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n. 4-2015 - © copyright |
STEFANIA VASTA
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Prime riflessioni sulla «nuova»
autotutela
Sommario: 1. Le modifiche alla legge 7 agosto 1990
n. 241; 2. Revoca; 3. Annullamento d’ufficio; 4. Convalida; 4.
Conclusioni.
1. Le modifiche alla legge 7 agosto 1990
n. 241.
In sede di conversione[1] del decreto legge 12
settembre 2014 n. 133 (c.d. decreto Sblocca Italia), il parlamento
ha introdotto alcune importanti modifiche alla legge generale sul
procedimento amministrativo.
Le novità, delle quali qui interessa
trattare, sono quelle che riguardano l’articolo 21-quinquies e l’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990 n.
241.
Nell’articolo 21-quinquies recante la disciplina
della revoca è stato inserito, al comma 1, il periodo “non
prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che
per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi
economici,”[2].
Si vedrà come la modifica normativa incida
sui presupposti che legittimano l’uso del potere discrezionale di
revocare un precedente atto legittimo che, nel divenire della
produzione dei suoi effetti, risulti successivamente inopportuno e
inadeguato.
La legge di conversione n. 164 del 2014 modifica
altresì l’art. 21 nonies, disciplinante l’annullamento
d’ufficio, introducendo due novità: dopo le parole “dell’art. 21
octies” sono inserite le parole “, esclusi i casi di cui al
medesimo articolo 21-octies, comma 2,” e, alla fine del primo
comma, è aggiunto il seguente periodo: “Rimangono ferme le
responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del
provvedimento illegittimo”[3].
Anche per la disciplina
dell’annullamento d’ufficio si rileva che la modifica introdotta
dalla recente legge n. 164/14 influisce in particolare sui
presupposti di esercitabilità del relativo potere.
Da ultimo,
nonostante non venga interessato direttamente il comma 2 dell’art.
21-nonies, la novella si riverbera anche sul provvedimento di
convalida, essendo ques’ultimo speculare all’annullamento d’ufficio
e alla sua disciplina.
Nel suo complesso, la l. n. 164/14 di
conversione del d.l. n. 133/14, risulta particolarmente e ampiamente
innovativa dell’autotutela, modificandone la disciplina positiva
relativa ai più rilevanti provvedimenti che la compongono e
incidendo su aspetti qualificatori sostanziali, quali sono i
presupposti di esercitabilità della autotutela stessa.
La ratio della modifica emerge chiaramente dalla lettura
complessiva delle nuove disposizioni: rendere i privati, destinatari
di provvedimenti amministrativi, meno esposti alla possibilità che
l’amministrazione, successivamente all’adozione dell’atto, decida di
rivalutarlo in autotutela.
Il dato era già manifesto nel disegno
di legge A.S. n. 1577 del 2014 di riforma della pubblica
amministrazione, la cui relazione di accompagnamento, in merito
all’art. 5 dedicato all’autotutela, enuncia l’intento di
“delimita(re), in maniera più marcata rispetto alla
disciplina vigente, la possibilità di intervento da parte della
pubblica amministrazione.”[4].
Appare quindi opportuno
soffermarsi sulle novità di diritto positivo introdotte dalla
recente legge e, all’esito, si proporranno alcune considerazioni, a
“prima lettura”, sulla loro portata innovativa.
2.
Revoca.
Il provvedimento di revoca costituisce, come
noto, una delle maggiori espressioni di discrezionalità. Esso è
attivabile a fronte di un generale ripensamento della scelta
amministrativa cristallizzata in un precedente provvedimento che, a
distanza di un determinato periodo di tempo, pur continuando a
essere legittimo, ha perso i requisiti della opportunità e della
adeguatezza.
L’elaborazione dottrinale sulla revoca è amplissima;
ci si limita ad analizzare gli elementi di maggiore novità,
rinviando alla copiosa letteratura[5] per la discussione dei temi
più rilevanti, sia concernenti la revoca, come più in generale
relativi a tutta la materia dell’autotutela c.d. decisoria.
Si
intende quindi partire dagli esiti generalmente condivisi circa la
ricostruzione della figura in discussione.
