui è causa non
forniscono elementi univoci nel senso di stabilire che essa costituisse un continuum(non solo in senso fisico, ma anche funzionale) con la
pubblica via posta al di là del cancello per cui è causa;
- che la
circostanza secondo cui l’area per cui è causa e il giardino di cui alla
p.lla 383 costituiscano oggi nei fatti “ [un] unico cortile” non
fornisce alcun elemento in favore della tesi del carattere pubblico
dell’area in parola. Al contrario, tale elemento sembra aggiungere forza
alla tesi dell’appellante secondo cui: a) l’abitazione di cui alla p.lla
81, b) l’area per cui è causa e c) il giardino di cui alla p.lla 383
costituissero ab origine un unicum funzionale sul quale non
sussisteva il requisito del pubblico passaggio;
- che la circostanza
secondo cui le richiamate particelle 81 (abitazione) e 383 (giardino)
fossero separate – secondo quanto risulta dall’atto di compravendita del
24 aprile 1937 - da una “stradella di tre metri” (in seguito
indicata come “viottolo” nell’atto di compravendita del 2 agosto
1939) non appare contestata in atti, così come non appare contestato che
una porzione di tale stradella coincida con l’area per cui è
contestazione. Ma tale circostanza, di per sé sola, non può deporre nel
senso del carattere pubblico di tale stradella, non risultando in
atti alcun elemento in tal senso. Per le medesime ragioni non sembra che
elementi in tal senso possano derivare dalla semplice presenza in
loco delle tracce di un muro (il quale altro non era, se non la
delimitazione della più volte richiamata stradella). Ancora una
volta, non si tratta qui di stabilire se tale stradella vi fosse e
se essa coincidesse in parte con l’area per cui è causa, quanto –
piuttosto – di stabilire se essa avesse carattere pubblico in quanto
aperta al pubblico transito. E gli elementi di cui si dispone non sembrano
fornire argomenti dirimenti in questo senso;
- che, diversamente a
quanto ritenuto dai primi Giudici, i titoli di provenienza in atti (ai
quali deve essere riconosciuta valenza probatoria decisiva, contrariamente
a quanto riconoscibile alle piantine catastali) sembrano confermare la
tesi dell’appellante secondo cui l’area per cui è causa afferisse
pienamente alla sua proprietà. Un elemento in questo senso deriva
dall’atto di acquisto del 20 settembre 1971, il quale descrive un
“fabbricato urbano con annesso piccolo giardino”, in tal modo
descrivendo uno stato di fatto di contiguità fisica e di continuità
funzionale fra le p.lle 81 e 383, senza richiamare la presenza in
loco di un’ulteriore porzione avente – sia pure solo potenzialmente -
le caratteristiche di un vicolo aperto al pubblico transito. Un ulteriore
elemento in tal senso è desumibile dall’atto di donazione del 20 settembre
1990, il quale descrive “ [quale] pertinenza esclusiva del descritto
appartamento un piccolo giardino (…) retrostante il fabbricato
suddescritto”. Anche in questo caso, la descrizione dello stato dei
luoghi sembra fare riferimento a due particelle contigue e non separate da
un’area potenzialmente adibita al pubblico transito;
- che, infine,
l’inclusione dell’area per cui è causa nell’ambito dello stradario
comunale non risulta di per sé circostanza idonea a privare di consistenza
il complesso degli elementi dinanzi richiamati, sia perché tale
circostanza non assume autonoma valenza probatoria (e comunque non può
prevalere sugli elementi desumibili dai titoli di provenienza), sia perché il documento in questione proviene dalla parte che ha interesse ad
avvalersene e si limita a riportare gli elementi e le tesi qui sostenute
dal Comune, senza tuttavia risultare idonea a rafforzare tale tesi con
argomenti di carattere dirimente.
Gli argomenti e le circostanze appena
richiamate inducono alla riforma della sentenza in epigrafe, dovendosi
ritenere (in senso conforme alla tesi dell’appellante) che i primi Giudici
abbiano riconosciuto valenza dirimente nel senso della proprietà pubblica
dell’area in contestazione a un complesso di elementi i quali, invero, non
deponevano in modo univoco in tal senso.
