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n. 2-2014 - © copyright |
T.R.G.A. - SEZIONE DI TRENTO -
Ordinanza 29 gennaio 2014 n. 23
Pres. Pozzi - Est.
Stevanato
Orizzonte Salute studio infermieristico associato (Avv. M.
Carlin) / Azienda pubblica di servizi alla persona “San Valentino” (Avv.
R. De Pretis) |
1) Processo amministrativo –Appalti pubblici- Gara
-Ricorso- Integrazione contributo unificato- Richiesta Tar Impugnazione
con motivi aggiunti– Ammissibilità – Sussiste- Ragioni.
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2) Giurisdizione e competenza-Appalti pubblici- Gare
-Contributo unificato- Misura-Controversie- Giuridizione del G.A.
–Sussiste - Ragioni.
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3) Processo amministrativo- Appalti pubblici- Gara –
Controversie – Contributo unificato- Misura – Direttiva ricorsi- Contrasto
Questione pregiudiziale- Ragioni.
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4) Processo amministrativo- Contratti della p.a. -
Accesso alla giustizia amministrativa - Contributo unificato - Importi
elevati – Penalizzazione sproporzionata- Lesione diritto di difesa- Limiti
alle strategie processuali- Effetti distorsivi sulla concorrenza- Rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
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1) E’ ammissibile l’impugnazione con motivi aggiunti del
provvedimento del Segretario Generale del TAR con quale si chiede al
ricorrente, in un ricorso avverso una procedura di aggiudicazione,di
integrare il pagamento del contributo unificato adeguandolo alla misura
prevista nella materia degli appalti. Tali motivi aggiunti, pur essendo
accessori al ricorso introduttivo diretto avverso gli esiti di gara e pur
avendo una valenza autonoma rispetto all’interesse principale dedotto in
giudizio, hanno tuttavia una stretta connessione con l’oggetto principale
del giudizio, in quanto il pagamento del contributo è correlato alla
presentazione del ricorso. Nella specie, dunque, si fa valere un interesse
oppositivo ad una pretesa patrimoniale dell’Ufficio giudiziario, il quale,
seppur non rientrante nell’oggetto principale del giudizio, vi è
intimamente collegato sia per fatto genetico-causale, sia per necessaria
strumentalità all’esercizio della tutela dell’interesse all’annullamento
dei provvedimenti inerenti l’affidamento del servizio.
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2) Sussiste la giurisdizione del G.A. sulle controversia
che - pur riguardando la determinazione dell’entità del contributo
unificato avente natura tributaria - ha per oggetto la contestazione della
determinazione del Segretario Generale del TAR di quantificazione del
contributo unificato, trattandosi di provvedimento amministrativo a
carattere tecnico - discrezionale. Infattinel caso di specie non si verte
nell’ipotesi di passiva applicazione di una norma tributaria alla
fattispecie concreta bensì dell’applicazione di una norma che ha comunque
lasciato ampi spazi di discrezionalità all’amministrazione giudiziaria
come emerge anche dagli atti interpretativi dalla stessa successivamente
adottati.
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3) Va rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
la questione pregiudiziale se i principi fissati dalla Direttiva ricorsi
21 dicembre 1989, 89/665/CEE ostino ad una normativa nazionale, quale
quella degli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater e 6-bis, e 14, comma
3-ter, del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 (come progressivamente novellato dagli
interventi legislativi successivi) che hanno stabilito elevati importi di
contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in
materia di contratti pubblici
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4) La compatibilità della normativa italiana sul
contributo unificato in materia di contratti pubblici, con il Diritto
Comunitario ed in particolare con la Direttiva dell’Unione europea 89/665(
c.d. Direttiva ricorsi), appare dubbia sia perché , l'aumento continuo e
progressivo del contributo unificato, oltre ad avere un effetto dissuasivo
in ordine alla contestazione degli esiti di gara, contrasta con i principi
comunitari di proporzionalità e di divieto di discriminazione, nonché,
soprattutto, con il principio di effettività della tutela giurisdizionale,
sia perché la misura del contributo risulta del tutto sganciata dal valore
effettivo della causa, coincidendo talvolta anche sull’utile d’impresa
preventivato in sede di partecipazione alla gara.
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REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Regionale di
Giustizia Amministrativa di Trento
(Sezione Unica)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 58 del
2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
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Orizzonte Salute Studio Infermieristico Associato,
rappresentato e difeso dall'avv. Monica Carlin, con domicilio eletto
presso il suo studio in Trento, via S. Maria Maddalena
12;
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contro
Azienda Pubblica di Servizi alla Persona "San
Valentino" - Città di Levico Terme, rappresentata e difesa dall’avv.
Roberta De Pretis, con domicilio eletto presso il loro studio in Trento,
via Ss. Trinità, 14; Ministero della Giustizia, in persona del Ministro
pro tempore, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del
Ministro pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona
del Presidente pro tempore e Segretario generale del T.R.G.A. di Trento,
tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato,
domiciliata per legge in Trento, largo Porta Nuova 9;
nei confronti di
Associazione Infermieristica D & F. Care,
non costituita in giudizio;
per l'annullamento
- della deliberazione n. 35, di data
21.12.2012, del Consiglio di amministrazione dell'Azienda Pubblica di
Servizi alla Persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, recante la
proroga dell'affidamento della gestione del servizio infermieristico
all'Associazione infermieristica controinteressata;
- in parte qua,
della determinazione del direttore dell'Azienda Pubblica di Servizi alla
Persona "San Valentino" - Città di Levico Terme n. 61, di data 25 marzo
2013, avente ad oggetto l’affidamento del servizio infermieristico, nonché
dell'allegato capitolato speciale d'appalto e dello schema della lettera
d'invito;
- della determinazione del Direttore dell'Azienda Pubblica di
Servizi alla Persona "San Valentino" - Città di Levico Terme n. 87, di
data 21 maggio 2013, avente ad oggetto la gara d’appalto per l’affidamento
del servizio infermieristico;
- della determinazione del Direttore
dell'Azienda Pubblica di Servizi alla Persona "San Valentino" - Città di
Levico Terme n. 94, di data 23.5.2013, avente ad oggetto l’aggiudicazione,
a trattativa privata, del servizio infermieristico e di tutti gli atti
connessi;
- del provvedimento di data 5.6.2013 a firma del dirigente
del T.r.g.a. di Trento dott. Giovanni Tanel comunicato in data 7.6.2013
all'avv. Monica Carlin, in qualità di difensore della ricorrente, avente
il seguente oggetto "Contributo unificato. Invito al pagamento", nonché di
tutti gli atti connessi, ivi compresa la Circolare del 18 ottobre 2011 del
Segretario Generale della Giustizia Amministrativa e la circolare del
Ministero della Giustizia di data 11 maggio 2012.
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Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda
Pubblica di Servizi alla Persona "San Valentino" - Città di Levico Terme e
delle amministrazioni statali intimate;
Visti tutti gli atti della
causa;
Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.;
Visto l'art. 267
del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il cons. Lorenzo
Stevanato e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
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1. L’associazione ricorrente espone di svolgere
professionalmente servizi di prestazione infermieristica a favore di enti
pubblici e privati.
Con il ricorso introduttivo impugna la
deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’Azienda Pubblica di
Servizi alla Persona "San Valentino" - Città di Levico Terme, n. 35 del
21.12.2012, con cui è stato prorogato, dall’1.1.2013 al 30.6.2013, il
servizio di assistenza infermieristica, già svolto per il 2012
dall’Associazione Infermieristica D & F. Care.
