Giustizia Amministrativa - on line
 
Articoli e Note
n. 5-2015 - © copyright

 

VITTORIO CAPUZZA

L’azione civilistica ex art. 2932 cod. civ. nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: considerazioni rapsodiche sugli effetti incogniti della sentenza Cass. sez. Unite, n. 4683/2015

 

 


 

 

1. Profili privatistici dell’art. 2932 c.c.
È noto che l’art. 2932 avente ad oggetto l’esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto, stabilisce che se un soggetto obbligato a concludere un contratto non adempie all'obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
Le ipotetiche, anche se nella frase assume carattere di complementarietà, nel dettato della legge hanno valenza qualitativamente eguale delle proposizioni principali, anzi nel condizionano l’avveramento: è il caso del “qualora sia possibile” espresso dal comma 1 dell’art. 2932 c.c., in base al quale di recente la Cass. civ. Sez. VI - 2 Ordinanza, 08 ottobre 2014, n. 21286, nel rigettare la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 04/05/2011, ha precisato che nel caso di preliminare di vendita di un bene immobile, concluso da uno solo dei comproprietari “pro indiviso”, si deve escludere la facoltà del promissario acquirente di richiedere ex art. 2932 c.c. il trasferimento coattivo, limitatamente alla quota appartenente allo stipulante, non essendo consentito, in via giudiziale, costituire un rapporto giuridico diverso da quello voluto dalle parti con il preliminare, in quanto l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto è ammessa, ex art. 2932, comma 1, c.c., solo “qualora sia possibile”.
Il testo dell’art. 2932 c.c. precisa poi al comma 2 che se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l'ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile.
La giurisprudenza ha chiarito da tempo che l’art. 2932 c.c. è applicabile non solo nell’ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in altre fattispecie nelle quali si abbia l’insorgenza di un’obbligazione a prestare il consenso per trasferire o costituire un diritto (così, già Cass. n. 6071/95); si pensi ad esempio, al mandato a comprare e all’obbligo del mandatario di ritrasferimento del bene acquistato dal mandante (Cass. n. 1814/1982).
L’esercizio dell’azione diretta ad ottenere la sentenza costitutiva che produca ex nunc gli stessi effetti del contratto concluso non è subordinato ad alcun obbligo di costituzione in mora dell’obbligato, né è necessaria una preventiva diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.. Ovviamente, gli effetti traslativi della pronuncia possono essere condizionati all’adempimento di specifiche obbligazioni poste dal contratto preliminare o da altra fattispecie analoga a carico del promissario acquirente.

2. L’applicabilità nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dell’azione per l’esecuzione forzata in forma specifica nei confronti della p.a.
Questo scenario chiaramente civilistico, laddove una delle parti che rientrano nella matrice legale dell’art. 2932 c.c. sia una pubblica amministrazione, assume connotati specifici che occorre considerare.
La Cass. civ. Sez. Unite, 18-11-1992, n. 12309 aveva affermato che qualora la p. a. - per la migliore realizzazione degli interessi ad essa affidati in materia di acquisizione di aree di proprietà di terzi - ricorra allo strumento privatistico del contratto preliminare di compravendita e successivamente opponga un ingiustificato rifiuto alla stipulazione del definitivo - sebbene persistano le condizioni iniziali che avevano indotto l'approvazione e autorizzazione della operazione - “deve riconoscersi alla controparte la facoltà di adire il giudice ordinario per ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto, ai sensi dell'art. 2932 c. c., senza che ciò implichi alcuna violazione del divieto di annullare, revocare o sostituire l'atto amministrativo, posto dall'art. 4 l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E”.
Se la materia della controversia rientra fra quelle devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo il ritmo procedimentale delle azioni non sembra mutare: a distanza di circa 23 anni da quella pronunzia i giudici amministrativi oggi e senza dubbio alcuno applicano, richiamano, rinviano, indicano con serena cognizione l’art. 2932 c.c.; si pensi ad esempio al T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 07-01-2015, n. 22, che in riferimento all’art. 12 del D. Lgs. n. 387/2003, concernente la razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative in attuazione della disciplina comunitaria relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (che prevede al comma 4-bis che per la realizzazione di impianti alimentati a biomassa il proponente dell’intervento “deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell’autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto”), ha riconosciuto che un contratto preliminare finalizzato alla costituzione del diritto di superficie e delle servitù necessarie per la realizzazione dell’impianto costituisce uno strumento idoneo per la dimostrazione della disponibilità del suolo nella misura in cui l’art. 2932 c.c. tutela l’adempimento dell’obbligazione di contrarre.
L’apice di questa visione è stato raggiunto recentemente dalla Cassazione, che nella sentenza sez. Unite civili, n. 4683/2015, depositata il 9 marzo 2015, nonostante i chiari, precisi e fondati motivi presentati a fondamento del ricorso di giurisdizione,[1] ha riconosciuto l’esercizio dell’azione ex art. 2932 c.c. nell’ambito della giurisdizione esclusiva come possibile e quindi ha sancito l’assenza del difetto di giurisdizione e della violazione della riserva di legge in materia di azioni e tipologie di sentenze attribuite a ciascuna giurisdizione e dell’art. 25 della Costituzione.

