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T.R.G.A. - SEZIONE DI TRENTO - Sentenza 9 luglio 2014 n. 279
Omissis (Avv. G. Ghirigatto, A. Sighel) c/ Ministero della Giustizia (N.C.) Pres. Pozzi Est. Chiettini


1. Processo – Giudizio di ottemperanza – Irragionevole durata del processo – Indennizzo - Legge Pinto – Nomina commissario ad acta – Ragioniere generale dello Stato - Ragioni.

 

2. Processo - Giudizio di ottemperanza – Legge 89/2001 Art. 7 – Decreto di condanna – Natura decisoria - Diritti soggettivi – Effetto di giudicato – Configurabilità.

1. La nomina del Ragioniere Generale dello Stato, senza facoltà di delega, quale commissario ad acta per l’esecuzione del pagamento dell’indennizzo per il mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, di cui alla legge n. 89 del 2001 (legge Pinto), rientra in una strategia processuale improntata alla leale cooperazione istituzionale, ciò al fine di segnalare al massimo organo dell’Amministrazione finanziaria i gravissimi problemi causati all’erario, anzitutto, dalla lentezza dei processi e, poi, dalla perdurante inesecuzione dei decreti di liquazione del danno emessi dalla Corte di Appello. Occorre pertanto sollecitare lo stesso Ragioniere Generale dello Stato ad adottare misure idonee a dare tempestivo e spontaneo corso ai predetti decreti di condanna, eventualmente sollecitando a sua volta le massime Autorità politico-amministrative.

 

2. Il decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 3 della legge n. 89 del 2001 ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi ed è, perciò, idoneo, una volta decorso il termine dilatorio di 120 giorni di cui all'art. 14 del D.L. 31.12.1996, n. 669,ad assumere valore ed efficacia di giudicato ai fini della ammissibilità del ricorso per ottemperanza, così come espressamente dispone l’art. 112, comma 2, lett. c), del c.p.a.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento
(Sezione Unica)



ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 279 del 2013, proposto da:

 

Antonio Zuccolo, Domenico Zuccolo, Eugenio Zuccolo e Maria Zuccolo, rappresentati e difesi dagli avv.ti Gianluca Ghirigatto e Alessia Sighel, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Trento, via dei Paradisi, n. 15/4

contro



Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio

per l'ottemperanza



al decreto della Corte di Appello di Trento n. 786/2012 R.G.V.G., 467 cron., di data 5 marzo 2013, depositato il 20 marzo 2013, di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della legge 24.3.2001, n. 89 (legge Pinto).

 


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2014 il cons. Alma Chiettini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