2. A sostegno del
ricorso deduce i seguenti motivi:
1) violazione della L.R. 7/2005
(artt. 42 e 43) ed eccesso di potere sotto vari profili.
Si sostiene
che, mediante la proroga del servizio in precedenza affidato alla
controinteressata, sarebbe stato affidato direttamente alla stessa
controinteressata un nuovo servizio il cui costo di euro 71.681,00,
superiore alla soglia di 36.000 euro, avrebbe obbligatoriamente
comportato, ai sensi delle norme in rubrica, il previo confronto
concorrenziale;
2) eccesso di potere per carenza di motivazione circa
le ragioni che avrebbero giustificato l’affidamento diretto, invece di
attivare la procedura concorrenziale.
L’azienda intimata, costituitasi
in giudizio, ha eccepito l’irricevibilità del ricorso per tardività, non
essendo stato rispettato il termine dimezzato di deposito del gravame, nel
rilievo che la controversia riguarda una procedura di affidamento di un
pubblico servizio, nonché l’inammissibilità per difetto di
legittimazione.
Nel merito, la stessa azienda ha contestato ampiamente
la fondatezza del ricorso.
Il Collegio con ordinanza 18.4.2013, n. 44
ha accolto l’istanza cautelare imponendo all’Amministrazione di bandire
una gara entro 30 giorni.
3. Con (primi) motivi aggiunti, depositati il
9.5.2013, è stata altresì impugnata la determinazione del direttore
dell’Azienda n. 61 del 25.3.2013, con cui è stato deciso di procedere alla
gara d’appalto per l’affidamento del servizio infermieristico, invitando
alla procedura negoziata unicamente associazioni accreditate presso il
Collegio IPASVI (acronimo di: Infermieri Professionali Assistenti Sanitari
Vigilatrici d’Infanzia).
La ricorrente, che non è iscritta al predetto
Collegio, ha dedotto la violazione dei principi di massima partecipazione
e di concorrenza, la violazione della L.R. 7/2005 (artt. 42 e 43) ed
eccesso di potere sotto vari profili, nel rilievo che la clausola
limitativa sarebbe incomprensibilmente discriminatoria nei confronti della
ricorrente, non potendo essere posta in dubbio la relativa qualificazione
in quanto i singoli infermieri ad essa associati sono iscritti al
competente albo professionale.
4. Con (secondi) motivi aggiunti
depositati il 3.6.2013 l’impugnazione è stata estesa, per sviamento ed
elusione del giudizio cautelare, alla determinazione del direttore
dell’Azienda n. 87 del 21.5.2013 con cui la gara anzidetta, che era stata
sospesa in attesa dell’esito dell’appello cautelare, è stata riavviata
dopo che il Consiglio di Stato ha dichiarato improcedibile
l’appello.
5. Con (terzi) motivi aggiunti, depositati il 12.6.2013, è
stata impugnata, ripetendo le censure già dedotte, la determinazione del
direttore dell’Azienda n. 94 del 23.5.2013, con cui la gara anzidetta è
stata aggiudicata alla controinteressata.
Sull’istanza cautelare
proposta con tali motivi aggiunti il Collegio si è pronunciato con
ordinanza 20.6.2013, n. 76, sospendendo l’efficacia della disposta
aggiudicazione e della controversa clausola escludente ed ordinando la
riedizione della gara informale, con ammissione dell’offerta già
presentata dalla ricorrente.
6. Dopo la presentazione di questi ultimi
motivi aggiunti, il Segretario generale di questo T.r.g.a., con
provvedimento 5.6.2013, ha sollecitato il difensore della ricorrente ad
integrare il pagamento del contributo unificato, in quanto, trattandosi di
controversia in materia di contratti pubblici, la misura del contributo
non è quella ordinaria di 650 euro, ma quella speciale di 2000 euro.
7.
Con (quarti) motivi aggiunti, depositati il 2.7.2013, la ricorrente ha
impugnato anche quest’ultima determinazione per violazione dell’art. 13,
comma 6-bis, del DPR 115/2002, eccependo altresì l’illegittimità
costituzionale di tale norma per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 81 e
97 Cost..
Tali motivi aggiunti sono stati successivamente notificati
alla controinteressata Associazione Infermieristica D & F. Care, con
atto ripetitivo, depositato il 10.8.2013.
8. Su questi motivi aggiunti
si sono costituite in giudizio anche le Amministrazioni statali intimate,
eccependo il difetto di giurisdizione di questo giudice amministrativo,
nell’assunto che il contributo unificato sarebbe una prestazione fiscale,
la cui relativa controversia spetterebbe alla cognizione del giudice
tributario. L’Avvocatura dello Stato ha altresì eccepito il difetto di
legittimazione passiva del Ministero della Giustizia e del Ministero
dell'Economia e delle Finanze.
Nel merito è stata contestata la
fondatezza della pretesa azionata dalla ricorrente.
9. L’Azienda
resistente in giudizio, nell’ultima memoria presentata, ha eccepito che il
ricorso è divenuto improcedibile in quanto la ricorrente, in esecuzione
della citata ordinanza cautelare n. 76/2013, è stata infine ammessa alla
gara. Questa, però, è stata aggiudicata alla controinteressata, che aveva
presentato un’offerta migliore, ma tale aggiudicazione non è stata
impugnata dalla ricorrente che vi avrebbe, perciò, prestato
acquiescenza.
La ricorrente, nella memoria di replica, ha, però,
giustamente e fondatamente eccepito che l’improcedibilità riguarda solo il
terzo ricorso per motivi aggiunti, mentre permane l’illegittimità dei
provvedimenti originariamente assunti dall’Azienda e l’interesse al loro
annullamento, nonché relativamente alla rifusione delle spese giudiziali,
avendo essi comunque esplicato effetti, seppur temporanei, in suo
danno.
10. Ciò premesso, per ragioni di economia processuale, il
Collegio ritiene di procedere, nell’esame della controversia, dal quarto
ricorso per motivi aggiunti, diretti contro il provvedimento del
Segretario generale di questo T.r.g.a dd. 5.6.2013. che ha richiesto al
difensore della ricorrente di integrare il pagamento del contributo
unificato; ciò in quanto, trattandosi - a dire dello stesso dirigente - di
controversia riguardante la materia dei contratti pubblici, la misura del
contributo, stabilita in relazione all’oggetto della causa, non sarebbe
quella ordinaria di 650 euro, ma quella speciale di 2000 euro.
Tali
motivi aggiunti, pur essendo accessori al ricorso introduttivo ed agli
altri motivi aggiunti, che sono diretti contro la gara d’appalto per
l’affidamento del servizio infermieristico, meglio indicato in premessa, e
pur avendo una valenza autonoma rispetto all’interesse principale dedotto
in giudizio (annullamento della disposta proroga e dei provvedimenti ad
essa successivi), hanno tuttavia una stretta connessione con l’oggetto
principale del giudizio, in quanto il pagamento del contributo è stato
imposto per il solo fatto di aver presentato il ricorso. Nella specie,
dunque, si tratta di far valere un interesse oppositivo ad una pretesa
patrimoniale dell’Ufficio giudiziario, il quale, seppur non rientrante
nell’oggetto principale del giudizio, vi è intimamente collegato sia per
fatto genetico-causale, sia per necessaria strumentalità all’esercizio
della tutela dell’interesse all’annullamento dei provvedimenti inerenti
l’affidamento del servizio, azionata innanzi a questo Tribunale
Amministrativo. E’ in virtù della predetta connessione strumentale e
causale (oltre che parzialmente soggettiva) che legittimamente sono stati
innestati motivi aggiunti al ricorso originario (ex art. 43 del codice
processuale amministrativo).
