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n. 4-2015 - © copyright |
CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza
10 aprile 2015 n. 58
Presidente Criscuolo, Redattore Pretis |
Imposte e tasse – Rifiuti – Art. 16, comma 4, della legge
della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei
rifiuti) – Gestione impianti di trattamento rifiuti e scarti animali –
Contributo minimo annuo per 100 kilogrammi – Natura tributaria
dell’imposta – Sussiste – Interviene in materia di rifiuti – Competenza
legislativa statale – Violazione – Q.l.c. sollevata dal Tribunale
amministrativo regionale per la Sicilia, seconda sezione e dal Consiglio
di giustizia amministrativa per la Regione siciliana – Asserita violazione
degli articoli 117, secondo comma, lettere e) e s), terzo e quarto comma,
e 119 della Costituzione – Illegittimità costituzionale
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È costituzionalmente illegittimo l’art. 16, comma 4,
della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la
gestione dei rifiuti).
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alessandro
CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS,
Nicolò ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 16, comma 4, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002,
n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), promosso dalla Commissione
tributaria provinciale di Cuneo nel procedimento vertente tra la
IN.PRO.MA.– Industria produzione mangimi srl e il Comune di Ceresole
d’Alba ed altra, con ordinanza del 7 gennaio 2013, iscritta al n. 230 del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti
l’atto di costituzione di IN.PRO.MA. – Industria produzione mangimi srl,
nonché l’atto di intervento della Regione Piemonte;
udito nell’udienza
pubblica del 24 febbraio 2015 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi gli avvocati Marco Pizzetti per la IN.PRO.MA. – Industria
produzione mangimi s.l e Giovanna Scollo per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto
1.– La Commissione tributaria provinciale di
Cuneo, con ordinanza del 7 gennaio 2013, ha sollevato, per la terza volta
nel corso dello stesso giudizio, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 16, comma 4, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002,
n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), in riferimento agli artt. 117,
secondo comma, lettere e) e s), terzo e quarto comma, e 119 della
Costituzione.
La disposizione censurata prevede che: «[i] soggetti che
gestiscono impianti di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali
tali quali ad alto rischio e a rischio specifico di encefalopatia
spongiforme bovina BSE corrispondono ai comuni sede degli impianti un
contributo minimo annuo di 0,25 euro ogni 100 chilogrammi di materiale
trattato nell’anno. I soggetti che gestiscono impianti di riutilizzo di
scarti animali trattati ad alto rischio e a rischio specifico BSE
corrispondono ai comuni sede degli impianti un contributo minimo annuo di
0,15 euro ogni 100 chilogrammi di materiale riutilizzato nell’anno».
1.1.– Il giudice rimettente premette che IN.PRO.MA. – Industria
produzione mangimi srl (d’ora in avanti, IN.PRO.MA. srl) ha impugnato, nei
confronti del Comune di Ceresole d’Alba e di G.E.C. – Gestione esazioni
convenzionata spa, l’avviso di accertamento-liquidazione con il quale la
seconda le aveva ingiunto, per conto del primo, il pagamento della somma
di euro 78.157,50, oltre ad accessori, a titolo di contributo previsto per
l’anno 2006 dalla disposizione di legge regionale impugnata, quale gestore
di un impianto di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali ad
alto rischio e a rischio specifico di BSE.
Con ordinanza del 9 luglio
2008, la Commissione tributaria adìta aveva trasmesso gli atti alla Corte
costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la
questione di incostituzionalità della disposizione, sollevata dalla
ricorrente IN.PRO.MA. srl con riferimento agli artt. 117 e 119 Cost.
La Corte, con ordinanza n. 309 del 2009, preso atto che,
successivamente all’ordinanza di rimessione, la disposizione censurata era
stata abrogata dall’art. 21 della legge della Regione Piemonte 30
settembre 2008, n. 28 (Assestamento al bilancio di previsione per l’anno
finanziario 2008 e disposizioni finanziarie), aveva restituito gli atti al
giudice a quo perché valutasse nuovamente la rilevanza e la non manifesta
infondatezza della questione.
Con ordinanza del 16 maggio 2011, la
Commissione tributaria aveva sollevato per la seconda volta questione di
illegittimità costituzionale della disposizione di legge regionale, in
riferimento agli stessi parametri.