FATTO e DIRITTO



1. Con decreto n. 786/2012 R.G.V.G., 467 cron., di data 5 marzo 2013, depositato il 20 marzo 2013, indicato in epigrafe, la Corte di Appello di Trento ha accolto il ricorso proposto dai sig.ri Zuccolo, ai sensi dell’art. 3 della legge 24.3.2001, n. 89, per l’irragionevole durata di un processo riguardante l’impugnazione di un testamento e lo scioglimento della comunione ereditaria, promosso innanzi al Tribunale di Vicenza nel 1994 dove, dopo tre gradi di giudizio, è stato riassunto nel 2008 ed era ancora pendente alla data di introduzione del giudizio innanzi alla Corte di Appello di Trento.
Con il citato decreto la Corte di Appello ha statuito nel modo seguente:
- ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di euro 9.750,00;
- ha posto a carico del nominato Ministero anche le spese di lite, liquidate in euro 900,00, oltre ad accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore antistatario avv. Ghirigatto.
2. Detto decreto in data 24-30 aprile 2013 è stato notificato con formula esecutiva al Ministero della Giustizia presso la sede legale di Roma, ed è passato in giudicato, come ha attestato, il 18 novembre 2013, la Cancelleria della Corte di Appello di Trento.
3. L’Amministrazione intimata, tuttavia, non ha dato alcun riscontro alla richiesta di pagamento delle somme dovute.
4. Da ciò il presente ricorso di ottemperanza, con cui i deducenti hanno chiesto la condanna del Ministero della Giustizia all’esecuzione integrale di quanto disposto con il menzionato decreto della Corte di Appello. Hanno anche chiesto che sia nominato un commissario ad acta in caso di infruttuosa scadenza del termine assegnato per provvedere al pagamento.
5. Il ricorso - trattenuto in decisione nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2014 - è fondato e va accolto, secondo il costante orientamento di questo Tribunale amministrativo.
6. Invero, il decreto di condanna emesso ai sensi dell’art. 3 della citata legge n. 89 del 2001 ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi ed è, perciò, idoneo ad assumere valore ed efficacia di giudicato ai fini della ammissibilità del ricorso per ottemperanza, così come espressamente dispone l’art. 112, comma 2, lett. c), del c.p.a.
Inoltre, è decorso il termine dilatorio di 120 giorni - meramente processuale e che non incide sull’an e sul quantum del diritto - di cui all'art. 14 (sull’esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni) del D.L. 31.12.1996, n. 669, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30.
Infine, come già detto, è stata fornita la dimostrazione del passaggio in giudicato del decreto in esame.
7. Va dunque dichiarato l’obbligo del Ministero della Giustizia - nella persona del Dirigente Generale responsabile per settore - di conformarsi al giudicato di cui in epigrafe, provvedendo al pagamento in favore della parte ricorrente, entro il termine di giorni 40 (quaranta), decorrenti dalla data di ricezione della comunicazione in via amministrativa (o, se anteriore, dalla data di notificazione ad istanza di parte), della presente decisione, delle somme indicate e dovute per il predetto titolo:
a) a favore dei ricorrenti, della somma complessiva di euro 39.000,00 (euro 9.750,00 ciascuno);
b) a favore dell’avv. Ghirigatto, delle spese di lite liquidate in euro 900,00, oltre ad accessori di legge.
8. Nell’eventualità di inutile decorso del predetto termine di 40 giorni, si deve nominare, come richiesto e sin da ora, il Commissario ad acta.
9a. Per disporre tale ultimo incombente processuale, il Collegio ritiene necessario procedere ad una sintetica ricostruzione del quadro normativo ed alle complesse vicende che ne hanno caratterizzato l’applicazione.
9b. Come è noto, la legge n. 89 del 2001 ha dato esecuzione nell'ordinamento interno alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) in materia di termini ragionevoli di conclusione del processo e di misure riparatorie necessarie per il caso di ritardo irragionevole nella definizione del giudizio, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, precetto ora costituzionalizzato dal novellato art. 111, secondo comma, Cost. (cfr., sentenze 25.6.1987; 26.11.1992, n. 11519; 2.9.1997, n. 25839; 5.10.2000, n. 33804).
È altrettanto noto che la legge Pinto è stata modificata dall’art. 55 del d.l. 22.6.2012, n. 83, convertito dalla l. 7.8.2012, n. 134, che ha sostanzialmente riscritto tutta la disciplina, recependo i parameri elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea e della Corte di Cassazione, secondo cui (cfr., art. 2, comma 2 bis) la durata di un processo può, in linea di massima, ritenersi “ragionevole” se non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado e di un anno nel giudizio di legittimità (cfr., ex multis, Corte europea diritti dell'uomo, sez. grande, 29.3.2006, n. 36813; Corte di Cassazione Civile, sez. I, 5.12.2011, n. 25955).
Anzitutto, giova rammentare che la riforma del 2012 ha sostanzialmente innovato l’architettura del processo per la determinazione dell’equo indennizzo, conformandola a principi di snellezza e celerità e articolandola in due momenti processuali secondo il classico modello monitorio: nella prima fase il ricorso è definito, in assenza di contraddittorio, dal Presidente della Corte di Appello (o da un magistrato delegato) che decide con decreto contenente l’ingiunzione all’Amministrazione di pagare senza dilazione la somma liquidata; solo in caso di opposizione a tale decreto segue la fase processuale in contraddittorio, soggetta al rito camerale, che definisce il processo con decreto impugnabile per Cassazione.