11. Tanto preliminarmente chiarito, va
anzitutto esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione opposta dalla
difesa erariale.
Si sostiene, al riguardo, che, per giurisprudenza
costante, il contributo unificato avrebbe natura di entrata tributaria
erariale e che le relative controversie rientrerebbero nella giurisdizione
delle commissioni tributarie.
A sostegno dell’esposta eccezione
l’Avvocatura dello Stato richiama la sentenza della Corte di Cassazione,
SS.UU., n. 5994 del 2012.
Sennonché - osserva il Collegio – si tratta
di precedente inconferente: in quel caso, infatti, si trattava di
un'opposizione ex art. 617 c.p.c., con la quale si facevano valere
asseriti vizi della cartella di pagamento emessa in esito ad iscrizione a
ruolo del contributo unificato previsto dall'art. 9 d.p.r. 115/2002. La
Corte, sul punto - premesso che il contributo unificato ha natura di
entrata tributaria - rileva che il controllo sulla legittimità delle
cartelle esattoriali, configurando queste atti di riscossione e non di
esecuzione forzata, spetta, quando le cartelle riguardino tributi, al
giudice tributario in base alla previsione degli artt. 2, comma 1, e 19
lett. d), d.lgs. 546/1992.
Anche Cassazione SS.UU. 5/5/2011, n. 9840
perviene alla stessa conclusione, ma pure in quel caso le questioni di
nullità, sollevate dal contribuente, attenevano alla fase della
riscossione, il controllo della cui legittimità - osserva sempre la Corte
- quando riguardino tributi spetta al giudice tributario.
Ora, il
Collegio non esita a riconoscere che il contributo unificato ha natura di
tributo (così anche: Corte Costituzionale, sentenza n. 73/2005); tuttavia,
nella specie all’esame viene in evidenza un atto del Segretario generale
di questo T.r.g.a. che ha natura e consistenza di provvedimento
amministrativo, emanato nell’esercizio di discrezionalità tecnica (si
tratta dell’uso ed interpretazione di norme processuali): come tale,
dunque, sottoposto alla giurisdizione generale di legittimità del G. A.,
ai sensi degli artt. 103, comma 1 e 113, comma 1, Cost. e dell’art. 7 del
codice del processo amministrativo.
Invero, il Collegio ritiene che
difetterebbe la propria giurisdizione se tale atto, impugnato dalla
ricorrente, fosse meramente, direttamente e vincolativamente applicativo -
nell’an, nel quomodo e nel quantum - delle norme di legge che hanno
istituito e disciplinato il contributo unificato nel processo
amministrativo.
Ma non è questo il caso di specie, essendosi, come
detto, esercitato un potere determinativo-interpretativo di una normativa,
tributaria sì, ma non conclusa, non completa e non finita, che lascia ampi
spazi di discrezionalità all’amministrazione giudiziaria.
12. Invero,
l’atto del Segretario generale di questo T.r.g.a. non fa pedissequa e
passiva applicazione di una norma tributaria alla fattispecie concreta.
All’opposto, esso è il frutto di una complessa catena procedimentale,
generata dalla necessità di un’interposizione, cioè di un intervento
mediatore dell’amministrazione, in quanto interprete della direttiva del
legislatore e portatrice, attraverso la predetta opera intermediatrice, di
un frammento normativo (per usare l’immagine di illustre dottrina) che
vale a completare il precetto legislativo attraverso l’uso, come detto, di
discrezionalità tecnica.
Le norme istitutive e regolatrici del
contributo unificato, infatti, hanno avuto ed hanno bisogno
dell’intermediazione dell’azione amministrativa, anzitutto sotto forma di
una serie di direttive concretamente emanate dal Segretario generale della
Giustizia Amministrativa, le quali non possono non qualificarsi - come già
detto - espressive di discrezionalità tecnica.
Tali direttive sono
contenute nella Circolare 18 ottobre 2011, recante “Istruzioni
sull’applicazione della disciplina in materia di contributo unificato nel
processo amministrativo”. In realtà, non si tratta di semplici
“istruzioni” meramente illustrative delle modalità di dare corso alle
chiare ed esaustive prescrizioni della fonte legale. Si tratta, invece, di
vere e proprie prescrizioni integrative, le quali valgono a completare il
disegno del legislatore, adattandolo all’estrema varietà delle ipotesi e
degli istituti processuali, che soltanto l’amministrazione che gestisce la
poliedricità del contenzioso è in grado di individuare, apprezzare e
valutare, per assicurare, così, una disciplina, forse opinabile, ma
certamente completa e concretamente operativa.
13. Valga, ad esempio,
quanto viene stabilito dalla predetta Circolare in tema di motivi aggiunti
(tema, questo, che si attaglia perfettamente alla vicenda in esame),
relativamente ai casi in cui essi danno luogo al versamento del contributo
unificato.
Sul punto, la Circolare fissa criteri (non vincolativamente
discendenti dalla legge, ma) discrezionalmente determinati. In particolare
essa:
a) chiarisce cosa si intende per “domande nuove”, affermando che
la definizione di “ricorso”, resa dall’art. 13, comma 6-bis, del D.P.R. n.
115 del 2002, è intesa ad allargare la base imponibile, andando a colpire
quegli atti processuali - autonomi rispetto a quello introduttivo del
giudizio – che comportino un sostanziale ampliamento del “thema
decidendum”, nel duplice senso:
- di estendere l’impugnazione a
provvedimenti diversi da quelli già portati all’attenzione del giudice col
ricorso introduttivo, ovvero di prevedere l’impugnazione di questi ultimi
o di atti ad essi strettamente connessi ad opera del controinteressato con
ricorso incidentale;
- di introdurre nuove azioni di accertamento o di
condanna.
b) si premura, poi, di precisare e disporre che, se il
ricorso introduttivo del giudizio contiene una pluralità di “domande”, è
dovuto comunque un unico contributo unificato; mentre, se la pluralità di
domande è il frutto di un ampliamento successivo, operato con i motivi
aggiunti, al momento del deposito di tali atti andrà effettuato un
ulteriore versamento;
c) prescrive, inoltre, che il contributo non è
dovuto qualora con i motivi aggiunti venga impugnato l’originario
provvedimento per vizi diversi da quelli fatti valere con il ricorso
originario.
Vengono, poi, impartite specifiche istruzioni ai vari
uffici giudiziari, atte a riconoscere i motivi aggiunti che danno luogo
all’obbligo di versamento del contributo unificato, indicando alcuni
requisiti formali che devono sussistere congiuntamente:
a) impugnazione
di un atto (di qualsivoglia natura e portata sostanziale) “nuovo”, vale a
dire non gravato con il ricorso introduttivo del giudizio, ovvero
richiesta di accertamento di un rapporto, ovvero azione di condanna,
formulate per la prima volta in giudizio;
b) intestazione dell’atto
processuale che si va a depositare come “motivi aggiunti”;
c) notifica
dello stesso alle controparti.
Con la stessa direttiva si sottolinea
come l’ufficio giudiziario, chiamato ad applicare il contributo unificato,
non deve fare alcuna valutazione o indagine in merito all’effettiva
lesività dell’atto oggetto dei motivi aggiunti (si fa menzione, ad
esempio, all’impugnazione di atti infraprocedimentali, quali un verbale di
gara pubblica o una relazione redatta nell’ambito di un procedimento di
repressione di abusi edilizi), trattandosi di valutazione che spetta in
via esclusiva al giudice.
