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n. 4-2015 - © copyright |
FEDERICO BACCOLINI
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Prospettive della riorganizzazione
dei servizi pubblici locali nelle recenti disposizioni di legge
Sommario: 1. La nozione di servizio
pubblico locale ed i riflessi sul tema trattato; 2. (segue):
i servizi di interesse economico generale; 3. (segue):
i servizi pubblici locali di rilevanza economica: convergenza sul
punto tra diritto interno e diritto comunitario; 4. Rilievo assorbente della legislazione statale nella
disciplina dei servizi pubblici locali; 5. La
(possibile) liberalizzazione dei servizi pubblici locali e le
potestà degli enti locali di riferimento; 6. La novità
rappresentata dalla riorganizzazione generale per ambiti
territoriali ottimali in tutti i casi di servizi a rete di rilevanza
economica; 7. Le società partecipate nella legge di
stabilità 2015; 8. (segue): Le società quotate in mercati
regolamentati a partecipazione pubblica locale: i meccanismi
incentivali.
1. La nozione di servizio pubblico locale
ed i riflessi sul tema trattato
Alcune recenti
disposizioni dedicate ai servizi pubblici locali, contenute nel
decreto c.d. “Sblocca Italia” (d.l. 12 settembre 2014, n. 133) e
nella legge di stabilità per il 2015 (l. 23 dicembre 2014, n. 190)
suggeriscono una riflessione sulla attuale disciplina in materia e
sulle prospettive della sua attuazione sul piano
dell’effettività.
Ci si trova, infatti, di fronte ad una
disciplina che è il risultato di numerosi e ripetuti interventi del
legislatore, che si registrano in particolare dall’anno 2001 a
questi giorni[1].
Per cogliere esattamente il significato di tali
numerosi e ripetuti interventi del legislatore, è necessario
procedere ad un preliminare inquadramento della
materia.
All’interno della categoria dei servizi pubblici locali
rientrano tutte quelle attività volte alla produzione di beni e
servizi che risultano essere espressione di una dimensione locale
sia dal punto di vista dell’affidamento e della gestione, sia dal
punto di vista del tipo di interessi che essi mirano a soddisfare.
La materia è sempre stata caratterizzata da una
vivace produzione legislativa sia di carattere generale sia di tipo
settoriale che, sul piano dell’affidamento del servizio, più volte
ha espresso un maggiore favore del legislatore verso una gestione
“pubblica” dei servizi pubblici locali e, in altre occasioni, ha
preferito aprire le porte del settore all’intervento di soggetti
privati. Tale apertura, realizzata mediante il ricorso allo schema
della concessione di servizi già prima dell’entrata in vigore della
Costituzione del 1948, trova nella Carta costituzionale nonché nel
recepimento delle fondamentali libertà comunitarie circolazione dei
capitali, dei beni e dei servizi nuovo ed ulteriore
impulso.
“Per «servizio pubblico» si intende qualsiasi
attività che si concretizzi nella produzione di beni o servizi in
funzione di un’utilità per la comunità locale, non solo in termini
economici ma anche in termini di promozione sociale, purché risponda
ad esigenze di utilità generale ad essa destinata in quanto
preordinata a soddisfare interessi collettivi”: così si esprime
il Consiglio di Stato[2] quando è chiamato ad affermare il nucleo
concettuale della nozione di servizio pubblico. Fin da questa prima
definizione giurisprudenziale di servizio pubblico è possibile
individuare due elementi caratteristici: da un lato infatti
l’attività di servizio pubblico non si esplica solamente nella
prestazione di servizi ma abbraccia anche la produzione di beni;
dall’altro, il soddisfacimento di interessi della collettività,
siano essi economici o sociali, è l’imprescindibile scopo al quale
deve essere volta l’attività di servizio pubblico.
Per quanto
concerne in specifico la figura del servizio pubblico locale, l’art.
112 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, fornisce una definizione
legislativa dell’istituto che ricomprende al proprio interno tutte
quelle attività che “abbiano per oggetto [la] produzione
di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere
lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”[3]. Risulta evidente la somiglianza con la più generale figura di
servizio pubblico, dalla quale la definizione di servizio pubblico
locale differisce esclusivamente per l’ambito territoriale che deve
essere considerato al fine di individuare le necessità e gli
interessi collettivi che devono essere perseguiti nell’erogazione
delle prestazioni di servizio[4].
È ben evidente in materia
l’influenza del diritto comunitario; una nozione così ampia
dell’attività di servizio pubblico, nonché di servizio pubblico
locale, trova infatti diretto riscontro nei Trattati comunitari: in
particolare l’art. 57 Tfue (ex art. 50 Tue) ricomprende nella
nozione di servizio qualsiasi prestazione fornita dietro
corrispettivo, includendo espressamente tutte quelle attività avente
carattere industriale, artigiano e commerciale il cui oggetto tipico
è costituito appunto dalla produzione di beni[5].
2.
(segue): i servizi di interesse economico generale.
Si
registra poi una classificazione dei servizi pubblici sulla base del
tipo di interesse sotteso. A questi fini, assume rilievo l’aspetto
economico del servizio reso, da intendersi non tanto come onerosità
richiesta agli utenti per la fruizione del servizio, quanto
piuttosto come importanza economica che tale servizio assume per
l’intera collettività. Accanto, dunque, a quei servizi che, per la
loro intrinseca natura e per le relative caratteristiche
dell’attività entro la quale si concretizzano, sono connotati di una
particolare importanza economica, si affiancano quelli sprovvisti di
tale carattere.
A riguardo, il diritto comunitario individua la
categoria dei servizi di interesse generale alla quale si affianca
quella dei servizi di interesse economico generale (S.I.E.G.)[6]: se
all’interno della prima rientrano tutte le attività di servizio,
commerciali o non commerciali, chiamate a soddisfare esigenze di
interesse generale e pertanto soggette ad obblighi specifici di
servizio, la seconda ricomprende quelle attività commerciali che
assolvono missioni di interesse generale. Pertanto, i S.I.E.G.
possono essere visti come un sottoinsieme della più ampia figura dei
servizi di interesse generale ed il tratto distintivo rispetto a
questi ultimi consiste nella “commercialità” dell’attività di
servizio prestata e non in un diverso tipo di interesse collettivo
perseguito.
Nonostante l’esplicito richiamo operato dal Tfue,
all’interno dello stesso non esiste una definizione normativa di
servizio di interesse economico generale: è quindi solo grazie
all’attività interpretativa della Corte di Giustizia che è possibile
comprendere il significato e l’estensione di tale categoria di
servizi. La Corte, infatti, giunge ad una definizione di servizio di
interesse economico generale che comprende tutti quei servizi
destinati a soddisfare un interesse essenziale per la collettività,
prestati a chiunque ne faccia richiesta a prezzi ragionevoli ed
uniformi, nulla rilevando l’effettiva redditività di ogni singola
prestazione[7]; ciò che invece risulta essere di primaria importanza
è l’equilibrio economico del servizio. Pertanto, rientrano nella
figura dei servizi di interesse economico generale tutti quei
servizi offerti, in vista del soddisfacimento di un interesse
collettivo, attraverso un metodo di gestione che tenga conto della
necessità di giungere quantomeno ad una situazione generale di
equilibrio tra ricavi e costi sostenuti per erogare il servizio[8].