3. Considerazioni, contraddizioni, critiche alla soluzione indicata dalla Cass. S.U. n. 4683/2015.
In particolare, ripercorrendo la pronuncia del Consiglio di Stato, Ad. Pl. 20 luglio 2012, n. 28 e le successive sentenze che hanno acquisito il principio (sez. IV, 24 aprile 2013, n. 2316; sez. V, 13 febbraio 2013, n. 874) secondo cui sono compatibili - nella giurisdizione esclusiva - l’azione esecutiva in forma specifica e la struttura dell’attuale processo amministrativo tale per cui risulta esperibile da parte degli enti pubblici l’azione di esecuzione ex art. 2932 c.c. davanti al giudice amministrativo, la Cassazione nella citata pronuncia a sezioni unite ha affermato che nella giurisdizione esclusiva “il giudice, in questi casi, oltre a garantire ai diritti la medesima tutela, con l'esercizio delle stesse azioni che sono esperibili davanti al giudice ordinario, conosce di ogni controversia, qualunque sia la posizione delle parti.
Il giudice amministrativo munito di giurisdizione esclusiva è giudice del rapporto, ma sindaca l'esercizio - ai fini specifici della pronuncia costitutiva di esecuzione specifica dell'obbligo a contrarre - di un potere amministrativo.
E', quindi, soltanto con riferimento alle controversie elencate nell'art. 133 c.p.a. che può discutersi dell'ammissibilità dell'azione di cui all'art. 2932 c.c., nell'ambito del processo amministrativo
”.
Chiaro esempio di un ragionamento contraddittorio in sé e anche rispetto a quanto le stesse sez. Unite avevano espresso in altri casi:[2] che il giudice amministrativo deve comunque sindacare l’esercizio di un potere amministrativo, è una proposizione che rimandando all’esercizio di potestà e quindi alla situazione giuridica soggettiva attiva del privato qualificabile come interesse legittimo, delimita i confini di cognizione e si scontra con l’affermazione immediatamente antecedente formulata dalla stessa Cassazione e cioè che il giudice amministrativo nella giurisdizione esclusiva conosce ogni controversia “qualunque sia la posizione delle parti”. Non va adombrato un aspetto centrale, dal quale assume senso e legittimità costituzionale il comparto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.[3] Il rapporto che sussiste in tale ambito fra l’interesse legittimo e il diritto soggettivo è sì strettissimo, ma non paritario; potrebbe essere qualificabile come di accessorietà del secondo rispetto al primo: la secondarietà, la dipendenza del diritto rispetto alla posizione soggettiva del privato definibile come interesse legittimo si ha quando la posizione del privato stesso è connessa in via contigua con l’esercizio del potere pubblico, capace in taluni casi di toccare in parte anche i diritti. Si potrebbe dire che la giurisdizione esclusiva come sua natura comprenda, in un’unica area, la matrice logica che nella visione classica del processo viene definita accessorietà; solo che quel paradigma processuale viene assunto per qualificare la congiunzione sbilanciata di situazioni giuridiche soggettive attive (interesse legittimo e diritto soggettivo, appunto). Da qui, la considerazione per cui la giurisdizione esclusiva ha il baricentro d’attenzione naturalmente spostato verso l’interesse legittimo, anche laddove esso si presenti in diverse materie avvolto a diritti; nell’art. 133 c.p.a. compaiono, infatti, ambiti in cui con facilità, ma senza mai diluire la propria natura intrinseca, l’interesse legittimo del privato - a valle dell’esercizio del potere da parte della p.a. – si incontra in una sorta di sequenza o di scala con il diritto soggettivo: è l’interesse legittimo che lì ricomprende in via accessoria i diritti e non l’inverso (in tal caso o anche in condizioni di parità, la giurisdizione sarebbe ordinaria). Quell’incontro, in altri termini, fa sì che l’interesse legittimo mantenga la sua forma, come in una sorta di spirale che non muta al variare della scala di osservazione di competenza del giudice amministrativo in via esclusiva. Si potrebbe ancora dire che nella giurisdizione amministrativa esclusiva la posizione giuridica dell’interesse legittimo eadem mutata resurgo:[4] sebbene cambiata (perché unita al diritto soggettivo), rinasce identica.
Ma, con questo fondo logico, ritorniamo alla pronuncia della Cassazione.
Ammettere in quella sede ordinaria l’applicazione de plano dell’art. 2932 c.c. nella giurisdizione amministrativa esclusiva comporta una serie di conseguenze che all’Interprete sembrano sfuggire: al di là della maggior convenienza economica e pratica nell’esperire l’azione ex art. 2932 c.c. rispetto alla via del decreto ingiuntivo,[5] da una prospettiva più alta basti scorrere le materie elencate nell’art. 133 c.p.a. per considerare che non c’è più possibilità di circoscrivere l’istituto dell’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto: da ciò e sulla base del ragionamento per il quale il giudice amministrativo in sede esclusiva è giudice di tutte le condotte amministrative e non del solo atto, per di più in un sistema variegato di