14. Ebbene, non è chi non veda come tali
istruzioni - molto sinteticamente esemplificate -rappresentano vere e
proprie tessere di un vasto mosaico normativo, cioè atti direttivi di
interpretazione ed attuazione, rivolti agli uffici giudiziari chiamati ad
applicare ai casi concreti il contributo unificato; atti che, come tali,
vanno ben al di là delle scarne indicazioni contenute nella legge,
manifestando la volontà di assumere scelte valutative discrezionali sulla
configurazione e sulla determinazione del presupposto impositivo.
15. A
sua volta, l’atto del Segretario generale di questo T.r.g.a., impugnato
dalla ricorrente con i ricordati (quarti) motivi aggiunti, ha anch’esso
natura discrezionale, nei pur non ampi spazi lasciati liberi dalla
complessa attività tipicamente discrezionale espressa nelle anzidette
direttive del Segretario generale della giustizia amministrativa. E’ al
titolare dell’Ufficio giudiziario, infatti, che spetta procedere ad una
qualificazione della materia del ricorso, onde collocarla nelle varie
fasce di tipologie contenziose, in relazione alle quali viene articolata
la misura del contributo. In questa duplice funzione, di esecuzione di
atto amministrativo a carattere normativo e di determinazione anch’essa
attuativa del dettato normativo, esso assume natura di vero e proprio
provvedimento amministrativo.
15.1. D’altra parte, la giurisprudenza ha
radicato la giurisdizione del g.a. in ipotesi che riecheggiano quella in
esame, come quelle sotto elencate a titolo meramente esemplificativo e
senza carattere di esaustività:
a) le controversie che hanno ad oggetto
l’atto amministrativo generale di determinazione delle aliquote
"differenziate" (come anche sono le misure del c.u.) dell'ex imposta
comunale sugli immobili (ICI) , presupposto dell'accertamento e della
determinazione in concreto del tributo ed avente la funzione di
integrazione del precetto legislativo. Come affermato da Cass. SS.UU.
25/1/2007, n. 1616, esse esulano dalla giurisdizione delle commissioni
tributarie (che comprende il potere di annullamento degli atti elencati
dall'art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 e non si estende agli atti
amministrativi generali seppur di valenza tributaria) ma spettano alla
giurisdizione del giudice amministrativo (cfr., anche: Cass. SS.UU.,
19/1/2010, n. 675);
b) le controversie che hanno ad oggetto l'atto
comunale che stabilisce la corresponsione di una somma per il rilascio del
contrassegno abilitante alla circolazione automobilistica in centro
storico, poiché la relativa questione verte sulla lesione di interessi
legittimi in quanto l'atto impugnato non si risolve in una mera
prestazione patrimoniale imposta, ma stabilisce varie regole procedurali,
nonché la scelta della p.a. in ordine alla copertura ed al riparto dei
costi del servizio offerto alla collettività (così: Consiglio di Stato,
sez. V, 1/3/2000, n. 1075);
c) in generale, le controversie riguardanti
l'impugnativa di atti di carattere generale recanti le determinazioni
regolamentari e tariffarie, presupposte all'imposizione dei tributi, come
è stato affermato da Cass., SS.UU. 1/3/2002, n. 3030 (cfr. anche T.A.R.
Lazio, Roma, sez. II, 4/5/2012, n. 3993) che sono devolute alla
giurisdizione del giudice amministrativo (fattispecie in tema di
determinazione delle tariffe TARSU).
15.2. Alle esposte considerazioni
ve n’è da aggiungere un’altra di carattere sistematico-ordinamentale
tratta dall’insegnamento della Corte Costituzionale in merito alla
giustificazione del permanere di giurisdizioni speciali.
Si è
osservato, al riguardo, che l'ordinamento italiano riconosce, bensì,
l'esistenza di una pluralità di giudici, ma la riconosce affinché venga
assicurata, sulla base di distinte competenze tecniche e capacità
professionali, al fine di assicurare una più adeguata risposta alla
domanda di giustizia, non già affinché sia compromessa la possibilità
stessa che a tale domanda venga data risposta (Corte cost., Ord.,
19/3/2010, n. 110).
Se, quindi, la giustificazione del mantenimento di
una giuridizione speciale, come quella delle commissioni tributarie, si
fonda sulla specialità delle rispettive competenze tecniche, che
giustifica oltretutto la forte anomalia ordinamentale della loro
composizione, deriva che: a) - l’area ad esse riservata è di stretta e
rigorosa interpretazione: ogni eventuale indebito ampliamento della
giurisdizione tributaria - attraverso qualificazioni formali eccentriche
rispetto alla sostanza della prestazione richiesta, ovvero attraverso una
lettura distorta dell’art. 2 del D. Lgs. n. 546 del 1992 - si risolverebbe
nella istituzione occulta di un giudice speciale, vietata dal secondo
comma dell'art. 102 Cost. (Corte cost., Sent., 11/2/2010, n. 39; Corte
cost., 14/5/2008, n. 130); b) la natura tributaria della prestazione
imposta non radica sempre e comunque la giurisdizione delle commissioni
tributarie, le quante volte il procedimento di individuazione dei
presupposti del tributo necessiti – come nella specie – dell’intervento
dell’azione amministrativa per la quale la “specialità”
tecnico-professionale del giudice tributario non sussiste, scattando
quella dell’assai più “attrezzato” giudice naturale preposto alla tutela
degli interessi legittimi nei confronti delle pubbliche amministrazioni
(art. 103 Cost.).
A conclusione del ragionamento, l’eccezione va
pertanto respinta, in quanto la giurisdizione spetta a questo
giudice.
16. Nel merito, occorre preliminarmente esporre rapidamente il
quadro normativo di riferimento.
L'art. 13, comma l, del D.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, ha introdotto un nuovo regime di tassazione degli
atti giudiziari, costituito da un “contributo unificato” fissato in
proporzione al valore della controversia, rispetto al sistema previgente
che era basato sul pagamento di una marca da bollo (di € 14,62) ogni
quattro pagine (corrispondenti al c.d. foglio protocollo ), da versare
anticipatamente al momento dell’iscrizione a ruolo, e di diritti di
segreteria (ex D.P.R. 6/10/1972, n. 642 e succ. mod.).
16.1. Con
l'inserimento del comma 6-bis al citato art. 13, operato dall'art. 21 del
D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248,
integrato dall'art. 1, comma 1307, della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(legge finanziaria 2007) , il contributo unificato per i processi
amministrativi, diversamente da quanto previsto per i processi civili, è
stato svincolato dal valore della controversia.
Il Legislatore,
infatti, ha adottato il differente criterio per materia, ed, in seguito,
ha ulteriormente distinto l'entità del contributo unificato dovuto secondo
un’ulteriore differenziazione delle materie.
Il contributo unificato
per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al
Consiglio di Stato è ordinariamente dovuto nell’importo di 650 euro. Il
medesimo importo è stabilito addirittura anche per il ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica, che precedentemente e per
antichissima tradizione era gratuito e senza oneri di avvocato, salvo
soltanto il pagamento dell’imposta di bollo, mentre ora, per evidenti
ragioni di cassa, sconta anch’esso il pagamento del contributo: con ciò
elidendosi una delle ragioni di sopravvivenza dell’istituto.