È proprio sulla base dell’elemento della commercialità, da
intendersi come imprenditorialità nel rendere un servizio, che si
giustifica l’applicazione di una disciplina differente tra le due
tipologie di servizi – di interesse economico generale e di
interesse generale - in questione: solo ai servizi di interesse
economico generale infatti si applica, l’art. 106 Tfue che sottopone
le imprese che gestiscono tali servizi alle norme dei Trattati ed in
particolare a quelle relative alla tutela della concorrenza, con
l’unico limite della compatibilità della disciplina concorrenziale
con le missioni di servizio pubblico ad esse affidate. Inoltre, in
virtù dell’importanza riconosciuta ai servizi di interesse economico
generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione è affidato
all’Unione e agli Stati membri il compito di assicurare il
funzionamento dei suddetti servizi sulla base di principi e
condizioni che permettano loro di perseguire concretamente ed
efficacemente i relativi interessi collettivi[9].
3.
(segue): i servizi pubblici locali di rilevanza economica:
convergenza sul punto tra diritto interno e diritto
comunitario.
Sempre con riferimento al particolare genere
di interesse perseguito nell’erogazione dei servizi pubblici, il
legislatore italiano individua la categoria dei servizi pubblici
locali a rilevanza economica, distinguendola da quella dei servizi
che risultano essere privi di tale caratteristica[10].
L’istituto della rilevanza economica è stato
introdotto dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269 per sostituire il
precedente concetto di rilevanza industriale[11], con lo scopo di
recepire le direttive comunitarie volte all’omogeneizzazione del
diritto degli Stati membri in tema di servizi pubblici.
Giunti a
questo punto si potrebbe pensare che non sussista una piena
coincidenza tra la figura dei S.I.E.G. e quella dei servizi di
rilevanza economica, stante la diversa terminologia lessicale
utilizzata dal legislatore italiano rispetto a quello comunitario.
L’attenzione del diritto comunitario infatti è incentrata sulle
imprese che erogano tali servizi, nell’ambito della più ampia ottica
di tutela della concorrenza: è l’ingresso e la permanenza sul
mercato delle imprese eroganti il servizio che viene considerato dal
legislatore comunitario come caratteristica legittimante per
l’applicazione della disciplina relativa alla tutela della
concorrenza.
Ciò nonostante, l’affinità tra il concetto di
rilevanza economica e quello (di derivazione comunitaria) di
interesse economico generale è immediata. Possono essere definiti
servizi aventi rilevanza economica tutti quei servizi che vengono
prestati seguendo uno schema organizzativo e gestionale che
consenta, quantomeno astrattamente, la copertura dei costi sostenuti
per la fornitura del servizio attraverso i ricavi generati dalla
“vendita” dello stesso. Entrambe le nozioni sono incentrate
sull’economicità che deve contraddistinguere il momento della
gestione e quindi dell’erogazione dei servizi pubblici; se per la
figura di interesse economico generale la Corte di Giustizia e la
Commissione europea hanno più volte ribadito che il significato da
attribuire a tale espressione è intrinsecamente legato al concetto
di imprenditorialità, allo stesso modo sussistono numerosi
indicatori che rivelano la stretta connessione intercorrente tra
rilevanza economica ed impresa.
Infatti, la definizione di
servizi pubblici locali di rilevanza economica si può desumere
indirettamente dalla lettera dell’art. 2082 c.c. che definisce
l’imprenditore come colui che esercita “un’attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi”. Emerge immediatamente la stretta correlazione
intercorrente tra la nozione di imprenditore – e, conseguentemente
quella di impresa- e l’economicità della attività nella quale si
sostanzia l’attività imprenditoriale, per cui si può logicamente
giungere alla conclusione che il concetto di rilevanza economica non
risulta essere altro che un sinonimo di “interesse economico
generale”[12].
4. Rilievo assorbente della legislazione
statale nella disciplina dei servizi pubblici
locali.
L’individuazione del quadro normativo entro il
quale considerare i servizi pubblici locali non può che partire
dall’analisi dell’art. 2, comma 1 e 2, del R.D. 15 ottobre 1925, n.
2578, il quale esplicita le facoltà concesse agli enti locali –
individuati in Comuni e Province – nell’adottare il modello
dell’assunzione diretta come schema di gestione dei servizi pubblici
locali[13]. Più nello specifico, dopo aver fornito all’art. 1
un’ampia elencazione dei servizi i cui impianti ed esercizi diretti
risultino essere di competenza di Comuni e Province, il regio
decreto prosegue introducendo un duplice metodo di gestione del
servizio, imperniato sulla importanza che i servizi pubblici locali
rivestono nella vita della comunità locale nella quale vengono
erogati: per i servizi caratterizzati da una tenue importanza è
prevista la possibilità di gestione in economia mentre, per quei
servizi che per la loro intrinseca natura, rivestono un ruolo
primario per l’ente locale erogatore è individuato come obbligatorio
il modello gestionale della costituzione della c.d. azienda
speciale.
L’elemento distintivo per la scelta del modello di
gestione è dunque costituito dall’importanza del servizio pubblico
per l’ente locale, da intendersi non solo come importanza “sociale”
del servizio ma anche, e soprattutto, come rilevanza economica e
finanziaria dello stesso[14].
È infine fondamentale sottolineare
come nell’architettura prevista dal regio decreto summenzionato
l’individuazione dei servizi pubblici locali sia effettivamente
legata ad un dimensione territoriale locale, sia dal punto di vista
normativo – dal momento che i regolamenti che reggono le aziende
speciali sono predisposti ed emanati dagli enti locali a cui le
aziende afferiscono – sia dal punto di vista della gestione e
dell’erogazione.
Con l’entrata in vigore della Costituzione e la
successiva effettiva operatività delle Regioni, l’assetto
istituzionale, entro il quale la disciplina dei servizi pubblici
locali si muove, muta radicalmente: le Regioni assumono
progressivamente un ruolo centrale nella definizione della
legislazione relativa ai servizi pubblici locali, fino a giungere
alla riforma del Titolo V della Costituzione che cristallizza
definitivamente i nuovi rapporti tra Stato, Regioni ed enti
locali[15].
La legge 8 giugno 1990, n. 142, recante norme per
l’ordinamento degli enti locali, segna l’inizio del lungo percorso
di riforma che interessa ancora oggi i servizi pubblici locali: in
essa, all’art. 22 vengono individuate le specifiche forme di
gestione che sono concesse ai Comuni ed alle Province per
l’erogazione dei servizi pubblici di loro competenza[16].
