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STEFANIA VASTA

Prime riflessioni sulla «nuova» autotutela

 

 


 

 

Sommario: 1. Le modifiche alla legge 7 agosto 1990 n. 241; 2. Revoca; 3. Annullamento d’ufficio; 4. Convalida; 4. Conclusioni.


1. Le modifiche alla legge 7 agosto 1990 n. 241.

In sede di conversione[1] del decreto legge 12 settembre 2014 n. 133 (c.d. decreto Sblocca Italia), il parlamento ha introdotto alcune importanti modifiche alla legge generale sul procedimento amministrativo.
Le novità, delle quali qui interessa trattare, sono quelle che riguardano l’articolo 21-quinquies e l’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241.
Nell’articolo 21-quinquies recante la disciplina della revoca è stato inserito, al comma 1, il periodo “non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici,”[2].
Si vedrà come la modifica normativa incida sui presupposti che legittimano l’uso del potere discrezionale di revocare un precedente atto legittimo che, nel divenire della produzione dei suoi effetti, risulti successivamente inopportuno e inadeguato.
La legge di conversione n. 164 del 2014 modifica altresì l’art. 21 nonies, disciplinante l’annullamento d’ufficio, introducendo due novità: dopo le parole “dell’art. 21 octies” sono inserite le parole “, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2,” e, alla fine del primo comma, è aggiunto il seguente periodo: “Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”[3].
Anche per la disciplina dell’annullamento d’ufficio si rileva che la modifica introdotta dalla recente legge n. 164/14 influisce in particolare sui presupposti di esercitabilità del relativo potere.
Da ultimo, nonostante non venga interessato direttamente il comma 2 dell’art. 21-nonies, la novella si riverbera anche sul provvedimento di convalida, essendo ques’ultimo speculare all’annullamento d’ufficio e alla sua disciplina.
Nel suo complesso, la l. n. 164/14 di conversione del d.l. n. 133/14, risulta particolarmente e ampiamente innovativa dell’autotutela, modificandone la disciplina positiva relativa ai più rilevanti provvedimenti che la compongono e incidendo su aspetti qualificatori sostanziali, quali sono i presupposti di esercitabilità della autotutela stessa.
La ratio della modifica emerge chiaramente dalla lettura complessiva delle nuove disposizioni: rendere i privati, destinatari di provvedimenti amministrativi, meno esposti alla possibilità che l’amministrazione, successivamente all’adozione dell’atto, decida di rivalutarlo in autotutela.
Il dato era già manifesto nel disegno di legge A.S. n. 1577 del 2014 di riforma della pubblica amministrazione, la cui relazione di accompagnamento, in merito all’art. 5 dedicato all’autotutela, enuncia l’intento di “delimita(re), in maniera più marcata rispetto alla disciplina vigente, la possibilità di intervento da parte della pubblica amministrazione.”[4].
Appare quindi opportuno soffermarsi sulle novità di diritto positivo introdotte dalla recente legge e, all’esito, si proporranno alcune considerazioni, a “prima lettura”, sulla loro portata innovativa.