16.2. Per
materie particolari sono, invece, fissati importi diversi, e
precisamente:
a) per i ricorsi previsti dagli articoli 116 e 117 del
c.p.a. di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (riti aventi ad
oggetto il diritto all’accesso ai documenti ed i ricorsi contro il
silenzio dell’amministrazione), per quelli aventi ad oggetto il diritto di
cittadinanza, di residenza, di soggiorno e di ingresso nel territorio
dello Stato e per i ricorsi di esecuzione della sentenza o di ottemperanza
del giudicato, il contributo dovuto è di euro 300;
b) per le
controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, il contributo è
ridotto della metà (quindi è di 325 euro);
c) per i ricorsi cui si
applica il rito abbreviato comune a determinate materie, previsto dal
libro IV, titolo V, del codice del processo amministrativo (si tratta di
numerose e particolari materie, tra cui le espropriazioni, le
privatizzazioni, le ordinanze emergenziali di protezione civile), nonché
da altre disposizioni che richiamino il citato rito, il contributo dovuto
è di euro 1.800.
16.3. Nel settore (qui in rilievo) degli appalti,
infine, il contributo dovuto è stato aumentato fino ad euro 2.000 per i
ricorsi previsti dal previgente art. 23 bis, co. 1, L. n. 6 dicembre 1971,
n. 1034, cioè quasi il quadruplo di quanto dovuto per i contenziosi
amministrativi soggetti al rito ordinario ed oltre il sestuplo per quelli
“agevolati”.
16.4. Successivamente, con l'art. 15 del d.lgs. 20 marzo
2010, n. 53 è stato disposto che il contributo unificato fosse dovuto non
solo all'atto dell'iscrizione a ruolo del ricorso introduttivo del
giudizio, ma anche per "quello incidentale e i motivi aggiunti che
introducono domande nuove".
16.5. L'art. 37, co. 6, del d.l. 6 luglio
2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, ha, poi,
ulteriormente incrementato il contributo unificato dovuto per il
contenzioso amministrativo.
In particolare, esso è stato aumentato fino
ad euro 4.000 per i ricorsi in materia di appalti.
16.6. Infine, con la
riedizione dell’ art. 37, comma 6, lett. s), cit., come modificato
dall'art. 1, comma 25, lett. a), nn. 1), 2) e 3), L. 24 dicembre 2012, n.
228, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il contributo in materia di appalti
è stato articolato nel modo seguente:
- € 2.000 quando il valore
dell’appalto è pari o inferiore a euro 200 mila;
- € 4.000 per le
controversie di valore compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro;
- €
6.000 per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro.
16.7. Tali
importi aumentano ulteriormente (ex art. 13, comma 1-bis, del D.P.R.
115/2002) del 50% per il giudizio di appello, per proporre il quale
occorre quindi versare, sempre in materia di appalti pubblici,
rispettivamente 3.000, 6.000 e 9.000 € .
16.8. La legge n. 228/2012 ha,
inoltre, aggiunto il comma 1-quater al citato art. 13, prevedendosi una
sorta di sanzione occulta o indiretta nel caso di impugnazioni in appello
dichiarate infondate, inammissibili o improcedibili. Tale norma infatti
prevede che “Quando l’impugnazione,anche incidentale, è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che
l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione,principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice
dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al
periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito
dello stesso”.
Ora, a prescindere dal problema dell’applicabilità o
meno della riportata disposizione ai giudizi innanzi al G.A. (ai quali,
secondo la citata circolare del Segretario generale della Giustizia
amministrativa, non sarebbe applicabile), essa è comunque rivelatrice di
un intento quasi intimidatorio a non insistere nell’azione giurisdizionale
intrapresa ed a non “disturbare” oltre il giudice: come tale, sintomo
ulteriore dell’irrazionalità ed iniquità dell’intera disciplina.
16.9.
Va ulteriormente rimarcato che l'art. 14, co. 3 ter, del D.P.R. n.
115/2002 (introdotto dall'art. 1, co. 26, L. n. 228/2012), ha previsto che
"Nel processo amministrativo per valore della lite nei ricorsi di cui
all'articolo 119, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 2 luglio
2010, n. 104, si intende l'importo posto a base d'asta individuato dalle
stazioni appaltanti negli atti di gara, ai sensi dell'articolo 29, del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163", anziché il margine di
utile ritraibile dall'esecuzione del contratto d'appalto.
16.10.
Infine, il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,
dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, ha introdotto un’ulteriore “sanzione”,
recata dall’art. 6-bis.1, in base al quale “Gli importi di cui alle
lettere a), b), c), d) ed e) del comma 6-bis sono aumentati della metà ove
il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica
certificata e il proprio recapito fax, ai sensi dell' articolo 136 del
codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio
2010, n. 104, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale
nel ricorso…”. In tal modo, si aggiunge l’ulteriore iniquità di
riversare sul cittadino negligenze ed omissioni a lui non
imputabili.
16.11. Dall’esame che precede emerge un quadro assai
frastagliato, non sempre logico né coerente nella determinazione e nella
diversificazione degli importi del contributo unificato, dal quale,
comunque, spicca l’evidente, sproporzionata penalizzazione nella
tassazione dei ricorsi davanti al giudice amministrativo soprattutto in
materia di contratti pubblici. Tale impianto legislativo pone evidenti
problemi di conformità ai parametri e principi dell’ordinamento
comunitario, ancor prima che di conformità ai precetti costituzionali come
invocato dalla parte ricorrente.
17. Più in particolare, venendo alla
fattispecie in esame, l’appalto di servizio in contestazione risulta avere
un valore, stimato dalla stessa Azienda pubblica di servizi alla persona
“San Valentino”, complessivamente ben superiore alla soglia comunitaria
fissata, per questa categoria di appalti di servizi, in 200.000 euro
dall’art. 7 della direttiva comunitaria 31.3.2004, n. 18, secondo il
metodo di calcolo stabilito dall’art. 9, comma 7, della direttiva stessa
per gli appalti di servizio di durata, soggetti a rinnovo. Infatti, la
deliberazione del C.d.A. 14.12.2011, n. 24, di affidamento del servizio
infermieristico alla controinteressata per il 2012, prevede un costo di €
149.891,00; la successiva deliberazione del C.d.A. 21.12.2012, n. 35, di
proroga del medesimo servizio fino al 30.6.2013, prevede un costo di €
71.681,00; infine, la determinazione del direttore 25 marzo 2013, n. 61,
recante l’indizione della gara per l’affidamento del servizio
infermieristico per i successivi 12 mesi, prevede un costo di €
133.550,00.
Trova, pertanto, qui applicazione la “Direttiva ricorsi”
21/12/1989, n.665 e successive modificazioni.
Tale Direttiva, all’art.
1 (“Ambito di applicazione e accessibilità delle procedure di ricorso”),
fissa i fondamentali principi di efficacia, celerità, non discriminazione
ed accessibilità, che nell’ordinamento interno possono condensarsi nelle
formule dell’effettività e satisfattività della tutela. Essa. infatti,
stabilisce, nel testo novellato, che:
“1. … Gli Stati membri
adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda
gli appalti disciplinati dalla direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese
dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso
efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le
condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente
direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario
in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali
che lo recepiscono.
2. Gli Stati membri garantiscono che non vi
sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un
pregiudizio nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto,
a motivo della distinzione effettuata dalla presente direttiva tra le
norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme
nazionali.
3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili
le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono
determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere
l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere
leso a causa di una presunta violazione.”