La
definitiva apertura, dal punto di vista della gestione dei servizi
pubblici locali, a logiche di mercato ed imprenditoriali avviene con
la l. 15 maggio 1997, n. 127, la quale all’art. 17, comma 51,
prevede la possibilità per i Comuni e per gli altri enti locali di «trasformare le aziende speciali costituite ai sensi
dell'articolo 22, comma 3, lettera c), della legge 8
giugno 1990, n. 142, in società per azioni, di cui possono restare
azionisti unici per un periodo comunque non superiore a due anni
dalla trasformazione. Il capitale iniziale di tali società è
determinato dalla deliberazione di trasformazione in misura non
inferiore al fondo di dotazione delle aziende speciali risultante
dall'ultimo bilancio di esercizio approvato e comunque in misura non
inferiore all'importo minimo richiesto per la costituzione delle
società medesime. L'eventuale residuo del patrimonio netto conferito
è imputato a riserve e fondi, mantenendo ove possibile le
denominazioni e le destinazioni previste nel bilancio delle aziende
originarie. Le società conservano tutti i diritti e gli obblighi
anteriori alla trasformazione e subentrano pertanto in tutti i
rapporti attivi e passivi delle aziende originarie»[17];
A
tale disciplina è succeduta quella prevista dalla formulazione
originaria dell’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nel quale si
stabiliva che « I servizi pubblici locali sono gestiti nelle
seguenti forme:
a) in economia, quando per le modeste dimensioni
o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire
una istituzione o una azienda;
b) in concessione a terzi, quando
sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità
sociale;
c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di
più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;
d) a mezzo
di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza
imprenditoriale;
e) a mezzo di società per azioni o a
responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale
costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio,
qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito
territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici
o privati;
f) a mezzo di società per azioni senza il vincolo
della proprietà pubblica maggioritaria a norma dell'art.
116».
È con l’art. 35 della l. 28 dicembre 2001, n. 448 –
legge finanziaria 2002 – che si introduce una differenziazione dei
metodi di gestione del servizio basata sulla rilevanza industriale
del servizio stesso[18]. L’art. 35, comma 5, prevedeva che «l'erogazione del servizio, da svolgere in regime di concorrenza,
avviene secondo le discipline di settore, con conferimento della
titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso
l'espletamento di gare con procedure ad evidenza
pubblica».
Da un siffatto quadro normativo emerge
prepotentemente la non piena coincidenza del diritto italiano con i
principi comunitari di tutela della concorrenza e del libero mercato
pertanto, anche a seguito di una procedura di infrazione avanzata
dalla Commissione europea nel 2002, il legislatore italiano è
intervenuto nuovamente con il decreto legge n. 269/2003 che ha
sancito la piena e completa equiparazione dei diversi modelli di
gestione dei servizi pubblici locali nonché l’obbligatorio
“rispetto della normativa dell’Unione
europea”[19].
Infatti, a seguito della citata novella
legislativa, il nuovo art. 113, comma 5, Tuel, così recitava: «L'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di
settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con
conferimento della titolarità del servizio:
a) a società di
capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure
ad evidenza pubblica;
b) a società a capitale misto pubblico
privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso
l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che
abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie
in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate
dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari
specifiche;
c) a società a capitale interamente pubblico a
condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale
sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più
importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che
la controllano».
Confrontando questa formulazione con il
precedente testo del medesimo art. 113 si nota immediatamente che lo
Stato ha nettamente circoscritto il novero dei modelli di gestione
utilizzabili, anche per effetto della necessità di rispettare i
principi comunitari, ed ha molto accentuato le forme concorrenziali
di organizzazione dei servizi pubblici locali.
La norma è stata
poi abrogata, per essere sostituita da altre disposizioni ancor più
orientate alla concorrenza (art. 23-bis, d.l. 25 giugno 2008, n.112;
art. 4, d.l. 13 agosto 2011, n. 138), a loro volta caducate per
vicende referendarie[20]. Oggi la tipologia delle società
utilizzabili dagli enti locali per i servizi pubblici locali
corrisponde alle forme ammesse dal diritto comunitario e coincide
con quelle già indicate nel riportato art. 113, comma 5, Tuel, nel
testo pro tempore vigente.
5. La (possibile)
liberalizzazione dei servizi pubblici locali e le potestà degli enti
locali di riferimento.
Il successivo passo effettuato dal
legislatore all’interno del processo di riforma dei servizi pubblici
locali, mediante l’emanazione del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, così
come convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133, è di interesse sotto un
duplice punto di vista: da un lato infatti si giunge ad affermare la
natura derogatoria dell’affidamento diretto rispetto alle procedure
di affidamento mediante gara[21]; dall’altro una siffatta
impostazione apre la breccia per una sempre più ampia concorrenza ed
apertura del mercato, limitando il ricorso alla forma in
house per la gestione dei servizi.
In particolare, il sopra
citato d.l. 112/2008, all’art. 23-bis prevedeva come forma di
conferimento ordinaria della gestione il ricorso ad imprenditori e
società, fermo restando l’osservanza di procedure di scelta del
soggetto gestore competitive e ad evidenza pubblica[22].
In
questa prospettiva si percepisce immediatamente la volontà del
legislatore di costruire un sistema di gestione dei servizi pubblici
locali incentrato sulla liberalizzazione della gestione, individuato
come strumento per addivenire ad una piena tutela della concorrenza.
Di conseguenza, veniva ridimensionato profondamente il ruolo
dell’affidamento del servizio a società di capitali a totale
partecipazione pubblica – c.d. in house providing[23] - al punto che ai sensi del comma 3 dell’art. 23-bis tale modalità
di affidamento aveva assunto un carattere di eccezione rispetto alla
regola del conferimento dei suddetti servizi ad imprenditori o a
società in qualunque forma costituite[24].
L’art. 23-bis del d.l.
112/2008 è stato poi oggetto del referendum popolare tenutosi nel
giugno 2011, all’esito del quale si è proceduto all’abrogazione
della disposizione citata[25]; il vuoto normativo generato è stato
colmato con l’emanazione del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 dove,
all’art. 4, è introdotta una disciplina relativa alla gestione dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica in larga parte
corrispondente a quella appena abrogata – con conseguente censura di
illegittimità costituzionale per violazione del “divieto di
ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare
desumibile dall’articolo 75 della Costituzione”[26] – ai sensi
della quale: «Gli enti locali, nel rispetto dei principi di
concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei
servizi, verificano la realizzabilità di una gestione concorrenziale
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di seguito
"servizi pubblici locali", liberalizzando tutte le attività
economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e
accessibilità del servizio e limitando, negli altri casi,
l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base
ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata
non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni
della comunità. All'esito della verifica l'ente adotta una delibera
quadro che illustra l'istruttoria compiuta ed evidenzia, per i
settori sottratti alla liberalizzazione, i fallimenti del sistema
concorrenziale e, viceversa, i benefici per la stabilizzazione, lo
sviluppo e l’equità all'interno della comunità locale derivanti dal
mantenimento di un regime di esclusiva del servizio».
Il
legislatore prevedeva pertanto una disciplina pressoché totalmente
coincidente con quella contenuta nell’abrogato art. 23-bis, d.l.
112/2008, caratterizzata da un’elevata specificità con riferimento
al momento di scelta del modello gestorio dei servizi pubblici:
nessuno spazio di manovra veniva lasciato agli enti locali che si
vedevano obbligati a ricorrere all’esternalizzazione della gestione
– liberalizzando tutte le attività economiche.
Per quanto
concerne, infine, l’affidamento in house la normativa
risultava ancor più restrittiva di quella prevista dal d.l.
112/2008: si introduceva una soglia economica di valore del servizio
relativamente modesta (900.000,00 euro annui) al superamento della
quale il ricorso al modello in house era vietato.