2. Revoca.

Il provvedimento di revoca costituisce, come noto, una delle maggiori espressioni di discrezionalità. Esso è attivabile a fronte di un generale ripensamento della scelta amministrativa cristallizzata in un precedente provvedimento che, a distanza di un determinato periodo di tempo, pur continuando a essere legittimo, ha perso i requisiti della opportunità e della adeguatezza.
L’elaborazione dottrinale sulla revoca è amplissima; ci si limita ad analizzare gli elementi di maggiore novità, rinviando alla copiosa letteratura[5] per la discussione dei temi più rilevanti, sia concernenti la revoca, come più in generale relativi a tutta la materia dell’autotutela c.d. decisoria.
Si intende quindi partire dagli esiti generalmente condivisi circa la ricostruzione della figura in discussione.
La revoca è comunemente intesa come atto che incide su altro, precedente, provvedimento caducandone, con portata ex nunc, l’efficacia.
Al momento in cui il legislatore ha previsto per la prima volta l’introduzione della disciplina della revoca come norma di diritto positivo[6], tale provvedimento aveva un diametro esteso e dilatato a ricomprendere, tra i presupposti di esercitabilità, sia una ampia nozione di sopravvenienza (ricomprendente motivi di interesse pubblico e circostanze di fatto), sia il cd. ius poenitendi.
A distanza di quasi dieci anni, il legislatore ha ritenuto di restringere le maglie della esercitabilità dell’autotutela e, in particolare, dell’uso da parte dell’amministrazione del potere di revoca, modificando la disciplina di entrambi i presupposti enunciati dalla prima stesura dell’art. 21-quinquies: la sopravvenienza e lo ius poenitendi.
Il primo elemento, qui definito per brevità con il termine omnicomprensivo di sopravvenienza, era declinato nella previgente versione dell’art. 21-quinquies in due ipotesi distinte: una inclusiva di “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, l’altra comprendente i casi di “mutamento della situazione di fatto”.
Il primo dei presupposti enunciati dalla norma è rimasto invariato, non essendo inciso dalla modifica apportata dalla l.n. 164/14, per cui deve ritenersi che l’amministrazione possa legittimamente revocare un proprio precedente atto tutte le volte in cui ricorrano, in un momento successivo alla adozione dell’atto stesso, motivi di pubblico interesse.
Il recente intervento normativo ha invece modificato l’altro presupposto ricompreso per tradizionale inquadramento descrittivo sotto la species delle sopravvenienze, quello, cioè, che riguarda il mutamento della situazione di fatto.
Rispetto a questo elemento, la norma ha fortemente limitato la portata di fatti e circostanze sopravvenuti come presupposto logico-giuridico della revoca.
Infatti, se prima doveva considerarsi ammissibile la revoca a fronte di mutamento delle situazioni di fatto tout court, ora essa è ammessa solo nel caso in cui tale mutamento non sia da considerarsi come prevedibile già al momento dell’adozione dell’atto da sottoporre a revisione.
Il legislatore ha quindi delimitato fortemente l’ambito di operatività per sopravvenute circostanze di fatto, escludendo il ricorso alla revoca nel caso in cui l’amministrazione avrebbe potuto – e quindi dovuto – prevedere l’avveramento di nuove, modificative, circostanze di fatto già al momento dell’adozione del primo provvedimento.
L’art. 21-quinquies impone, pertanto, all’amministrazione di svolgere una valutazione della situazione fattuale sulla quale l’atto incide, svolgendo, non solo un’analisi attuale, ma anche un apprezzamento prognostico.
La portata di questa modifica comporta, senza dubbio, effetti importanti sulla disciplina dell’azione amministrativa, perché implica per l’amministrazione, ove non svolga adeguatamente una valutazione prognostica delle circostanze di fatto rispetto a una dimensione temporale futura, l’impossibilità di eliminare successivamente l’efficacia del provvedimento, ancorché esso divenga in seguito inopportuno.
In atri termini, il nuovo articolo 21-quinquies spezza la linearità esistente tra la dimensione del divenire degli eventi e la dimensione del divenire dell’azione amministrativa: linearità, in virtù della quale l’amministrazione, a fronte di una modifica delle circostanze di fatto, era sempre autorizzata a rivedere i propri atti, rendendoli appunto attuali alle nuove esigenze nel tempo.
Ora, tale corrispondenza non opera più, se il mutamento della situazione su cui incide il provvedimento amministrativo era prevedibile già al momento dell’adozione del provvedimento stesso.