La revoca è
comunemente intesa come atto che incide su altro, precedente,
provvedimento caducandone, con portata ex nunc, l’efficacia.
Al momento in cui il legislatore ha previsto per
la prima volta l’introduzione della disciplina della revoca come
norma di diritto positivo[6], tale provvedimento aveva un diametro
esteso e dilatato a ricomprendere, tra i presupposti di
esercitabilità, sia una ampia nozione di sopravvenienza
(ricomprendente motivi di interesse pubblico e circostanze di
fatto), sia il cd. ius poenitendi.
A distanza di quasi
dieci anni, il legislatore ha ritenuto di restringere le maglie
della esercitabilità dell’autotutela e, in particolare, dell’uso da
parte dell’amministrazione del potere di revoca, modificando la
disciplina di entrambi i presupposti enunciati dalla prima stesura
dell’art. 21-quinquies: la sopravvenienza e lo ius
poenitendi.
Il primo elemento, qui definito per brevità con
il termine omnicomprensivo di sopravvenienza, era declinato nella
previgente versione dell’art. 21-quinquies in due ipotesi
distinte: una inclusiva di “sopravvenuti motivi di pubblico
interesse”, l’altra comprendente i casi di “mutamento della
situazione di fatto”.
Il primo dei presupposti enunciati dalla
norma è rimasto invariato, non essendo inciso dalla modifica
apportata dalla l.n. 164/14, per cui deve ritenersi che
l’amministrazione possa legittimamente revocare un proprio
precedente atto tutte le volte in cui ricorrano, in un momento
successivo alla adozione dell’atto stesso, motivi di pubblico
interesse.
Il recente intervento normativo ha invece modificato
l’altro presupposto ricompreso per tradizionale inquadramento
descrittivo sotto la species delle sopravvenienze, quello,
cioè, che riguarda il mutamento della situazione di
fatto.
Rispetto a questo elemento, la norma ha fortemente
limitato la portata di fatti e circostanze sopravvenuti come
presupposto logico-giuridico della revoca.
Infatti, se prima
doveva considerarsi ammissibile la revoca a fronte di mutamento
delle situazioni di fatto tout court, ora essa è ammessa solo
nel caso in cui tale mutamento non sia da considerarsi come
prevedibile già al momento dell’adozione dell’atto da sottoporre a
revisione.
Il legislatore ha quindi delimitato fortemente
l’ambito di operatività per sopravvenute circostanze di fatto,
escludendo il ricorso alla revoca nel caso in cui l’amministrazione
avrebbe potuto – e quindi dovuto – prevedere l’avveramento di nuove,
modificative, circostanze di fatto già al momento dell’adozione del
primo provvedimento.
L’art. 21-quinquies impone, pertanto,
all’amministrazione di svolgere una valutazione della situazione
fattuale sulla quale l’atto incide, svolgendo, non solo un’analisi
attuale, ma anche un apprezzamento prognostico.
La portata di
questa modifica comporta, senza dubbio, effetti importanti sulla
disciplina dell’azione amministrativa, perché implica per
l’amministrazione, ove non svolga adeguatamente una valutazione
prognostica delle circostanze di fatto rispetto a una dimensione
temporale futura, l’impossibilità di eliminare successivamente
l’efficacia del provvedimento, ancorché esso divenga in seguito
inopportuno.
In atri termini, il nuovo articolo 21-quinquies spezza la linearità esistente tra la dimensione del divenire
degli eventi e la dimensione del divenire dell’azione
amministrativa: linearità, in virtù della quale l’amministrazione, a
fronte di una modifica delle circostanze di fatto, era sempre
autorizzata a rivedere i propri atti, rendendoli appunto attuali
alle nuove esigenze nel tempo.
Ora, tale corrispondenza non
opera più, se il mutamento della situazione su cui incide il
provvedimento amministrativo era prevedibile già al momento
dell’adozione del provvedimento stesso.
La novella elimina,
pertanto, un segmento importante delle ipotesi tradizionalmente
intese come fondanti la revoca[7], cristallizzando la valutazione
discrezionale espressa dall’amministrazione al momento della
adozione del provvedimento anche per il futuro, con la conseguenza,
quindi, di annullare la possibilità di adeguamento dell’azione
amministrativa, qualora, come detto, le modifiche delle circostanze
di fatto siano prevedibili fin dal momento dell’adozione del primo
provvedimento.