Si noti,
dunque, come l’art. 4 del d.l. 138/2011 individuasse obblighi più
stringenti di quelli previsti dal diritto comunitario sia
relativamente alla necessità di ricorrere a soggetti privati nella
gestione dei servizi, sia in riferimento ai requisiti richiesti per
potersi avvalere del modello di gestione in house.
Pur
perseguendo l’obiettivo di una piena ed effettiva tutela della
concorrenza, la giurisprudenza comunitaria non arrivava ad affermare
una preferenza per la gestione privatizzata dei servizi; anzi, in
più occasioni la Corte di Giustizia dell’Unione europea era giunta a
riconoscere una totale equiparazione delle forme di gestione[27],
lasciando all’ente locale la possibilità di scelta, tra le forme di
gestione possibili, di quella più adeguata al caso
concreto.
Anche in relazione all’affidamento in house la
Corte non imponeva alcun limite al di sopra del quale l’affidamento
ad una società a totale partecipazione pubblica non fosse
ammissibile, essa si limitava a richiedere una partecipazione
interamente pubblica della società, un controllo dell’ente locale
analogo a quello esercitato sui propri servizi e che l’attività
della società fosse realizzata in maggioranza con l’ente (o gli
enti) controllanti[28].
Da tutto ciò traspaiono l’esigenza e la
volontà di riconoscere a livello statale i principi comunitari in
materia di servizi pubblici locali. Conseguentemente si assiste, sul
piano normativo, ad una ridefinizione degli assetti di competenza
che svuota, da un lato, l’importanza degli enti locali alla
discrezionalità dei quali rimangono il momento della scelta del
modello di gestione e una potestà organizzativa in riferimento alla
strutturazione dell’erogazione del servizio; dall’altro lato,
acquisiscono maggiore peso e spessore le istituzioni regionali,
statali e comunitarie nonché altri soggetti – quali, ad esempio, le
Autorità nazionali – che concretamente non risultano essere titolari
di un rapporto di connessione con le comunità locali tale per cui si
potrebbero definire come diretti portatori degli interessi delle
comunità locali entro le quali i servizi pubblici locali vengono
prestati. Risulta pertanto fuorviante, perlomeno sotto l’aspetto
normativo, continuare a considerare tali servizi come servizi
pubblici locali.
L’art. 4 del summenzionato decreto legge
prescrive, dunque, come regola di carattere generale, la
liberalizzazione di tutte le attività economiche nelle quali si
sostanziano i servizi pubblici locali[29], relegando, al contempo,
l’attribuzione di diritti di esclusiva nella gestione dei servizi ai
soli casi in cui l’iniziativa economica privata non risulti essere
idonea a prestare un servizio adeguato alle esigenze della
collettività[30].
Spetta all’ente titolare del potere di
assegnazione del servizio stabilire, sulla base di un’analisi di
mercato, i singoli settori da sottrarre alla libera iniziativa
privata; tale attività istruttoria risulta di primaria importanza
anche alla luce dell’espressa previsione di motivazione della
delibera con la quale l’ente esclude attribuire diritti di esclusiva
per uno specifico servizio pubblico locale[31]. Anche in questa
evenienza, il conferimento della gestione dei servizi pubblici
locali avviene mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica[32].
Da ciò si evince come la disciplina contenuta nel
d.l. 138/2011 voglia continuare il processo di apertura del settore
dei servizi pubblici locali all’iniziativa privata e, in tale
ottica, il ricorso all’autoproduzione dei servizi da parte della
pubblica amministrazione assume conseguentemente un ruolo marginale,
tanto da arrivare ad essere considerato una deroga rispetto alla
regola generale dell’esternalizzazione[33].
6. La
novità rappresentata dalla riorganizzazione generale per ambiti
territoriali ottimali in tutti i casi di servizi a rete di rilevanza
economica
Le più recenti riforme intervenute in materia
sono da individuare nel d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. decreto
“Sblocca Italia”), così come convertito dalla l. 11 novembre 2014,
n. 164, recante "Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese,
la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attività' produttive" e nella
l. 23 dicembre 2014, n. 190 (c.d. “legge di stabilità per l’anno
2015”).
Il d.l. 133/2014, in materia di servizi pubblici locali,
contiene disposizioni di natura settoriale relative, principalmente,
al servizio idrico integrato tese a velocizzare il processo di
aggregazione sul piano gestionale del suddetto servizio. Tutto ruota
attorno all’individuazione – di competenza regionale – degli enti di
governo dell’ambito entro il termine perentorio del 31 dicembre 2014
e alla conseguente partecipazione obbligatoria degli enti locali
agli stessi.
Agli enti di governo dell’ambito sono devolute
tutte le competenze in precedenza spettanti agli enti locali in
materia di gestione del servizio: è in tale prospettiva che deve
essere letta l’obbligatorietà della partecipazione degli enti locali
stessi all’organismo di governo dell’ambito[34]. La ratio di questa
aggregazione – sia decisionale sia gestionale – è da individuare nel
principio dell’unicità di gestione che caratterizza il Servizio
Idrico Integrato; sulla base di tale istituto la gestione del
servizio viene, di regola, affidata ad unico soggetto scelto
attraverso procedure ad evidenza pubblica. Solo nel caso in cui
l’ambito territoriale ottimale coincida con l’intero territorio
regionale è prevista la possibilità di organizzare la gestione del
servizio su ambiti territoriali più circoscritti, ma comunque non
inferiori al territorio provinciale o della città metropolitana[35];
sono invece mantenute le gestioni autonome dei servizi idrici
integrati dei Comuni montani con popolazione inferiore ai 1000
abitanti.
Le due ipotesi da ultime considerate sono connotate di
un carattere di eccezionalità rispetto alla regola della gestione
unica ed aggregata del servizio all’interno dell’ambito
territoriale.
Per quel che concerne invece la l. 190/2014, essa
si inserisce all’interno del dettato normativo dell’art. 3-bis del
d.l. 138/2011, a sua volta introdotto dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1
(“Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitività”) così come convertito in l. 24
marzo 2012, n. 27.
Nella formulazione vigente sino all’entrata in
vigore della legge di stabilità 2015, l’art. 3-bis del summenzionato
decreto-legge si limitava a prevedere l’organizzazione dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica[36] sulla base di
ambiti o bacini territoriali ottimali individuati dalle Regioni – o
dalle Province Autonome di Trento e Bolzano – e di norma non
inferiori alla dimensione del territorio provinciale[37].
L’importanza dell’osservanza della procedura di affidamento dei
servizi ad evidenza pubblica era accentuata dal fatto che essa
costituiva il parametro sul quale valutare la virtuosità dei
soggetti competenti ad assegnare il servizio.
La l. 190/2014
introduce disposizioni similari a quelle contenute nel decreto-legge
c.d. “Sblocca Italia”: in particolare, tutte le funzioni di
organizzazione, di scelta della forma di gestione, di affidamento
della gestione e del relativo controllo, oltre che la determinazione
delle tariffe, sono attribuite agli enti di governo dei bacini o
degli ambiti; allo stesso tempo è ribadito l’obbligo per tutti gli
enti locali territorialmente ricompresi negli ambiti (o nei bacini)
di partecipazione ai suddetti enti di governo[38].
