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n. 1-2015 - © copyright

 

PAOLO URBANI

La salvaguardia del territorio tra inerzia e frammentazione delle competenze*

 

 


 

 

1. Il quadro legislativo e l’organizzazione amministrativa

Il paradosso del caso italiano in tema di salvaguardia del territorio sta nella presenza nel nostro ordinamento di una nutrita legislazione addirittura risalente alla fine dell’800 che testimonia dell’attenzione del legislatore unitario rispetto alla tutela e conservazione del territorio “sensibile”, proseguita poi alla fine del secolo scorso fino ai giorni nostri, ma sostanzialmente inefficace ed inattuata, cosicchè pur all’avanguardia rispetto ad altri stati europei, risultiamo gli ultimi nella gestione e nella prevenzione delle calamità naturali.
Il tema che ci riguarda più da vicino – a stare alle vicende recenti – è più in particolare quello della salvaguardia del territorio dalla “ruina“ delle acque e dei terreni franosi privi di radicamento e solidità.
Eppure prima di addentrarci nella legislazione di questo secolo, occorre riconsiderare molto brevemente come la frammentazione della disciplina e la differenziazione della materia delle acque da quello della difesa del suolo oggi sostanzialmente riunificata nel piano di bacino ha radici risalenti ai primi anni di questo secolo.
Va ricordato, infatti, che nella legge fondamentale sui lavori pubblici del 1865 (L.20.3 1865 n.2248 all.F) la materia delle acque era già contenuta nella sua interezza e nelle sue diverse componenti nel Titolo III "acque soggette a pubblica amministrazione"; sia come disciplina delle opere pubbliche intesa come difesa dalle acque (le cosiddette opere idrauliche, per allora a difesa degli abitati e delle campagne); sia come polizia delle acque intesa come insieme di divieti ed autorizzazioni con oggetto opere o interventi di soggetti terzi sul demanio idrico, erano riunificati in una unica normativa.
Successivamente la disciplina si frammenta, si perde l'unitarietà del settore, con conseguente disaggregazione dell'apparato amministrativo organizzatorio; vengono individuate differenti categorie di usi, e diverse categorie di opere relative alle acque pubbliche. Quanto alle prime, la normazione speciale che culmina nel T.U. 1775/33 ha inizio, in realtà fin dal 1884 (L.10 luglio n.2644) (il primo catasto delle utenze viene introdotto da questa legge); le seconde trovano una disciplina di settore nel R.D. 25 luglio 1904 n.523 sulle opere idrauliche (il cui contenuto si amplia fino a considerare le opere "intorno" alle acque pubbliche) e contiene anche la regolamentazione delle attività afferenti la polizia idraulica delle acque. Altri interventi legislativi regolano oggetti specifici di tutela che comunque hanno attinenza con il suolo e la sua difesa o con l'uso non esclusivo delle acque: boschi e territori montani (RD 30 dicembre 1923 n.3267), igiene e sanità (RD 27 luglio 1934 n.1265), navigazione interna e fluitazione (RD 11 luglio 1913 n..959), l'amministrazione dei canali demaniali e dei navigli lombardi (RR DD 1 marzo 1896 n.83 e 3 maggio 1937 n.899), dighe di ritenuta (DPR 1 novembre 1959 n.1363), pertinenze idrauliche (RD 16 ottobre 1923 n.2440, RD 1 dicembre 1895 n.726, RD 18 maggio 1931 n.544); occorre infine attendere la L.4 febbraio 1963 n.129 e il DPR 3 agosto 1968 n.1015 per la regolazione generale delle risorse idriche ad usi civili attraverso il piano generale degli acquedotti.
In anni successivi emergerà tutta la disciplina di difesa delle acque dagli inquinamenti (la prima l.319/76) che esula da queste poche riflessioni.