Nelle more del giudizio incidentale
di costituzionalità, la società IN.PRO.MA. aveva presentato nei confronti
del Comune di Ceresole d’Alba e di G.E.C. spa due ulteriori e separati
ricorsi (aventi ad oggetto il recupero a tassazione di euro 129.948,00, a
titolo di contributo regionale dovuto per l’anno 2007, e la connessa
sanzione amministrativa per omesso pagamento), nei quali aveva riproposto
la stessa eccezione di illegittimità costituzionale.
Con ordinanza n.
156 del 2012, la Corte costituzionale aveva dichiarato manifestamente
inammissibile la riproposta questione di legittimità della disposizione di
legge regionale, rilevando che il giudice rimettente non aveva operato le
valutazioni demandategli dalla medesima con l’ordinanza n. 309 del 2009.
Non aveva infatti motivato sulla perdurante rilevanza della questione,
nonostante la sopravvenuta abrogazione della disposizione denunciata;
aveva inoltre lasciato irrisolta l’alternativa sulla natura tributaria o
non tributaria del contributo regionale, così omettendo di valutare anche
sotto tale profilo la rilevanza della questione; ancora, non aveva preso
posizione su eventuali connotati di specialità della disciplina degli
scarti animali rispetto alla generalità dei rifiuti e, quindi,
sull’incidenza sulla questione di tale eventuale specialità; non aveva
dedotto alcun contrasto rispetto agli evocati parametri, perché, quanto
all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., aveva omesso di
prospettare qualsiasi censura e, quanto all’art. 119, Cost., si era
mostrato perplesso («pare»), escludendo, per un verso, che la disposizione
violasse i principi fondamentali di coordinamento dettati dalla legge
statale e ritenendo, per altro verso, meramente «opinabile» che il
contributo regionale avesse lo stesso presupposto del tributo speciale
statale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi previsto dall’art.
3, commi da 24 a 40, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica).
1.2.– La Commissione
tributaria provinciale di Cuneo, tenuto conto dei rilievi formulati dalla
Corte nell’ordinanza n. 156 del 2012, espone, in primo luogo, che la
rilevanza perdura nonostante la sopravvenuta abrogazione della
disposizione denunciata ad opera dell’art. 21 della legge reg. Piemonte n.
28 del 2008, poiché la norma abrogata è applicabile ratione temporis alla
fattispecie oggetto del giudizio a quo, relativa all’esistenza o meno
dell’obbligo di pagamento del contributo (e della sanzione per il suo
omesso pagamento) con riguardo ad annualità anteriori all’abrogazione, che
non ha effetto retroattivo.
Aggiunge, sempre sotto il profilo della
rilevanza, che il «contributo» regionale in esame si deve qualificare come
tributo, poiché ricorrono gli elementi che, secondo la giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 238, n. 146 e n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64
del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), individuano la natura
tributaria di un’entrata, consistenti, per un verso, nella doverosità
della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti
e, per altro verso, nel collegamento della prestazione alla spesa pubblica
in relazione a un presupposto economicamente rilevante.
La rimettente
prosegue escludendo che sulla questione possa incidere l’eventuale
specialità della disciplina degli scarti animali rispetto a quella della
generalità dei rifiuti. In particolare, secondo il giudice a quo il
trattamento e lo smaltimento di scarti animali sono disciplinati dal
regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio Reg. (CE) 3 ottobre
2002, 1774 (recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine
animale non destinati al consumo umano) solo sotto il profilo sanitario e
di polizia veterinaria della fase di trasformazione dei rifiuti di origine
animale, con esclusione dei profili di loro gestione, che sono regolati
dalla disciplina generale della materia, fatta eccezione per la categoria
dei sottoprodotti, alla quale tuttavia non appartengono gli scarti animali
ad alto rischio e a rischio specifico di BSE trattati dalla ricorrente
società IN.PRO.MA., che devono essere necessariamente inceneriti o
«coinceneriti», come le parti del giudizio a quo non hanno contestato.