Si individua
così un meccanismo di aggregazione decisionale tale per cui le
deliberazioni sulle materie di competenza dell’ente di governo
vincolano automaticamente tutti gli enti pubblici
partecipanti.
Si afferma, dunque, un sistema di gestione dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica imperniato
sulla figura dell’aggregazione da intendersi sia da un punto di
vista decisionale sia da un punto di vista gestionale. Le differenze
rispetto ai precedenti tentativi di aggregazione o, più
correttamente, di gestione associata del servizi pubblici locali a
rilevanza economica sono evidenti. In passato[39] si prevedeva, per
quei servizi la cui disciplina settoriale lo ammettesse, una
gestione associata sulla base di ambiti territoriali sovracomunali;
tuttavia, sotto l’aspetto decisionale si lasciava ai Comuni con
popolazione inferiore a 5000 abitanti la possibilità di stipulare
singoli contratti di servizio con il soggetto gestore del servizio.
Si deve osservare che l’art. 1, comma 609, lett. b) della citata
legge n. 190/2014 ha introdotto un nuovo comma 2-bis all’art. 3-bis
del d.l. 138/2011 che così recita: «l'operatore economico
succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale,
a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure
trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, fermo restando il
rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente, prosegue
nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste. In tale
ipotesi, anche su istanza motivata del gestore, il soggetto
competente accerta la persistenza dei criteri qualitativi e la
permanenza delle condizioni di equilibrio economico-finanziario al
fine di procedere, ove necessario, alla loro rideterminazione, anche
tramite l'aggiornamento del termine di scadenza di tutte o di alcune
delle concessioni in essere, previa verifica ai sensi dell'articolo
143, comma 8, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163, e successive modificazioni, effettuata dall'Autorità
di regolazione competente, ove istituita, da effettuare anche con
riferimento al programma degli interventi definito a livello di
ambito territoriale ottimale sulla base della normativa e della
regolazione di settore». Si tratta di una norma che incentiva le
aggregazioni societarie, anche quelle eterogenee, in quanto
l’aggregazione non solo non avrà ripercussioni negative
sull’affidamento in corso ma potrà comportare anche un prolungamento
della durata degli affidamenti al fine di assicurare l’equilibrio
economico-finanziario del rapporto concessorio.
Se invece la
norma dovesse essere interpretata come relativa solamente ad
aggregazioni omogenee (tra due o più società in house; tra
due o più società miste con socio privato scelto con gara a doppio
oggetto; tra due o più società che hanno ottenuto le concessioni di
servizi previa gara; tra due o più società quotate in borsa), allora
la disposizione sarebbe inutile e pleonastica perché le fattispecie
troverebbero già soluzione applicativa nelle disposizioni di cui
all’art. 2504-bis, comma 1, cod. civ. («La società che risulta
dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli
obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in
tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla
fusione»).
Il livello di aggregazione perseguito e
perseguibile in seguito all’entrata in vigore della l. 190/2015,
invece, è molto più elevato: accanto alla gestione aggregata dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica – prospettata
sia in legislazioni di carattere generale sia in discipline
settoriali[40] - si giunge ad una vera e propria aggregazione
decisionale, ottenuta attraverso l’introduzione dell’obbligatorietà
della partecipazione agli enti di governo d’ambito nonché mediante
la contestuale attribuzione a questi ultimi di tutte le funzioni –
organizzative e gestionali – in precedenza attribuite agli enti
locali.
I suddetti interventi normativi, inseriti all’interno di
un percorso di riforma volto a razionalizzare la spesa pubblica e a
garantire l’erogazione di servizi sempre più elevati dal punto di
vista della qualità, dell’efficacia e dell’efficienza, impongono
un’attenta riflessione sulla figura stessa di servizio pubblico
locale.
L’istituto nasce ancorato alla base territoriale locale
entro la quale il servizio pubblico viene prestato e lo stesso
legislatore lo lega fortemente agli enti pubblici – Comuni e
Province[41] - in quanto espressivi delle esigenze e degli interessi
della società “locale” destinataria del servizio; tuttavia,
prevedere meccanismi di aggregazione – decisionale e gestionale -
obbligatori imperniati sulle figure degli ambiti territoriali
ottimali e dei relativi enti di governo, materialmente costituiti
dall’unione di più territori comunali che possono addirittura
coincidere, a certe condizioni, con il territorio di una intera
Regione[42], portano a chiedersi fino a che punto si possa ancora
oggi parlare di servizio pubblico locale.
7. Le
società partecipate nella legge di stabilità 2015.
Nel
più recente periodo, le società partecipate sono state interessate
da un disegno di razionalizzazione introdotto dalla l. 24 dicembre
2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) la quale, all’art. 3, comma
27, prevedeva per gli enti locali il divieto di costituzione o di
mantenimento di partecipazione in società aventi ad oggetto attività
di beni o servizi non strettamente attinenti alle proprie finalità
istituzionali nei seguenti termini: «Al fine di tutelare la
concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono
costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni
e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle
proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente
partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E' sempre
ammessa la costituzione di società che producono servizi di
interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di
centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza
scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui
all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163, e l'assunzione di partecipazioni in tali
società da parte delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma
2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,n. 165, nell'ambito dei
rispettivi livelli di competenza».
Fermo restando l’obbligo
di cessione delle summenzionate partecipazioni societarie, l’art. 1,
comma 611, l. 23 dicembre 2014, n.190, statuisce che «al fine di
assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento
della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la
tutela della concorrenza e del mercato, le regioni, le province
autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali, le camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli
istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità
portuali, a decorrere dal 1º gennaio 2015, avviano un processo di
razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie
direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la
riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015, anche tenendo
conto dei seguenti criteri:
a) eliminazione delle società e
delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento
delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in
liquidazione o cessione;
b) soppressione delle società che
risultino composte da soli amministratori o da un numero di
amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c)
eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono
attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società
partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante
operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;
d)
aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza
economica;
e) contenimento dei costi di funzionamento, anche
mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo
e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle
relative remunerazioni».
Allo stesso tempo, il compito di
predisporre un piano di individuazione delle partecipazioni
azionarie da razionalizzare, nonché i modi ed i tempi di attuazione
dello stesso, è affidato agli organi di vertice delle
amministrazioni titolari delle partecipazioni[43].
La ratio
ispiratrice di questo piano di riorganizzazione delle società
partecipate dalle amministrazioni pubbliche, da attuare non solo
mediante la soppressione delle partecipazioni non utili agli scopi
istituzionali ma anche attraverso l’aggregazione delle società che
gestiscono i servizi pubblici locali di rilevanza economica[44], è
riscontrabile sempre nella necessità di tutelare la concorrenza: è
per tale motivo che, pur in assenza di un esplicita previsione
legislativa, anche per le procedure di alienazione previste dal
comma 611 dell’art. 1, l.190/2014, si dovranno applicare le
procedure ad evidenza pubblica.
8. (segue): Le società
quotate in mercati regolamentati a partecipazione pubblica locale: i
meccanismi incentivali.