2. Il colpo d’ala delle leggi Cutrera (dal nome del giurista parlamentare che più di altri si è battuto per la salvaguardia del territorio)

In questa straordinaria polverizzazione della materia cui si accompagna anche oggi quella degli apparati organizzativi centrali (Min. Ambiente, Infrastrutture, Industria) e periferici (uffici speciali, Magistrato alle Acque, Uffici del Genio civile e provveditorati alle oo.pp.) e successivamente le Regioni, cui devono essere aggiunte le province ed i consorzi di Bonifica, si é innestata la legge 183/89, dal titolo "norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo", lodevole quanto compromissorio tentativo di riunificazione della materia nell'ambito dell'istituto del piano di bacino, e con l'introduzione nell'ordinamento delle relative Autorità, riforma rivelatasi nella concreta attuazione un artificio, in presenza del permanere di un ritaglio di competenze funzionale e territoriale tra stato e regioni che non ha eguali in altre materie. Successivamente venne emanata la l.36/94: entrambe le discipline allargano lo sguardo alla programmazione generale degli usi, alla salvaguardia delle aspettative delle generazioni future, al risparmio ed al rinnovo della risorsa ai fini della sostenibilità ambientale.
Alle insufficienze della 1.183/89 ha provato a rimediare l'intervento del legislatore della L.59/97 (cosiddetta terza regionalizzazione di funzioni e compiti, d.legsl.112/98). Non avendo agito sulla separatezza della disciplina il tentativo é stato quello di riunificare il governo delle acque attorno al sistema dei poteri regionali e locali spostando quindi il baricentro verso la periferia - ma mantenendo però al centro del sistema le Autorità di bacino, in linea con quanto stabilito dalle direttive comunitarie – e attuando nel contempo un collegamento sistematico tra “contenitore” inteso in senso lato e “contenuto”, tra acque e difesa del suolo. Ma il risultato è sotto gli occhi di tutti.
In sostanza oggi grava sulla responsabilità delle regioni la progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura integralmente trasferita al “livello territoriale più vicino agli interessi della collettività locale” nonchè la materia della “polizia” delle acque passata interamente in ambito regionale/locale, comprendendo oltre al pronto intervento anche tutte le azioni di limitazione e divieti all'esecuzione di opere o interventi, anche fuori dell'area demaniale idrica, che possano incidere anche indirettamente sul regime dei corsi d'acqua. Ma l’esercizio di tali funzioni ha coinvolto anche le province (in rapporto alla tipologia delle opere idrauliche) mentre la programmazione delle opere pubbliche da realizzare resterebbe in capo alle Autorità di bacino (nelle quali sono presenti anche le regioni) poiché ad esse spetta attraverso lo specifico piano di assetto idrogeologico (un’articolazione del più ampio piano di bacino) il compito di individuare le opere da realizzare in rapporto alle situazioni territoriali. Ma le Autorità “programmano ma non controllano” essendo demandata l’attuazione degli interventi alle singole regioni ed alle province.
Infine, con il d.legsl.152/06 più volte emendato in attuazione della legge delega 308/04 si è riunificata la materia in un unico testo normativo, senza tuttavia apportare modifiche sostanziali al sistema organizzatorio ed al regime delle acque. Oggi la politica e la disciplina delle acque non sono più considerate parte a sé, viste come un tempo nella logica del privilegio degli usi produttivi della risorsa ma fanno parte integrante, almeno nelle intenzioni, della politica dell’ambiente secondo gli indirizzi delle politiche comunitarie.
Quanto alla disciplina comunitaria al 2000 risale la direttiva europea 2000/60/CE del 23 ottobre 2000: “Quadro per l'azione comunitaria in materia di acque” mentre nel 2007 viene emanata la direttiva 2007/60/CE, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. La prima viene recepita dal governo italiano con il D. Lgs. 152/2006, la seconda con il D. Lgs. 49/2010. Il processo di adeguamento della legge alle direttive europee non è breve e non è, ancora oggi, completo.
Ci sono voluti sei anni perché la direttiva sulle acque venisse recepita con legge e tre perché per il recepimento della direttiva alluvioni. Con la prima, per ciò che riguarda le forme di governo delle problematiche relative alla qualità delle risorse idriche, le Autorità di bacino già previste dalla 183/2989 (regionali, interregionali e nazionali) sono state accorpate tutte nelle Autorità di bacino distrettuali. Ma sono passati quasi altri otto anni dall’approvazione del D.Lgs 152/2006 e l’accorpamento previsto non si è ancora tradotto in atto.