La novella elimina, pertanto, un segmento importante delle ipotesi tradizionalmente intese come fondanti la revoca[7], cristallizzando la valutazione discrezionale espressa dall’amministrazione al momento della adozione del provvedimento anche per il futuro, con la conseguenza, quindi, di annullare la possibilità di adeguamento dell’azione amministrativa, qualora, come detto, le modifiche delle circostanze di fatto siano prevedibili fin dal momento dell’adozione del primo provvedimento.
In questo quadro, la posizione del privato appare certamente rafforzata.
Il nuovo art. 21-quinquies lo garantisce, infatti, dall’aleatorietà derivante dalla possibilità di una successiva revoca.
Spetta quindi all’amministrazione farsi carico di valutare adeguatamente la situazione contingente, anche in una prospettiva futura.
C’è tuttavia da chiedersi se, con questa nuova dimensione dei presupposti della revoca, accanto al rafforzamento della tutela del privato, sia analogamente tutelato l’interesse pubblico, dal momento che il suo soddisfacimento dipenderà dalla circostanza che l’amministrazione adempia correttamente o meno alla valutazione, rispetto al tempo futuro, delle circostanze di fatto.
Parte delle considerazioni svolte fino a ora vale anche per l’ulteriore modifica, apportata dalla l.n. 164/14, relativa al requisito comunemente definito come ius poenitendi.
Si tratta, in questo caso, della seconda parte del comma 1 dell’art. 21-quinquies, concernente la revoca per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La novella apporta una rilevante modifica.
Rimane invariato l’arco delle possibilità di rivalutazione dell’interesse originario, eccetto una ipotesi specifica, eliminata dal catalogo dei presupposti della revoca, concernente “provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.
Ai sensi del ‘nuovo’ art. 21-quinquies l’amministrazione è sempre abilitata a rivalutare l’interesse pubblico originario. Si tratta di un caso di rivalutazione da parte dell’amministrazione del medesimo interesse, definibile come ius poenitendi. Esso va inteso come la possibilità, assegnata alla sola amministrazione, di disporre un nuovo assetto di interessi a fronte, non di circostanze di fatto nuove o di motivi di interesse pubblico sopravvenuti, ma di una rivalutazione del medesimo interesse pubblico originario.
Si determina in questo caso l’ipotesi di maggiore ampiezza dei confini del potere di revoca, essendo caratterizzata dal mero ripensamento (o, appunto, pentimento) da parte dell’amministrazione rispetto alla valutazione di un interesse pubblico non mutato e neppure condizionato da sopravvenienze di nuovi interessi o di nuove circostanze di fatto.
A tale ampiezza, il nuovo art. 21-quinquies introduce una eccezione, costituita dall’impossibilità di procedere alla revoca di atti che siano di portata ampliativa per il destinatario.
Segnatamente, la norma riconduce a questo limite due tipologie di atti: i provvedimenti di autorizzazione e quelli di attribuzione di vantaggi economici. Per i primi, si ritiene che siano evocati quelli che, per definizione classificatoria, sono definiti come atti con i quali l’amministrazione rimuove in capo al destinatario i limiti posti dall’ordinamento all’esercizio o all’esplicazione di una situazione di vantaggio preesistente, intesa sia in termini di potere che di diritto[8].
Circa l’altra tipologia, la norma sembra fare riferimento ad atti sempre ampliativi, ma la cui portata sia suscettibile di valutazione economica.
È quindi possibile ritenere che siano esclusi dalla revoca per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario tutti quegli atti con i quali l’amministrazione abbia apportato una modifica in senso ampliativo – sia economicamente rilevante che neutra – per i destinatari dell’atto divenuto successivamente inidoneo rispetto al parametro dell’interesse pubblico ma, non per questo, suscettibile di essere revocato.
A differenza del primo caso analizzato, nel quale il limite alla revocabilità è determinato dalla omessa valutazione anticipatoria del successivo mutamento delle circostanze di fatto, in questo secondo caso, il confine alla revocabilità sembra coincidere con il divieto di esperire lo ius poenitendi, ovvero con l’impossibilità per l’amministrazione, che abbia adottato un atto attributivo di vantaggi, di revocarlo successivamente alla luce del solo requisito della rivalutazione dell’interesse pubblico originario.
Risulta evidente l’interesse del legislatore a delimitare con maggiore chiarezza l’ambito di esercitabilità della revoca, al fine di offrire più ampia tutela al privato e di rendere l’atto, dal quale lo stesso riceva effetti ampliativi, inattaccabile a fronte di una modifica di orientamento dell’amministrazione procedente, determinata semplicemente da un diverso modo di valutare e apprezzare, in epoca successiva, il medesimo interesse originario.