In questo quadro, la posizione del privato appare
certamente rafforzata.
Il nuovo art. 21-quinquies lo
garantisce, infatti, dall’aleatorietà derivante dalla possibilità di
una successiva revoca.
Spetta quindi all’amministrazione farsi
carico di valutare adeguatamente la situazione contingente, anche in
una prospettiva futura.
C’è tuttavia da chiedersi se, con questa
nuova dimensione dei presupposti della revoca, accanto al
rafforzamento della tutela del privato, sia analogamente tutelato
l’interesse pubblico, dal momento che il suo soddisfacimento
dipenderà dalla circostanza che l’amministrazione adempia
correttamente o meno alla valutazione, rispetto al tempo futuro,
delle circostanze di fatto.
Parte delle considerazioni svolte
fino a ora vale anche per l’ulteriore modifica, apportata dalla l.n.
164/14, relativa al requisito comunemente definito come ius
poenitendi.
Si tratta, in questo caso, della seconda parte
del comma 1 dell’art. 21-quinquies, concernente la revoca per
nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La novella
apporta una rilevante modifica.
Rimane invariato l’arco delle
possibilità di rivalutazione dell’interesse originario, eccetto una
ipotesi specifica, eliminata dal catalogo dei presupposti della
revoca, concernente “provvedimenti di autorizzazione o di
attribuzione di vantaggi economici”.
Ai sensi del ‘nuovo’ art.
21-quinquies l’amministrazione è sempre abilitata a
rivalutare l’interesse pubblico originario. Si tratta di un caso di
rivalutazione da parte dell’amministrazione del medesimo interesse,
definibile come ius poenitendi. Esso va inteso come la
possibilità, assegnata alla sola amministrazione, di disporre un
nuovo assetto di interessi a fronte, non di circostanze di fatto
nuove o di motivi di interesse pubblico sopravvenuti, ma di una
rivalutazione del medesimo interesse pubblico originario.
Si
determina in questo caso l’ipotesi di maggiore ampiezza dei confini
del potere di revoca, essendo caratterizzata dal mero ripensamento
(o, appunto, pentimento) da parte dell’amministrazione rispetto alla
valutazione di un interesse pubblico non mutato e neppure
condizionato da sopravvenienze di nuovi interessi o di nuove
circostanze di fatto.
A tale ampiezza, il nuovo art.
21-quinquies introduce una eccezione, costituita
dall’impossibilità di procedere alla revoca di atti che siano di
portata ampliativa per il destinatario.
Segnatamente, la norma
riconduce a questo limite due tipologie di atti: i provvedimenti di
autorizzazione e quelli di attribuzione di vantaggi economici. Per i
primi, si ritiene che siano evocati quelli che, per definizione
classificatoria, sono definiti come atti con i quali
l’amministrazione rimuove in capo al destinatario i limiti posti
dall’ordinamento all’esercizio o all’esplicazione di una situazione
di vantaggio preesistente, intesa sia in termini di potere che di
diritto[8].
Circa l’altra tipologia, la norma sembra fare
riferimento ad atti sempre ampliativi, ma la cui portata sia
suscettibile di valutazione economica.
È quindi possibile
ritenere che siano esclusi dalla revoca per nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario tutti quegli atti con i quali
l’amministrazione abbia apportato una modifica in senso ampliativo –
sia economicamente rilevante che neutra – per i destinatari
dell’atto divenuto successivamente inidoneo rispetto al parametro
dell’interesse pubblico ma, non per questo, suscettibile di essere
revocato.
A differenza del primo caso analizzato, nel quale il
limite alla revocabilità è determinato dalla omessa valutazione
anticipatoria del successivo mutamento delle circostanze di fatto,
in questo secondo caso, il confine alla revocabilità sembra
coincidere con il divieto di esperire lo ius poenitendi,
ovvero con l’impossibilità per l’amministrazione, che abbia adottato
un atto attributivo di vantaggi, di revocarlo successivamente alla
luce del solo requisito della rivalutazione dell’interesse pubblico
originario.