3. Gli ultimi interventi legislativi emergenziali.

A fronte delle ultime vicende, e proprio al fine di “governare” gli interventi di mitigazione del rischio idraulico, ma senza incidere sulla frammentazione delle competenze amministrative anche di livello centrale (ministero ambiente, infrastrutture), presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata istituita una Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico (art.10 co.11 l.116/2014) che dovrebbe operare di concerto con questi ultimi nelle attività pianificatorie, istruttorie e di ripartizione delle risorse finanziarie specie nelle aree metropolitane interessate da fenomeni di criticità. Inoltre, (art.7 co.2 l.164/2014) a partire dal 2015 è previsto il ricorso all’accordo di programma tra regione e ministero dell’ambiente per la copertura dei cofinanziamenti straordinari statali e regionali per interventi cosiddetti “integrati” che spaziano dalla mitigazione del rischio al recupero della biodiversità e degli ecosistemi, prevedendosi anche la delocalizzazione di edifici e infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità. In questi casi il presidente della regione assume le funzioni di commissario straordinario con gli amplissimi poteri definiti[1]dall’Art. 10 (Misure straordinarie per accelerare l'utilizzo delle risorse e l'esecuzione degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio nazionale e per lo svolgimento delle indagini sui terreni della Regione Campania destinati all'agricoltura) della l.116/2014. Infine, tramite l’ISPRA (Ist. Superiore per la protezione e la ricerca ambientale), previo parere dell’Autorità di distretto (mai istituite!), è prevista una ricognizione delle numerose risorse assegnate a regioni ed enti locali da vari provvedimenti risalenti e non utilizzate che dovrebbero confluire in un fondo presso il Ministero dell’ambiente per essere riassegnate in base alle proposte avanzate dalla struttura di missione citata.