Esaminando, infine, l’eventuale influenza sul requisito della
rilevanza degli ulteriori motivi di ricorso proposti dalla società
IN.PRO.MA. nei due giudizi sopravvenuti aventi ad oggetto il contributo e
la sanzione dovuti per l’anno 2007 (nel frattempo riuniti a quello
precedente relativo all’anno di imposta 2006), la Commissione tributaria
provinciale argomenta, da un lato, l’infondatezza della censura di
illegittimità dell’ingiunzione di pagamento del contributo per il 2007,
per essere stata questa notificata in pendenza della sospensione del
procedimento di accertamento disposta in via di autotutela dal Comune di
Ceresole d’Alba. Dall’altro, sottolinea che ogni decisione sull’eccezione
di illegittimità della sanzione, per violazione dell’art. 13 del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie
non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e
di riscossione dei tributi, a norma dell’art. 3, comma 133, lettera q),
della legge 23 dicembre 1996, n. 662), e dell’art. 3, comma 2, del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di
sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma
dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662),
lascerebbe comunque “impregiudicata la rilevanza della questione sulla
debenza o meno del tributo”.
1.3.– La rimettente prosegue sostenendo
la non manifesta infondatezza della questione sollevata in riferimento
agli artt. 117, secondo comma, lettera e), terzo e quarto comma, e 119
della Costituzione, alla luce di quanto statuito dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 102 del 2008, secondo cui, nell’esercizio
dell’autonomia tributaria di cui all’art. 119 della Costituzione, «le
Regioni a statuto ordinario sono assoggettate al duplice limite costituito
dall’obbligo di esercitare il proprio potere di imposizione in coerenza
con i principi fondamentali di coordinamento e dal divieto di istituire o
disciplinare tributi già istituiti da legge statale o di stabilirne altri
aventi lo stesso presupposto, almeno fino all’emanazione della
legislazione statale di coordinamento».
In particolare, confrontando
la disciplina statale sul tributo speciale per il deposito in discarica
dei rifiuti solidi (dettata dall’art. 3, commi da 24 a 40, della legge 28
dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica)
e la norma regionale istitutiva del «contributo» per il pre-trattamento e
il trattamento degli scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico
di BSE, afferma che il tributo regionale, oltre ad avere presupposti «non
diversi» rispetto al tributo statale, si pone anche in contrasto con le
finalità perseguite dalla legge statale, consistenti nel favorire la
minore produzione di rifiuti e il recupero da essi di materia prima e di
energia, ai sensi dell’art. 3, comma 24, della legge n. 549 del 1995.
Difatti, il tributo regionale colpisce la fase intermedia del trattamento,
indipendentemente dal fatto che questa sia finalizzata alla trasformazione
in rifiuto dal quale possa essere recuperata materia prima o energia.
1.4.– Quanto all’altro profilo di illegittimità costituzionale, la
rimettente osserva che il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi
rientra a pieno titolo nella «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», che
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., riserva all’esclusiva
potestà legislativa dello Stato, non versandosi in materia di mera
valorizzazione dei beni ambientali, prevista dal terzo comma dello stesso
art. 117 Cost.
2.– Con atto depositato il 14 ottobre 2014 si è
costituita la ricorrente nel giudizio principale IN.PRO.MA. srl, chiedendo
che la questione venga accolta.
3.– Con atto depositato l’11 novembre
2013 è intervenuta la Regione Piemonte, contestando, in primo luogo, la
natura tributaria del contributo in oggetto. In subordine, argomentando
che il contributo in esame è stato legittimamente istituito nell’esercizio
della potestà legislativa attribuita alle Regioni dall’art. 119 Cost.
4.– In prossimità dell’udienza IN.PRO.MA. srl ha depositato una
memoria illustrativa, nella quale, richiamate le condizioni a cui, secondo
la giurisprudenza costituzionale espressa fra le altre nelle sentenze n.
102 del 2008 e n. 37 del 2004, è subordinato l’esercizio della potestà
legislativa esclusiva regionale in materia tributaria, osserva che nel
caso di specie sussiste un contrasto tra la norma regionale denunciata e i
principi stabiliti in materia dall’ordinamento tributario, ed in
particolare con quelli stabiliti dalla legge n. 549 del 1995, il cui art.