Risulta evidente l’interesse del legislatore a
delimitare con maggiore chiarezza l’ambito di esercitabilità della
revoca, al fine di offrire più ampia tutela al privato e di rendere
l’atto, dal quale lo stesso riceva effetti ampliativi, inattaccabile
a fronte di una modifica di orientamento dell’amministrazione
procedente, determinata semplicemente da un diverso modo di valutare
e apprezzare, in epoca successiva, il medesimo interesse
originario.
3. L’annullamento d’ufficio.
Le
novità introdotte dalla l.n. 164/14 relative all’art. 21-nonies riguardano due profili: il primo attiene alla ammissibilità del
potere di annullamento in via amministrativa e, al pari delle
modifiche analizzate in tema di revoca, ne comporta una sostanziale
contrazione; il secondo riguarda la sfera della responsabilità
dell’amministrazione e dei suoi organi.
Anche per l’annullamento
d’ufficio[9] la modifica si rivela particolarmente significativa.
Essa introduce una stretta connessione tra la disciplina dettata
dallo stesso art. 21-nonies e quella di cui all’art.
21-octies, tanto che, in base alla nuova regola,
l’amministrazione può annullare un proprio atto illegittimo solo
nella misura in cui l’illegittimità non rientri tra quelle enunciate
dall’art. 21-octies comma 2.
Pertanto, così come il
provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o
sulla forma degli atti o per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento, nei particolari casi di cui al citato art.
21-octies, non è annullabile in sede giurisdizionale,
analogamente non è suscettibile di essere annullato in via di
autotutela.
Valgono al riguardo i contenuti che si attribuiscono
all’art. 21-octies come fondanti l’annullabilità e si
applicano anche all’annullamento in via amministrativa.
Non
appare, tuttavia, chiara l’utilità di questa modifica normativa,
quanto meno in questa prima lettura e in assenza, al momento, di
applicazioni pratiche.
La ratio dell’art. 21-octies è evidentemente quella di attuare una generale deflazione del
contenzioso, eliminando le ipotesi di annullamento per vizi formali
ai quali non faccia seguito una modifica sostanziale del
provvedimento[10].
Mentre appare evidente la finalità ricercata
con l’art. 21-octies, non sembra invece chiara quella che ha
indotto il legislatore a introdurre la recente modifica in sede di
conversione del d.l. Sblocca Italia.
Con il nuovo inciso,
introdotto dalla l.n. 164/2014 all’art. 21-nonies, si priva
l’amministrazione della possibilità di eliminare ab initio un
provvedimento assunto in modo illegittimo.
Tuttavia, l’analogia
posta dalla norma tra l’impossibilità che sia il destinatario
dell’atto a chiederne l’annullamento in sede giurisdizionale e
l’impossibilità per la stessa amministrazione di annullarlo in via
di autotutela, non pare deporre verso una concreta utilità, né
rispetto al generale interesse pubblico, né rispetto alla posizione
del singolo.
In definitiva, la possibilità che l’amministrazione
aveva – e che in forza del nuovo art. 21-nonies sembra non
avere più – di annullare un proprio atto viziato, sia pure per
profili formali non suscettibili di fondare una valida impugnazione
giurisdizionale, rispondeva comunque all’interesse pubblico alla
generale legittimità degli atti. Tant’è che la sua eliminazione, non
trovando alcun bilanciamento negli interessi del privato, né
nell’interesse generale a che siano adottati e preservati solo atti
legittimi, non sembra convincente[11].
Non appare, infine,
destinata ad apportare novità sostanziali l’introduzione del nuovo
periodo: “Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione
e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”, con il
quale è ribadito che l’esercizio illegittimo dell’azione
amministrativa comporta l’insorgenza di
responsabilità.
Analogamente al comportamento attivo, le
responsabilità possono sorgere anche nel caso di comportamento
omissivo. L’inciso riguarda, quindi, sia l’adozione che il mancato
annullamento di atti illegittimi.
Si devono pertanto ritenere
esclusi da responsabilità l’adozione e il mancato annullamento di
atti illegittimi non annullabili ai sensi dell’art.