Come è stato possibile osservare,
i numerosi interventi normativi che si sono succeduti negli ultimi
anni sono sempre stati caratterizzati dalla volontà di adeguare la
normativa legislativa italiana ai principi comunitari di tutela
della concorrenza. La stessa disciplina comunitaria della
concorrenza applicabile alle imprese si inserisce all’interno della
più generale e fondamentale tutela della libertà di circolazione dei
beni e dei servizi[45].
Procedendo nell’analisi degli interventi
di riforma afferenti i servizi pubblici locali e concentrandosi su
quelli riguardanti le società partecipate da enti locali quotate in
mercati regolamentati, emerge immediatamente la duplice importanza
rivestita da tale categoria: le partecipate quotate, infatti, oltre
a perseguire un adeguato livello di tutela della concorrenza,
vengono in considerazione anche sotto il punto di vista della libera
circolazione dei capitali.
Esse sottostanno ad un controllo
quotidiano effettuato dal mercato che si sostanzia nell’andamento
del titolo in borsa, i cui risultati sono ancorati a valutazioni
delle attività delle società stesse sulla base di criteri di
efficienza, qualità ed efficacia: un controllo più ampio e
penetrante di quello riguardante le società partecipate non quotate,
dal quale poter ricavare benefici sia per i cittadini destinatari
dei servizi, sia per le amministrazioni pubbliche.
Con ciò si
spiega l’introduzione di meccanismi premiali o di discipline
derogatorie più favorevoli rispetto a quelle dettate per le società
partecipate da enti pubblici non presenti in mercati
regolamentati.
Un primo esempio del favore del legislatore per
questo particolare tipo di società, si rinviene nel testo dell’art.
35, comma 11, della l. 448/2001 per il quale: «limitatamente al
caso di società per azioni quotate in borsa e di società per azioni
i cui enti locali soci abbiano già deliberato al 1º gennaio 2002 di
avviare il procedimento di quotazione in borsa, da concludere entro
il 31 dicembre 2003, di cui, alla data di entrata in vigore della
presente legge, gli enti locali detengano la maggioranza del
capitale, è consentita la piena applicazione delle disposizioni di
cui al comma 12 dell’articolo 113 [secondo il quale l’ente
locale può cedere in tutto o in parte la propria partecipazione
nelle società erogatrici di servizi. Tale cessione non comporta
effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in
essere] del citato testo unico». Se infatti, al fine di
conformare la legislazione italiana agli obblighi derivanti dal
diritto comunitario, l’art. 35, l. 448/2001, modificando l’art.113
Tuel, introduceva le procedure ad evidenza pubblica per
l’affidamento dei servizi a rilevanza economica e
corrispondentemente prevedeva la cessazione anticipata delle
concessioni in essere[46], nel caso in cui gli enti locali avessero
ceduto la propria partecipazione – o parte di essa – in società
quotate, gli affidamenti delle suddette società sarebbero proseguiti
sino alla loro naturale scadenza.
Il ricorso a meccanismi
premiali relativi alle società quotate partecipate dagli enti locali
è stato poi riconfermato dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179[47],
convertito in l. 17 dicembre 2012, n. 221. L’art. 34, comma 15, del
summenzionato decreto-legge infatti per gli affidamenti diretti alle
società partecipate quotate in borsa (prima del 1 ottobre 2003)
stabiliva come data di scadenza del rapporto quella risultante dal
contratto di servizio che la disciplinava e, nel caso in cui non
fosse stata individuata una data certa, essi sarebbero cessati il 31
dicembre 2020.
Infine, la disciplina sopra richiamata, pur
risultando estranea a logiche di concorrenza nella libera
prestazione di servizi, non risulta essere in contrasto con il
diritto europeo per tre ordini di ragioni: in primo luogo, a ben
vedere, la previsione di un meccanismo premiale che consenta la
prosecuzione delle concessioni in essere altro non è che la
concretizzazione nell’ordinamento italiano del principio - di
matrice comunitaria - di salvaguardia del rapporti concessori[48];
in secondo luogo, la deroga all’esperimento di procedure ad evidenza
pubblica nell’affidamento di servizi pubblici locali riguarda
esclusivamente le concessioni già in essere, pertanto una nuova
concessione di servizio pubblico non potrà che essere disciplinata
attraverso gli ordinari metodi di affidamento dei servizi pubblici
locali. In ultima analisi mediante la quotazione in mercati
regolamentati delle società in oggetto, aumenta l’apertura del
settore al capitale privato: sottoponendo l’operato delle società ad
una valutazione di mercato che si riflette nell’andamento del titolo
azionario, si accentua la contendibilità stessa della governance societaria, affiancando così, alla tutela della
concorrenza, l’ulteriore tutela della libera circolazione dei
capitali.
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[1] Cfr. i commenti introduttivi e la raccolta di
tali interventi normativi in D.Masetti, Rassegna delle norme in
materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica e di
società con partecipazione degli enti locali, 2013, in www.giustamm.it.
[2] Cons. Stat., Sez. V, 9 maggio 2001,
n. 2605 in www.giustizia-amministrativa.it; per
l’individuazione della nozione di servizio pubblico si richiamano
anche, ex multis, Cons. Stat., Sez. VI, 5 aprile 2012, n. 2021 in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stat., Sez. V, 20
dicembre 2013, n. 6131 in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R.
Lombardia, Sez. III, 20 dicembre 2012, n. 1757 in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Sardegna, sez. I, 30
gennaio 2014, n. 80 in www.giustizia-amministrativa.it; Cass. Pen.,
Sez. VI, 16 ottobre 2013, n. 45908 in www.foroitaliano.it (la
validità della nozione di servizio pubblico fornita dal giudice
penale, si ricorda, è da riferirsi ai soli effetti della legge
penale).
[3] La definizione di servizio pubblico locale
contenuta nell’art. 112 del T.U.E.L. riprende la precedente
definizione fornita dall’art. 22 della l. 8 giugno 1990, n. 142.
[4] Per l’individuazione della nozione di servizio pubblico
locale v., in particolare, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 1 settembre
2014, n. 9264 in www.giustizia-amministrativa.it; Cons.
Stato, sez. VI, 22 novembre 2013, n. 5532 in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. V, 23
marzo 2004, n. 1547 in www.giustizia-amministrativa.it; in
dottrina, la nozione è efficacemente illustrata nei contributi
raccolti in R. Villalta (a cura di), La riforma dei servizi
pubblici locali, 2011, Torino.
[5] Anche il diritto derivato
dell’Unione europea richiama espressamente l’art. 57 del Tfue; v.,
ad esempio, dir. 2006/123/CE, relativa alla libera circolazione dei
servizi nel mercato comunitario.
[6] Accanto a questa
bipartizione, il diritto comunitario affianca un’ulteriore figura:
il c.d. servizio universale. In esso sono ricompresi quei servizi
che rispondono ad esigenze di interesse generale caratterizzati
dalla particolarità di garantire a tutti e dappertutto, quantomeno
in linea teorica, l’accesso a determinate prestazioni ritenute
essenziali nonché un elevato standard qualitativo a prezzi
ragionevoli.