Ciò esime il Collegio
dall’esame puntuale degli ulteriori argomenti con cui la signora Versace
ha affermato che, al contrario, il contenuto della relazione di
verificazione avrebbe fornito elementi dirimenti nel contrario senso del
carattere certamente privato dell’area in contestazione (ci si riferisce,
in particolare: i) al fatto che sull’area per cui è causa non
esiste pubblica illuminazione; ii) al fatto che l’area in questione
non conduce ad altre proprietà, se non a quella dell’appellante; iii) al fatto che la numerazione civica sembra fermarsi al cancello
della cui legittimità si discute.
2.4. Per le ragioni sin qui esposte
la sentenza in epigrafe è meritevole di riforma per aver affermato il
carattere pubblico dell’area per cui è causa (e, conseguentemente, la
legittimità degli atti impugnati in primo grado) non rilevando i profili
di difetto di istruttoria e motivazione, nonché di travisamento delle
circostanze rilevanti che viziavano sul punto le conclusioni del
Comune.
E’ bensì possibile che, in sede di nuova delibazione
istruttoria, il Comune di Polistena sia in grado di dimostrare il
carattere pubblico dell’area per cui è causa, ma ciò sarà possibile solo a
condizione: a) di rispettare il pertinente quadro normativo e
giurisprudenziale; b) di non riconoscere valenza dirimente alle
risultanze catastali, in specie se contrastanti con quanto desumibile dai
titoli di provenienza.
2.5. Dal riconoscimento dell’illegittimità
dell’asserito carattere pubblico dell’area per cui è causa deriva
l’annullamento dell’ordine di demolizione in data 11 ottobre 2011. A tacer
d’altro si osserva al riguardo che, pur dandosi atto del carattere
totalmente abusivo del cancello per cui è causa, il Comune avrebbe dovuto
verificare la possibilità di applicare al caso in esame l’articolo 37 del
d.P.R. 380 del 2001 (in tema di ‘Interventi eseguiti in assenza o in
difformità dalla denuncia di inizio attività e accertamento di
conformità’), in tal modo applicando la sanzione pecuniaria
sostitutiva in luogo di quella demolitoria.
3. Per ragioni in parte
connesse a quelle esposte sub 2 e in riforma della sentenza in
epigrafe deve, altresì, essere annullato il provvedimento in data 21
gennaio 2012 (erroneamente indicato come 21 gennaio 2011) con cui è stata
disposta la revoca dell’autorizzazione all’apposizione del segnale di
‘passo carrabile’.
Al riguardo ci si limita a rilevare il carattere del
tutto perplesso e invero difficilmente comprensibile della motivazione
posta a fondamento del provvedimento in questione (ove si legge che
“per mero errore dell’estensore dell’atto, l’autorizzazione suddetta è
stata rilasciata per l’ingresso retrostante dell’abitazione della sig.ra
Politanò Grazia, anziché come da richiesta per un cancello già designato
come passaggio di servizio della sig.ra Versace Maria Pia”).
Al
riguardo ci si limita ad osservare che dalla motivazione dell’atto non è
dato comprendere alcuni degli elementi essenziali posti a fondamento della
sua adozione, e in particolare:
- in cosa sarebbe consistito il ‘mero
errore’ dell’estensore dell’atto e se esso sia giunto sino al punto di
riconoscere all’odierna appellante un’autorizzazione erronea sia dal punto
di vista soggettivo (permesso rilasciato in favore della signora Versace
invece che alla signora Politanò) sia dal punto di vista oggettivo
(permesso rilasciato per il passaggio della signora Versace invece che per
quello della signora Politanò);
- a cosa si riferisca esattamente la
‘richiesta’ di cui è menzione nella parte finale della motivazione
e (nel caso in cui si faccia davvero riferimento a una diversa richiesta
avanzata dall’odierna appellante) quale sia l’esito di tale
richiesta.
Al riguardo è qui appena il caso di osservare che,
trattandosi di provvedimento incidente in modo negativo sulla sfera
giuridica del privato, era quanto mai necessario che la sua adozione fosse
assistita da un apparato motivazionale quanto meno adeguato a
rappresentarne le sottese ragioni in fatto e in diritto.
4. Per le
ragioni sin qui esaminate l’appello in epigrafe deve essere accolto e
conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata, deve essere
disposto l’annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.
Il
Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale
compensazione delle spese di lite fra le parti per il doppio grado di
giudizio, anche in considerazione della rilevante peculiarità della
vicenda di causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in
epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza
impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado.
Spese
compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra
Caracciolo, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Claudio
Contessa, Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg,
Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/01/2015