4.Conclusioni

Ce n’è a sufficienza per dimostrare che la separatezza delle competenze amministrative distribuite tra una miriade di soggetti pubblici ove manca il coordinamento delle azioni e delle funzioni esecutive non può che produrre l’inefficacia della prevenzione, considerando che alla riunificazione territoriale per bacini (anche di grandi dimensioni) non corrisponde una riunificazione della regia di governo soprattutto sotto il profilo dell’attuazione degli interventi di precauzione.
Dopo l’alluvione disastrosa di Firenze (1966) pare che ancora non siano state completate le vasche di laminazione finalizzate ad ospitare le acque esondative al fine di evitare che queste precipitino sulla città, mentre è del 1998 (Legge 267) l’intervento emergenziale in Campania dopo la tragedia di Sarno, ed ancora del 2000 (Legge 356) quello dello stesso tenore, a danni prodotti, per l’alluvione di Soverato. Le ultime vicende della Liguria puntano il dito sulle responsabilità della regione (non dello Stato) a testimoniare che il federalismo di facciata ha aggravato e non risolto il problema della tutela dalle acque. E mettono in evidenza un profilo. Quello cioè dell’assoluta residualità delle Autorità di bacino (oggi denominate di distretto) organi misti Stato Regioni, soggetti di rango comunitario, esponenziali della tutela degli interessi del governo delle acque, oggi completamente bypassati dalle politiche commissariali. E qui il problema si sposta sul contenuto e l’efficacia del piano di bacino stralcio di assetto idrogeologico che svolge una doppia funzione. La prima in negativo che comporta limitazioni alle trasformazioni in presenza di aree a rischio (esondativo o franoso); la seconda positiva connessa alla programmazione delle opere idrauliche finalizzate alla prevenzione. A parte le forti resistenze nell’approvazione di tali piani che incidono sulle previsioni dei piani regolatori dei comuni di talchè in molte regioni questi non sono ancora vigenti, l’aspetto programmatorio della tipologia delle opere è spesso generico e di conseguenza inutile al fine della effettiva progettazione degli interventi su cui l’Autorità non ha voce. Non è un caso che nella previsione dei poteri del commissario straordinario regionale non si faccia mai riferimento alla programmazione delle opere del piano di assetto idrogeologico. Inoltre, la previsione dell’avvalimento del commissario della pletora di soggetti pubblici richiamati dall’art 10, mette in evidenza non solo l’assenza di una centrale di committenza superlocale specializzata nell’appalto delle opere idrauliche, ma il permanere della frammentazione dei poteri in materia. A quando un intervento legislativo che disciplini un effettivo sistema di governance della prevenzione del rischio idraulico fuori dalle emergenze?
Infine, l’attenzione potrebbe spostarsi sull’aspetto urbanistico della vicenda, li dove i vincoli idrogeologici previsti fin dal RD del 1923 che impongono che i terreni interessati non vengano edificati o modificati urbanisticamente, sono sistematicamente elusi (si pensi solo ai corsi d’acqua in area urbana “tombati”) realizzando costruzioni assolutamente incompatibili con il libero deflusso delle acque. E sembra assai anacronistico, che oggi, il solo rimedio proposto non sia l’immediata demolizione ed il ripristino dei territori “sensibili” ma quello di prevedere che i proprietari delle aree a rischio siano obbligati ad assicurarsi contro le calamità naturali!

 

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* In corso di pubblicazione su Italiani Europei
[1] “Per le attività di progettazione degli interventi, per le procedure di affidamento dei lavori, per le attività di direzione dei lavori e di collaudo, nonché per ogni altra attività di carattere tecnico-amministrativo connessa alla progettazione, all'affidamento e all'esecuzione dei lavori, ivi inclusi servizi e forniture, il Presidente della regione può avvalersi, oltre che delle strutture e degli uffici regionali, degli uffici tecnici e amministrativi dei comuni, dei provveditorati interregionali alle opere pubbliche, nonché della società ANAS S.p.A., dei consorzi di bonifica e delle autorità di distretto, nonché delle strutture commissariali già esistenti, non oltre il 30 giugno 2015, e delle società a totale capitale pubblico o delle società dalle stesse controllate. Le relative spese sono ricomprese nell'ambito degli incentivi per la progettazione di cui all'articolo 92, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e dell'articolo 16 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207.
5. Nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, il Presidente della regione è titolare dei procedimenti di approvazione e autorizzazione dei progetti e si avvale dei poteri di sostituzione e di deroga di cui all'articolo 17 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26. A tal fine emana gli atti e i provvedimenti e cura tutte le attività di competenza delle amministrazioni pubbliche, necessari alla realizzazione degli interventi, nel rispetto degli obblighi internazionali e di quelli derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.
6. L'autorizzazione rilasciata ai sensi del comma 5 sostituisce tutti i visti, i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta e ogni altro provvedimento abilitativo necessario per l'esecuzione dell'intervento, comporta dichiarazione di pubblica utilità e costituisce, ove occorra, variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, fatti salvi i pareri e gli atti di assenso comunque denominati, di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, da rilasciarsi entro il termine di trenta giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale l'autorità procedente provvede comunque alla conclusione del procedimento, limitatamente agli interventi individuati negli accordi di programma di cui al comma 1. Per le occupazioni di urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree occorrenti per l’esecuzione delle opere e degli interventi, i termini di legge previsti dal testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e successive modificazioni, sono ridotti alla metà”.

 

(pubblicato il 13.1.2015)

 

 

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