[7] Ex multis, v. Corte Giust. U.E., 19
maggio 1993, C-320/91 in www.curia.europa.eu. La Corte ha
intenzionalmente preferito giungere ad una definizione che fosse
flessibile e mutevole al fine di permettere un rapido adeguamento
della stessa all’evolversi degli interessi collettivi e delle
esigenze della società.
[8] Per il concetto di imprenditorialità
cfr. L.E.Fiorani, Società “Pubbliche” e fallimento, in Giur. Comm., 2012, fasc. 4, p. 532.
[9] Questo è quanto
emerge da una lettura combinata dell’art. 14 Tfue con il Protocollo
n. 26 (Sui servizi di interesse generale) introdotto come allegato
dal Trattato di Lisbona. Il Protocollo contribuisce a meglio
definire i limiti entro i quali i servizi di interesse economico
generale vengono prestati: in particolare è ribadita l’ampia
discrezionalità concessa alle autorità nazionali, regionali e locali
nel fornire, commissionare ed organizzare i servizi di interesse
economico generale che siano il più possibile vicini e
corrispondenti alle esigenze degli utenti, assicurando, al tempo
stesso, un alto livello di qualità, sicurezza ed accessibilità
economica nonché la parità di trattamento e la promozione
dell’accesso universale ai servizi.
[10] V. D.lgs. 18 agosto
2000, n. 267 (“Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali”), artt. 113 e 113-bis. In riferimento a quest’ultimo
articolo si ricorda come la Corte Costituzionale ne abbia dichiarato
l’illegittimità costituzionale: cfr. Corte Cost., 27 luglio 2004, in www.cortecostituzionale.it.
[11] Le modifiche, apportate
dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003, interessano l’art. 113 del d.lgs.
18 agosto 2000, n. 267 nel quale ogni precedente riferimento alla
rilevanza industriale è stato sostituito dal concetto di rilevanza
economica. Per la definizione di rilevanza industriale, v., ex
multis, Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n.21555 in www.giustizia-amministrativa.it.
[12]Cfr. Corte Cost., 17
novembre 2010, n. 325 in www.cortecostituzionale.it. In tale
sede la Corte giunge a riconoscere il “contenuto omologo” delle
nozioni di servizi pubblici locali di rilevanza economica e di
servizio di interesse economico generale limitato all’ambito locale,
riconoscendo la derivazione comunitaria della prima. La Corte
afferma inoltre che entrambe le nozioni si riferiscono ad un
servizio reso mediante un’attività economica intesa in senso ampio
che sia volto a soddisfare interri “sociali” di un’indifferenziata
generalità di cittadini.
[13] L’art. 2, r.d. 2578/1925 così
recita: “Ciascuno dei servizi assunti direttamente deve, salvo
ciò che è disposto dall'articolo 15, costituire un'azienda speciale,
distinta dall'amministrazione ordinaria del comune, con bilanci e
conti separati, e regolata dalle disposizioni del presente testo
unico.
Quando però si tratti di servizi di non grande
importanza o di tal natura da potersi riunire convenientemente,
potrà essere costituita una azienda sola che provveda a più servizi,
tenendo contabilità separate.”
[14] Un’interpretazione ampia
della nozione di “importanza” che arrivi a ricomprendere non
solo l’aspetto sociale del servizio ma anche quello
economico-finanziario è supportata da una lettura sistematica del
R.D. 2578/1925. La previsione dell’azienda speciale come metodo per
l’erogazione dei servizi nonché la predisposizione di un sistema di
cassa e contabilità separato per questa rispetto a quello dell’ente
locale evidenziano come l’aspetto finanziario dell’erogazione del
servizio sia di primaria importanza.
[15] Per quanto concerne i
rapporti tra Stato e Regioni i materia di servizi pubblici locali
cfr. Corte Cost., 27 luglio 2004, n. 272, in www.cortecostituzionale.it. Nello specifico la Corte
legittima l’intervento statale in materia nella misura in cui esso
si sostanzi nell’introduzione di una disciplina che possa “essere
agevolmente ricondotta nell'ambito della materia “tutela della
concorrenza”, riservata dall'art. 117, secondo comma, lettera e),
della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato” (da intendersi in maniera dinamica: v. Corte Cost., 13
gennaio 2004, n. 14, in www.cortecostituzionale.it).
[16]
Le forme di gestione originariamente previste dall’art. 22 erano
individuate nella gestione in economia, nella concessione a terzi,
nell’azienda speciale, nelle istituzioni e nelle società per azioni
o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale
costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio.
[17] I commi 52-59 dell’art. 17, l. 127/1997, dettano ulteriori
disposizioni relative alla procedura di trasformazione delle
municipalizzate in società di capitali prevedendo in particolare, al
comma 57, che “la deliberazione di cui al comma 51 potrà anche
prevedere la scissione dell'azienda speciale e la destinazione a
società di nuova costituzione di un ramo aziendale di questa. Si
applicano, in tal caso, per quanto compatibili, le disposizioni di
cui ai commi da 51 a 56 e da 60 a 61 del presente articolo nonché
agli articoli 2504-septies e 2504-decies del codice civile”.
[18] Il concetto di rilevanza industriale è stato poi sostituito
con l’istituto della rilevanza economica dall’art. 14 del d.l.
269/2003.
[19] Art. 14, d.l. 30 settembre 2003, n. 269 recante
“Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici”.
[20] Il quadro evolutivo
della normativa sul punto si ricava da D.Masetti, Rassegna delle
norme in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica e
di società con partecipazione degli enti locali, 2013, in www.giustamm.it.
[21]La normativa in oggetto, che detta
regole più restrittive rispetto a quanto richiesto dal diritto
comunitario per l’affidamento in house, ha ricevuto l’avvallo
della Corte Costituzionale: v. Corte Cost. 17 novembre 2010, n. 325
in www.cortecostituzionale.it. Sui requisiti richiesti dal
diritto comunitario in tema di in house providing: cfr. Corte
di Giustizia 6 aprile 2006, C- 410/04 in www.curia.europa.eu.
[22] L’art. 23-bis, introdotto in fase di conversione del d.l.
112/2008, così come modificato dal d.l. 25 settembre 2009, n. 135,
convertito in l. 20 novembre 2009, n. 166, così disponeva, al comma
2: “il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali
avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in
qualunque forma costituite individuati mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del
Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali
relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di
economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo
riconoscimento, proporzionalità”.
[23] Per la definizione di in house providing: v. CG, 18 novembre 1999, C-107/1998,
Teckal c. Comune di Viano in www.curia.europa.eu; - CG, 11
gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle in www.curia.europa.eu; -
CG, 10 novembre 2005, C-20/04, Modling in www.curia.europa.eu;; - CG, 11 maggio 2006, C-340-04, Carbotermo
in www.curia.europa.eu; - CG, 13 ottobre 2005, C-458/03,
Parking Brixen in www.curia.europa.eu; - CG, 19 aprile 2007,
C-295/05, Asemfo in www.curia.europa.eu; - CG, 13 novembre
2008, C-324/07, Coditel Brabant in www.curia.europa.eu;; -
CG, 10 settembre 2009, C-573/07, Sea Srl in www.curia.europa.eu; - CG, 29 novembre 2012, C-182/11 e
C-183/11, Econord SpA in www.curia.europa.eu.