tutele che non trova ostacolo nel fatto che il codice del processo amministrativo non abbia previsto l’azione ex art. 2932 c.c., allora non meraviglierà quando si ammetterà con la stessa serenità che in ottemperanza al principio costituzionale della piena tutela giurisdizionale ex art. 24, trovino applicazione anche l’art. 2930 c.c. sull’esecuzione forzata per consegna e rilascio e l’art. 2931 c.c. relativo all’esecuzione forzata degli obblighi di fare che veda destinataria la pubblica amministrazione. E, nel considerare che azione è “il potere correlato agli epiloghi giurisdizionali”,[6] allora anche nell’ambito della giurisdizione esclusiva tutto dipenderà da come la parte legittimata abbia formulato la domanda, scegliendola dal florilegio civilistico. In altri termini, la Cassazione, nel confermare le naturali deduzioni del Consiglio di Stato, ha considerato la giurisdizione esclusiva del G.A. - limitata sostanzialmente nel numero delle materie- come illimitata nella sfera procedurale delle azioni esperibili dalla parte, pubblica e privata che sia.
D’altra parte, con questo proliferare di azioni esperibili, gli effetti nel sistema saranno ancora da valutare, dovendo soprattutto allineare gli istituti: è il caso della cd. responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione in tema di appalti pubblici. È ormai noto, infatti, che, laddove alla deliberazione di aggiudicazione dell'appalto non segua la stipula della convenzione di disciplina tra le parti, bensì la decadenza dalla stessa aggiudicazione, la controversia introdotta dall'aggiudicatario decaduto per ottenere l'accertamento del preteso inadempimento dell'ente agli obblighi contrattuali e la sua condanna alla restituzione delle cauzioni versategli, oltre rivalutazione ed interessi, nonché al risarcimento del danno asseritamente patito nel corso della trattativa precontrattuale, appartiene alla giurisdizione del Giudice Amministrativo, essendosi la fattispecie svolta ed esaurita tra l'originaria aggiudicazione e la stipula del contratto, mai avvenuta (Cons. Stato Sez. V, 23-02-2015, n. 844). Su quest’ordine di idee, in linea generale, può, quindi, sussistere la responsabilità precontrattuale della P.A. che abbia legittimamente revocato in autotutela l’aggiudicazione di una gara di appalto con riferimento alla insostenibilità dell’impegno economico, nel caso in cui la mancanza di buona fede derivi dal fatto che le condizioni di criticità economica, che hanno reso legittimo il recesso dalla gara, in realtà preesistevano ed erano conosciute o quanto meno conoscibili impiegando la dovuta diligenza (da ultimo, T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I, 03-03-2015, n. 399).
Rientrando la materia degli appalti pubblici nella giurisdizione esclusiva e avendo ormai la giurisprudenza ammesso l’esperibilità dell’azione ex art. 2932, appare quella la sede privilegiata dell’esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto, presentando così all’operatore economico aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica la possibilità di non seguire la via della tutela ex art. 1337 c.c., bensì quella che ottenga una sentenza con gli stessi effetti del contratto non concluso, determinando così un cortocircuito con le previsione dell’inefficacia e della caducazione previste negli artt. 121 e ss. c.p.a. E, a ben vedere ancora, si consideri che anche a livello normativo europeo l’aggiudicazione definitiva vede sorgere in capo all’operatore economico un vero e proprio diritto, che, ovattato per il periodo dilatorio del cd. stand-still, diviene pieno se eventuali ricorsi dei concorrenti non abbiano provocato il conseguente effetto sospensivo (art. 11 del D.Lgs. n. 163/2006). Dunque, a valle dell’aggiudicazione definitiva, trattandosi di un diritto in senso classico, l’ambito degli appalti e delle concessioni pubbliche diventerebbe la sede privilegiata per azionare l’esecuzione specifica ex art. 2932 c.c..
Sul tema c’è da riflettere ancora, per esaminare gli scontri e gli allineamenti in materia di appalti pubblici relativamente alle azioni esperibili dal concorrente aggiudicatario nell’ipotesi di immotivato rifiuto dell’amministrazione di stipulare il relativo contratto mediante una revoca pur legittima del provvedimento aggiudicatorio.
Ma i salti logici non sono la sola caratteristica del ragionare della suprema Corte nella sentenza in esame: lo diventano anche le estensioni temporali vietate dalla legge. Pur di trovare, comunque, appiglio normativo, nonostante avesse poco prima affermato che il dato letterale non conta innanzi all’esigenza costituzionalmente garantita di piena tutela giurisdizionale, la Cassazione compie, sul finale della sentenza (al punto 6.1.) un richiamo all’art. 11 della L. n. 241/1990, che, fra l’altro, appare incongruo perché in violazione del principio tempus regit actum: il fatto dedotto in giudizio risale ad un periodo di certo anteriore all’agosto 1990.