3, comma 35, prevede espressamente che le disposizioni dei commi da 24 a
41 del medesimo articolo, istitutive del tributo speciale per il deposito
in discarica dei rifiuti e per il loro smaltimento tal quali in impianti
di incenerimento senza recupero d’energia, «costituiscono principi
fondamentali ai sensi dell’art. 119 della Costituzione». Aggiunge che,
anche qualora si ritenesse che i presupposti del contributo regionale
siano diversi da quelli del tributo statale e che non sussista alcun
contrasto con i principi della legge statale, la norma denunciata sarebbe
comunque illegittima, avendo introdotto un tributo in materia ambientale
(ed in particolare in materia di rifiuti), appartenente alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato secondo la costante giurisprudenza
costituzionale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), in correlazione all’art. 119 Cost.
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Considerato in diritto
1.– La Commissione tributaria provinciale di
Cuneo dubita della legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, della
legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione
dei rifiuti), secondo cui «[i] soggetti che gestiscono impianti di
pre-trattamento e di trattamento di scarti animali tali quali ad alto
rischio e a rischio specifico BSE corrispondono ai comuni sede degli
impianti un contributo minimo annuo di 0,25 euro ogni 100 chilogrammi di
materiale trattato nell’anno. I soggetti che gestiscono impianti di
riutilizzo di scarti animali trattati ad alto rischio, e a rischio
specifico BSE corrispondono ai comuni sede degli impianti un contributo
minimo annuo di 0,15 euro ogni 100 chilogrammi di materiale riutilizzato
nell’anno».
1.1.– La questione è stata sollevata, per la terza volta,
nel corso di un giudizio introdotto da IN.PRO.MA. – Industria produzione
mangimi srl, con ricorso avverso l’atto di accertamento-liquidazione
dell’importo di euro 78.157,50, oltre ad accessori, dovuto ai sensi della
predetta norma regionale in relazione all’attività di gestione di un
impianto di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali ad alto
rischio e a rischio specifico di encefalopatia spongiforme bovina (BSE),
svolta nell’anno 2006 nel territorio del Comune di Ceresole d’Alba, ente
per conto del quale ha proceduto, ai fini della riscossione della predetta
somma, l’esattore G.E.C. – Gestione Esazioni Convenzionata s.p.a. Sono
seguite altre due impugnazioni da parte di IN.PRO.MA. s.r.l., riunite alla
prima nello stesso processo, aventi ad oggetto, rispettivamente, l’atto di
accertamento-liquidazione dell’importo dovuto, allo stesso titolo, per
l’anno 2007 ed il provvedimento con il quale il Comune di Ceresole d’Alba
ha irrogato una sanzione pecuniaria per il mancato pagamento di tale
importo.
2.– Secondo il rimettente la norma denunciata è invasiva
delle competenze statali, ponendosi in contrasto con i seguenti parametri
costituzionali:
a) l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in
correlazione con l’art. 119 Cost., poiché il «contributo» regionale, oltre
ad avere presupposti «non diversi» da quelli del tributo speciale statale
per il deposito in discarica dei rifiuti e per il loro smaltimento tal
quali in impianti di incenerimento senza recupero d’energia, previsto
dall’art. 3, commi da 24 a 40, della legge 28 dicembre 1995, n. 549
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), contraddice le
finalità perseguite dalla citata legge statale, recante i principi
fondamentali della materia;
b) l’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., in quanto la disposizione regionale incide sulla materia
ambientale, attribuita all’esclusiva potestà legislativa statale.
2.1.– Occorre precisare che i commi terzo (erroneamente indicato
nell’ordinanza di rimessione citando un inesistente «n. 3» della
disposizione) e quarto, dell’art. 117, Cost., vengono (impropriamente)
richiamati dal giudice a quo non già come parametro cui riferire la
denunciata violazione, ma come disposizioni costituzionali non applicabili
alla fattispecie normativa impugnata, la quale non sarebbe riconducibile
né alla «valorizzazione dei beni ambientali», né alla potestà legislativa
residuale delle Regioni.