18. Ora, è pur vero che
il previo pagamento del contributo unificato, nel suo esatto importo, non
è condizione di ammissibilità e/o procedibilità del ricorso e che, ove la
domanda sia accolta, la parte soccombente è normalmente tenuta alla
refusione delle spese di lite e, dunque, anche del contributo
stesso.
Tuttavia, l’esborso anticipato di cifre così elevate, in molti
casi superiori allo stesso utile d’impresa da calcolare in relazione
all’importo dell’appalto (determinabile nella misura presuntiva del dieci
per cento, secondo il criterio forfetario ed automatico elaborato dalla
giurisprudenza, in applicazione analogica dell'art. 134, comma 1, d.lgs.
12 aprile 2006 n. 163, che quantifica in tale percentuale il guadagno
presunto dell'appaltatore: cfr., ad es.: Cons. St., sez. V 30/7/2008, n.
3806; id., 20/4/2012, n. 2317; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 5/3/2013, n.
2358), può facilmente comportare, specialmente per appalti di non
elevatissimo importo, come quello in discussione, comprensibili esitazioni
o, addirittura, rinunce da parte dell’interessato alla scelta di proporre
il ricorso giurisdizionale. Per altro verso, l’entità dell’esborso, anche
per atti processuali (motivi aggiunti; ricorsi incidentali) successivi a
quello originario, genera atteggiamenti di autorinuncia, da parte del
difensore, a tutti gli strumenti processuali che potrebbero essere fatti
valere in giudizio. In tal modo, si va ad incidere sotto ulteriore profilo
sul diritto di difesa, attraverso la lesione dello, strumentalmente
connesso, fondamentale principio di libertà di scelta di strategie
processuali ad opera del difensore.
19. Si pensi, per fare un esempio
concreto, al caso di un’impresa esclusa da una gara pubblica del valore di
€ 201.000, la quale deve sborsare subito un contributo unificato di €
4.000 per poter impugnare il provvedimento di esclusione. Intervenuta,
nelle more del giudizio, l’aggiudicazione, l’impresa dovrà presentare
motivi aggiunti con un costo aggiuntivo di € 4.000. Se, poi, dovesse
essere impugnato, con motivi aggiunti, anche il diniego
dell’amministrazione sull’ “informativa in ordine all’intento di proporre
ricorso giurisdizionale” ex art. 243 bis del d.lgs. 163/2006, vi sarà un
nuovo esborso di € 4.000, che porta il totale della spesa per il ricorso
al TAR a ben € 12.000 (compensi professionali del difensore esclusi,
ovviamente).
Ove, poi, l’esito del giudizio di primo grado fosse
sfavorevole, l’impresa che intenda appellare la sentenza del TAR dovrebbe
aggiungere il contributo unificato del giudizio avanti al Consiglio di
Stato, per il quale, come detto, è previsto un aumento nella misura del 50
% in più del contributo versato in primo grado. Nell’esempio appena fatto,
sarà dovuto un contributo unificato in appello pari ad € 6.000, con la
prospettiva poi, per effetto della citata norma punitiva del comma
1-quater (se ritenuta applicabile anche ai giudizi amministrativi), di
essere costretti a corrispondere ulteriori € 6.000, laddove l’appello
venga respinto integralmente o dichiarato inammissibile o improcedibile.
L’impresa, quindi, dovrà preventivare una spesa per l’accesso alla
giustizia amministrativa, per il solo contributo unificato (senza quindi
considerare l’onorario di difensore ed altre spese di causa, come quelle
di notifica di atti, di cancelleria, etc.), di ben € 24.000: cifra,
questa, esorbitante se parametrata al valore dell’appalto che, in termini
effettivi (cioè di utile d’impresa, peraltro calcolato secondo parametri
non più coerenti con periodi di crisi economica drammatica e prolungata,
come quelli attuali), si aggira sui 20.000 euro (10% del valore
corrispondente alla base d’asta di € 201.000,00 nell’esempio appena
considerato).
20. In altri termini, l’eccessiva somma da versare, non
solo all’atto di deposito del ricorso principale, ma anche per il deposito
di ogni atto per motivi aggiunti o ricorso incidentale, nonché nella
successiva eventuale fase di appello, incide in modo decisivo ed
intollerabile:
a) sul diritto di agire in giudizio, cioè sulla libertà
di scelta di ricorrere al giudice amministrativo, da parte di tutti gli
operatori economici interessati al mercato dei contratti pubblici, che
intendano chiedere l'annullamento di un provvedimento illegittimo;
b)
sulle strategie processuali dei difensori, che saranno oltretutto
condizionate anche dalla discriminazione tra operatori economici “ricchi”,
per i quali resta comunque conveniente accettare l’alea della tassazione
elevata a fronte della prospettiva di ottenere un rilevante beneficio
economico, all’esito eventualmente favorevole del giudizio, rispetto ad
operatori economici modesti, per appalti non particolarmente lucrativi,
per i quali potrebbe rivelarsi non affatto conveniente anticipare le
anzidette somme così sproporzionate al valore (effettivo)
dell’appalto;
c) sulla pienezza ed effettività del controllo
giurisdizionale sugli atti della pubblica amministrazione e
sull’osservanza dello stesso principio costituzionale di buon andamento,
al quale si ricollega strumentalmente il diritto ad una tutela
giurisdizionale effettiva (ex artt. 24 e 113 Cost.; art. 1 del codice del
processo amministrativo; art. 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea; artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU) e non solo
apparente: cfr, sul punto, ad es.: Corte giustizia UE, grande sezione,
18/7/2013, n. 584, id., sez. III, 27/6/2013, n. 93; Consiglio di Stato,
Ad. plen., 15/1/ 2013 n. 2; id., sez. V, 9/9/2013, n. 4474; id., sez. V,
15/7/2013, n. 3801.
21. A supporto dell’assoluta irrazionalità ed
iniquità della scelta del legislatore nazionale, va inoltre osservato che
esso ha discriminato coloro che si rivolgono al giudice amministrativo
rispetto a coloro che invocano la tutela del giudice civile o tributario:
per i secondi, infatti, la tassazione è di gran lunga meno onerosa.
Al
riguardo, basti considerare che:
a) per una controversia civile di
valore elevatissimo (miliardi di euro, non paragonabile a quella in esame)
il contributo massimo - avanti alle sezioni specializzate in materia di
proprietà industriale ed intellettuale di cui al D.lgs. 168/2003 - è di
(soli) € 2.932;
b) lo stesso criterio vale anche per le cause innanzi
alle commissioni tributarie, per le quali è previsto un contributo massimo
di € 1.500 per tutte le cause di valore superiore ad euro 200.000;
c)
negli ordinari giudizi civili, il cui valore di controversia si pone tra €
5.200 ed € 26.000, cioè di valore analogo a quelli amministrativi avverso
procedure di gara di modesto importo (come quella in questione, il cui
utile sperato è, come detto, circa il 10 per cento dell’importo a base
d’asta), il contributo è di soli euro 206.
22. Per tornare all’esempio
fatto sopra, la stessa impresa che intenda contestare davanti al giudice
civile la risoluzione del contratto di appalto del valore di € 201,000,00,
nel primo grado dovrà sostenere un contributo unificato pari ad € 660,00,
nel grado di appello un contributo unificato di € 990,00, mentre nel
giudizio di Cassazione un ulteriore contributo unificato di € 1.320,00,
per un totale di € 2.970,00.
Invece, come detto sopra, l’impresa che
volesse contestare davanti al giudice amministrativo la fase a monte della
stipula del contratto, dovrà preventivare un costo di € 24.000 per il
pagamento del contributo unificato.