Torniamo alle conseguenze sul piano dogmatico. Il ragionamento seguito dalla Cassazione nella sentenza S.U. n. 4683/15 estendendo gli strumenti della giurisdizione amministrativa rischia, improntandone la matrice sul modello belga, di renderla “totale”, cioè di sussistere per il solo fatto che una delle parti sia la pubblica amministrazione; così si raggiungerebbe la posizione diametralmente opposta a quanto affermato temporibus illis dalla L. n. 2248 del 1865 in relazione ai poteri del giudice ordinario. Ma così facendo - e forse questa osservazione potrebbe essere troppo proiettata in avanti ma, tutto sommato, da non escludere a-priori alla luce di queste ultime pronunce del Consiglio di Stato e soprattutto delle S.U. della Cassazione -, la tutela processuale amministrativa estesa mancherebbe del terzo grado di giudizio: allora il Consiglio di Stato è facile immaginarlo proiettato verso un graduale assoggettamento alla Corte di Cassazione, anche al di là del sindacato sull’eventuale superamento dei cd. limiti esterni di cognizione giurisdizionale amministrativa. Talvolta, ciò che si giudica come una “fantasia” è nient’altro che la forma di una realtà sbalorditiva, ma vera.
Infine, due aspetti ancora occorre richiamare della sentenza in parola: uno di teoria generale, uno più vicino alla filosofia del diritto.
Riguardo al primo aspetto, la Corte di Cassazione - riflettendo un canone già esaminato dalla Corte Costituzionale, specialmente nella sentenza n. 230/2012 circa l’orientamento della Corte europea da tempo consolidato in virtù del quale la nozione di «diritto» («law»), utilizzata nella norma della Convenzione, deve considerarsi comprensiva tanto del diritto di produzione legislativa che del diritto di formazione giurisprudenziale -, ha affermato l’equivalenza ai fini della salvaguardia della cd. riserva di legge, sia della riserva testuale di legge, sia della possibilità di estrarre anche una norma in chiave ermeneutica ex art. 12 preleggi e applicarla in concreto. Da un lato, è vero che la Corte Costituzionale attribuisce rilevanza al cosiddetto «diritto vivente» ai fini dell’individuazione dell’oggetto dello scrutinio di legittimità costituzionale, anche quando si discuta di norme penali, “tale soluzione risponde ad una esigenza di rispetto del ruolo spettante ai giudici comuni – e segnatamente all’organo giudiziario depositario della funzione di nomofilachia – nell’attività interpretativa: in presenza di un indirizzo giurisprudenziale costante o, comunque, ampiamente condiviso – specie se consacrato in una decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione – la Corte costituzionale assume la disposizione censurata nel significato in cui essa attualmente «vive» nell’applicazione giudiziale”. Ma va precisato che “Ciò nondimeno, questa Corte ha comunque rimarcato che, pure in presenza di un orientamento giurisprudenziale che abbia acquisito i caratteri del «diritto vivente», il giudice rimettente ha soltanto la facoltà, e non già l’obbligo di uniformarsi ad esso” (così la Corte Cost., sentenza n. 230/2012; si veda anche la sentenza n. 91/2004). Il che già sembra chiaramente segnare un certo discostamento dalla perentoria equivalenza dedotta dalla Cassazione nella sentenza 4683/15: il rischio, rimanendo in tale ordine di idee più consone al common law, lo aveva già marcato la stessa Corte Costituzionale, sempre nella sentenza n. 230/12: la pretesa che la consecutio tra diversi orientamenti giurisprudenziali equivalga ad una operazione creativa di nuovo diritto (oggettivo) è un’erronea esegesi che comporterebbe la consegna al giudice, organo designato all’esercizio della funzione giurisdizionale, di una funzione legislativa, in radicale contrasto con i profili fondamentali dell’ordinamento costituzionale. E affermare – come ha fatto la Cassazione – che “la riserva di legge è salvaguardata anche nel caso in cui dalla disposizione normativa è possibile estrarre in via interpretativa – utilizzando tutti i canoni ermeneutici indicati dall’art. 12 preleggi – una norma”, a ben vedere si risolve in una consecutio giurisprudenziale, che non può avere valore creativo.
Con riferimento al secondo aspetto, solo un frammento d’idea: la pronuncia n. 4683/15 delle sez. Unite della Cassazione ha una portata che, forse per eterogenesi dei fini, è ancora da comprendere come proiezione da indirizzare sul piano della struttura addirittura dell’ordinamento statuale; una sorta di parallelismo sembra profilarsi: come la forma statale sta di fatto spostandosi da quella parlamentare a quella governativa, così la Suprema Corte sembra affermare l’estensione dei poteri di cognizione nella giurisdizione esclusiva a favore del giudice amministrativo. Questa idea più filosofica corre logicamente nel senso contrario rispetto, invece, alla visione tutta giurisdizionale, che porterebbe - come s’è già detto poc’anzi - la sottoposizione del Consiglio di Stato al terzo grado di giudizio, naturalmente di competenza della Cassazione.
Una cosa è certa: Non firmatur tractu temporis quod de iure ab initio non subsistit.