Il principio della ragionevolezza è ispirato a due concorrenti criteri: l’uno fondato sulla presunzione legale, l’altro su di un dato concreto e fattuale. Quanto a quest’ultimo, in sede di accertamento della violazione della durata ragionevole di ogni singolo processo, il giudice è chiamato a valutare “la complessità del caso, l'oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione” (art. 2, comma 2).
Sul punto, l’orientamento oramai consolidato della Corte di Cassazione ha puntualizzato che il diritto all’equa riparazione sorge per il protrarsi del processo oltre il termine che, in rapporto alle caratteristiche precise di quel determinato processo, appare ragionevole, indipendentemente dal fatto che ciò sia dipeso da comportamenti colposi di singoli operatori del processo o da fattori organizzativi di ordine generale riconducibili all'attività o all'inerzia dei pubblici poteri deputati a erogare il servizio giurisdizionale (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. I, 14.3.2011, n. 5995).
In altri termini, la ragionevolezza del termine non è un dato assoluto, dovendo essere verificato in relazione a ciascun caso concreto; tuttavia, in mancanza di obiettive ragioni che attengono alla complessità della materia, al comportamento (processuale e non) delle parti, del giudice e di altri soggetti chiamati a contribuire alla definizione della vertenza (dal c.t.u. all’ufficiale giudiziario, fino all'autorità legislativa od amministrativa, la cui attività abbia in concreto inciso sul rapido svolgimento della procedura in contestazione - cfr., Cass. Civ., sez. VI, 8.5.2012, n. 7021), è considerata ragionevole la durata stabilita dal comma 2 bis dell’art. 2, il quale rappresenta, come già detto, la trasfusione in norma di consolidati orientamenti giurisprudenziali.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, infatti, hanno da tempo escluso che il danno “sia insito nella mera esistenza della violazione, sia cioè, come si usa dire, in re ipsa”. Tuttavia, la stessa Corte ha precisato che il danno non patrimoniale costituisce conseguenza della violazione, la quale, a differenza del danno patrimoniale, si verifica - di regola - per effetto della violazione stessa. Difatti, sempre secondo la Corte, “è normale che l’anomala lunghezza della pendenza di un processo produca nella parte che vi e' coinvolta un patema d'animo, un'ansia, una sofferenza morale che non occorre provare, sia pure attraverso elementi presuntivi. Trattasi di conseguenze non patrimoniali che possono ritenersi presenti secondo l'id quod plerumque accidit, senza bisogno di alcun sostegno probatorio relativo al singolo caso” (cfr., sentenza 26.1.2004, n. 1338; vedi anche, di recente, sez. VI, 23.11.2011, n. 24696).
La giurisprudenza ha anche stabilito che il diritto all’equa riparazione è riconosciuto a tutte le parti del processo, “indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio”. Il Legislatore, tuttavia, si è dato carico di limitare gli effetti delle riportate presunzioni conferenti all’istituto i tratti tipici della responsabilità oggettiva, contenendone le indubbie implicazioni distorsive e abusive. Così, il comma 2 quinquies dell’art. 2 elenca (non tassativamente) i casi in cui il diritto all’equo indennizzo è escluso: quando la parte soccombente è condannata a norma dell'articolo 96 c.p.c.; quando vi sia stato l’ingiustificato rifiuto della parte di addivenire alla conciliazione; l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte; ogni altro caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato una ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento non imputabile all’apparato giudiziario.
La somma di denaro che il giudice liquida a titolo di equa riparazione per il periodo eccedente il termine ragionevole deve essere non inferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede l’individuato termine (art. 2 bis, comma 1).
Come detto, ai fini della concreta quantificazione dell’indennizzo entro i parametri dell’anzidetta forbice, il giudice deve tenere conto dell'esito del processo presupposto, del comportamento del giudice e delle parti, della natura degli interessi coinvolti, del valore e della rilevanza della causa anche in relazione alle condizioni personali della parte (art. 2 bis, comma 2).
Infine, non si può omettere di ricordare che il d.l. 8.4. 2013, n. 35, convertito dalla l. 6.6.2013, n. 64, ha introdotto nella l. n. 89 del 2001 il nuovo art. 5 quinquies, rubricato “esecuzione forzata”, la cui finalità è dichiarata al comma 1: assicurare un'ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della stessa legge Pinto. Tale fine è perseguito non ammettendo atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva delle somme liquidate e stabilendo invece che dette azioni possono eseguirsi esclusivamente secondo le disposizioni del libro III, titolo II, capo II, c.p.c., con atto notificato ai Ministeri competenti ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione.