Non è chi non veda, dunque,
l’abnorme ed irragionevole sproporzione, nonché l’evidente e macroscopica
disparità di trattamento nella tassazione tra i diversi giudizi appena
menzionati.
23. A salvare dall’intollerabile iniquità il perverso
meccanismo impositivo considerato, neppure può valere la rimborsabilità
del contributo in caso di vittoria.
Il ricorrente, infatti – dovendo
comunque anticipare il pagamento del contributo unificato – salvo il
successivo rimborso, peraltro in tempi resi incerti dalla notoria
inefficienza dell’apparato burocratico, all’esito eventualmente favorevole
del giudizio - si trova sostanzialmente esposto al meccanismo del c.d. solve et repete, cioè all'onere del pagamento del tributo quale
presupposto imprescindibile dell’esperibilità (anche se non a pena di
inammissibilità) dell'azione giudiziaria diretta a ottenere la tutela del
diritto del contribuente mediante l'accertamento giudiziale
dell’illegittimità del tributo stesso; meccanismo già stigmatizzato e
dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con le sentenze n.
21 e n. 79 del 1961, in quanto reca un impedimento al diritto dei
cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed
interessi legittimi, in contrasto non solo con i già considerati parametri
normativi comunitari, ma anche con gli artt. 3, 24 e 113 della
Costituzione, nonché per la disparità di trattamento fra contribuente in
grado di pagare immediatamente e contribuente non particolarmente
abbiente.
24. Tutto ciò chiarito, proprio a causa dell’inspiegabile
misura del contributo e degli effetti irrazionalmente distorsivi sulla
concorrenza e sull’effettività della tutela giurisdizionale davanti al
g.a. in materia di contratti pubblici, il Collegio dubita che la ricordata
normativa italiana sul contributo unificato, così come spropositamente ed
illogicamente quantificato, sia conforme all’anzidetta Direttiva
dell’Unione europea 89/665, che impone agli stati membri di rendere
accessibili le procedure di ricorso, sembrando costituire un ostacolo
all’accesso alla giustizia amministrativa da parte di chiunque sia stato o
rischi di essere leso a causa di una presunta violazione in materia di
appalti.
25. Non va sottaciuto, peraltro, che l'aumento continuo e
progressivo del contributo unificato, via via attuato con i diversi
interventi normativi citati sopra, sembra in contrasto anche con i
principi comunitari di proporzionalità e di divieto di discriminazione,
nonché, soprattutto, con il principio di effettività della tutela
giurisdizionale, che è centrale nella logica della stessa direttiva 89/665
e che costituisce un principio generale non solo dell’ordinamento interno,
ma anche e vieppiù del diritto dell’Unione (v. ancora, in tal senso, Corte
giustizia Unione Europea, sent. 13/3/2007, causa C-432/05, e
giurisprudenza ivi citata; cfr. anche, ibidem: sent. n. 145 del 6/5/2010;
sent. n. 406 del 28/1/2010; sent. n. 584 del 18/7/2013; n. 93 del
27/6/2013; n. 393 del 30/4/2009; Grande sezione, 3/9/2008, n. 402; Grande
sezione, 13/3/2007, n. 432).
Invero, l’imposizione di un’elevata
tassazione, come condizione per poter tutelare le proprie ragioni in
giudizio, significa discriminare coloro che non hanno adeguati mezzi
economici per farle valere, nonché scoraggiare o impedire la tutela di
interessi economici non sufficientemente robusti, rispetto all’entità
della somma da sborsare a titolo di contributo unificato.
26. Sotto
ulteriore profilo, la normativa interna sul contributo unificato comporta,
ad avviso del Collegio, altresì la violazione del principio di
proporzionalità, che, com’è noto, costituisce parte integrante dei
principi generali del diritto comunitario ed esige che la normativa
nazionale non ecceda i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il
conseguimento degli scopi pur legittimamente perseguiti da ciascuno Stato.
Alla stregua di tale principio, infatti, qualora sia possibile una scelta
tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e
penalizzante, in modo che gli inconvenienti causati dalle stesse misure
non siano sproporzionati rispetto ai fini da raggiungere (cfr., ad es.:
sent. Corte di giustizia UE 12.7.2001, causa C-189/01; id., 12/9/2013, n.
660; 8/5/2013, n. 197; 13/12/2012, n. 395; Grande sezione, 27/11/2012, n.
566; Grande sezione, 21/12/2011, n. 28).
27. Alla luce dei principi
sinteticamente ricordati, risulta che l’imposizione del pagamento di uno
specifico contributo unificato per l’accesso alla giustizia
amministrativa, in misura generalmente elevata ma, addirittura,
spropositata nella particolare materia degli appalti pubblici, appare
confliggente con i ricordati principi di livello comunitario.
Il
predetto contributo, infatti, assurge a livelli di assoluta arbitrarietà
ed iniquità sotto vari profili, peraltro già sopra evidenziati:
-
anzitutto, esso è determinato, come già detto, a prescindere dal valore
effettivo della controversia, ma ragguagliato ad un valore teorico (la
base d’asta) e suddiviso in tre soli scaglioni di valore;
- è, quindi,
fissato in modo da non tener conto dell’effettivo utile d’impresa
ricavabile dall’aggiudicazione dell’appalto (fissato, come detto,
convenzionalmente nella misura del 10% dalla giurisprudenza citata sopra),
dunque, in misura sproporzionata, anzi del tutto avulsa rispetto alla
reale “capacita contributiva” (in senso atecnico) dell’impresa che aspiri
all’aggiudicazione;
- è fissato in misura sproporzionatamente superiore
a quella necessaria per adire il giudice civile, anche nella stessa
materia degli appalti;
- in tal modo, si opera un’irrazionale
discriminazione tra imprese operanti nello stesso settore (quello degli
appalti, a prescindere dalla natura pubblica o privata degli stessi),
ovvero tra imprese dotate di diversa capacità di finanziamento per
sostenere gli elevatissimi costi di accesso alla giustizia
amministrativa;
- discrimina irrazionalmente gli esercenti le
professioni legali, penalizzando quelli operanti nel settore degli appalti
pubblici, costretti - come già osservato - a scelte processuali non
libere, ma condizionate dalla necessità del previo pagamento del
contributo da richiedere immediatamente al cliente.
Tutto ciò non
sembra coerente né con il citato principio di proporzionalità, né con
quello ulteriore di effettività della tutela giurisdizionale, recati dalla
più volte ricordata Direttiva ricorsi.
28. Il predetto principio di
proporzionalità risulta, poi, violato sotto ulteriore profilo.
Invero,
se il contributo unificato è una tassa che il ricorrente è tenuto a
versare anticipatamente in relazione a un’utilità specifica che egli trae
dalla prestazione di un servizio pubblico (cioè, nel caso, dall’attività
giurisdizionale) reso a sua richiesta, il servizio stesso dovrebbe essere
parametrato ai costi sopportati dallo Stato per l’organizzazione ed il
funzionamento dell’apparato giurisdizionale (sulla nozione di tassa, fra
le tantissime, cfr: Corte Costituzionale 26/6/2002, n. 284; Cassazione
civile, sez. VI, 24/7/2013, n. 18022; Cassazione civile, sez. trib.,
6/11/2009, n. 23583).