21-octies, comma 2, in quanto la portata di quest’ultima
norma fa sì che tali atti non siano contra ius, con la
conseguenza che non possa aversi responsabilità per la loro
adozione o per il loro mancato annullamento.
4. La
convalida.
Minime considerazioni devono essere rivolte
anche al provvedimento di convalida, benché non direttamente
interessato dalla novella.
La portata innovativa introdotta dalla
l.n. 164/14 sull’art. 21-nonies, comma 1, sembra infatti
suscettibile di espandersi anche alla disciplina prevista dal comma
2, nella misura in cui si ritenga che l’esercizio del potere di
convalida sia strettamente connesso al potere di annullamento
d’ufficio, essendo annullamento e convalida tra loro
speculari.
L’eliminazione dei casi di cui all’art.
21-octies, comma 2, dal catalogo dei vizi che fondano
l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, sembra quindi
doversi applicare anche alla disciplina della convalida. Pertanto,
anche per l’esercizio della convalida, quanto meno a una
interpretazione letterale della norma, deve ritenersi estesa la
disciplina dell’art. 21-nonies[12].
5.
Conclusioni
La modifica normativa, nel suo insieme,
appare tesa a rafforzare la posizione del privato nei rapporti con
l’amministrazione, limitando rispetto al passato le ipotesi nelle
quali il provvedimento possa essere sottoposto ad autotutela.
È
vero che la novella delimita, restringendola, la casistica di
azionabilità dell’autotutela, riducendo le possibilità che il
privato sia esposto al “cambio di rotta” dell’amministrazione;
tuttavia, nello stesso tempo, il recente intervento pare limitare
anche la funzione a cui è, per definizione, finalizzata
l’autotutela: rendere l’attività discrezionale sempre adeguata
rispetto al canone del tempo e rispetto all’evolversi e al divenire
delle situazioni rilevanti.
Per avere contezza di ciò, sarà
necessario valutare come sarà declinata la ‘nuova’ disciplina alla
luce delle prime applicazioni pratiche.
Si potrà quindi
verificare se, con la modifica alla l. n. 241/90, si sia spostata
dal privato all’amministrazione l’aleatorietà connessa al mutare
degli eventi e al mutare della percezione, nel tempo, dell’interesse
pubblico originario.
Se quindi si possono avanzare, sia pure in
via del tutto preliminare, dubbi circa l’opportunità della modifica
operata in tema di sopravvenienza, i dubbi invece svaniscono a
fronte della riforma introdotta nel caso di revoca per ius
poenitendi. In questo secondo caso, l’attuale art.
21-quinquies garantisce al privato maggiore tutela rispetto
ai casi – non infrequenti – di mutamento nell’apprezzamento del
medesimo interesse espresso precedentemente
dall’amministrazione.
Più in generale, solo con l’applicazione
delle ‘nuove’ norme riguardanti l’autotutela sarà possibile sondare
la reale portata innovativa della l.n. 164/14 e verificare la
fondatezza o meno dei temi e delle incertezze qui sollevati in prima
lettura. Tuttavia, fin d’ora si può certamente affermare che
l’attualità dell’autotutela, quanto meno sul piano teorico, non è
certamente venuta meno.
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[1] Attuata con la legge 11 novembre 2014 n. 164.
[2] Tanto che l’attuale formulazione del comma 1 risulta essere: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero di
mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento
dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova
valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento
amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte
dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla
legge.”. L’articolo prosegue con gli ulteriori periodi,
non oggetto di modifica: “La revoca determina la inidoneità del
provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca
comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati,
l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro
indennizzo”.
[3] L’art. 21 nonies, comma 1, è
pertanto così formulato: “Il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies, esclusi i casi di cui al
medesimo articolo 21 octies, comma 2, può essere annullato
d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari
e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da
altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità
connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento
illegittimo”.