2.2.– Ancora preliminarmente, è utile
ricordare che non esiste una preclusione alla riproponibilità della
questione incidentale di legittimità da parte dello stesso giudice e nello
stesso giudizio, quando sia intervenuta ad opera di questa Corte una
pronuncia meramente processuale ed il giudice a quo abbia rimosso gli
elementi ostativi ad una pronuncia sulla fondatezza o meno della
questione, poiché tale iniziativa non contrasta con il disposto
dell’ultimo comma dell’art. 137 Cost., in tema di non impugnabilità delle
decisioni della Corte stessa (ex plurimis, sentenze n. 189 del 2001, n. 42
del 1996, n. 433 del 1995; ordinanze n. 371 del 2004, n. 63 del 2003, n.
399 del 2002 e n. 87 del 2000).
3.– Sotto altro profilo, l’abrogazione
dell’art. 16, comma 4, della legge reg. Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 ad
opera dell’art. 21. legge reg. Piemonte n. 28 del 2008, non comporta il
venir meno del requisito della rilevanza. La norma, infatti, come
plausibilmente rimarcato dal rimettente, resta applicabile ratione
temporis nel giudizio principale, il cui oggetto è incentrato
sull’accertamento dell’obbligo di pagare il contributo regionale in
relazione ad anni di imposta antecedenti alla sua abrogazione (2006 e
2007).
4.– Prima di procedere all’esame nel merito della questione di
costituzionalità sollevata, la Corte deve accertare la natura tributaria
del «contributo» in esame. Una sua diversa qualificazione, infatti, prima
ancora di ripercuotersi sulla incongruità delle norme parametro invocate,
escluderebbe finanche la giurisdizione dell’autorità rimettente,
circoscritta, dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della
delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n.
413), alla cognizione «di tutte le controversie aventi ad oggetto i
tributi di ogni genere o specie», con esclusione quindi delle entrate
patrimoniali pubbliche extratributarie.
4.1.– A questi fini è
necessario muovere dall’esame degli elementi di identificazione dei
tributi, come enucleati dalla giurisprudenza costituzionale, vale a dire:
l’irrilevanza del nomen iuris usato dal legislatore, «occorrendo
riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un
tributo» (sentenze n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005); la
matrice legislativa della prestazione imposta, in quanto il tributo nasce
«direttamente in forza della legge» (sentenza n. 141 del 2009), risultando
irrilevante l’autonomia contrattuale (sentenza n. 73 del 2005); la
doverosità della prestazione (sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del
2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), che comporta una ablazione delle
somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico (sentenze n. 37
del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n. 26 del 1982); il nesso con la spesa
pubblica, dovendo sussistere un collegamento della prestazione alla
pubblica spesa «in relazione a un presupposto economicamente rilevante»
(sentenza n. 141 del 2009), nel senso che la prestazione stessa è
destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario
dell’ente impositore (sentenze n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995, n.
26 del 1982).
4.2.– L’esito cui è pervenuto il giudice a quo circa la
natura tributaria, e non commutativa, del contributo è coerente con i
criteri ermeneutici appena passati in rassegna.
L’obbligo del
pagamento del contributo trova la sua fonte esclusiva nella legge
regionale e non in un rapporto sinallagmatico tra le parti. La prestazione
imposta non costituisce remunerazione dell’uso in generale di beni
collettivi comunali, come il territorio e l’ambiente, potendo il Comune
disporre solo dei singoli beni che fanno parte del suo demanio o
patrimonio (sentenza n. 141 del 2009), né è correlata alla fruizione dei
servizi necessari per la gestione o la funzionalità dell’impianto forniti
dal Comune. Tantomeno, si pone come corrispettivo dell’atto amministrativo
di localizzazione del sito, in quanto, a tacer d’altro, tale atto
costituisce l’esito di un procedimento amministrativo autonomo, in nessun
modo condizionato alla corresponsione del contributo in questione.
Sotto il profilo del necessario collegamento del prelievo alla
pubblica spesa a un presupposto economicamente rilevante, la disposizione
censurata, anche nella ricostruzione offertane dalla Regione, sarebbe
destinata a finanziare i “costi supplementari, non solo patrimoniali,
derivanti al territorio per ragioni ascrivibili all’insediamento
dell’impianto in quel determinato luogo”, dunque, in ultima analisi, alla
finalità di dotare l’ente pubblico dei mezzi finanziari necessari ad
assolvere le funzioni di cura concreta degli interessi generali. Questa
connotazione funzionale, e il fatto che il prelievo si colleghi
all’attività economica di gestione degli impianti, consentono di ritenere
il «contributo» uno strumento di riparto, ai sensi dell’art. 53 Cost., del
carico della spesa pubblica in ragione della capacità economica
manifestata dai soggetti gestori degli impianti (sentenza n. 280 del
2011).