[24]Cfr.
art. 23-bis, d.l. 112/2008:” In deroga alle modalità di
affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa
di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può
avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria.
Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare
adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un'analisi
del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente
gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della
concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del
settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili
di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della
predetta relazione”.
[25] D.P.R. 113, 18 luglio 2011.
[26] V. Corte Cost. 20 luglio 2012, n. 199 in www.cortecostituzionale.it.
[27] V., ad esempio, Corte
Giust. CE, 6 aprile 2006, C-410/04, in www.giustamm.it.
[28] In seguito all’abrogazione dell’art. 4 del d.l. 138/2011 ad
opera della Corte Costituzionale (Corte Cost, 20 luglio 2012, n.
199, in www.cortecostituzionale.it) sembra ristabilita una
tendenziale equiordinazione delle forme di gestione (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2013, in
www.dirittodeiservizipubblici.it; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I,
11 aprile 2013, n. 1925, in www.giustizia-amministrativa.it;
[29] A tal proposito, si ricorda che il comma 33-ter dell’art. 4
del d.l. 138/2011 demandava ad un decreto del Ministro degli affari
regionali, il turismo e lo sport il compito di definire i criteri
per la verifica di liberalizzabilità. Tale regolamento ministeriale,
pur essendo stato predisposto e pur essendoci stato un parere
favorevole del Cons. Stato, sez. consultiva, 11 giugno 2012, n.
2805, non fu mai emanato giacché intervenne la citata sentenza della
Corte Costituzionale n. 199/2012 che dichiarava incostituzionale
l’intero art. 4 del d.l. 138/2011.
[30] Per garantire la qualità
delle prestazioni offerte dai privati, l’art. 4, comma 5, d.l.
138/2011 prevede la possibilità di definire in via preliminare una
serie di obblighi di servizio e la relativa compensazione economica
da attribuire alle imprese esercenti i servizi stessi.
[31]
Sull’importanza della fase istruttoria e della motivazione del
momento della scelta del modello di gestioni: v. Cons. Stato, sez.
II, 11 febbraio 2013, n. 762 in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. V, 8
febbraio 2011, n. 754 in www.giustizia-amministrativa.it;
Cons. St., sez. VI, 12 marzo 1990, n. 374 in Foro it., 1991, III,
p. 270; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 12 dicembre 2014, n.
3005 in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Liguria,
Genova, sez. II, 1 febbraio 2012, n. 225 in www.giustizia-amministrativa.it.
[32] L’individuazione
delle caratteristiche della procedura ad evidenza pubblica è
ricavabile dall’opera interpretativa della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, secondo la quale non vi è necessità di
confronto concorrenziale competitivo tra i diversi partecipanti
attraverso il ricorso ad una gara ma è sufficiente il rispetto del
principio di non discriminazione garantendo adeguata pubblicità e
trasparenza alla procedura. Cfr., ex multis, Corte Giust. U.E., sez.
I 7 dicembre 2000, C-324/98 in www.curia.europa.eu; Corte
Giust. U.E., sez. IV,13 settembre 2007, C-260/04 in www.curia.europa.eu.
[33] La Corte Costituzionale,
chiamata a pronunciarsi circa la legittimità costituzionale di tale
normativa, ha ravvisato nell’art. 4 un tentativo volto a
reintrodurre principi normativi analoghi a quelli abrogati a seguito
del Referendum del 2011 e, quindi, ha abrogato il suddetto articolo
per violazione del “divieto di ripristino della normativa
abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’articolo 75 della
Costituzione”. Cfr. Corte Cost., 20 luglio 2012, n. 199 in www.cortecostituzionale.it.
[34] L’obbligatorietà della
partecipazione agli enti di governo dell’ambito è assistita dalla
attribuzione, in capo al Presidente della Regione territorialmente
competente, del potere di sostituirsi, previa diffida ad adempiere,
agli enti locali nel esplicitare la propria partecipazione all’ente
di governo. Cfr. art. 147, comma 1-bis, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152
così come modificato dall’art. 7, comma 1, d.l. 13 settembre 2014,
n. 133.
[35] Sul punto è intervenuta la l. 7 aprile 2014, n. 56
recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni di comuni.
[36] In riferimento alla
categoria dei servizi a rete di rilevanza economica cfr., tra gli
altri, E. Ferrari, I servizi a rete in Europa, Milano, 2000.
[37] L’individuazione di bacini di ampiezza diversa da quella
del territorio provinciale è ammessa ma deve essere supportata da
una motivazione basata su criteri di differenziazione territoriale e
socio-economica; è fatta salva poi l’organizzazione di servizi
pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali
già prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonché ai
sensi delle discipline di settore vigenti (art. 3-bis, comma 1, d.l.
138/2011).
[38] Nel caso di mancata partecipazione agli enti di
governo da parte degli enti locali, così come nel caso delle
partecipazioni previste dall’art. 7, d.l. 13 settembre 2014, n. 133,
sono attribuiti poteri sostitutivi in capo al Presidente della
Regione volti ad obbligare la partecipazione dei summenzionati enti
locali agli organi di governo.
[39] Art. 35, comma 6, l. 28
dicembre 2001, n. 448.
[40] Ci si riferisce, ad esempio, alla
disciplina dettata dalla l. 448/2001 appena analizzata nonché, ad
esempio, al lungo processo di riforma del Servizio Idrico Integrato
che a partire dalla l. 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in
materia di risorse idriche) fino ad arrivare (alle modifiche
introdotte dal d.l. 133/2014) al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152
impernia la gestione del servizio sulla base del principio
dell’unicità di gestione.
[41] Cfr. r.d. 15 ottobre 1925, n.
2578 titolato “Approvazione del testo unico della legge
sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e
delle provincie”.
[42] V. art. 3-bis, comma 1, d.l. 13 agosto
2011, n. 138.
[43] Art. 1, comma 612, l. 24 dicembre 2014, n.
190.
[44] Sul punto, in vista di un’interpretazione di sistema
dell’art. 1, comma 611 della l.190/2014, cfr. art. 3-bis, d.l.
138/2011, così come novellato dall’art. 1, comma 609, l.190/2014.
[45] La Corte di Giustizia ha riconosciuto in più occasioni la
strumentalità della concorrenza rispetto al c.d. mercato comune e,
conseguentemente rispetto alla libertà di circolazione dei servizi e
delle persone di cui il mercato comune costituisce primaria
estensione. Cfr., ex multis, Corte Giust. CE, 25 ottobre
1997, C-26/1976, in Racc., p. 1875.
[46]Cfr. art. 35,
comma 2, l.448/2001.
[47] La prosecuzione degli affidamenti
concessi alle società partecipate locali quotate in borsa era stata
prevista anche dall’art. 23-bis del d.l. 112/2008 a condizione che
la partecipazione in mano pubblica subisse una progressiva riduzione
mediante la cessione di pacchetti azionari per mezzo di procedure ad
evidenza pubblica oppure attraverso forme di collocamento privato
presso investitori qualificati e operatori industriali.
[48]
Cfr. Corte Giust. UE, 17 luglio 2008, C-347/06, in
www.curia.europa.eu; Corte Giust. UE, 19 giugno 2008, C-454/06, in
www.curia.europa.eu.
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(pubblicato il
9.4.2015)
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