3. L’annullamento d’ufficio.

Le novità introdotte dalla l.n. 164/14 relative all’art. 21-nonies riguardano due profili: il primo attiene alla ammissibilità del potere di annullamento in via amministrativa e, al pari delle modifiche analizzate in tema di revoca, ne comporta una sostanziale contrazione; il secondo riguarda la sfera della responsabilità dell’amministrazione e dei suoi organi.
Anche per l’annullamento d’ufficio[9] la modifica si rivela particolarmente significativa.
Essa introduce una stretta connessione tra la disciplina dettata dallo stesso art. 21-nonies e quella di cui all’art. 21-octies, tanto che, in base alla nuova regola, l’amministrazione può annullare un proprio atto illegittimo solo nella misura in cui l’illegittimità non rientri tra quelle enunciate dall’art. 21-octies comma 2.
Pertanto, così come il provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti o per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, nei particolari casi di cui al citato art. 21-octies, non è annullabile in sede giurisdizionale, analogamente non è suscettibile di essere annullato in via di autotutela.
Valgono al riguardo i contenuti che si attribuiscono all’art. 21-octies come fondanti l’annullabilità e si applicano anche all’annullamento in via amministrativa.
Non appare, tuttavia, chiara l’utilità di questa modifica normativa, quanto meno in questa prima lettura e in assenza, al momento, di applicazioni pratiche.
La ratio dell’art. 21-octies è evidentemente quella di attuare una generale deflazione del contenzioso, eliminando le ipotesi di annullamento per vizi formali ai quali non faccia seguito una modifica sostanziale del provvedimento[10].
Mentre appare evidente la finalità ricercata con l’art. 21-octies, non sembra invece chiara quella che ha indotto il legislatore a introdurre la recente modifica in sede di conversione del d.l. Sblocca Italia.
Con il nuovo inciso, introdotto dalla l.n. 164/2014 all’art. 21-nonies, si priva l’amministrazione della possibilità di eliminare ab initio un provvedimento assunto in modo illegittimo.
Tuttavia, l’analogia posta dalla norma tra l’impossibilità che sia il destinatario dell’atto a chiederne l’annullamento in sede giurisdizionale e l’impossibilità per la stessa amministrazione di annullarlo in via di autotutela, non pare deporre verso una concreta utilità, né rispetto al generale interesse pubblico, né rispetto alla posizione del singolo.
In definitiva, la possibilità che l’amministrazione aveva – e che in forza del nuovo art. 21-nonies sembra non avere più – di annullare un proprio atto viziato, sia pure per profili formali non suscettibili di fondare una valida impugnazione giurisdizionale, rispondeva comunque all’interesse pubblico alla generale legittimità degli atti. Tant’è che la sua eliminazione, non trovando alcun bilanciamento negli interessi del privato, né nell’interesse generale a che siano adottati e preservati solo atti legittimi, non sembra convincente[11].
Non appare, infine, destinata ad apportare novità sostanziali l’introduzione del nuovo periodo: “Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”, con il quale è ribadito che l’esercizio illegittimo dell’azione amministrativa comporta l’insorgenza di responsabilità.
Analogamente al comportamento attivo, le responsabilità possono sorgere anche nel caso di comportamento omissivo. L’inciso riguarda, quindi, sia l’adozione che il mancato annullamento di atti illegittimi.
Si devono pertanto ritenere esclusi da responsabilità l’adozione e il mancato annullamento di atti illegittimi non annullabili ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, in quanto la portata di quest’ultima norma fa sì che tali atti non siano contra ius, con la conseguenza che non possa aversi responsabilità per la loro adozione o per il loro mancato annullamento.


4. La convalida.

Minime considerazioni devono essere rivolte anche al provvedimento di convalida, benché non direttamente interessato dalla novella.
La portata innovativa introdotta dalla l.n. 164/14 sull’art. 21-nonies, comma 1, sembra infatti suscettibile di espandersi anche alla disciplina prevista dal comma 2, nella misura in cui si ritenga che l’esercizio del potere di convalida sia strettamente connesso al potere di annullamento d’ufficio, essendo annullamento e convalida tra loro speculari.
L’eliminazione dei casi di cui all’art. 21-octies, comma 2, dal catalogo dei vizi che fondano l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, sembra quindi doversi applicare anche alla disciplina della convalida. Pertanto, anche per l’esercizio della convalida, quanto meno a una interpretazione letterale della norma, deve ritenersi estesa la disciplina dell’art. 21-nonies[12].


5. Conclusioni

La modifica normativa, nel suo insieme, appare tesa a rafforzare la posizione del privato nei rapporti con l’amministrazione, limitando rispetto al passato le ipotesi nelle quali il provvedimento possa essere sottoposto ad autotutela.
È vero che la novella delimita, restringendola, la casistica di azionabilità dell’autotutela, riducendo le possibilità che il privato sia esposto al “cambio di rotta” dell’amministrazione; tuttavia, nello stesso tempo, il recente intervento pare limitare anche la funzione a cui è, per definizione, finalizzata l’autotutela: rendere l’attività discrezionale sempre adeguata rispetto al canone del tempo e rispetto all’evolversi e al divenire delle situazioni rilevanti.
Per avere contezza di ciò, sarà necessario valutare come sarà declinata la ‘nuova’ disciplina alla luce delle prime applicazioni pratiche.
Si potrà quindi verificare se, con la modifica alla l. n. 241/90, si sia spostata dal privato all’amministrazione l’aleatorietà connessa al mutare degli eventi e al mutare della percezione, nel tempo, dell’interesse pubblico originario.
Se quindi si possono avanzare, sia pure in via del tutto preliminare, dubbi circa l’opportunità della modifica operata in tema di sopravvenienza, i dubbi invece svaniscono a fronte della riforma introdotta nel caso di revoca per ius poenitendi. In questo secondo caso, l’attuale art. 21-quinquies garantisce al privato maggiore tutela rispetto ai casi – non infrequenti – di mutamento nell’apprezzamento del medesimo interesse espresso precedentemente dall’amministrazione.
Più in generale, solo con l’applicazione delle ‘nuove’ norme riguardanti l’autotutela sarà possibile sondare la reale portata innovativa della l.n. 164/14 e verificare la fondatezza o meno dei temi e delle incertezze qui sollevati in prima lettura. Tuttavia, fin d’ora si può certamente affermare che l’attualità dell’autotutela, quanto meno sul piano teorico, non è certamente venuta meno.