10. Occorre, a questo punto, evidenziare che la disciplina in esame è applicabile anche ai procedimenti per equa riparazione instaurati ai sensi della stessa legge Pinto, c.d. “Pinto sulla Pinto”: cioè, in diversi termini, alla richiesta di risarcimento per il ritardo nella definizione non solo della causa di merito ma anche di quella per il ritardo nell’espressione del decisum, anche la quale (e, anzi, a maggior ragione), evidentemente, deve essere ispirata al medesimo principio di ragionevolezza temporale.
Infatti, la novella del 2012 ha stabilito che per l’emissione del decreto motivato il Presidente della Corte di Appello (o il magistrato designato) ha 30 giorni dal deposito del ricorso (art. 3, comma 4), e che la Corte, in sede collegiale, deve concludere la fase di opposizione nel contradditorio fra le parti entro l’ulteriore termine di quattro mesi (art. 5 ter, comma 5).
La giurisprudenza, peraltro anteriore alla novella legislativa del 2012, aveva in proposito puntualizzato che “il giudizio di equa riparazione, che si svolge presso le Corti d'appello ed eventualmente, in sede di impugnazione, dinnanzi a questa Corte, è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, esigenza, questa, tanto più pressante per tale tipologia di giudizi, in quanto finalizzati proprio all'accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sè una condizione di sofferenza e un patema d'animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti ex lege n. 89 del 2001” (cfr., Cass. Civ., 13.4.2012, n. 5924).
Ne discende che, anche in questo caso, per la valutazione della durata ragionevole di una procedura c.d. "Pinto" occorre analizzare la singola fattispecie, tenuto comunque conto che, nel caso essa si concluda innanzi alla Corte di Cassazione, “la durata complessiva dei due gradi debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni, ritenendosi tale termine pienamente compatibile con le indicazioni desumibili dagli ultimi approdi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e rispondente sia alla natura meramente sollecitatoria del termine di quattro mesi … sia della durata ragionevole del giudizio di Cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di compressione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno” (cfr., Cass. Civ., sez. VI, 24.5.2012, n. 8284; 2.1.2013, n. 1).
11. Ebbene, è stato condivisibilmente sostenuto da autorevole dottrina che tale sistema - il quale, lo si ribadisce, è nato dal doveroso recepimento nell’ordinamento italiano dei principi enunciati dalla Corte di Strasburgo - ha reso “pressoché ineluttabile” l’accoglimento della domanda una volta che sia provata l’irragionevole durata di un giudizio o, meglio, che “quasi nessuna azione può essere respinta”.
12. In altri termini, l’innesto dei principi della CEDU, poi trasfusi nella legge nazionale, nel tronco endemicamente malato della macchina giudiziaria italiana ha provocato effetti automatici, sintetizzabili nella formula secondo cui le cause ex legge Pinto presentano per il ricorrente un tasso di aleatorietà pari a zero.
Per cui, trascorsi poco più di dieci anni dall’introduzione nel nostro ordinamento della disciplina positiva del diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata di un processo, sia in giurisprudenza che in dottrina sono emerse le prime riflessioni e considerazioni critiche sugli effetti organizzativi e economici prodotti dalla legge Pinto e, in particolare, sulle ulteriori difficoltà emerse nel sistema giudiziario, nonché sui costi smisurati ed imprevedibili che essa ha comportato per il bilancio dello Stato.
La lentezza della giustizia è, oggi, anche una causa diretta di spese a carico dello Stato, con un trend inesorabilmente crescente”, affermava il Primo Presidente della Corte di Cassazione nella sua Relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2007, soggiungendo anche che “nessun Paese può consentirsi l’assurdità di una giustizia civile sempre più impegnata nel risolvere controversie in cui le parti chiedano di essere indennizzate per la eccessiva durata di altri processi”.
L’anno successivo, la Relazione sempre del Primo Presidente per l’anno 2008 aveva segnalato che dal 2001 al 2008 erano stati instaurati oltre “40.000 processi solo per denunciare il ritardo di altri processi”, e che alla fine dell’anno il costo complessivo, “esponenziale e allarmante”, ammontava ad oltre 118 milioni di euro richiesti al Ministero dell’Economia, dei quali solo 81,3 pagati.
La analoga Relazione dell’anno 2009 forniva un aggiornamento di tali dati: risultavano pendenti più di 37.393 procedimenti e il costo complessivo delle liquidazioni ammontava ad oltre 145 milioni di euro, dei quali pagati quasi 95 milioni. Non pare irrilevante osservare come questa, invero, sia stata l’ultima Relazione che ha fornito dati economici, dopo di che, su tale specifico punto, è calato un pietoso silenzio.
Nella Relazione 2010 sono state ulteriormente rimarcate le “conseguenze negative di questo contenzioso che potremmo definire «straordinario» soltanto per il suo oggetto, essendo ormai entrato a far parte a tutti gli effetti del lavoro ordinario dei giudici d’appello”.