 

----------

 

[1] In particolare, fra le motivazioni, vanno evidenziate: la violazione per errata applicazione deli artt. 24, 113 e 103 Cost.; la violazione per errata applicazione dell’art. 25 Cost. e della riserva di legge in materia di azioni e tipologie di sentenze attribuite a ciascuna giurisdizione.
[2] Ad esempio, nella sentenza del 30 dicembre 2011, n. 30167 (Golfo Aranci s.p.a.).
[3] Sul rapporto fra interesse legittimo e diritto soggettivo si veda F. Benvenuti, sub voce Giudicato (dir. amm.), in Enciclopedia del diritto, Milano 1969, pp. 893 ss..
[4] Così J. Bernoulli volle che si scrivesse sulla sua pietra tombale, dopo che aveva letto sul finire del ‘600 della spirale logaritmica o equiangolare, scoperta circa cinquant’anni prima da Cartesio.
[5] Si pensi che la trascrizione può essere chiesta mediante l’esecuzione ex art. 2932 c.c. solo nell’ipotesi in cui si debba adempiere a casi particolari: ed esempio, in relazione alle particelle catastali da indicare necessariamente; invece, se non si tratti di beni immobili ma di obbligazioni monetarie, ci si trova nella stessa logica della trascrizione di un debito e non v’è alcun limite all’esercizio dell’esecuzione specifica dell’obbligo, sottraendo così – se la materia rientra nella giurisdizione esclusiva - contenzioso alla giurisdizione civile. Chiaro esempio di un’interpretazione autofaga da parte della Cassazione, che pur di affermare il principio de quo è andata “contro se stessa”.
[6] F. Cordero, Procedura penale, Milano 2012, IX edizione, p. 398.

 

(pubblicato il 4.5.2015)

 

 

Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico Stampa il documento