 

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[1] Attuata con la legge 11 novembre 2014 n. 164.
[2] Tanto che l’attuale formulazione del comma 1 risulta essere: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.”. L’articolo prosegue con gli ulteriori periodi, non oggetto di modifica: “La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo”.
[3] L’art. 21 nonies, comma 1, è pertanto così formulato: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21 octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.
[4] Più in generale, nella relazione al disegno di legge A.S. n. 1577/2014, è espresso il seguente obiettivo: “Tale insieme di norme (…) è diretto a semplificare l’organizzazione della pubblica amministrazione rendendo più agevoli e trasparenti le regole che ne disciplinano i rapporti con il privato cittadino, le imprese e i suoi dipendenti”. E ancora: “Gli obiettivi perseguiti sono essenzialmente quello di innovare la pubblica amministrazione attraverso la riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato, la riforma della dirigenza, la definizione del perimetro pubblico, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro e la semplificazione delle norme e delle procedure amministrative”.
[5] L’elaborazione sul tema è, come detto, amplissima. Si richiamano, senza alcuna pretesa di completezza: R. Alessi, La revoca degli atti amministrativi, Milano 19562; R. Resta, La revoca degli atti amministrativi, Roma 19722; F. Paparella, Revoca (dir. amm.), in Enc. dir., XL, 1989; A. Contieri, Il riesame del provvedimento amministrativo, Napoli 1991; E. Ferrari, Revoca nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl.. XIII, 1997; M. Immordino, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino 1999; S. Vasta, Procedimenti di revisione, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli 2006, 331 ss.; G. Manfredi, Revoca e modelli di tutela dell’affidamento nei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 21-quinquies della legge 241 del 1990, in GiustAmm.it, 2009; G. La Rosa, La revoca del provvedimento amministrativo, Milano, 2013. Più in generale sull’autotutela, F. Benvenuti, Autotutela (dir. amm.), in Enc. dir., IV, 1959, 537 ss. Per lavori più recenti, cfr. G. Ligugnana, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, Padova 2004; B.G. Mattarella, Il principio di legalità e l’autotutela amministrativa, Relazione al 53° Convegno di Studi amministrativi, Varenna 2007, in Astrid-online.it, 2007.
[6] Il capo IV-bis della legge 7 agosto 1990 n. 241 è stato introdotto con la legge 11 febbraio 2005 n. 15.
[7] Considerata legittimante la revoca anche prima dell’entrata in vigore del Capo IV bis della l.n. 241 del 1990.
[8] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2014, 320 ss; P. Gasparri, Autorizzazione (dir. amm), in Enc. dir., IV, 1959; F. Fracchia, Concessione amministrativa, in Enc. dir., Annali, 2007.
[9] Sull’annullamento d’ufficio, v. F. Trimarchi Banfi, L’annullamento d’ufficio e la tutela del cittadino, in Dir. amm., 5/2005, 843 ss.. Per il tema generale dell’invalidità, v. G. Morbidelli, Invalidità e irregolarità, in Annuario professori di diritto amministrativo, Milano, 2002, 79 ss.
[10] Per la disciplina dell’art. 21-octies e relativi commenti, v. F. Fracchia-M. Occhiena, Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve, in GiustAmm.it, 2005; F. Gaffuri, Brevi note sull’applicabilità dell’art. 21-octies della legge 241/1990 ai provvedimenti di autotutela amministrativa, in Urb. app., 8-9/2014, 885 ss.; M. Mazzamuto, Della dequotazione dei vizi «formali» alla dequotazione dei vizi «sostanziali», ovvero della dequotazione tout court della tutela costitutiva, in GistAmm.it, 2015.
[11] Si segnala che il disegno di legge A.S. n. 1577/2014 (il cui testo relativo alla revoca è confluito integralmente nell’art. 21-quinquies), per quanto riguarda l’annullamento d’ufficio prevedeva una ulteriore modifica, che non ha trovato spazio nel testo della legge. All’art. 21-nonies, comma 1, dopo le parole “entro un termine ragionevole”, il testo del disegno di legge riporta l’inserimento di “, comunque non superiore a due anni dal momento della produzione degli effetti per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.
[12] Per la disciplina della convalida, si rinvia a S. Vasta, Convalida e vizi sostanziali: un’ipotesi ricostruttiva, in Dir. pubbl., 3/2014, 953 ss. e alla bibliografia ivi citata.

 

(pubblicato il 13.4.2015)

 

 

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