Il Primo Presidente ha poi segnalato che anche la giustizia amministrativa era stata coinvolta nei procedimenti c.d. Pinto, avendo i decreti emessi dalle Corti di Appello efficacia di giudicato e, perciò, costituendo titolo valido per azionare, nei confronti dell’Amministrazione inadempiente, il giudizio di ottemperanza innanzi a T.A.R. Su tale punto, peraltro, la medesima Relazione non faceva altro che registrare il costante orientamento della giustizia amministrativa secondo la quale il ricorso per ottemperanza è ammissibile anche per porre in esecuzione i decreti delle Corti di appello in materia di legge Pinto (cfr., C.d.S., sez. IV, 10.12.2007, n. 6318; sez. IV, 23.12.2010, n. 9342).
Nella Relazione per l’anno 2011, dopo aver segnalato che i giudizi di equa riparazione avevano raggiunto il livello di 53.138 procedimenti, il Primo Presidente ha inviato un forte messaggio di sollecitazione propositiva, auspicando “un maggior apporto collaborativo da parte della Pubblica amministrazione, sia in ordine allo spontaneo adempimento dell’obbligo di indennizzo, che in relazione alla ricerca di accordi transattivi”, tenuto conto dei consolidati indirizzi giurisprudenziali della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Cassazione, che hanno affermato che “nulla impedisce alla pubblica amministrazione di predisporre i mezzi necessari per offrire direttamente soddisfazione a chi abbia sofferto un danno a cagione dell’eccessiva durata di un giudizio in cui sia stato coinvolto” (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. I, 10.10.2011, n. 20856).
Nella Relazione successiva - dopo la segnalazione, per la prima volta, di una diminuzione delle sopravvenienze di ricorsi in materia di equa riparazione per irragionevole durata dei giudizi - si è mostrato apprezzamento per le modifiche introdotte alla legge Pinto con l’art. 55 del d.l. n. 83 del 2012, pur sottolineandosi che sarebbe stata apprezzata una soluzione in base alla quale le richieste di indennizzo dovevano “essere valutate innanzi tutto in sede extragiudiziaria, dalle amministrazioni competenti, riservando l’intervento del giudice a una fase successiva ed eventuale, conseguente al mancato raggiungimento di un accordo tra le amministrazioni stesse e la parte danneggiata”.
Da ultimo, anche nella Relazione per l’anno 2013 è stato confermato il decremento del numero delle controversie per la c.d. legge Pinto, pari al 14% rispetto all’anno precedente, pur sottolineandosi che “anche nel 2013 l’oggetto principale delle attenzioni della Corte europea è stata la durata eccessiva dei giudizi civili, cui si sono aggiunti i ritardi nel pagamento degli indennizzi”.
In sintesi, il Collegio ha ritenuto di riportare taluni stralci dei vari resoconti del massimo Organo della Giurisdizione ordinaria perché da essi si ricava, con tangibile immediatezza, non solo la drammaticità dello stato della giustizia italiana come evidenziato dalla diffusa applicazione della legge Pinto, ma anche i relativi effetti sull’andamento e la funzionalità della giustizia amministrativa.
Al riguardo, appaiono già di per sé indicativi i dati relativi al T.R.G.A. di Trento, senza considerare la situazione statistica di altri Tribunali amministrativi affardellati da numeri ben più consistenti e drammatici.
13. Innanzi a questo Tribunale amministrativo regionale i primi ricorsi proposti per l’ottemperanza a decreti di condanna emessi dalla locale Corte di Appello (competente, per il combinato disposto dell’art. 3 della l. 89/2001 e dell’art. 11 c.p.p., per il distretto della Corte di Appello di Venezia) ai sensi dell’art. 3 della legge Pinto hanno iniziato ad essere introdotti nel corso dell’anno 2011.
Fin dalle prime decisioni il Tribunale amministrativo si è fatto carico delle problematiche - non solo giuridiche ma anche organizzative e, più in generale, attinenti alla buona gestione del denaro pubblico - che le decisioni di inevitabile accoglimento di detti ricorso avrebbero comportato.
Le prime pronunce hanno, pertanto, visto la nomina, quale Commissario ad acta, del Commissario del Governo della Provincia autonoma di Trento, con facoltà di subdelegare gli adempimenti esecutivi ad altro dirigente o funzionario dello stesso Organo, con contestuale incarico, allo stesso Commissario, di “denunciare alla Procura regionale della Corte dei Conti gli specifici comportamenti omissivi di dirigenti e funzionari del Ministero che ne abbiano reso necessario l’intervento, con consequenziale danno erariale corrispondente alle spese per l’intervento commissariale e quant’altro collegato all’inesecuzione del giudicato” (cfr., per tutte, T.R.G.A. Trento, sentenza 13.12.2011, n. 306).
Al contempo, il Tribunale rilevava “che la legge Pinto si riconnette a (e presuppone) una colpa (oggettiva) organizzativa dell'Amministrazione della giustizia”; per cui, una volta riconosciuta, con la decisione della Corte di Appello, la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, “non sono legittimamente tollerabili ulteriori ritardi e pretestuose dilazioni nell’adempimento della decisione di condanna”. Al riguardo, è stato anche previsto che i ritardi nel pagamento: “da un lato, incidono indirettamente su quello stesso diritto fondamentale e direttamente sulla fiducia del cittadino nei confronti dello Stato-apparato; per altro verso, provocano ulteriori danni erariali … derivanti dalla necessità, per il cittadino, di ricorrere ancora una volta allo stesso servizio giustizia per conseguire esecutivamente il proprio diritto al risarcimento che non è stato sollecitamente soddisfatto in via amministrativa”.