In definitiva, la prestazione “contributiva” in esame non
costituisce altro che un tributo, avente: a) quali soggetti passivi, i
«soggetti che gestiscono impianti di pre-trattamento e di trattamento di
scarti animali tali quali ad alto rischio e a rischio specifico di
encefalopatia spongiforme bovina BSE»; b) quali soggetti attivi, i «comuni
sede degli impianti»; c) quale presupposto economicamente rilevante, la
gestione di detti impianti; d) quale base imponibile, una entità monetaria
commisurata a «ogni 100 chilogrammi di materiale riutilizzato nell’anno».
4.3.– Da ultimo, non pare offrire elementi decisivi a sostegno della
soluzione opposta la previsione del comma 5 dello stesso art. 16 della
legge reg. Piemonte n. 24 del 2002, a mente del quale «[la] misura minima
dei contributi di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, previo accordo con i gestori
dei succitati impianti, può essere aumentata e può essere destinata
parzialmente o totalmente a favore dei comuni limitrofi alla sede di
ubicazione degli impianti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 dei comuni
interessati dall’aumento del traffico veicolare conseguente
all’attivazione degli impianti nonché dei comuni nei quali si evidenzino
criticità a causa dell’attivazione dei suddetti impianti». Tale
disposizione, infatti, lungi dal dimostrare la natura “volontaristica” del
contributo in parola, non individua alcun servizio né alcuna prestazione
che giustifichi la corresponsione di un contributo da parte di chi ne
beneficia. L’accordo fra i Comuni e i soggetti tenuti a versare i
«contributi» viene richiamato soltanto in relazione alla destinazione
dell’introito, senza peraltro alcun vincolo in capo all’ente che lo
percepisce.
5.– Qualificato il prelievo regionale in termini di
tributo, resta da verificare se la disposizione che lo prevede rispetta o
meno i parametri evocati nell’ordinanza di rimessione per denunciare la
lesione delle competenze legislative statali.
5.1.– Secondo il giudice
a quo la norma denunciata interviene in una materia, quale il trattamento
e lo smaltimento dei rifiuti, rientrante nella «tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema», che è riservata alla competenza legislativa esclusiva
dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La censura
è fondata.
5.2.– La risoluzione della questione presuppone che si
identifichi l’ambito materiale nel quale si colloca la disposizione
impugnata.
Gli scarti animali ricadono nella nozione di rifiuto, che
viene definito, dall’art. 183, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 3 aprile 2006 n. 152 (Norme in materia ambientale), come
«qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi». Correlativamente, l’attività
di trattamento e trasformazione costituisce modalità di “gestione” dei
rifiuti, secondo la definizione normativa che vi ricomprende la raccolta,
il trasporto, il recupero e lo smaltimento (art. 183, comma 1, lettera n),
del d.lgs. n. 152 del 2006).
Va precisato che, ai sensi dell’art. 185,
comma 2, lettera b), del citato d.lgs. n. 152 del 2006, gli scarti di
origine animale sono sottratti all’applicazione della normativa in materia
di rifiuti e sottoposti alla disciplina contenuta nel regolamento del
Parlamento europeo e del Consiglio Reg. (CE) 3 ottobre 2002, 1774 (recante
norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati
al consumo umano), solo se qualificabili come sottoprodotti (ed «eccetto
quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o
all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio»).
In ogni altro caso, in cui il produttore intenda destinarli allo
smaltimento, essi restano pertanto sottoposti alla disciplina sui rifiuti
dettata dal codice dell’ambiente, vertendo il citato regolamento
comunitario solo sui profili sanitari e di polizia veterinaria. La stessa
giurisprudenza penale ha più volte rimarcato come, fra la disciplina
comunitaria di cui al Regolamento (CE) n. 1774/2002 e la disciplina
nazionale in materia di rifiuti di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, esista
un rapporto di complementarità e non di specialità, se non limitatamente
ai rifiuti di origine animale qualificabili come sottoprodotti (Corte di
cassazione penale, sentenze 23 gennaio 2012, n. 2710, 4 dicembre 2008, n.