Allora, fermo restando che il costo sopportato
dallo Stato per lo svolgimento del giudizio amministrativo in materia di
appalti pubblici non è apprezzabilmente diverso, né distinto e superiore
rispetto ai giudizi su altri tipi di contenzioso, una diversificazione
dell’importo (forse) rispetterebbe l’anzidetto principio di
proporzionalità se fosse almeno ragguagliato al valore effettivo della
causa. Ma neppure in tal caso la proporzionalità apparirebbe rispettata,
non essendovi nemmeno in tal caso una divergenza di costi per erogare lo
stesso servizio giudiziario, sia per un appalto di poche centinaia di
migliaia di euro, che per quello di molte centinaia di milioni. I costi
del personale amministrativo e di magistratura, delle strutture,
dell’organizzazione complessiva della macchina giudiziaria sono fissi e
costanti, non variabili in proporzione alla qualità e valore del
contenzioso.
Se così stanno le cose, e la misura del contributo non
vale a coprire specifici e differenziati costi della giustizia nella
particolare materia degli appalti, allora esso, evidentemente, persegue
scopi diversi da quello di finanziamento della spesa pubblica per la
giustizia amministrativa.
29. E’ opinione diffusa in dottrina, tra gli
operatori giuridici e tra gli stessi magistrati, infatti, che il
Legislatore italiano abbia voluto ostacolare l'accessibilità ai mezzi di
ricorso in materia di appalti, rispetto alle altre materie del contenzioso
amministrativo, mediante l’imposizione di una tassazione esagerata,
illogica, iniqua e sproporzionata, con la finalità di deflazionare tale
contenzioso. Si vorrebbe, in tal modo, raggiungere un duplice
risultato:
a) quello di alleggerire il peso ormai insostenibile del
contenzioso arretrato (per il quale infatti il legislatore ha previsto
straordinari rimedi organizzativi: art. 16 dell’allegato 2 al codice del
processo amministrativo);
b) quello di non intralciare soverchiamente
l’apparato burocratico nella realizzazione di opere pubbliche e
nell’acquisizione di beni e servizi.
30. Il primo obiettivo risulta in
parte raggiunto, sulla scorta dei dati statistici che vedono una flessione
dei ricorsi pervenuti al g.a. in materia di appalti.
Invero, come
emerge dalla relazione del Presidente del Consiglio di Stato in occasione
dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, nell’arco di tempo che va
dal 2008 al 2012 si assiste ad un trend in cui il numero dei ricorsi
proposti davanti ai TAR si mantiene costante, dal 2008 al 2011, in circa
56.000 all’anno, mentre nel 2012 vi è stata una flessione con un numero di
circa 51.000. Anche in grado d’appello si assiste, nel 2012, ad un
significativo calo di ricorsi, da circa 10.500 (numero, questo, costante
dal 2008 al 2011) a 9.300.
Tale marcata flessione riguarda, in modo
particolare, la materia degli appalti ed è evidentemente riconducibile
all’aumento esagerato del contributo unificato.
31. Il secondo
obiettivo si colloca all’interno di una più complessa strategia
processuale.
Al riguardo - osserva il Collegio - da lungo tempo il
contenzioso in tema di appalti pubblici è governato da un rito processuale
speciale, chiaramente ispirato all’esigenza di salvaguardare gli interessi
pubblici coinvolti; il che ha condotto il Legislatore all’emanazione di
una disciplina tesa ad impedire che il giudice amministrativo, in
particolare nella fase cautelare, blocchi o comunque ritardi l’esecuzione
dei contratti pubblici, in una materia d'immediato rilievo economico per
lo Stato.
Dunque, anche gli elevati e sproporzionati importi del
contributo unificato in questa materia sembrano ispirati alla stessa
logica di scoraggiare e comprimere il ricorso alla giustizia
amministrativa.
32. Tutte queste rilevazioni evidenziano come e perché
la sopra ricordata normativa nazionale si ponga in rotta di collisione non
solo con i principi costituzionali di effettività e satisfattività della
tutela giurisdizionale (come censurato da parte ricorrente), ma -
soprattutto, principalmente e preliminarmente - con la ricordata Direttiva
n. 665/89, la quale ha posto anch’essa, come priorità assoluta ed
incondizionata, l'esigenza di effettività della tutela del ricorrente,
come variabile indipendente dall'interesse alla celere e non ostacolata
esecuzione del contratto pubblico.
Come già detto sopra, si ribadisce
che il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un
principio generale del diritto dell’Unione, a sua volta derivato dalle
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito
dagli artt. 6 e 13 della CEDU, oltre ad essere stato ribadito anche
dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v.
la giurisprudenza sopra citata ai punti 20 e 25).
L’efficacia dei mezzi
di ricorso presuppone, infatti, costi sostenibili e proporzionati al
vantaggio che il ricorrente confida di ritrarre dalla controversia, mentre
la citata disciplina del contributo unificato in materia di appalti sembra
ostacolare il raggiungimento dell’effetto utile perseguito dalla Direttiva
n. 665/89. A maggior ragione, in fattispecie di appalti di scarso valore,
ma comunque al di sopra della soglia comunitaria, come quello in esame,
l’elevato ammontare del contributo unificato rischia di vanificare del
tutto l’utilità ritraibile dal ricorso.
33. In conclusione, alla luce
di quanto sopra esposto, si ritiene pregiudizialmente sussistere
l’interesse sostanziale e processuale della parte ricorrente ad opporsi al
pagamento richiesto con l’atto del Segretario Generale del TRGA di Trento
per proporre ricorso avverso gli atti in epigrafe indicati ed impugnati
con il ricorso originario ed i successivi motivi aggiunti, sussistendo
quindi (cfr. Cons. St., sez. V, 23 ottobre 2013, n. 5131) le condizioni
per rimettere all'esame della Corte di giustizia dell'Unione Europea la
seguente questione pregiudiziale di corretta interpretazione della
normativa interna in rapporto a quella comunitaria sovraordinata:
- se
i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989,
89/665/CEE e successive modifiche ed integrazioni, che coordina le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla
direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa
nazionale, quale quella delineata dagli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater
e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 (come
progressivamente novellato dagli interventi legislativi successivi) che
hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla
giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici.
34. Ai sensi
della "nota informativa riguardante la proposizione di domande di
pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali" 2011/C 160/01 in
G.U.C.E. 28 maggio 2011, vanno trasmessi alla cancelleria della Corte,
mediante plico raccomandato in copia, i seguenti atti:
- il ricorso ed
i motivi aggiunti;
- i provvedimenti impugnati con il ricorso e con i
motivi aggiunti;
- gli atti di costituzione in giudizio delle
controparti;
- le memorie difensive depositate dalle parti nel
giudizio;
- la presente ordinanza;
- la Circolare 18 ottobre 2011
del Segretario generale della Giustizia Amministrativa;
- copia delle
seguenti norme nazionali:
--- articoli 13 e 14 del D.P.R. 30.5.2002 n.
115 e codice del processo amministrativo, approvato con decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
36. Il presente giudizio viene
sospeso, nelle more della definizione dell'incidente comunitario, e ogni
ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla
pronuncia definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia
Amministrativa di Trento (Sezione Unica) non definitivamente pronunciando
sul ricorso in epigrafe, dispone:
1) a cura della segreteria, la
trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai
sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,
nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia degli atti
ivi indicati;
2) la sospensione del presente giudizio.
Riserva alla
decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in
ordine alle spese.
Ordina che la presente ordinanza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trento nella camera di
consiglio del giorno 21 novembre 2013 con l'intervento dei
magistrati:
Armando Pozzi, Presidente
Lorenzo Stevanato,
Consigliere, Estensore
Paolo Devigili, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2014
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