Quale conseguenza diretta del ragionamento che stigmatizzava “l’ingiustificabile ed ingiustificato ritardo nel dare pronta esecuzione” ai decreti della Corte di Appello posti in esecuzione, le prime sentenze di questo Tribunale furono inviate alla Procura Regionale di Trento della Corte dei Conti, affinché essa valutasse la sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativo-contabile a carico dei funzionari che non avevano provveduto ad adempiere prontamente ed integralmente a quanto statuito dalla Corte di Appello (cfr., fra le tantissime, sentenze 29.7.2011, n. 220 e n. 221).
14. Con le pronunce emesse nel corso dell’anno 2012, questo stesso Tribunale, nel dichiarato “spirito di leale collaborazione istituzionale tra Organi dello Stato”, ha ritenuto di inviare copia delle sentenze emesse per ottemperanza a decreti decisori della Corte di Appello non eseguiti anche al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Capi di Gabinetto del Ministero della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze, quale contributo per la valutazione delle “misure necessarie od opportune per evitare gli onerosi aggravi di spesa per la finanza pubblica conseguenti al tipo di consistente contenzioso in esame” (cfr., per tutte, sentenze 16.1.2012, nn. 19, 20 e 21); non trascurandosi, peraltro, neppure la segnalazione al C.S.M. ove dagli atti del processo fossero emersi comportamenti a carico di singoli magistrati che potessero far ipotizzare violazione dei propri doveri di diligenza e capacità professionale.
E’ da registrare con profonda amarezza come questi ripetuti messaggi giurisdizionali di sollecitazione ed attenzione siano rimasti tutti senza il minimo riscontro istituzionale, anche critico.
15. Intanto, il sopra menzionato Commissario ad acta nominato da questo Tribunale nella persona del funzionario delegato dal Commissario del Governo di Trento, presentava le prime relazioni sull’attività svolta, evidenziando le difficoltà ad interagire con gli Uffici centrali dell’Amministrazione giudiziaria e, al contempo, la collaborazione prestata dalla Ragioneria territoriale dello Stato di Trento e dalla locale Tesoreria della Banca d’Italia per l’emissione dello speciale ordine di pagamento “in conto sospeso”, ai sensi dell’art. 14, comma 2, l. n. 30 del 1997.
Per altro profilo, con nota datata 22 novembre 2012, depositata in Segreteria del Tribunale il successivo giorno 29, il Procuratore regionale della Corte dei Conti comunicava di aver aperto le istruttorie per l’accertamento dei danni erariali che, a quella data, ammontavano a “circa 100.000,00 euro a titolo di interessi moratori, spese di giustizia e compensi forfetari liquidati al commissario ad acta” (al tempo, ripetesi, individuato nel funzionario delegato dal Commissario del Governo) e che, a seguito dei chiarimenti ottenuti dal Ministero della Giustizia, era in grado di concludere che “i danni erariali conseguenti alla tardiva esecuzione” dei decreti delle Corti di Appello sono “da imputare eziologicamente a disfunzioni organizzative a livello centrale”.
16. Pertanto, a fronte dell’assoluta indifferenza che aveva caratterizzato la pubblicazione delle precedenti sentenze di ottemperanza, con una serie di pronunce pubblicate nell’anno 2013, il Tribunale amministrativo - continuando a perseguire l’obiettivo di ulteriormente sensibilizzare i vertici dello Stato-Apparato sul dispendio di energie processuali e amministrative che comportano i processi di ottemperanza contro i numerosissimi decreti di pagamento della Corte di Appello rimasti ineseguiti - ha proceduto a un cambiamento di strategia processuale, nominando quale Commissario ad acta direttamente il Ragioniere Generale dello Stato, senza riconoscergli la facoltà di delegare gli adempimenti esecutivi ad altro dirigente (cfr., ex multis, sentenze 29.7.2013, nn. 283, 284, 285 e 286).
17. Tale scelta processuale - peraltro mutuata da analogo (seppur meno stringente) indirizzo del Consiglio di Stato (cfr., fra le tante, sez. IV, 17.10.2012, n. 5315; 22.1.2013, n. 358) - non è certo da intendere o interpretare - come agevolmente desumibile dalle sopra ricordate finalità di preoccupazione e sensibilizzazione istituzionale - quale eccentrico strumento per “sovvertire” la prassi costantemente (rectius: prevalentemente) seguita da altri tribunali amministrativi, che, invece, riconoscono allo stesso Ragioniere Generale la facoltà di delegare gli adempimenti esecutivi ad altro dirigente. Si tratta di una lettura e di un significato irragionevolmente emulativo smentito dal contenuto e dall’intento dichiaratamente sussidiario perseguito dalle ricordate sentenze; intento che, invece e purtroppo, sembra essere stato frainteso dallo stesso Ragioniere Generale, con propria nota del 6 febbraio 2014, prot. n. 10640, inviata al Dipartimento Affari di Giustizia del Ministero della Giustizia (nota, invero, depositata in altro giudizio, n.r.g. n. 18 del 2013, ma comunque pubblica).
Al contrario, tale strategia si poneva e si pone, intenzionalmente e dichiaratamente, quale contributo istituzionale per portare al più alto livello di attenzione - tramite l’investitura in via esclusiva del massimo Organo dell’Amministrazione finanziaria dello Stato/apparato - i gravissimi problemi di ordine patrimoniale, funzionale e di immagine connessi alla lentezza dei processi e all’inesecuzione dei decreti delle Corti di Appello.