45057 e 4 giugno 2007, n. 21676).
D’altro canto, è escluso che alla
categoria dei sottoprodotti (i cui caratteri essenziali, in base all’art.
184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, consistono nell’originare la sostanza
da un processo di produzione di cui non costituisce scopo primario e nella
certezza, al momento della sua produzione, della sua riutilizzazione senza
alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale)
appartengano gli scarti animali ad alto rischio e a rischio specifico di
BSE che debbano essere necessariamente inceneriti o «coinceneriti».
Per quanto la circostanza non possa essere considerata di per sé
decisiva, non è inutile segnalare infine che la riconducibilità degli
scarti animali alla materia dei rifiuti, è ben presente anche al
legislatore regionale, il quale ha previsto il contributo in esame nel
corpo di un testo di legge (la legge della Regione Piemonte n. 24 del
2002, recante «Norme per la gestione dei rifiuti») espressamente destinato
a disciplinare la gestione e la riduzione dei rifiuti.
5.3.– Ciò posto
quanto alla riconducibilità degli scarti animali alla nozione di rifiuto,
va ulteriormente considerato che, secondo la costante giurisprudenza della
Corte, la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla «tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con
altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo
Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero
territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura
di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali
(tra le molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012 e
n. 244 del 2011, n. 225 del 2009, n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008). Tale
disciplina inoltre, «in quanto rientrante principalmente nella tutela
dell’ambiente, e dunque in una materia che, per la molteplicità dei
settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un
carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali»
(sentenza n. 249 del 2009). Con la conseguenza che, avendo anche riguardo
alle diverse fasi e attività di gestione del ciclo dei rifiuti stessi e
agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale
«costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di
tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un
limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in
altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al
livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino»
(sentenze n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).
5.4.– Il
quadro estremamente composito degli interessi sottostanti alla fattispecie
normativa in esame determina una inevitabile interferenza tra titoli di
competenza formalmente ripartiti tra Stato (tutela dell’ambiente) e
Regioni (potestà impositiva di tributi propri), ovvero concorrenti (tutela
della salute, governo del territorio). Tale interferenza deve trovare
composizione attraverso l’adozione del principio di prevalenza, cui questa
Corte ha fatto più volte ricorso, quando appaia evidente l’appartenenza
del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto
che ad altre (sentenze n. 50 del 2005 e n. 370 del 2003), ovvero quando
l’azione unitaria dello Stato risulti giustificata dalla necessità di
garantire livelli adeguati e non riducibili di tutela ambientale su tutto
il territorio nazionale (sentenza n. 67 del 2014).
Nell’ipotesi
all’esame, in cui la Regione ha istituito un tributo gravante sul
presupposto dello svolgimento di attività rientrante nella gestione dei
rifiuti, la riserva di legge statale di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., deve essere applicata nell’accezione che consenta di
preservare il bene giuridico «ambiente» dai possibili effetti distorsivi
derivanti da vincoli imposti in modo differenziato in ciascuna Regione. E,
in questo caso, una disciplina unitaria rimessa in via esclusiva allo
Stato è all’evidenza diretta allo scopo di prefigurare un quadro
regolativo uniforme degli incentivi e disincentivi inevitabilmente
collegati alla imposizione fiscale, tenuto conto dell’influenza dispiegata
dal tributo (i cosiddetti «effetti allocativi») sulle scelte economiche di
investimento e finanziamento delle imprese operanti nel settore dei
rifiuti e della loro attitudine a ripercuotersi, per l’oggetto stesso
dell’attività esercitata da tali imprese, sugli equilibri ambientali.
6.– Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.
16, comma 4, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24
(Norme per la gestione dei rifiuti).
7.– Rimane assorbita l’altra
questione sollevata con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera
e), in correlazione con l’art. 119 Cost.
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per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.
16, comma 4, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24
(Norme per la gestione dei rifiuti).
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 2015.
Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2015.
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