[4] Più in generale, nella relazione al
disegno di legge A.S. n. 1577/2014, è espresso il seguente
obiettivo: “Tale insieme di norme (…) è diretto a semplificare
l’organizzazione della pubblica amministrazione rendendo più agevoli
e trasparenti le regole che ne disciplinano i rapporti con il
privato cittadino, le imprese e i suoi dipendenti”. E ancora: “Gli
obiettivi perseguiti sono essenzialmente quello di innovare la
pubblica amministrazione attraverso la riorganizzazione
dell’amministrazione dello Stato, la riforma della dirigenza, la
definizione del perimetro pubblico, la conciliazione dei tempi di
vita e lavoro e la semplificazione delle norme e delle procedure
amministrative”.
[5] L’elaborazione sul tema è, come detto,
amplissima. Si richiamano, senza alcuna pretesa di completezza: R.
Alessi, La revoca degli atti amministrativi, Milano 19562; R.
Resta, La revoca degli atti amministrativi, Roma 19722; F.
Paparella, Revoca (dir. amm.), in Enc. dir., XL, 1989;
A. Contieri, Il riesame del provvedimento amministrativo,
Napoli 1991; E. Ferrari, Revoca nel diritto amministrativo,
in Dig. disc. pubbl.. XIII, 1997; M. Immordino, Revoca
degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino
1999; S. Vasta, Procedimenti di revisione, in V. Cerulli
Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione
amministrativa, Napoli 2006, 331 ss.; G. Manfredi, Revoca e
modelli di tutela dell’affidamento nei commi 1-bis e 1-ter dell’art.
21-quinquies della legge 241 del 1990, in GiustAmm.it, 2009; G. La Rosa, La revoca del provvedimento
amministrativo, Milano, 2013. Più in generale sull’autotutela,
F. Benvenuti, Autotutela (dir. amm.), in Enc. dir.,
IV, 1959, 537 ss. Per lavori più recenti, cfr. G. Ligugnana, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, Padova
2004; B.G. Mattarella, Il principio di legalità e l’autotutela
amministrativa, Relazione al 53° Convegno di Studi
amministrativi, Varenna 2007, in Astrid-online.it, 2007.
[6] Il capo IV-bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 è
stato introdotto con la legge 11 febbraio 2005 n. 15.
[7]
Considerata legittimante la revoca anche prima dell’entrata in
vigore del Capo IV bis della l.n. 241 del 1990.
[8] E.
Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2014, 320
ss; P. Gasparri, Autorizzazione (dir. amm), in Enc. dir., IV, 1959; F. Fracchia, Concessione amministrativa, in Enc. dir., Annali, 2007.
[9] Sull’annullamento d’ufficio,
v. F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio e la tutela del
cittadino, in Dir. amm., 5/2005, 843 ss.. Per il tema
generale dell’invalidità, v. G. Morbidelli, Invalidità e
irregolarità, in Annuario professori di diritto
amministrativo, Milano, 2002, 79 ss.
[10] Per la disciplina
dell’art. 21-octies e relativi commenti, v. F. Fracchia-M.
Occhiena, Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art.
21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non
deve, in GiustAmm.it, 2005; F. Gaffuri, Brevi
note sull’applicabilità dell’art. 21-octies della legge 241/1990 ai
provvedimenti di autotutela amministrativa, in Urb. app., 8-9/2014, 885 ss.; M. Mazzamuto, Della dequotazione dei vizi
«formali» alla dequotazione dei vizi «sostanziali», ovvero della
dequotazione tout court della tutela costitutiva, in GistAmm.it, 2015.
[11] Si segnala che il disegno di legge
A.S. n. 1577/2014 (il cui testo relativo alla revoca è confluito
integralmente nell’art. 21-quinquies), per quanto riguarda
l’annullamento d’ufficio prevedeva una ulteriore modifica, che non
ha trovato spazio nel testo della legge. All’art. 21-nonies,
comma 1, dopo le parole “entro un termine ragionevole”, il testo del
disegno di legge riporta l’inserimento di “, comunque non superiore
a due anni dal momento della produzione degli effetti per i
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi
economici”.
[12] Per la disciplina della convalida, si rinvia a
S. Vasta, Convalida e vizi sostanziali: un’ipotesi
ricostruttiva, in Dir. pubbl., 3/2014, 953 ss. e alla
bibliografia ivi citata.
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(pubblicato il
13.4.2015)
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