Si tratta, in altri termini, di una tecnica processuale che si inserisce nell’ambito dei poteri discrezionali riconosciuti al giudice amministrativo dal combinato disposto degli artt. 134, comma 1, lett. a) [giurisdizione estesa al merito nelle controversie aventi ad oggetto l’attuazione del giudicato], e 114, comma 7 [poteri di chiarimento nel giudizio di ottemperanza], del c.p.a.
In definitiva, l’intento era ed è quello di segnalare l’urgenza della messa in opera di misure e azioni volte a raggiungere lo scopo che tutta l’Amministrazione pubblica, nelle viarie articolazioni dello Stato/apparato, deve perseguire nella materia di causa: dalle iniziative per ridurre i tempi dei processi, a quelle per dare tempestivamente corso agli adempimenti prescritti dai decreti di condanna delle Corti di Appello, la cui mancata esecuzione (tempestiva e spontanea) comporta, a sua volta, ulteriori esborsi di denaro pubblico, distribuito (come ha rilevato la dottrina) “quasi come un obolo per aver affrontato un giudizio trascinatosi per anni”, anziché essere oculatamente e preventivamente investito per migliorare il servizio giustizia.
18. Se non si porrà rapidamente e incisivamente mano al problema, la mole degli esborsi sembra destinata ulteriormente a lievitare, ove si consideri il più recente, autorevole indirizzo giurisprudenziale (invero pubblicato nelle more del deposito della presente decisione) secondo il quale le indennità di mora (ulteriori rispetto a interessi e rivalutazione monetaria) sono liquidabili dal giudice anche in sede di ottemperanza a sentenze riportanti condanna al pagamento di somme di denaro (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 25 giugno 2014, n. 15).
19. Non vuol costituire atto di narcisistica presunzione, ma sola constatazione di un dato reale, la presa d’atto dei risultati che una siffatta, ripetuta, strategia processuale sembra aver contribuito a produrre. Difatti, negli ultimi tempi, sul piano organizzativo sono state introdotte le seguenti, positive innovazioni:
- con l’anno 2013, per la prima volta, la legge di bilancio ha stabilito a favore del Ministero della Giustizia un’assegnazione [ancorché del tutto insufficiente (50 milioni di euro) rispetto all’entità del debito (oltre 340 milioni di euro)] di fondi direttamente sul capitolo 1264 dedicato ai pagamenti per i titoli di cui qui si discute (che, in precedenza, veniva invece incrementato mediante prelievo da altro capitolo);
- con circolare del Ministero della Giustizia del 16 settembre 2013 è stata delegata alle Corti di Appello (già competenti sin dal 2005 a liquidare gli indennizzi disposti con i propri decreti) anche l’esecuzione in via amministrativa delle sentenze emesse dai T.A.R. per l’ottemperanza di provvedimenti decisori e depositate dal 1° ottobre 2013 (cfr., nota del Ministero della Giustizia del 17.9.2013), così dimostrando l’acquisita consapevolezza di dover accelerare la conclusione dei pertinenti procedimenti;
- con la menzionata nota del 6 febbraio 2014 lo stesso Ragioniere Generale dello Stato ha invitato fermamente il competente Dipartimento del Ministero della Giustizia a dare urgente esecuzione alle sentenze amministrative di condanna nei termini prescritti.
20. A tutto ciò consegue che questo Tribunale - che dal 2011 ad oggi ha liquidato complessivamente quasi 3,2 milioni di euro, sia in ottemperanza a decreti della Corte di Appello di Trento che per spese conseguenti allo stesso giudizio di ottemperanza - ritiene di proseguire con il coinvolgimento diretto e personale del Ragioniere Generale dello Stato nella tematica di causa, perché, quale Organo di vertice dell’Amministrazione finanziaria, egli abbia immediata e diretta contezza - seppur per un limitato segmento del contenzioso - dell’estrema e permanente gravità dei fenomeni indotti dalla legge Pinto, anche al fine delle eventuali, ulteriori iniziative, anche di carattere legislativo, che Egli intenda proporre o sollecitare.
L’Organo finanziario-contabile di vertice, in altri termini, può fattivamente contribuire a contenere, se non a eliminare, almeno l’ulteriore spendita di denaro pubblico - per interessi moratori, spese di lite, compensi per commissari ad acta – causati dalla non tempestiva liquidazione in via amministrativa dei decreti delle Corti di Appello emessi ai sensi dell’art. 3 della l. n. 89 del 2001; decreti i quali, come ha rilevato anche il Primo Presidente della Corte di Cassazione, dovrebbero, invece, essere oggetto di uno spontaneo e immediato adempimento.
21. In definitiva, anche nel caso de quo il Collegio nomina quale commissario ad acta direttamente il Ragioniere Generale dello Stato, senza facoltà di subdelegare gli adempimenti esecutivi, che dovrà porre in essere tutti i necessari adempimenti entro i successivi giorni 60 (sessanta), su semplice richiesta scritta della parte.
22. Quanto alle spese del presente giudizio, esse sono liquidate in dispositivo, nella misura connessa alla serialità del contenzioso nella materia e al conseguente minimo impegno professionale richiesto, come peraltro già stabilito in numerosi, analoghi precedenti di questo stesso Tribunale.

P.Q.M.



Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino – Alto Adige/Südtirol, sede di Trento
definitivamente pronunciando sul ricorso n. 279 del 2013
lo accoglie e, per l’effetto,
ordina al Dirigente Generale responsabile per settore del Ministero della Giustizia di ottemperare integralmente a quanto disposto dalla Corte d'appello di Trento con il rubricato decreto decisorio e, conseguentemente, di provvedere al pagamento entro il termine perentorio di giorni 40 (quaranta), decorrenti dalla data di ricezione della comunicazione in via amministrativa (o, se anteriore, dalla data di notificazione ad istanza di parte) della presente decisione:
- a favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di euro 9.750,00;
- a favore del difensore antistatario, delle spese di lite liquidate in euro 900,00, oltre ad accessori come indicato in motivazione.
In caso di inutile decorso del termine assegnato al Ministero della Giustizia, nomina sin da ora Commissario ad acta il Ragioniere Generale dello Stato - con esclusione della facoltà di subdelegare gli adempimenti esecutivi - che provvederà, scaduto il termine predetto e su istanza di parte ricorrente, entro il termine ulteriore di giorni 60 (sessanta).
Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 300,00 (trecento), oltre a C.N.P.A. e I.V.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente
Lorenzo Stevanato, Consigliere
Alma Chiettini, Consigliere, Estensore




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/07/2014

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